Merville Ferrari - Poesie

A margine

Primi
alberi a margine stanno
e non puoi vedere quanto
vasto,
profondo sia, dopo questi
verdi
rigogliosi
o, secondo la stagione,
spogli come morti, il bosco.
E neri contro il cielo
rosa-blu
un mattino; e vermigli d’autunno
un altro;
oppure verdi ubertosi, o fioriti
e altro ancora,
sono questi alberi
a margine.
E non puoi quanto è vasto
il bosco
né l’animo umano
sapere.


La coltre grigia

La coltre grigia s’è dissolta in neve
Ieri a sera.
Dalla notte,
a scendere nella luminescenza
bigia,
presagio di luce tra poco
dirompente,
giorno imminente
si affaccia nelle acque
nero cupo.
Così nasce questo giorno;
prendendosi bianche a nord ovest
le cime. Oppure, al piano, divorando
le campagne caste, cinte da fiumi;
feconde a primavera e mature
d’estate; penitenti in autunno
si spogliano d’ogni bene per vincere
con gemme proprie,
ora, da dentro,
il gelo, giorno dopo giorno:
io pure vivo.


 

Forse gabbiani

Pensieri, immagini, parole,
situazioni, atteggiamenti
sono opachi componenti
episodici del quotidiano
che solo il sentimento,
la poesia e l’amore
possono illuminare; come volo
di uccelli d’argento, contro le nubi
a riflettere il sole, forse gabbiani;
mutavano nell’insieme di continuo
figura, in formazione ora a lunga
linea, ora a folto gruppo; ora
a punta. Incredibili e affascinanti
‘parivano le fantasmagoriche mutazioni
di quel insieme di sempre uguali.
Finché l’angolo della luce
proveniente da ponente
portò la stessa a riflettersi oltre
la mia posizione in movimento.
Non restava ora che uno stormo
d’uccelli quasi grigi, sempre più lontano
contro il cielo sempre più buio.


 

Emarginato

Emarginato
come chi dei vivi
la pietà ha perso,
si trova
il vecchio cimitero
in disuso,
tanto che neppure
più lo vogliono
i morti.
Ma, il meriggio,
tutto l’invade
luce.


DI PELLE VESTITO

Bimbo tutt’ossa, di pelle vestito,
vivo, la morte negli occhi tuoi,
muto, gridi l’accusa ai potenti
che ignorare ti vogliono, io t’amo.

Impotente il tuo urlo raccolgo,
lo getto con tutta la forza che ho
tra la folla ciarliera e distratta,
gaudente che ignora, non sente

e non vede l’ossa tue di pelle
vestite; te nudo e affamato
trascura, di dimenticarti lieta,
abbuffona e incosciente, sempre!

Bimbo con ossa di pelle vestite,
i tuoi occhi non gridan vendetta
invocano amore, e perdoni,
per un pezzettino secco di pane,

noi tutti!


Amorosi pensieri

Frequentare non posso
fondali
di corallo e spugne
ornati.
Ma esotico acquario
posso
rimirare e abissi
sognare!
Non so ardue vette
scalare.
Ma sospinto da onirici venti
superare
dirupi e rimirarli
dall’alto.
Non posso io e non so
penetrare
altrui
amorosi pensieri!
Ma so, posso e voglio
amare!


 

Da riva a riva.

Di sole nel lago splendori
del tramonto, che il vento
per tutta l’ampiezza vibra
da riva a riva.
Striscia splendente si stringe
o si allarga di luce
che i battelli fendono,
prima e dopo sospesi
nei riverberi
opachi d’acqua, vapori
e di aria; divengono
i tuoi, come i momenti
trapassati dal dolore,
e passano e lasciano
la scia a
ricordo; malinconica
giornata di e mezz’estate
passi e muori ‘n un mare
di luce che strepita la
viva del domani, purché
si viva, speranza.


Ritorno al Lago d’Orta

Da dove, nel mezzo
del lago, la quiete
s’adagia serena,
leggera l’aria sale
e tutto si gode
dell’isola
lo splendore
e lo racconta
alla candida rupe
dove sospesi
librano ancora
speranze e sogni,
lassù dimenticati,
da ciò che fui
un dì lontano;
nella memoria
li ritrovo ora,
intatti, là, tutti.


ULTIMO DONO

Ricordo il melo, d’inverno
e i rami scuri di gemme
turgide, foglie future
o fiori non aperti allora.
A marzo, timide le foglioline
stupite godere dei fiori
l’abbagliante esplosione
e di petali la nevicata
che fanno posto a frutti
che di colore si gonfiano,
maturano e aspettano
a prenderli tesa una mano.
Lacerata, cadere improvvisa
la corteccia, a strisce
e nudo lasciare il tronco
a portare frutti disperato;
volere e offrire piccole
mele che nessuno stacca
dai rami secchi, supplicanti
linfa vitale al tronco
sempre più scarno e nudo
con il destino segnato:
“Abbattere!”.
Ma esso, un mattino,
di micro fiori di neve adorno,
sfoggia un candido manto
come un gallo cedrone che
batte, lucente livrea, il petto;
e l’incanto al sole sfavillante
lì svanisce e sarà domani;
funesta crepita la motosega!
Là, infine, accanto al camino,
ad un tepore ch’è familiare,
fiori, non bianchi ma di rosse
faville e braci, vedrai
ultimo dono.


 

Le mille occasioni

Su riccioli bruni si posa
mesto il canto della sposa;
sussurrata, la nenia sgorga
ché tenera e lenta porga
ai folti riccioli e biondi
ricordi lontani, fecondi,
ricchi d’amore e d’oblio,
sola, ora, confida in Dio.
Presa, lasciata e tradita,
il bimbo suo le è vita,
felice il sonno consola,
e canta sicura la fola.
Canta, usignolo felice,
parole che ‘l core le dice
e riempie vuote le ore
di ricordi e di dolore;
madre tutta sola, cancella
or di una vita non bella,
malinconie e illusioni:
al bimbo mille occasioni.