Maya Ramirez - Poesie

Il filo di Maya


Maya aveva perso ogni paura di mostrare la sua nudità interiore, non aveva più bisogno di proteggersi dagli altri, perché ormai sentiva di essere riuscita a riprendersi tutto ciò che le era stato rubato, persino la sua identità.
Quando iniziò a raccontarsi parlo della sua principessa Princi, la protagonista della favola della sua vita, ne parlò per gratitudine, sperando un giorno di essere letta da quella figura così centrale nel suo modo di scrivere.
La sua insegnante di letteratura italiana era stata un mentore di riferimento da sempre, aveva avuto un ruolo fondamentale nel tessere quel filo che riusciva a vedere lei e chi sapeva vedere, era fatto di una seta pregiata.
Il resto del mondo pensava che fosse alla ricerca del successo ma ormai era pronta per rivelare il grande segreto, il filo di Maya.
Scelse di farlo con molta semplicità, aveva provato ad utilizzare diversi linguaggi ma erano risultati tutti inappropriati, poche parole e chi avesse voluto davvero, avrebbe compreso il perché di quei sorrisi senza motivo apparente, il perché di tanta accettazione, nonostante le mille disavventure e soprattutto il perché del dolore.
La strada era ancora lunga ma una volta imboccata aveva dato un senso anche alla parola felicità, non si trattava di uno stato d’animo ma di una costruzione immaginativa lungo un divenire con ogni possibilità di amare.
Quale abuso mai era stato fatto di quel verbo, lo si confondeva anche quando si amava in maniera dolce, forte ma errata, amando per essere amati.
Ora poteva comprendere il motivo di quel errare, di quella sensazione di non appartenenza, in qualsiasi luogo si trovasse.
Si svegliava solo quando dormiva, e per sua fortuna aveva imparato a ricordare quei meravigliosi momenti di veglia reale, vicino alla luce, vicino al suo dio, fatto dal tutto, e da tutti.
Moriva dolcemente ogni qualvolta scopriva che si trovava intimamente dentro ognuna delle persone che incontrava, belli e brutti, buoni e cattivi come si suddividevano le cose in quel momento dell’esistenza.
Il grande inganno era la separazione, quindi riusciva a rinascere nel cogliere l’unione e la sua insita necessità di ubbidire dolcemente alla legge Bene, quando ne era in grado.
Non vedeva più la linea che divideva le scienze, una era, come uno era il figlio insieme al padre ed allo spirito divino.
Tentava un addio definitivo a quel passato in cui le lacrime accompagnavano ogni difficoltà, ma adorava abbracciare quello in cui, molto addietro, aveva scelto lei stessa di accettare il ritorno, per imparare a donare, a volere, per ottenere la vera libertà.
Non poteva però vivere del tutto lontana dai suoi mali personali, avvolta com’era ancora da quel involucro che sembrava vivere per suo conto, le passioni premevano instancabili e l’ego chiedeva affermazione anche dopo ripetuti schiaffi.
Volle dunque spogliarsi, con pochi racconti, all’interno dei quali aveva dato un nome al mondo che la circondava, alle guide che la accompagnavano ed alla speranza che aveva fatto sua.
Una biblioteca; l’anagramma del sillabario universo; Icsa ed il suo setaccio; una cittadina al buio ed infine dei pensieri alla rinfusa.
Poi fu la volta di rimarcare quelle frasi che aveva poggiato su un telo di note, mentre si incamminava verso la penultima morte, prima dell’ultima, in quel vivere sotto un sole frainteso.
Per chiudere poi, almeno per questa volta, toccando le rime delle cadenze che il suo stesso sangue le aveva dettato, anche se ogni tanto la lasciavano libera di solo dire, come lei agognava, perché il suo dire significava chiedere soltanto un po’ d’amore, esplicito.


 

La maschera di Fedro

La principessa Princi 

Una presenza costante mi accompagnava, ogni mio insuccesso mi faceva sapere che non avevo seguito l’esempio di quella principessa che incontrai travestita da insegnante di italiano all’istituto magistrale A. Rosmini di Grosseto.
L’immagine della professoressa Princi sulla cattedra mi incuteva timore, ma al tempo stesso grande ammirazione, era capace e severa e nel farlo sapeva essere piena di amore ed umanità.
Sentivo frustrazione per non riuscire a mostrarle la mia stima nei suoi confronti attraverso la perfetta esposizione dei suoi insegnamenti di letteratura, come lei pretendeva, era una materia che amavo con tutta me stessa, ma che mi risultava difficile a causa della lingua imparata da poco.
Ce la mettevo tutta secondo me, e quando non riuscivo a capire mi aiutava la mia amica Susanna, altro angelo nel mio cammino indimenticabile.
Studiavo fino allo sfinimento alla ricerca di un buon voto ma ogni volta quella  mi rimandava al mio posto dicendo che comprendeva che avevo studiato ma che purtroppo non ero ancora in grado di esprimermi al punto di meritare la sufficienza, mi crollava il mio piccolo mondo addosso..
Un giorno durante l’interrogazione su  ‘Le ultime lettere di Jacopo Ortiz’, quasi assuefatta alla delusione di me, mentre aspettavo di essere mandata al mio posto con il solito voto insufficiente, sentii pronunciare alla professoressa la seguente frase:
– Brava Matos, sei e mezzo –
La smorfia si tramutò in una espressione interrogativa, cosa aveva detto?, con chi parlava? Non con me sicuramente, eppure aveva detto Matos.
Feci un cenno di ringraziamento e sgattaiolai velocemente al mio posto prima che cambiasse idea, con un misto tra l’essere stupefatta e orgogliosa, soprattutto perché lo aveva detto la Princi capito? La Princi; allora voleva dire che io avevo qualche speranza di parlare bene la lingua italiana in futuro, wow!
In classe la media era bassissima, lei non regalava niente a nessuno e ci teneva a spiegare che il fine ultimo non era una bella pagella ma la nostra preparazione una volta fuori da li.
Non se la prendeva personalmente con nessuno, voleva solo che imparassimo realmente e ci faceva la giusta pressione per evitare che perdessimo tempo prezioso.
Da quel giorno della fatidica sufficienza mi convinsi che forse potevo farcela, non doveva rimanere un caso isolato, mi sentii motivata e così la scena si rinforzò con un compito in classe nel quale esponevo le ragioni delle frustrazioni adolescenziali nei confronti dei genitori soffocanti, 8 e mezzo al tema, il giudizio non era riferito solo al dato tecnico ma anche al contenuto, in particolare premiava le considerazioni sensate che a suo giudizio apportassero un pensiero costruttivo.
Stessa scena con il tema sulla pena di morte, nel quale espressi la mia posizione favorevole e dissi ad un certo punto che l’Italia non era ancora abbastanza evoluta per permettere una legge che condannasse a morte i ‘cattivi’.
Scrisse a lato del foglio protocollo, accanto al voto:
– La crudeltà non è sinonimo di evoluzione ma di arretratezza e poca umanità -.
Quel appunto arrivò dritto al mio cuore, come quella volta che ci raccontò di un incontro durante il quale ebbe modo di vedere delle immagini video dove venivano mostrati dei bambini sofferenti a causa dei conflitti sfociati in bombardamenti con vittime civili, era una delle tante guerre

– non importa, i bambini morti sono i bambini morti –  e disse che per lei era stata un’esperienza devastante,  pronunciò quest’ultima parola con tale enfasi che ancora oggi mi sembra di sentirla mentre scandisce ogni sillaba che rappresentava quel dolore vissuto con senso di impotenza.

Tutto questo per me era già moltissimo per amare la mia insegnante, ma a ciò si aggiunse il suo essere principessa, non quelle che hanno coroncine e vestiti sgargianti nelle favole ricreate nella mente delle ragazze tristi, ma la principessa impegnata a stare con i suoi bambini, che lavorava sodo, ma che quando era il momento sapeva dare priorità ai cuccioli.
Si era assentata per due lunghi periodi durante gli anni in cui avevo frequentato quel istituto, ed in entrambe le occasioni in cui ce lo stava comunicando le brillavano gli occhi di gioia mentre diceva che era in dolce attesa.

Quegli anni per me erano burrascosi e difficili per tante ragioni in casa, la tensione cresceva sempre ad ogni insorgere delle più sparate problematiche, ne sentivo il peso addosso ma non ne parlavo con nessuno, neanche alla mia migliore amica Susanna, era troppo dolce e fragile perché io le facessi la cattiveria di raccontarle quanto era difficile il mondo, con i suoi occhioni azzurri che sprigionavano felicità ad ogni sguardo.
Una mattina stavo molto male, disorientata e confusa, stavo per svenire e non se ne accorse neanche Susy, ma la principessa Princi smise di spiegare e disse:
– Matos, vai in bagno a darti una sciacquata al viso e torna quando ti senti meglio – rivolgendosi a me

Io riuscii ad arrivare in bagno con l’aiuto di Susanna e vi rimasi qualche minuto.
Tutto riprese normalmente ed io stavo meglio, almeno fisicamente.
Quel giorno, finita la lezione, mentre scendevamo le scale la professoressa Princi mi si avvicinò con molta discrezione e mi chiese se poteva essermi utile in qualche modo, io le diedi la solita risposta:

– Tutto bene, tutto bene, sono solo un po’ affaticata – senza guardarla negli occhi, ma lei seguì il mio viso e camuffò il suo dispiacere per me con un sorriso appena accennato.

-Sei sicura, é qualcosa che ha a che fare con la scuola?-  Aggiunse.
Io crollai e le raccontai che in casa stavamo affrontando molti problemi tra cui quello economico, e che da poco avevamo dovuto lasciare la casa per un piccolo monolocale senza riscaldamento  ed io stavo cercando di dare una mano a mia madre vendendo prodotti di bellezza porta a porta e la cosa mi portava via molte energie.
La rampa di scale finì e lei mi disse qualcosa che neanche capì bene, tanto sentivo imbarazzo nel averle confessato il motivo del mio malore.
Il giorno dopo entrando a scuola si avvicinò cautamente, e nel porgermi una busta bianca disse con fare distratto a voce bassissima:

– Tieni questi, le cose andranno meglio, quando potrai me li ridarai –
Lei non intendeva affatto attendere la restituzione di quei soldi ma si capiva che voleva alleggerire il mio impaccio nel dover accettare dei soldi perché ne avevamo veramente bisogno.
Presi la busta e dissi solo grazie, senza sapere la quantità che vi era all’interno della busta; ero intenerita dalla sua espressione, era visibilmente preoccupata di non ferire la mia dignità, ed anche questo fu uno degli insegnamenti indelebili che fanno di me la donna che sono oggi, nella busta c’erano 300 mila lire che ci aiutarono moltissimo, andai a fare un po’ di spesa e comprammo una stufetta per riscaldarci, a mia madre dissi che ero riuscita a vendere molte creme per non farla vergognare.
La formazione della mia personalità andava in maniera altalenante ma restava sempre quel punto fermo che plasmava la mia adolescenza, la sua figura mi catturava, tanto che poco prima della fine del quarto anno i ragazzi decisero di spifferarle che io in sua assenza la imitavo di continuo.
Agli occhi degli altri era un gioco per prenderla in giro ma io in realtà osservavo così attentamente ogni suo gesto che mi rimanevano impressi al punto di poterli riprodurre uno per uno.
Riuscirono a farmi fare quell’imitazione in sua presenza, e addirittura lei aveva portato, a tradimento, una piccola telecamera per riprendermi, al termine mi disse che non sapeva come fossero venute le riprese perché rideva così tanto che aveva le lacrime agli occhi e non riusciva ad aggiustare l’inquadratura.
Ci sono alcune persone che hanno lasciato dei ricordi importanti nella mia vita,ma per la Princi non è la stessa cosa, lei mi accompagna ogni giorno, ogni volta che devo scegliere se fare la cosa giusta, se tendere la mano, se abbattere la barriera dell’intolleranza, e soprattutto nel cercare di guidare i miei figli verso un futuro migliore, non troppo permissiva, non troppo chiusa, non troppo lontana dai loro problemi e soprattutto a dare sempre il meglio di me.
Oggi, a dispetto di ogni probabilità il mio lavoro consiste nel fare anagrammi del sillabario della lingua italiana, ed ogni espressione, ogni parola che la mia penna lascia sui fogli delle mie composizioni  il riflesso della mia amata principessa Princi, la quale, il mio cuore ringrazia e spera abbia continuato a trasformare i suoi alunni in persone migliori per molti anni ancora.
Lei si presenta alla mia memoria sotto molteplici volti, collegati da un filo conduttore apparentemente invisibile, come per quella storiella che inizia con il primo titolo “La biblioteca”, riportata di seguito, per chi non ne avesse mai sentito parlare:

La biblioteca 

La biblioteca dell’accademia Mundi aveva molte stanze, solcate da  scaffali stracolmi di libri vecchi e nuovi;  tra gli assidui frequentatori era risaputo che il vecchio bibliotecario non si faceva vedere mai, più volte aveva detto che gli studenti chiedevano continuamente informazioni su titoli che si potevano trovare consultando gli indici in bella vista all’ingresso principale.

Per fortuna gli ultimi arrivati riuscivano a farsi orientare dai più esperti, conoscevano la collocazione esatta di molte opere, certo era necessario alcune volte consultare gli indici ma c’era sempre bisogno dell’autorizzazione del vecchio prima di prenderne una copia.

Rispondeva da dietro la porta del suo ufficio, diceva di essere occupatissimo perché gestiva diverse accademie e ce ne stavano altre in apertura in luoghi ancora da definire; come faceva con il tempo nessuno lo sapeva.

C’era un continuo via vai lì dentro, ma due erano molto presenti ed in relazione tra loro,

Eros, il secchione per eccellenza, al quale pareva che gli si accendesse una lampadina per ogni minimo argomento,  gli si erano consumati gli occhi a forza di studiare ma ora faceva molti meno fatiche per capire, da piccolo portava degli occhiali che non funzionavano e in un raptus gli aveva fatti volare fuori dalla finestra, insomma, era felice di aver sviluppato l’abilità nella lettura, ma la cosa più bella era che provava sempre a trasmetterla a chi gli chiedesse aiuto.

Poi c’era sempre anche Daniele, distratto, sfrontato e sempre più nervoso dal dover obbligatoriamente frequentare l’accademia, certo doveva nasconderlo astutamente, ma con Eros poteva anche smettere di fingere, a lui aveva confessato che prima o poi doveva mettersi sotto, anche se le sue intenzioni erano quelle di sfruttarlo per una qualche scorciatoia che riducesse il tempo da dedicare allo studio.

Era facile perdersi li dentro tra tutti quei cataloghi, ma anche se la direzione aveva posto l’obbligo di trascorrere una quantità di tempo alla lettura, stranamente gli alunni erano liberi di scegliere i testi a loro piacimento, l’importante era farli studiare, come giudicassero il livello di apprendimento era un po’ un enigma.

Un pomeriggio come tanti altri, Daniele chiese ad Eros un consiglio su un libro da iniziare quel giorno stesso, si era veramente stufato di cercare e niente pareva catturare la sua attenzione.
– Mmm, dimmi almeno quali sono i tuoi interessi principali –
Chiese Eros mostrandosi disponibile ad indicargli quel che meglio gli si confacesse.
– Haha, non provocarmi; sooooldi, un mucchio di soldi per restare a panza all’aria circondato da belle pollastre!-
Rispose prontamente Daniele
Il volto di Eros svelo un’espressione mista tra il disgusto e la compassione,

allora Daniele si ricompose e rischiarandosi la gola aggiunse:
– Hehe, amico scherzavo, se esistesse un manuale per diventar ricchi, che funzionasse veramente, se lo comprerebbero tutti, nessuno escluso, anche tu lo leggeresti! –
– Esiste! –
Rispose Eros con strana fermezza
Improvvisamente Daniele sgranò gli occhi, non era un fan di quel ragazzo troppo taciturno e poco socievole, ma sapeva che la sapeva lunga, lo aveva dimostrato più volte da quando entrarono in contatto quasi per caso scontrandosi in un angolo della sezione ‘filosofia’, Daniele naturalmente era capitato in quel corridoio per sbaglio, faceva solo dei giretti a vuoto per far scorrere il tempo convinto di farla franca con gli insegnanti.
Del vecchio direttore non si sapeva neanche il nome, aveva uno spioncino dal quale vedeva ogni movimento però, anche se tutti credevano di agire indisturbati, e Daniele faceva il fannullone da un bel po’, ma come per tutti gli altri, gli lasciò scegliere il suo tempo prima, di condurlo a modo suo a iniziare gli studi seriamente.

Eros continuo dicendo che di quel libro esistevano molte edizioni e che lo si poteva trovare sotto tutti le categorie.

– Si chiama “Il Setaccio” –  Proseguì

– Il se.. che? –

– Taccio! – Ribatté Eros

E si incamminò con il suo nuovo libro sotto il braccio, verso il suo posticino isolato

come sempre, lontano da occhi indiscreti.

Su un lato della scrivania della sua solita postazione c’era una pila di libri dai quali uscivano dei pezzetti di carta con brevi appunti che poi rileggeva per evitare di scordare gli argomenti più importanti.

L’impertinenza di Daniele non conosceva limiti, nel vederlo voltarsi per andar via gli aveva urlato

– Ehi amico non sarà mica uno scherzo vero?, Quant’è lungo ‘sto libro più o meno?

– Dipende da come lo leggerai –
Rispose quasi scocciato Eros, poteva perdere la pazienza anche lui.

– Se lo trovo e divento ricco sfondato qui di me non rimarrà nemmeno l’ombra!

E per tutta risposta, Eros, dopo essersi bloccato nel sentire l’ultimo commento di Daniele, esclamò:

– E’ proprio quello che volevo sentirti dire, il motivo per cui ti ho consigliato quel testo è proprio quello di cacciarti via da qui! –

– Ma senti tu che infame –
pensò tra sé Daniele, poi subito dopo ci rifletté un attimo, in fondo se quel libro avesse dato i suoi frutti alla fine della favola avrebbe potuto dire ‘e vissero tutti felici e contenti’, una volta trovato il modo di fare fortuna.

Ne trovò una copia subito, si sfregò le mani prima di aprirlo e iniziò a leggere:

Il setaccio di Iksa 

 

Avevo appena finito di costruire un setaccio con molta cura, i fori erano piccolissimi in modo che non mi potesse sfuggire nemmeno un granellino del oro che avevo deciso di cercare tra le rive dei vari fiumi della mia città natale.
Vi ero tornata prima di affrontare per l’ennesima volta l’esame di matematica, lì avrei ritrovato il signor Peter, sapevano tutti che aveva preparato le migliori menti che in seguito avevano cambiato il mondo,
Io però sembravo destinata a rimanere tonta a vita, l’unica speranza era prendere lezioni da lui.
Fu un vero trauma constatare che non ci sapevo fare con i numeri neanche con il miglior insegnante nei paraggi, ero spacciata, dovevo escogitare l’alternativa agli studi ufficiali, perché proprio non erano fatti per me.
Tanti prima di me ci avevano provato in paese e pareva che almeno a qualcuno gli fosse andata bene, ma non ne ero così sicura.

Iniziai a chiedere insistentemente informazioni a tutti, indistintamente, sul come, sul quando e sul perché.

– Cerca anche dove meno potrebbe sembrarti di trovare, e ricorda che ti dovrai ferire mani e piedi tra le pietre che si trovano in fondo –
Mi rispose un tale che tutti chiamavano Jey

– Wow! quel tizio mi incuriosì perché era vero che tutti davano indicazioni confuse, ma lui, anche se parlava un po’ strano, mi dava la sensazione inequivocabile che sapesse di ciò che parlava.

Dico che parlava strano perché sebbene la prima cosa che disse sembrava normale, mi lasciò balbettando qualcosa che udii a malapena.

– Quel setaccio andrà bene, ma solo per te –

Mah, un setaccio è un setaccio no? Può essere o ben costruito o mal costruito pensai.

Ho iniziato la mia ricerca conscia del fatto che non sarebbe stata cosa facile.

Trovavo dei bellissimi ruscelli dove a prima vista secondo me non poteva che esserci quello che cercavo, tanto apparivano belli, ma niente, più cercavo e più perdevo le speranze e le forze fisiche soprattutto, quel lavoro richiedeva proprio lo star in ginocchio o comunque piegati nelle posizioni più svariate e scomode, a lungo andare si rimane solo con un gran mal di schiena e il corpo a pezzi.
Io non volevo rinunciare, ne avevo proprio bisogno, altrimenti significava la mia fine, non potevo permettermi di crollare perché avrebbe significato qualcosa che non poteva verificarsi, tornare dal posto da dove ero venuta con le mani vuote e per di più malandata, non aveva senso.
Tra le altre cose credo che neanche sarei potuta tornare anche se avessi voluto perché mi ero persa.
Ero caduta rovinosamente e avevo sbattuto la testa, cosa che mi lascio incosciente per un tempo di cui non mi sono fatta un’idea.

Se non fosse stato per quel tipo strano che mi aveva bisbigliato qualcosa sul mio setaccio ero morta per davvero.

Avevo ancora gli occhi chiusi quando sentii che qualcuno mi chiamo forte e chiaro.

– Da queste parti sono caduti quasi tutti, insisti, ma se sei stanca puoi anche ritornare al paese e magari trovarti un lavoretto facile, che t’importa, forse è troppo per te, molti sono ritornati e con un piccolo gruzzolo sono andati avanti comunque –

– Eh sì – ribattei mentre aprivo gli occhi e mi rialzavo con ogni dolore possibile nel corpo  e continuai:
– Ma loro avevano già raccolto qualcosa almeno, il mio setaccio non è buono, lei mi aveva detto che sarebbe andato bene –
Dissi queste parole mentre rinvenivo ma venni interrotta subito da mister oro alias Jey.

– Ti ho detto anche che dovevi cercare anche dove meno ti sembrava possibile, ma tu hai seguito i  corsi rigogliosi e belli alla vista –
Mi rimproverò, mentre mi indicava un piccolo sentiero che sembrava portare presso qualche regno con tanto di fatine e gnometti, ma anche verso un racconto horror, faceva paura e attirava allo stesso tempo.

Decisi di andare comunque, tanto peggio di così non poteva certo andare.

Inverosimilmente dopo un po’ che mi ero incamminata, vedevo che in quel piccolo sentiero stretto e tortuoso c’erano dei fiumiciattoli nascosti, quindi tirai fuori il mio setaccio anche se di malavoglia ormai, non sembrava affatto un luogo dove poteva essersi depositato del oro, tanto meno oro purissimo come quello che io andavo cercando.

Vuoi vedere che qui ci trovo solo melma, melma bella e buona, qui ci lascio veramente le penne, quella roba appiccicosa è simile alle sabbie mobili, ti trascina giù senza che tu te ne accorga e in men che non si dica non respiri più ed arrivederci Roma!

Da lontano sentii ancora urlare il tizio, era li che si impegnava anche da lontano a darmi indicazioni enigmatiche, cosa voleva ancora?, mi aveva infilato lui in questo pasticcio, almeno per una parte, iniziavo a pensare che sarebbe ritornato, in qualunque momento, da li a non molto.

 

– Ho dimenticato di dirti che da quelle parti dove sei adesso devi immergere il setaccio solo dove vedi pietre bianche –
Queste furono le sue ultime parole in quel frangente.

Non avevo più nemmeno voglia di ascoltarlo, diceva cose senza senso.
Devo ammettere che in quei pochi posticini nascosti da una fitta vegetazione, esattamente dove c’erano delle pietruzze bianche, trovai delle discese comode per la posizione che non facesse più così male alla mia schiena rovinata, lavorai dunque il terriccio, anche se molto lentamente.

Ogni tanto avevo come l’impressione di scorgere addirittura in superficie, dei bei pezzi giallastri luminosi, ma, o si trattava di un miraggio o forse la corrente ora li mostrava ora li trascinava via, quasi a farmi degli scherzi di cattivo gusto.

Bene, avevo sbattuto così forte la testa che cominciavo ad avere delle allucinazioni, vai a sapere!

Mi ero detta, ora voglio vederci chiaro, appena ne vedo un altro mi ci fiondo, e vediamo se sono io il problema o su quel fiume c’erano effettivamente delle cose con le quali non avrei nemmeno avuto bisogno di usare alcuno strumento se non le mani nude, non mi importava più di diventare ricca, ora si era creata una lotta tra il fiume e me, e non avevo intenzioni di perderla.
Quello fu l’ultimo ricordo lucido del tempo trascorso in quel luogo, non so quanto tempo trascorse ne che cosa successe veramente, non sapevo nemmeno spiegarmi come improvvisamente io fossi stata come in un sonno profondo, deve essere stato così perché non ricordo proprio nulla.

So soltanto che mi risvegliai sul mio letto, ma chi mi aveva riportata sana e salva?

Ero caduta di nuovo?

Ma si, non poteva che essere stato il vecchio salva persone, chi altro era da quelle parti? Ero sola tra le pietre bianche, forse ho chiesto aiuto in dormiveglia ma sono sicura che l’unico che avrebbe potuto aiutarmi era lui, mi ero accorta che mi seguiva di nascosto.

Il punto in cui rimasi, probabilmente era quella parte dove proprio a causa dell’assenza di melma riuscii a non sprofondare, era quello che intendeva quel vecchio, non si sapeva mai dove si poteva trovare un vortice di sabbie mobili, ma ora era chiaro, lì dove era depositato il marciume le pietre erano diventate di un colore molto scuro, che sciocca, brillavano si, ma non promettevano nulla di buono quando nel pestarle si sbriciolavano come niente sotto i piedi, solo quelle parti dove si erano ammucchiate una quantità tale per cui la pressione del mio peso non era superiore alla loro compattezza poteva sembrare un punto di appoggio per saltare verso le pietre bianche.

Ma non erano cumuli omogenei, e quei buchi di debolezza erano proprio quelli nei quali si poteva andare giù senza speranza di risalita.

Prendevo ripetizioni dal signor Pietro, ma o io ero troppo dura o lui spiegava le cose molto male. Esausta, dopo l’ennesima lezione non avevo capito niente e quel che era peggio, quando domandavo spiegazione mi rispondeva “la matematica è così perché è così”, allora mi venne voglia di cercare oro, quel oro di cui parlavano tanto in paese.

Se fossi riuscita a impossessarmene avrei fatto del mio paesino  una leggenda anche a causa del mio nome, tutti sarebbero stati contenti della riuscita della caccia al tesoro, anche perché il paese stava pian piano mostrando i primi segni di rassegnazione, se ne vedevano sempre di meno di cercatori d’oro.

Non avevo voglia di alzarmi ma dovevo capire chi mi aveva riportata li, da sola non avrei potuto farcela.

Chiunque fosse stato mi aveva anche voluto prendere un po’ in giro, perché mi aveva messo il setaccio come se si trattasse di una mono scarpa, a coprirmi entrambi i piedi, il danno e la beffa!

Ci fu un momento preciso nel quale presi in mano il setaccio, era il momento della verità, almeno la mia, di oro non ne avevo trovato ed il signor Pietro ne sapeva di matematica ma forse non cambiava metodo per paura che qualcun altro diventasse l’insegnante ufficiale, si voleva forse tenere per se gli alunni per guadagno personale, tutti per se, ma molti si erano lamentati di quelle sue risposte accennate che non andavano in fondo al problema.

Finalmente presi il setaccio per riporlo da qualsiasi parte che non fossero i miei piedi, tanto non ci avevo trattenuto alcunché, che illusa ero stata, volevo solo che finisse quel brutto incubo e più in fretta possibile.

Stavo per riporlo per disfarmene una volta per tutte, ma mi accorsi che con dei movimenti molto delicati si potevano vedere delle luminescenze sottilissime, percettibili alla luce del sole.

Questa polverina sottile che vi si era depositata era incredibilmente risplendente, riuscivo a carpirne l’intima bellezza, ma la sensazione più meravigliosa era il desiderio di mostrarla a più persone possibile, non potevo tenermi per me una gioia così traboccante, paradossalmente mi sentivo quasi soffocare se non ne rendevo gli altri partecipi.

Il mio entusiasmo venne affievolito dal fatto che quando tentai di mostrare il mio setaccio alle prime persone che incontravo nessuno vi vedeva niente, come era possibile che non si vedessero quei bellissimi puntini splendenti?

Mi ero precipitata giù dal letto, non sentivo più l’ansia di laurearmi, non sentivo più l’ansia di fare del paesino un mito, e soprattutto quella cosa mi provocava dei sorrisi da dentro, incontenibili, quella cosa riflettendo faceva brillare tutto intorno.

La tristezza che ne derivò fu addirittura più terribile di quella sensazione di errante nella quale mi trovavo prima di costruire il mio setaccio.

Venni anche derisa, mi sentii chiamare pazza, e mi dispiaceva tanto non poter offrire un tale spettacolo agli altri, vedevo facce tristi dappertutto e avrei voluto strappare più sorrisi possibili facendo loro capire che la polverina magica funzionava davvero.

Allora cercai aiuto disperatamente, chiesi con tutta me stessa che arrivasse qualcuno che potesse spiegarmi il perché di quella situazione assurda, per me era così chiara ed evidente la luce, perché non la vedevano come me?

Quel qualcuno arrivò, indovinate chi era? Sì, sempre lui, ormai mi sembrava che tutti intorno a me fossero delle sagome finte è l’unico vero della storia era proprio il signorJey.

Mi spiegò che dovevo capire che quella sostanza riuscivo a vederla solo io perchè era preziosa e si lasciava vedere soltanto da chi desiderasse intensamente contemplarla, ma io gli risposi che avevo incontrato tanta gente sinceramente impegnata nel vederla ma era stato inutile.

– Abbi molta pazienza, alcuni hanno paura di vedere, per la maggior parte di loro è necessario che tu compia un ulteriore sforzo, se davvero vuoi che la tua ricerca nel fiume abbia un senso.

– Ma che siamo nel paese delle meraviglie ed io sono Alice? Le domandai come se fossi una ragazzina dispettosa cresciuta ma non troppo.

-No, il paese è l’universo, e meravigliose sono tutte le cose di cui è composto, chi ha occhi veda, chi ha orecchi intenda.

L’ho riconosciuto in modo intuitivo ora che aveva ripetuto quella frase tipica dei suoi insegnamenti, ed il mio cuore provò per la prima volta il vero significato della parola amore.

– Io parlo in tanti modi, ma il mio destino è quello di non esser capito!, ora va, devi imparare a modellare delle pepite ben visibili agli occhi di coloro che si portano dietro l’oscurità, essi ne sono innamorati e pensano che sia luce, la loro luce oscura, diversa dalla tua che sta diventando sempre più illuminata.

Ebbi la forza e l’umiltà di chiedere come:

– Quella sostanza mi rimarrebbe tutta nelle dita, non basterebbe a farne una sola di pepita.

– Stai attenta a quello che pensi riguardo all’utilizzo della sostanza Una, altrimenti il frutto della tua ricerca ti rimarrà davvero tra le dita e dovrai tornare nel fiume una ed un milione di volte se sarà necessario, con condizioni di tempo anche più sfavorevoli, fino a quando le tue stesse ciocche non risplenderanno dorate anche lontane dai miei raggi.

  • Costruisci le tue pepite, con la polvere raccolta diventa abile nel crearne tante anche minuscole, ma bada, devono avere sempre la tua forma, e con ciò intendo che devi imparare a donare te stessa attraverso i talenti che hai ricevuto, di qualunque natura siano, a tutti in egual misura sono stati distribuiti.
    – Ho inteso! –
    Mi porse un vecchio libro, potevo leggerne il titolo “La città al buio”, me lo consegno e mi disse che se mai un giorno mi fosse venuta voglia di capire il passato, avrei potuto leggervi la storia di tutti i figli del mondo.
    Non ho proprio resistito, iniziai a leggere subito dopo che sembrò essere andato via:

La città al buio
Era già trascorsa la prima metà della partita decisiva di baseball tra le mitiche squadre Black cats e Snow, i giocatori avevano battuto a rotazione ma ogni turno sembrava diverso dal precedente, le sorti dell’esito finale erano in bilico, un continuo alternarsi di tendenze.
La piccola città di Tierra, alias La ribelle come la chiamavano gli abitanti delle metropoli da cui era circondata, partecipava attivamente a tutte le vicende del luogo, d’altronde non esistevano alternative quindi o si giocava o si faceva il tifo seduti sui gradoni del piccolo stadio.
Tierra si era guadagnata quel simpatico appellativo dal tempo della posa della prima pietra, dopo che un gruppo molto influente aveva convinto la quasi totalità dei cittadini a scendere in piazza per protestare contro gli operai che erano stati inviati per istallare i fili di alta tensione da collegare direttamente con la centrale di proprietà del governo.
Si sarebbero potuti costruire una centrale locale indipendente a detta loro, che avrebbe permesso totale autonomia.
L’idea piacque ed il conflitto si concluse con il ritiro degli operai, ai quali vennero impartiti precisi ordini di intervenire solo in gravi casi di malfunzionamento una volta creata la rete cittadina.

Prima o poi si sarebbero resi conto che il collegamento non solo era l’opzione migliore per tutti, soprattutto perché, i torrenti con le cascate, la fonte da cui avrebbero preso l’energia necessaria per il mantenimento delle diverse torrette, in fondo era sempre di proprietà del governo, anche se sembrava non rendersene conto nessuno, ma anche per il fatto che sussisteva il reale pericolo di fallimento della messa in opera.
In effetti pochissimo tempo dopo la fine dei lavori fu evidente a tutti che c’era qualcosa che non andava, non si sapeva esattamente cosa ma il risultato finale fu una serie di black out inspiegabili che piano piano stavano distruggendo la forza della convinzione sulla decisione presa al momento della ribellione.
Tra i componenti delle squadre in gioco non correva di certo buon sangue, neanche quando si incontravano fuori dal campo, le divergenze riguardavano le regole del gioco, i Black cats pensavano ad esempio che era necessario una maggiore partecipazione di ogni individuo nelle strategie da assumere, volevano limitare le regole del coach, mentre gli Snow seguivano ciecamente gli ordini senza neanche porsi domande, felici di essere guidati senza voler capire molto del come ne del perché (I Black cats andavano su tutte le furie ogni domenica nel vedere quell’atteggiamento remissivo all’estremo anche se riconoscevano le doti del coach).
In definitiva i primi pensavano che i secondi erano come degli schiavi subdoli nei confronti delle regoline, li ritenevano responsabili di tutti i problemi che avevano avuto fino a quel momento.
Il coach ovviamente impartiva i suoi ordini in tutta serenità, forte del fare il doppio gioco, una volta favorendo una squadra un’altra l’altra , senza inimicarsi nessuno, perché rischiava che venisse sostituito addirittura da una qualche specie di auto regolamentazione.
Dopo la battuta di Son, appartenente alla prima squadra, la palla rimbalzo più volte e scivolò dalle mani di due difensori di seguito, cosa che permise al ragazzo di arrivare velocemente verso la seconda base, ma poco prima che toccasse il panno, cadde rovinosamente tenendosi il petto con la mano sinistra ed evidentemente a corto di fiato.
Ci fu un attimo di confusione e molti accorsero in suo aiuto, una volta compresa la gravità della cosa.
La madre del ragazzo che seguiva la partita dai gradoni più alto, si lasciò cadere una lacrima e si precipitò per aiutare il giovane Son in qualunque modo fosse nelle sue possibilità.
Nessuno sapeva come comportarsi perché anche non volendo avrebbero potuto arrecargli danni con la mossa sbagliata. Per fortuna venne chiamata l’ambulanza relativamente presto, che non tardò ad arrivare.
Quando fu posizionato sulla barella dai paramedici respirava a mala pena ma era diventato cianotico.
Cecile, la madre, teneva la mano di suo figlio che nel frattempo era svenuto ben due volte.
La sua disperazione era triplicata quando notò che l’autista aveva sbagliato strada, cosa decisamente strana visto che era in servizio ufficialmente da molto tempo.
Ma lei è cieco? Urlò in un misto tra l’angoscia e la rabbia.
Finalmente, imboccato il vialetto del pronto soccorso, disse disperatamente:
–  Aiutatelo vi prego –
Mentre con un balzo scese fuori dall’ambulanza, correndo verso la saletta di primo soccorso, dove fu immediatamente accolto con codice rosso.
Nel frattempo allo stadio tutti attendevano notizie sulle condizioni di Son.
Un gruppetto di signore commentavano l’accaduto tra di loro, dicevano che c’era da aspettarsi qualcosa di terribile, tutti in città avevano una brutta cera da un po’ di tempo a questa parte.
– Non mangiano abbastanza –
Esclamò una di loro scuotendo la testa
– E quando lo fanno sono solo schifezze! –
Rispose un’altra.
Ma la preoccupazione era diventata una cosa seria da quando improvvisamente molti ragazzi, , avevano presentato una grave forma di maculo patia, tra altri malesseri vari, che degenerava con una velocità impressionante, provocando ovviamente continui incidenti, ogni cosa che li circondava diventava un ostacolo che cadeva sotto la nube nera situata in varie parti della retina.
All’inizio sembrava un semplice appannaggio della vista destinato a risolversi in tempi brevi, ma da strusciarsi gli occhi di continuo a dover prenotare diverse visite oculistiche per la presenza di quelle macchie nere trascorse ben poco.
Gli oculisti  stavano facendo una fortuna con gli appuntamenti urgenti a pagamento, ma non si era palesato alcun miglioramento evidente.
Ce n’era uno in particolare però che continuava a ripetere che la gente non aveva alcun problema reale agli occhi, e che non sarebbe servito a nulla prescrivere occhiali correttivi in massa, men che meno si poteva prendere in considerazione degli interventi chirurgici. Nulla sarebbe servito perché a suo dire la questione era che in città si erano disabituati alla luce naturale del sole a forza di stare d’avanti alle apparecchiature elettroniche e alle luci artificiali dentro le case per troppo tempo, invece di stare a contatto con la natura come una volta.
Il dottor Yellow era già pronto per visitare il ragazzo mentre intorno a lui c’era un via vai di infermiere con più o meno esperienza.
Era primario di quel ospedale da sempre, un anziano con occhi vispi, di alta statura.
Era un uomo di poche parole, presentava  delle strane macchie su tutto il corpo, e quando qualcuno gli chiedeva di cosa si trattasse diceva che gli apparivano e scomparivano con una certa regolarità ma che prima o poi sarebbero andate via tutte di un colpo, – una volta che mi sarò spento” –
aggiungeva a bassa voce con uno sorriso inquietante.
– Cosa abbiamo?-
Chiese, come ogni giorno, mentre si spostava dal lato destro della stanza a quello sinistro.
-Mancamento improvviso, dolori al petto, insufficienza respiratoria, riflessi quasi assenti e cianosi acuta-
Rispose una delle infermiere.

Questo bastò al dottor Yellow per capire la gravità del quadro clinico, fece un primo intervento immediato per stabilizzare le condizioni critiche in cui si trovava il ragazzo e dispose il ricovero immediato nel reparto cardiologia per accertamenti urgenti su quanto sospettava, purtroppo quel cuore stava cedendo e non poteva permettersi di perdere il ragazzo, in tutta la sua carriera, anche nei casi più disperati era riuscito a salvare tutti, aveva dedicato la vita a questo perché solo lui era in grado di farlo, soprattutto per problematiche che riguardavano il cuore.
Son era già stato fatto accomodare per una risonanza magnetica, e anche se non era proprio del tutto lucido, poco dopo l’accensione di tutta l’apparecchiatura, iniziò a sentire delle voci ma non riusciva a capire se si trattasse di voci reali o un qualche effetto collaterale dovuto alle iniezioni appena fatteli in quell’ospedale.
Una volta finiti i primi esami volle scrivere, non ostante le sue condizioni, così chiese carta e penna ad una infermiera ed insistette affinchè lo lasciassero provare a scrivere almeno per un po’, ormai aveva intuito che quelle frasi venivano da dentro.
Le infermiere acconsentirono, perché probabilmente quello poteva essere l’ultimo desiderio di Son.
Scrisse dunque alla rinfusa:

 

Io ed Io 

 

L’Essere è pre essere, il Non essere il più grande paradosso

Pensieri su Infinito ed eternità, unici surrogati raggiungibili del bello
Il buon cuore crea il buon destino

Creare è ricombinare doni inconsapevolmente

La saggezza non ha vassalli

Mondo, anagramma di un sillabario

Assaggia una goccia dell’acqua della fonte della vita ed anelerai la morte

Per nobiltà di spirito I servi son fatti re, e chi non sa servire è servo di se stesso

Leggere è recarsi in quel Caffè dove incontri amici e nemici dei tuoi pensieri, in un dialogo tra anime

La vera nudità risiede nelle parole

I ricci non vogliono lasciarsi pungere

Bisogna avere paura solo di avere paura ed odiare solo l’odio

Si fa molta fatica a pulire lo specchio nel quale potersi riflettere chiaramente

Non disprezzare il mondo, esso ti ha accolto non ostante la tua mediocrità

L’uomo è un eterno bambino al quale è stata fatta una promessa che fortunatamente non ha mai ottenuto

Quando si smette di citare gli scrittori si comincia a scrivere, pensando

Leggi molto e leggerai te stesso anche se non sempre ti riconoscerai

Il tam tam quotidiano le impediva di ascoltare la sua melodia interna, così stonava il suo vivere…ripetutamente

Abbiamo perso la guerra contro la superficialità, le risposte insensate erano armi troppo letali.

Mi ero innamorata del silenzio

 

I capitoli incompleti della vita

Questi sono presenti per il futuro, i capitoli della vita sono scritti in diversi idiomi ma la lingua originaria è una sola, spesso si leggono con attenzione, come faceva Eros, mentre altre volte la ricerca è concentrata nei beni materiali, lontani dalla vera ricchezza, come faceva invece Daniele.
Iksa cercava di capire, avvicinandosi a tutte le possibili spiegazioni e le sembrava di non trovare mai la fonte dell’amore, fino a quando non si lasciò guidare dall’unico maestro, era dentro lei, così iniziò ad imparare la maniera di essere un individuo nell’insieme del l’insieme ‘Individui’
Quando riuscì a vedere che la luce splendeva dopo un’inspiegabile caduta.
Il mondo è la nostra cittadina al buio, illuminata malamente dai nostri surrogati di bellezza, creati da noi.
Noi tutti, malati di cuore siamo in grado di darle ascolto solo in stato di convalescenza dell’anima, ma abbiamo bisogno di aiuto, gli uni dagli altri, seguendo insieme i raggi del nostro sole.
Trova la tua principessa ed imparerai la legge più facile, legge avvolta da grandi difficoltà, donarsi.


 

Mente mia

 

Mente mia, mala femmina in maschera che una volta assumi le sembianze di un elegante magistrato che giudica i miei sensi, l’altra di un carnefice impietoso capace di infliggere le più feroci punizioni al tuo leale compagno Spirito, a lui che tenta incessantemente di guidarti verso il supremo Tutto, lo colpisci con tutta la tua forza e lo deridi senza accorgerti che gli occhi perfetti sono propri della sua essenza, e ti convinci sempre più che lo tradisci a sua insaputa.
Per caso ha mai sbagliato? Eppure rimani affezionata alla tua cecità, pretendendo restar seduta sul trono di un regno che hai pian piano distrutto con le tue labirintiche elucubrazioni, tanto vane alla rigenerazione dell’esistenza, quanto dannosa al paziente lavoro che compie l’evoluzione dell’anima verso un assoluto dal quale allontani chi ti ospita.
Ancor oggi detieni quella corona che hai rubato all’Amore, non ti accorgi che ti è stata concessa la massima espressione della libertà?
Potresti scegliere meglio, eppure prediligi i meandri bui e tortuosi che a te appaiono illuminati.
Sei come una sciocca adolescente, presuntuosa e goffa, sfiori il ridicolo quando tuo padre ti permette di uscire con parsimonia, e tu, insensata e immatura alla fine di ogni tua caduta di stile ottieni soltanto riempire gli abissi con oceani di lacrime acidule che in seguito tenti di asciugare con panni inconsistenti.
E come se non bastasse, quando tocca alla tua porta il più sublime degli amori, lo assapori per un effimero istante terreno, poi ti rinchiudi nel tuo nido maleodorante urlando a te stessa NO NON E’ POSSIBILE!
Voglia il cosmo donarti un po’ di incoscienza, abbastanza da renderti una folle temeraria che si accinge a fare un grande salto pur rischiando di spezzarsi tutte le ossa nel cadere, senza titubare.
E’ la rigidità del tuo scheletro che ti impedisce la fluidità necessaria ad elevarti.
Mente mia, la tua etica sembra abbracciare un’integrità che in vero mente, poiché la tua immoralità risiede nel tradire spudoratamente un dolce e intenso sentore. Vergognati!
Ancora una volta ti sei mascherata da giusta, e noto che sei penosamente schiava dell’errore.
Mi consola sapere che questa volta chi accoglie i semi della tua debolezza possiede la fertilità della terra del paradiso.
La verità è che la luce si trova nella sua destinazione prima di essere emessa.

Con affetto, a me stessa.


 

Quando canta il cuore

Una bella luce ed io 
Luce, una bella luce ed io
Ci sono nuove orme, le vedo camminare
mentre sto dimenticando quelle che sono state un pugnale
Toccherò il cielo, sto cercando un dio in te, qualcosa che mi faccia assaggiare l’infinito
meraviglioso, oh mondo!
Indaco 
Sono entrata nella sua vita
e scrutando nella mia mente ho percepito un pericolo,
ma è piacevole; che strano sentire questo legame,
ancora un passo nella mia libertà.
Un altro tipo di luogo dove ogni cosa è sbagliata e giusta
Sto unendo le nostre vite, è bello e difficile alla volta,
ma sto amando il tuo modo di essere.
Si tratta di canzoni che appartengono al destino, azioni senza controllo, il tuo colore è l’indaco.
Cristalli divisi da un prisma sotto il sole.
Sono meravigliata di ciò che sei, di ciò che sono.
Nessuno può giocare questo nostro gioco.
Vorrei essere una cosa sola con te, vorrei vedere quella linea.
É così strano sentire questo fiume, non siamo una cosa da poco
Siamo un prisma sotto il sole, unione di un colore, chissà, può darsi che succeda come può darsi di no.
Demoni ed angeli 
Una visione impalpabile e la mia stanza è incolmabile
magari l’ombra e solo in te, vola paura via da me.
La luce verso te conduce
Tra il bene e il male demoni e angeli si incontrano la notte
chiaro di luna che seguì la loro sorte
Crudelta!
Un istante e l’amore si perde nel dolore
Demoni e angeli vendono storie di libertà
Rivelazione 
Nulla si può occultare, la vita ed il suo rivelare,
niente può restare sprofondato in mare,
ogni tunnel cadrà o una luce si accende.
Tutto alla fine vibrerà, ogni cosa al proprio posto.
La spada non si incanterà, non ti fallirà,
la bugia cadrà e ogni nodo che avrà fatto si slaccerà.
Piangerai, metti in conto questa cosa, ma ogni delusione ti insegnerà
Da sola e più forte 
Da sola con l’orizzonte ma unita alla verità
da sola migliorare in un lido di orme fermarmi e non disperare mai,
la vita parlava, mi diceva e io niente, continuavo ferma nel mio qui.
C’è un luogo soltanto, tempo sei tornato indietro, io fluttuerò come seta leggera.
Se fossi un’onda resterei effimera ad una sponda
un istante tu ci sei, poi la scena sprofonda
niente dai, consumi e vai

etereo e vivido ricordo sarai
Più forte, lontano da qui mi sento più forte, non voglio restare
Se fossi un’altra lotterei, non piangerei nascosta
urlerei davanti a lei, ne daresti risposta?
Forma o luce, chi conduce? Che spettro sei?
Buio o luce?, che spettro sei?
Sofia 
E andava e andava Sofia pregando amore, andava e vide uno specchio,

era cieca e si confondeva, mesi e giorno ma non desistette mai
Sofia gioca con le sue fatine
Sofia, la sua spada si è spezzata
Un essere umano perso, quando ha trovato il suo destino ha visto la sua anima
Non piangeva più, nulla la sorprendeva, non cercava più nulla, il suo dolore è fuggito via
Il cielo parlò e tutto si ammutolì e lei vide lo specchio,
successe un giorno in cui era più che triste.
Vale la pena 
Ritornare e iniziare da capo, ma nulla resta uguale
dimenticare ha le sue difficoltà
al tempo tempo da.
Mi sto ingannando, non sopporto tutto questo
certo è che vale la pena anche precipitare purché tu ami, intanto sali sulle nuvole.
Blu del mio mare 
Oh tempo dell’esistenza!
Ho l’impressione che il mio oggi sia uguale al mio ieri
fammi crescere, oggi so che sono fatta di anima ed essere
Blu del mio mare,
contamina il mio malessere con sogni e speranze
vieni cantando pace, vieni verso di me
Blu del mio mare,
io arriverò a te e con un dolce abbraccio…
tempo dove sei?
Ho perso il sole, tempo torna dentro me!
Adesso è tutto
N
ascondo le mie lacrime a modo mio,
tu non sai cosa ho dentro.
Io volerò con te comunque, nella mia mente
certo tu vivrai la tua vita ed il mio paradiso sarà una costruzione.
Scomparirò dal tuo cielo, non temere,
lotterò contro me stessa, non aver paura,
adesso so, questo è quanto.
Stai leggendo le mie ultime parole
ma sappi che sono distrutta
Sole del nulla 
Sole del nulla, so e non so
sa di giocata il mio domani,
che strano suono hanno queste parole
Sono insonne, in riserva
Sarà mai possibile che non cambi nulla?
Come si scioglie così tanto ghiaccio?
Il mio destino si è vestito di paura,
sono rimasta senza desideri
ho perso tutti i miei perché
niente più, sono rimasta sola.

Rio (Un’estate di pace)
Oggi gioca Rio, i cinque continenti sentono il suo sole
sarebbe tempo di bandiera bianca senza sfide
Lo senti il battito dal nido di una chimera?

Il suo grido ripete ‘è nata una nuova era’
gente di fronte oriente occidente, tutte le terre acclamano, da nord a sud
nuova danza accende la sua fiamma
lo senti solo se percepisci che continuare su questa strada fermerà il click clock
gioca con la musica e salva l’orologio
canta e balla la chimera di un carnevale e il suo grido ripete che è nata una nuova era
il suono è forte, codice ‘uniti’
tutta la terra plana, non ci sono più frontiere, sveglia che è arrivato il domani
la distanza non è così tanta, vieni qua, arriva da questa parte.
Passione 
non è solita vivere nell’insicurezza
ma lui la travolge, è pura cattura
non torna indietro, diavola senza compasso
ed in sogno è già stato suo padrone, oh, si è imbrattato il disegno
il cielo mulatto inizia a crollare
serve un nuovo piano
qui o la, arderanno le fiamme

si ameranno o si desidereranno?
Deve tentare o scappare?
Pura cattura!


Logos

Rimase sospesa in attesa colei
che intero e pensiero si fece parola,
ricorda quel dì che seguì gli altri sei,
riposa paziente nei giorni di scuola.

 

Bastona! Si è liberi s’ella si dona.
Eterna s’alterna pur fuori di moda,
rinnova le vesti ritaglia la coda.

 

Ma il tempo codardo su templi profani
rimase adagiato tra palmi, tra mani
di involucri vivi e concetti malsani.

 

Son sette le rose sul bianco che s’ode,
son rosse ma in croce, non basta la lode.
È un fiore di noce che vince il rumore,
s’intende di quella, s’intende d’Amore.


A cerchi i suoi tratti proteggono il blu
e solo se chiedi d’un balzo sei su.
Non preme gli spazi che occultano il tuono,
poiché necessario si rese il non buono
che fugge col sangue e miseria quel suono.


 

Lacrime buone

Anima perché piangi?
Hai l’eternità per imparare a volere.
Esisterai anche qui fino a quando
non comprenderai che sei stata tu
a legare gli anelli delle tue catene,
che il ritorno non ha fretta ma sei scrittrice di sentenze.
Chiudendo gli occhi gli aprirai,
e solo allora verserai lacrime buone,
che scenderanno per aiutarti a sopportare
il prezioso peso dell’infinito.
Non sarà facile ricordare un passato
che ti obbligherà ad ammettere
di aver dormito profondamente,
una volta intuito che
gli dei parlavano anche attraverso le pietre,
ma tu non riuscivi a coglierne la musica.
Riposa ogni tanto da questo castigo,
va! scegli sempre meglio come donare.
A piedi nudi, tra le spine di una terra semisconosciuta
ti sei ferita a sangue,
ma sotto le tenere piante creerai un tappeto
che arrotonderà quelle punte, e camminerai ancora,
con gli occhi veri rivolti verso l’alto mentre fissano il basso.


Mentre assaggio la morte

Spuntano ciocche dorate!
Opera pura, nell’impura carne.
si desta il vulcano sognante.
Voglia la vita saper cosa farne.
Distante è l’infante dal passo incostante
e poi va e riscrive il din don caminante

Riguarda il foglio in bianco, complice del suo pianto
del suo stesso essere
din don din dan
ed inizia a cadere la  pioggia all’alba

scalza va, il polso trema, e nella distanza una cupa nebbia si avvicina alla sua verità
camminante, nulla da dire, non dimenticherà il suo soffrire
camminante, un’orma nella voce,
ha unito le note e con esse ha vibrato
la piuma dona se vuole, fa lo stesso se ferisce, colpirà comunque
e inizia a nascere il sole di ieri din don din dan,
un camminante, un’orma nella voce ha unito le note e con esse ha vibrato e vi ha visto la morte


Artisti

 

Il cantore urla il suo dolore,
mentre il musicista si perde nel pentagramma,
e le lacrime del poeta si travestono di parole.

 

Perché i danzatori cadono ad ogni passo
ed il pittore riconosce la spada nel suo pennello?

 

Oh Musa, Musa!

tu lasci che si ingannino mentre li inganni!
non vedi che li tormenti ogni volta che tentano?

 

Che sciocchezza!

 

Questo gioco consuma le carni e preme sui cuori,
tanto sono pessimi nel fare!
Attori che implorano aiuto ad un palco che non c’è mai stato.


Giganti a terra

 

Angeli senza ali,
come giganti adagiati a terra
che si lasciano calpestare.
Un tempo hanno troppo amato il loro male,
ed ora hanno compassione del mondo dopo aver compreso
che mentre cadevano credevano di volare.
Restano spesso lontani dal sole,
non vogliono che la loro ombra si posi.
Riconoscono il risveglio altrui,
le loro mani tendono verso il basso per innalzare gli altri.
Sono grandi anche i più piccoli,
ma ingobbiti da qualunque tetto sotto il loro cielo.
Questi angeli li incrociamo ovunque,
ma non li riconosciamo né dalla tenerezza del loro sguardo
e neppure dal sorriso che ci donano
come risposta ai colpi che infliggiamo loro.


Oro

 

Volendo possederlo, se è quel oro, esso possiede te!
La fine della schiavitù giungerà
soltanto quando potrai tenerlo per mano,
imparando a guidarti sulle vie degli ausiliari del bene.
Asservisci i tuoi padroni, diventa ancella dell’umanità
e per quella via ti guadagnerai la corona da re.