Michela Nigra - Poesie

RACCOLTA NUMERO TRE: ”Rotazione e rivoluzione”

Ai miei 24 anni. Alla Vita, che non è mai scontata, né facile, ma sempre meravigliosa. Ai sogni e alla libertà assoluta.

 


 

“Bater de asas: twenty-four”

Al cospetto grande del
Kilimangiaro
accoccolata, risiedo.
Mi riempie questo spalancato
infinito

azzurro e
sempre sincero
specchio e simbolo di quel Mistero
che un pò ci genera, e poi un pò ci tradisce:

che noi continueremo ad amare,
amare forse per sempre, senza capire mai.

Occhi negli occhi
del Sole
mi sento
perdermi
uccello in volo
prendermi
e mi ritrovo

stanca e felice, mi siedo.

Respiro a fondo
silenzio
ruscello spirito lento

corpo stremato, ma cuore
così leggero al

tramonto,
l’ultimo bacio del giorno
prima di abbandonarci alla notte,

che non è mai un addio
solo un eterno ritorno.

Con dentro tutta la luce
mio Cielo
riesco a volare davvero

senza spavento
mi sento
libera
in una brezza di vento
e ho capito

che sono le carezze di Dio.

 


 

Questa poesia è per mia nonna: la mia carissima e amatissima nonna Anna, che compirà a breve novant’anni.
A te, Nonna, che mi hai dato il meglio ogni giorno.
Grazie a te ho appreso ad andare da sola sull’altalena, riconoscere una stoffa buona per un vestito, mettere sempre il profumo prima di uscire, il piacere di cucinare.
Ho preso da te il mio amore incontenibile per la natura, il bisogno viscerale di respirare aria pura, e quella felicità che mi prende davanti al sole, i fiori, mari e colline.
La voglia di camminare, vivere, darsi da fare.
La fiducia incrollabile nella Vita.
Caparbietà.
Il taglio a goccia dei nostri occhi.
Le orecchie piccole, nascoste dai capelli fini.
La gatta e i mille micini.
Le partite a carte.
Le estati al mare.
Il tempo semplice, insieme.
Miriadi di ricordi mi si affollano e accavallano nell’anima, potrei scrivere e descrivere per giorni ogni episodio, ogni pranzo insieme, ogni passeggiata nei boschi, ogni carezza.
Più ci penso e più realizzo quanto di meraviglioso m’hai dato: nei piccoli e nei grandi gesti, tu mi hai insegnato a stare al mondo, ad avere cura di me, camminare con le mie gambe e andare dritta sulla mia strada, ovunque essa mi porti.
Sei stata, sei, rimarrai, così tanto.

Perciò, ancora, a te, che con la tua delicatezza hai saputo stemperare il mio carattere irruento ed esuberante .A te, che mi hai trasmesso la più profonda dolcezza, e hai sempre cercato di farmi comprendere il valore della pazienza.
Io, giramondo e impulsiva, con infiniti passi in tasca e una così immensa voglia di vivere, dentro, adesso qualche volta mi fermo: guardo indietro e vedo te, che diventi via via più fragile, debole, appari poco a poco più impalpabile. Ti percepisco ormai stanca.
Sento che tu ti stai preparando, e vengo colta dal panico: non sono pronta a lasciarti andare. Non voglio.

In certe notti, a Lisbona, non riesco a chiudere occhio: ti penso intensamente, quasi maledicendomi per essere così distante, e non riesco a trattenermi dal piangere.
Ma mi rendo conto che questo non ha alcun senso: quello che sarà sarà, e noi lo affronteremo…
Pertanto basta con i miei soliti poemi.

T’ amo tantissimo, Nonna; questa poesia è per noi: s’incontrano
la tua immensa tranquillità e la mia irrequietezza, il nostro grande passato e le mie appassionate domande al futuro. Chissà che cosa ci aspetta, e cosa stiamo aspettando.

Buon anno, e buon Compleanno.
Sei sempre con me.

“Attese”

Tra spazi che attraversano il
tempo
comete nel firmamento,
frammenti

di turbamento

Come una roccia dischiusa
il cuore chiede alla sera
dov’è la verità vera

se sta nel mezzo, o nel fondo

se ha senso
farsi e disfarsi

dividersi,
per ritrovarsi,
non smettere di
domandare:

chissà se siamo Felici

cerchiamo nidi o
radici,

vogliamo andare o tornare
provare
lasciare
stare
abbandonare
lottare

capirci, o interpretare.

Chissà se ci parla, il vento
o soffia solo per gioco
gironzolando nel mondo,
danzando con acqua e fuoco

chissà se scelse, di sorgere
il sole in fasce dal Mare
e che verso farà la Notte,
quando ci vorrà chiamare.

Con tenerezza e tormento
l’ascolto
piano
arrivare

mi calma, e mi addormento

Imparo
ad aspettare.

 


 

Al dolore che a volte ci sopraffae

“La scena”

Maschere,
di cattiveria:

incubi l’intera notte

e l’abbandono

nella violenza dei tuoni
grido

coperta nuda di picea pura paura,
mi sento addosso

l’inferno.

E tremo se penso “c’era, una volta”
un flusso d’ acqua sorgente, che trasparente e sognante
in me irruente e sereno
cresceva ..

Ma l’inferno non avvisa

scoperta rabbia ingannata

“C’è tanto sangue”, pensavo,
scorgendo a stralci la Fine: tunnel di enigma in crisi,

combattimenti
falene

C’era il Mar Rosso ormai nero,
ed aggrappato al suo flutto
(un incubo,
dopotutto!)
sconfitto corpo trafitto

il cavaliere inesistente:
un due di picche,
sopra un cavallo di Troia.

 


 

A Lisbona, alle emozioni che mi ha dato, e alle sue ferite aperte.

Credo che il cambiamento in sé spaventi l’animo umano, ed anche tremendamente: lasciare tutto ciò che abbiamo di certo per l’incerto, metterci in gioco, scavare, tuffarci giù nel profondo, guardarci dritto negli occhi per come siamo e riuscire a volerci bene, e riuscire a dirci addio, e poi ripartire, rifare, ridare, di nuovo, ancora, è un processo estremamente difficile.

Da molto tempo, io stessa immagino il divenire della mia vita come il più ignoto ma appassionante cammino mai concepibile, che mi richiede un grande atto di volontà a ogni passo. Coraggio. Motivazione. Una passione infinita. Resistenza.

Durante questi mesi incredibili (sotto ogni punto di vista) e mai come in questo momento, in cui mi sento in pace, al mio posto nell’ universo, capisco e interiorizzo che il cambiamento è necessario. Lo è stato, e me ne accorgo.

Cambiare è la radice del mondo, della nostra sopravvivenza ed evoluzione.

Una maledizione in apparenza, ma una vera salvezza, col senno di poi.

Cambiare è crescere, cambiare è capirsi meglio, per riuscire ad accettarsi un po’ di più, andare avanti a scoprire, senza rimorso di tagliare ponti e radici, quando rischiano di trasformarsi in catene che ti tengono fermo, anziché ali battenti per decollare.

Cambiare: un movimento

Cambiare, come fa il vento

É doloroso? A volte

Difficile? Assai assai

É consapevole? Non direi mai fino in fondo .. Ma non c’è nulla di più bello.

“A Lisbona”

Rimani una ferita aperta, Lisbona.

Un attimo di nostalgia, che durerà all’infinito,

un fulmine a ciel sereno, che ha infranto ogni dimensione, e mi trascina ora via,
nel flusso, nel vecchio tempo,
in tutto quello che è stato.

Ti guardo dentro e ci casco.

Rimani grande passione
Rimani un mondo diverso
Rimani un anno di forza,
con dentro gioia e dolore,

inaspettato stupore.

Tu mi hai insegnato la Vita e mi hai cambiata per sempre.
Perciò continua pure a farmi bene,
continua pure a farmi male,
rimani in me o in qualunque cosa,

ma io ti prego, rimani.

 


 

Senza ragione, perché i sentimenti non ne hanno

“Quarto piano”

Ti temo,
amore mai
conosciuto.

Ti fuggo, perché non so
chi tu sia:
un colpo basso, la cima

di una montagna infinita
un mare d’acqua digiuna
che affoga dolore e sabbia, dunose
ondate di
rabbia,

e quanti uomini,
deserto, hai divorato;
senza sentiero, è il fato?

Ma adesso sono una spiaggia
perché perduta, in cima al monte
ho bussato; ha aperto un mare

profondo:
tu sei entrato, io sono entrata

nel mondo.

 


 

“Lettera alla mia Roma”

Roma, 27/10/2021

Sono tante le cose che vorrei dirti, Roma.
È difficilissimo iniziare.

Mi sta costando estrema fatica trovare le giuste parole per esprimere quello che provo. Ma io sono fatta così. Quando non mi capisco più, non mi raccapezzo di me stessa e le mie condizioni psico-fisiche mi segnalano che ho ormai raggiunto un preoccupante livello di sbarellamento interiore, prendo un foglio o apro il computer e scrivo. Come una reazione impulsiva e improvvisa – un brusco colpo di reni – e remi- per non fare schiantare la barca. Questa è una sorta di “lettera a me stessa” come molte altre che ho steso nei momenti più difficili. Era da non so quanti anni che non ne scrivevo una.

E’ trascorso ormai un così lungo tempo dal momento in cui sono arrivata, da rendermi impossibile ricordare il mio primo giorno qui, ma so che era stato bello.

Non avrei mai voluto lasciarti, e doverlo fare mi ha provocato un dolore immenso, acuto come la sensazione di starsi strappando il cuore dal petto, incoercibile come un’ustione al torace, profondo come una pugnalata che ti trapassa la schiena. Un dolore così grande – e forse ancora più grande in quanto del tutto imprevisto, inconcepibile, che inizialmente mi ha annientata e spiazzata, perché mai e poi mai e poi mai mi sarei aspettata di doverti lasciare così presto.

Ho bisogno che questa lettera sia per te e me, Roma.

Ti ho amata con tutta me stessa dal primo attimo in cui sono scesa a Termini e ho calcato le tue strade, quando mi sono trasferita in questo appartamento al quarto piano di Via Festo Avieno divenuto poi la mia casa. Mi hai regalato sei anni di luce, serenità, libertà vera, esperienze incredibili, e soprattutto, persone insostituibili, che resteranno nel mio cuore, e mi auguro anche nella mia vita, malgrado la distanza di mezzo. Dopo sei lunghi e velocissimi anni, io resto ancora allibita d’innanzi alla tua bellezza, al Cupolone, al Tevere, al Pantheon, e mi chiedo come sia possibile che tutto questo spettacolo esista, e resti lì, eterno, per noi. Checché se ne possa dire, il tuo calore, il tuo sole, non solo fisici ma anche sociali e umani, riescono a riscaldare il cuore di chi ti vive, farlo sentire al sicuro, e al posto giusto nel mondo. O almeno, così mi sono sempre sentita io. A casa. Penso alla me che ero sei anni fa, vent’anni e tanti sogni, che in parte si sono realizzati, in parte sono cambiati, come sono cambiata molto io; ho gioito, ho sofferto, ho scoperto, sono cresciuta, e sono diventata una donna. Qui.

Mi mancherai tanto, Roma; e ho capito che la cosa che mi mancherà di più è esattamente questo : la “me stessa” dei sei anni appena conclusi, che frequentava l’università, stava nella biblioteca del Policlinico, dava gli esami, andava a correre sulla ciclabile di Monte Ciocci, andava a canottaggio, vedeva suo fratello tutti i fine settimana per sfondarsi di pizza insieme, faceva i cammini con i gesuiti, usciva a Trastevere, andava a sedersi sul basamento dell’obelisco di fronte al Cupolone di sera, quando la piazza era quieta e in giro quasi nessuno, per guardarlo e contemplarlo e chiedergli il perché delle cose, o dirgli “grazie” per un ostacolo superato. Ho davvero goduto di te in ogni modo, e sono stata, davvero, completamente felice. Mi mancherà la Michela di Roma. Mi mancherà il mio passato. Le rondini nel cielo di ottobre, i gabbiani, la tranquillità che qui ho avuto, insieme a tutte le mie certezze. Questa identità, questa casa. I volti delle mie persone.

Ma questo dolore, come ogni dolore, ha un senso, va compreso e alla fine superato. Il dolore non è nient’altro che un’altra forma che assume l’amore pur di continuare a esistere; quando dobbiamo separarci da una persona, una cosa, un luogo che abbiamo amato, ecco che il dolore nasce: per me è sempre l’amore, che compie una metamorfosi e così continua a sussistere, a ricordarci e testimoniarci ciò che è stato, e in parte, a sopravvivere in noi. Senza il dolore non c’è amore, e senza amore non c’è senso nella nostra vita, che a volte come un fiume grande e impetuoso ci strappa violentemente dalla terra in cui abbiamo messo radici, ci impone di re-innestarci come alberi in un altro luogo, magari freddo, sconosciuto, austero. Dura e incomprensibile, travolgente come la corrente, è proprio questa la vita, che un giorno ci chiede di rinunciare a tutto ciò che abbiamo di più caro, a chi amiamo, alla nostra base sicura, alle comodità e alle certezze ,e ci porta via, senza chiedere permesso, e senza chiederci il permesso, e ci spinge e ci trascina inesorabilmente avanti, verso il cambiamento, l’ignoto, finché non arriviamo al mare.

La vita è ciò che non ti aspetti: una sorpresa continua, a tratti una battaglia, a tratti un’oasi protetta, a volte un cimitero, altre il tepore di un nido. La Vita è un mistero immenso, che noi non potremo mai capire, ma di cui dobbiamo fidarci: cercare la verità, l’emozione, e dare il meglio di noi. Restare per sempre liberi.

Adesso io sono pronta, e so che è ora di andare.

“Il segreto della felicità è la libertà, e il segreto della libertà è il
coraggio”.

 


 

A chi come me cerca di scavarsi dentro, arrivare fino in fondo al suo abisso per capire se stesso e dare un senso a questa vita. A chi come me ha paura, ma non si arrenderà mai.
A chi come me crede ancora nella nostra possibilità di farcela, insieme, essendo attenti gli uni agli altri, e non accetta sterili comodità e convenzioni.
Alla nostra resilienza, essendo nati per vivere, e tutti liberi e uguali.

“Rotazione e rivoluzione”

Cerco Itaca
per confermarmi che ancora esisto
in quest’Oceano confuso, imprevisto
in cui tutto ciò che è restato,

è l’àncora del passato.
Col suo sole, il mio sole
che prima dentro sentivo,
la mia serena inquietudine

che riuscirò a ritrovare
solo nella Libertà
dell’infinita incertezza,
il mare, l’indefinitezza

la sua la mia solitudine.

E faccio tanta fatica
annaspando
per proteggere la dignità,
boccheggiando, nell’esprimere

me stessa

tra flutti densi e brutali
graffianti scorze fondali
prendere fiato

e sotto
l’inabissato dolore,

terra sterile, senza cuore

la vita umana
sommersa

perché ogni lasciata
è persa.

Che male fa guardarsi
dentro

anziché la superficie

ma se la verità ci ferisce
vuol dire che c’è ancora, e poi
il sentimento è più forte

della paura e di noi.

Possiamo salire a galla
solo dopo la nostra Atlantide:

in metamorfosi, anime da
relitti antichi
spiragli dalle
cicatrici,

pesci nell’acqua del mondo.

Riemergo e mi reimmergo e io ce la devo fare
io sono il mio stesso mare

atroce dolce, fecondo, e
burrasca, marea, tempesta:

la vita è un tuffo
di testa.