Matteo Vendemiati - Poesie

Il veliero che non va per mare

 

Mi sporgo dalla balaustra

sulla destra di questo grande ponte

La carezza violenta dell’aria salmastra

Un altro giorno di sole

Il sale sulla fronte

 

Strano questo veliero

non trovate?

A pochi sembrerebbe vero

Non naviga per mare

ma per città amare

 

Prende con sé le anime

quelle bisognose e pure

che desiderano libertà

Non lascia che ricordo fragile

in coloro che hanno visto

e non saranno in grado di raccontare

 

La ricerca della felicità

Che duro lavoro in tempi difficili

Se posso darti un consiglio

prova a fare come questa nave

Naviga così tanto facilmente

anche senza il mare


Quarantena

 

Non pensarci

Tutto passerà

Non sono scemo

ma i tuoi occhi dolci

oscurati da quel velo di terrore

mi fanno paura

E non chiedere al tempo degli orologi

il futuro che nemmeno loro sanno

guarda le rondini in cielo

già primavera per loro

e noi invece di questo inverno

ne siamo al fondo

Io torno al piano

mentre tu scruti l’orizzonte

alla ricerca di un segno nelle strade vuote

È mezzogiorno e qua

nei nostri cuori e nelle nostre menti

è già mezzanotte


 Al chiaro di luna

 

Atmosfera magica

Note surreali scivolano

sulle corde di un pianoforte

una fantasia sfuggevole

un canto di solitudine

un grido di amore

riecheggia nella notte

Il bianco incontra il nero 

in arpeggi perfetti

Un infinito crescendo

che mi fa sentire vivo


Quei tuoi occhi castani

 

Quei tuoi occhi castani

a volte inosservati

ma mai banali

racchiudono una magia

un incantesimo pericoloso

Puoi cadere dentro ed affogarci

Nell’iride

un solco marcato

un baratro nero

in cui si perde la luce

Specchio di un mistero

tanto grande

quanto affascinante

Numerosi accenti colorati

illuminano ogni parte

dell’anello iridescente

Manifestazione intrinseca di vitalità

Una costruzione perfetta

Un universo in miniatura

che mi osserva e mi fa paura


Le scale

 

Il mondo che c’è

mi ricorda un po’ di te

Salgo le scale che mi separano dal cielo

due per volta ma anche tre

 

Non mi ricordo 

l’ultima volta che ho mentito

se l’ho fatto apposta

o perché tradito

 

Mi osservo a scoprire il mondo

mentre ascolto questo suono nuovo

che si accende dietro a quel soffio di vento

che mi gira intorno sfiorandomi il mento

 

La mattina è fatta per dimenticare

le cose più brutte

La notte è fatta per scoprire

le cose nuove 

ma non tutte

La sera è fatta per pensare a te

 

Con il cuore si può fare grandi cose

mentre si osserva un passerotto volare

una voce parlare

o una radio cantare


Notte funesta

 

Non ho più sonno

Sarà la paura di cadere in un sogno

in cui io ti perda

 

Non ho più sonno

Sarà il caldo che ci tormenta

oppure la crudeltà dell’immaginazione funesta

 

Dormi

che vado a prendere un po’ d’aria fresca

Proverò a contare le stelle

per capire se tu sei una di quelle

 

Quei rumori di città lontani

che fanno meno buia questa notte diversa

mi fanno riflettere

a quanto sia strana questa vita perversa


Brutta copia

 

A volte mi siedo

e mi domando

se tutto vada nel verso giusto

nel verso di come

vorrei andassero le cose

se quel fiume che è la mia vita

vada per il suo giusto corso

o si perda nella miriade di trappole

che ci sono lungo il percorso

Metto una mano in tasca

Prendo quella brutta copia

dove la vita è raccontata

vera e non alterata

Prendo la giacca per un bordo

e sfilo quella penna che sta sopra il cuore

di tratto nero elegante

ma fuori rossa sgargiante

colore dell’amore

Scrivo 

e correggo tutto ciò che non va

appunto ciò che vorrei poter dire sarà

e metto un punto a quello che è stato e che non tornerà

Preso coscienza

ogni cosa rimessa a posto

mi alzo e riparto

Con lo sguardo di chi sa

Con la voglia di chi fa


Popolo 

 

Siete parte del popolo o preferite essere popolari?

Perché quell’entità astratta ed incommensurabile che viene definita popolo a volte non si sa bene a cosa si riferisca, se ne facciamo parte o meno.

Ma chi è veramente il popolo?

È chi si sente appartenente ad un insieme con il quale accomuna lingua e cultura. Appartenere ad un popolo vuol dire avere delle tendenze aggreganti, significa avere dei gusti che appartengono alla massa, perché popolo significa massa.

Ma in un popolo fatto di massa e in una massa fatta di individui le accezioni individuali prendono il sopravvento e divenire popolari acquisisce un’importanza totalizzante e paralizzante, dove appartenere è solo il primo passo per elevarsi a qualcosa di più.

E a quegli individui che si attaccano a questo termine con l’intenzione di far breccia nei cuori più teneri e puri io dico: sappiate che vi state aggrappando all’ incomprensione di chi vi ascolta. Voi non vi appellate al popolo ma alle popolarità che vi sono dentro.

Ed io mi auguro che questa incomprensione sia con il tempo contato, che chi appartenga ad un popolo lo faccia in mondo consapevole e propositivo, che nessuno si faccia abbindolare dalla parola popolo che in sé non significa niente, che si lasci perdere la popolarità a favore dell’appartenenza.

È difficile, è un sistema complesso e articolato, ma se rimane un po’ di amore per quella che una volta era chiamata patria, allora, e solo allora, varrà la pena tentare. 

Perché un popolo senza amor di patria non è un popolo, è un tempio senza altare.


Introspezione

 

Quando ci rendiamo conto di non poter cambiare il mondo ci accontentiamo di cambiare noi stessi.

È per questo che sono diventato poeta, per dare voce a pensieri che se detti susciterebbero ridicolezza e indignazione, ma anche ipocrisia per chi vorrebbe appoggiarli ma si rende conto di non potere.

E di fronte agli incredibili paradossi di questo mondo e delle persone che lo abitano io rimango basito. Non riesco a concepire il fatto che dalle esperienze che vengono fatte con la propria pelle non si prenda mai insegnamento, che la storia sia una ridicolezza, un qualcosa da non prendere mai sul serio, che non ci sia mai niente da imparare.

Forse è la debolezza dell’animo umano.

Sarà che ci dobbiamo evolvere ancora un po’.


Scrivere

 

Scrivere di quello che abbiamo paura ci prepara al mondo là fuori.

È come andare in bicicletta con i freni tirati, abbiamo la sensazione di essere più sicuri anche se in realtà non è vero.

Perché prepararsi è fondamentale, a nessuno piace arrivare impreparato.

Ma a volte succede, e dobbiamo fare i conti con ciò che sfugge alle nostre conoscenze, è il mistero della vita.

E allora la nostra mente, nell’inesauribile ed incessante moto turbinoso le cui regole sono a noi sconosciute, crea e distrugge realtà illusorie e illusioni veritiere aiutandoci ad affrontare le nostre paure più profonde.

Perché noi viviamo di paure, viviamo costantemente nella paura di morire, di lasciare tutto ciò a cui siamo abituati e tutte le nostre azioni vanno in quella direzione: nella ricerca ceca ed incessante del preservare ciò che è instabile.

E allora scriviamo, è l’unica cosa che ci resta da fare, perché alla fine si rivela anche la migliore.