Michele Cartasegna - Poesie

Inverno

Immobile e statico il rio si è fermato,
i rami son spogli e l’inverno è arrivato.
Nel cielo i bianconi, son ricordo lontano;
ormai son volati nel caldo africano.
Il regno è passato al gran gufo bianco,
il lupo di notte gira ormai stanco.
Il camino è acceso e un profumo di legna,
danno calore e forma assai degna.
A tutte le case che sono aggrappate,
In lunghe vallate dal sole baciate,
che agognano il caldo nel freddo notturno
che vivon sto mondo assai taciturno.
Le storie dei vecchi parole assai antiche,
risvegliano cuori e menti assopite;
ricordano visi, parole e persone
e lasciano andare l’immaginazione.
Ritornano vividi anni passati,
racconti dei nonni e dei loro antenati;
le storie rincorrono il passare del tempo,
i chiusi che vibrano al suono del vento.
La vita che ferma attende la luce,
la tana che è chiusa dal gelo un po’ truce;
la rondine attende in lidi lontani,
speranza che torna negli esseri umani.

 

 

 

Primavera

Accarezzi il mio viso con la fresca tua brezza,
i colori ed i suoni dal del caldo certezza.
Tutti i sassi si scaldano e la neve si scoglie,
il risveglio dei monti ormai è alle soglie.
I tuoi fiumi pian piano rumoreggiano forte,
ed i fiori con forza sfidano la lor sorte,
perché crescono ai bordi di strade affollate
e fioriscono a fianco di case abitate.
Gira piano la ruota di un mulino assonnato,
sulla sedia, addormentato, un gatto accovacciato.
Un profumo di tigli che riempie la via,
una logora tunica dietro alla sagrestia.
Il risveglio che lento si affaccia alla vita,
scopre il manto che avvolge la natura assopita
e nel mentre le foglie ombreggian la luce,
mi ritrovo ad osservare chi il mio cuore seduce.

 

 

 

Estate

Stridula il grillo nella notte rumorosa,
un concerto intorno ad una fiamma fumosa.
Un falò è acceso in una corta notte estiva,
che trasporta, tra le stelle, la mia mente alla deriva.
Riportandomi bimbo tra i monti,
a giocare con bastoni contorti,
a dar forme alle nuvole in cielo,
a rincorrer la vita con zelo.
Mi ritrovo a saltare tra i sassi,
ad osservare nel fango i miei passi,
rincorrendo degli insetti volanti,
ritrovando quegli occhi sognanti.
Ma ormai il crepitio è terminato,
ed il sole tra gli aghi è passato.
I ricordi pian piano van via,
la mia voce ritorna afonia.

 

 

 

Autunno

La natura sembra un quadro lontano,
incorniciata da questo piccolo altopiano.
Il fruscio delle foglia caduta,
dalle spoglie dell’era passata.
Il pennello con il rosso aggrettante,
sfumature di arancione cangiante.
Mentre il carpino si sta addormentando,
la sternbergia sta piano sbocciando;
con il ritardato colore suo estivo
che con il contorno risulta abusivo.
Col giallo e col viola riportano indietro,
nascoste nell’ombra di un grande ginepro.
Il mare lontano s’intravede appena,
la nebbia salendo porta acqua tirrena;
risale la spiaggia, arriva sui monti
e con la sua coltre nasconde i tramonti.
Eppure son qui, assorto nel nulla,
restando a guardare natura ormai brulla
che viva ritorna nel caldo futuro,
ma ora si appresta a sonno sicuro.

 

 

 

Il tuo profilo

Il profilo del tuo corpo accompagnava le mie notti insonni,
il profilo del tuo viso nascondeva sogni bizzarri.
Sentivo la tua presenza,
nonostante il mio sguardo fosse rivolto altrove.
Un istante lungo come l’infinito,
tempo fugace, ricordo permanete.
Sola nella notte la mente non ha piu conforto,
solo nel giorno, il battito si accompagna solitario.

 

 

 

Figlio

Stavi dentro al palmo della mia mano.
Una nuova vita, la mia, cambiava per sempre.
Simile a mille altri ma diverso nel profondo.
Quando gli altri guardano il mondo, tu vedi natura.
Quando gli altri guardano Dio, tu vedi l’universo.
Quando gli altri guardano me, tu vedi un padre.
La tua diversità è la grandezza del destino,
mi consente di vedere nei tuoi occhi
una scintilla d’infinito.

 

 

 

Pescatore

Le corde ti taglian le mani, il vento ti brucia la pelle.
Uscendo da solo la notte, nessuno ti copre le spalle.
Il mare ti spruzza la faccia e zuffa la barca sull’onda,
scendendo sciaborda e salta ma la barca non sprofonda.
E tu da solo e anziano che viaggi veloce la notte,
la luna ti guida lo sguardo, le stelle comandan le rotte.
Le vele che tirano al vento, sorelle di viaggio e tormento
Sorelle leggere e fidate, di chi le conosce e le ha amate.
La chiglia che scricchiola e lotta, timone che guida e tien botta,
sapori di spiagge bagnate, con barche assolate attraccate.
Ma la tua libertà sta nel vento, tra le nasse ne senti il lamento,
ed è cosi che ti voglio ricordare, con le mani strette a remare.
Un sorriso sfrontato sul volto, le rughe sul viso contorto,
e la voglia di libertà.

 

 

 

Solo

Non sono niente.

Tra miliardi di stelle del cielo notturno,
con l’aria che pizzica e fa stringere il bavero,
tra le valli illuminate dal ciel diurno,
Amori infiniti dal cuore lacero.

Non sono niente.

Una spiaggia dorata che riempie lo sguardo,
il mare infinito si estende a ponente,
L’orizzonte s’allunga supino e bugiardo,
i monti che marcano un profilo coerente.

Non sono niente.

Venti che portano sapori lontani,
Nuvole grasse di spilli d’argento,
fiumi che scorrono da tempi ancestrali,
boschi che vibrano in mezzo al tormento.

Non sono niente.

Le vite infinite di poeti arcani,
Le formule fisiche che spiegano il mondo,
I campi di pane e i suoi mille grani,
La vita nel ciclo ci fa da sfondo.

Non sono niente.
O forse sarei tutto, tutto questo se riuscissi ancora a sentire il calore della tua mano.

 

 

 

verso Ovest

Sibila l’aria, fucili spianati,
odio che scorre in fiumi infuocati.
Madri proteggono quei figli innocenti,
popoli scappano da paesi ardenti.

Sabbia che vola passi pesanti,
caldo che brucia respiri ansimanti.
Acqua che secca la gola bruciante,
sete che arresta il corpo bramante.

Scende il bastone sul corpo supino,
scorre del sangue colore del vino.
Campi che arrestano la fuga dei sogni,
bestie, che uomini non sono degni.

Barca malferma nel mare agitato,
tonfa la chiglia il dolore è salato.
Mani si agitano sul fare dell’onda,
troppi i bambini nell’acqua profonda.

E tu che da casa ti senti protetto,
perché hai famiglia, una casa e un bel letto,
non riesci a sentire il dolore lontano,
non senti la fame di chi non ha il grano.

Dei campi bruciati non senti l’odore,
delle donne abusate da chi non ha onore.
Delle piaghe del mondo non senti che l’eco,
non guardi negli occhi ma guardi di sbieco.

Allora ti chiedo guardiano distratto,
di alzare i tuoi occhi dal solo tuo piatto.
Di dare un volume alla tua voce,
Per fare evitare una nuova croce.