Matteo Zecchini - Poesie

Ad un passo


Sta lì, a tirar lo viso e denti.
Stridon, pari ai freni delli treni.
Li pugni chiusi, fin dentro ‘l palmo,
‘ché di sè lui, cosí, non si fa calmo.

Sta lì, di forza, digrigna e spasmi,
fa nervi lignei, duri, forti, tronchi,
di petto ‘n sú a prender lì fantasmi,
pe’l suo tramonto, dá colpi monchi.

Sta lì, a dir lui, ch’i non trova pace,
che d’alba parea fatto ‘l divenire,
il lamentar coll’anima vorace.

Sta lì. Come silente. Ora, sí. Tace.
I color si fan di fate, d’alba in divenire,
e ‘l suo pensier, legger, si fa fugace.


Italia 2019



Il disio é sentir d’Eco risuonar,
dentro l’altrui persona, i pensier,
di fragili cristalli per bicchieri,
che fossero parol di Camilleri.

Aprendo cosí del pensier la porta,
‘che di Saviano, ormai piú si scorta.
Veder sull’uscio un fanciullo mirar
in fondo l’occhi ‘l suo vicino.

Il ragionar d’opportuno, sente
come riflesso del pensier altrui,
avvolgendo di piovra la pia gente.

A dir di sembrar liberi utenti,
intanto, ‘l fiume passa e slava,
come ‘l ricordo, i sentimenti.


 

Migranti


Sabbia, terra, fuggir dalle mie porte
mogli, madri, figli, qui’l sol, la morte;
che morir qui, non posson più le tulpe.
Qui, verde, ‘l sol color, paion truppe.

Di fetido profumo ‘sta salvezza,
a ricordar il soldo nel ‘cheronte,
trapassar via la vita d’amarezza.
Sudore. Freddo. Impasta la fronte.

L’ onde stanche rimpolpano la chiglia,
di sordi corpi, in battere e levare.
Sapor d’America, non ti somiglia.

Seduto, botti muti, oblio del mare.
Aiuto! Di motti acuti s’aggroviglia,
che di salvezza Dio possa sperare


Violentata


Non tace il disgelo del vetro
ch’ei ‘ntaglia le firme sui bracci.
Un bagliore, d’un tratto, un metro.
di carta bruciata, increspan li stracci

d’anima ritorta, contorta, impressa.
Tanto mi fu fatica l’obbligo d’orror.
d’assister la mia vita. A ch’interessa,
del peso vuoto ch’ei spurga ‘l cor?

Li morsi cingevan lo petto in ventre,
che rosei tumulti parevan sordi.
Caduta nel pieno amor delle dicentre,

restavo di specchio senz’alcun bordi.
A me sfoca distorta, d’altra persona.
L’occhio non tien, e un rivolo frastuona.


Romagna



Vera, l’Azdora a vestir di seta
il mattarello sul legno a tirar,
con arte, che d’amor fa lo poeta,
Fucci, Guerra, ‘l Pascoli ricordar.

L’eco fan le canzoni di Riviera,
a l’asinelli dall’Emilia,
l’odor di tortellin fin la sera
al suono caldo motor s’avvinghia.

Di notte sulla sabbia fan l’amor,
e ‘l vociar risuona sul Titano.
Di mar s’intride l’animo d’odor,

cangiando Cervia, col sale in mano.
Romagna! Ancor viva! Vita di calor,
aria di paese non canta invano.


Paura d’abbandono


Nuotiam nello spasmo d’aria blu,
intriso di colore, denso, sodo,
non che l’animo legger sia piú,
veloce, ma teso ad infinito, cado.

D’innanzi non v’é brillar altrui,
di mosse mosce s’insinuan torti.
Contrasta d’asfalto e terra lui,
diritto avvezza toni ai morti.

Non desta luce alcuna, lí spegne,
‘l minimo candor sopito mòre,
l’emozion di color non son degne,

così l’animo a rifuggir la vita,
di Lei che non v’é piú, sparita.
Mi desto. Pien di paura nel cuore.


Amor di primavera



Guizzan vivaci, brillanti faville,
lì pensier a correr per lì prati,
di maggio, fu luce per pupille.
La rugiada a brillar più di carati.

Volan sù, tra l’opre delli vati.
L’azzurro fa sparir lì campi,
distesi, sú dal ciel, innamorati,
i baci sopra tutti come lampi.

Amor d’elefanti, non hai peso,
sospesa piuma, sul cuor disteso,
fa del sapor di fragola vaniglia,

il ricordo candido e indifeso,
Dischiusa al cuor una conchiglia,
d’aspetto vivo rosso acceso.

A mia moglie Sara