Milena de Magistris von Rex - Poesie

A mio Padre

Questa lastra di marmo
che separa i tuoi frammenti
dalla mia mano viva!!!
In doloroso pudore,
un sudario ha protetto
il disfarsi della tua fisicità
agli occhi terreni del mondo,
ma il riposo di quel che di te resta
merita tutto il silenzio
di cui è capace la vita.
E io so per certo che la mia carezza,
deposta sul freddo indifferente
di questo marmo freddo e indifferente,
la mia carezza, memore di un qualche abbraccio
ormai così lontano, sempre così vicino,
la mia carezza, testarda e vincente,
scava forma e materia,
scava, scava e raggiunge e vince la morte
nello sfiorare il tuo esserci ancora,
in spazio e tempo vibrante,
forse confuso fra i tramonti
della tua disarmante purezza.


 

A dispetto di croci diverse

Eppure,
le pietre tombali
si assomigliano,
nella sequela di nomi e date,
di frasi brevi e amorose, abbracciate
a un privatissimo ricordo,
ed anche il silenzio, nella sua ora,
è lo stesso e non ammette altro
so non il frusciare di vento e foglie.
E i viali solcano con lenti passi
terreni uguali, a fronteggiare
altri riposi, solo d’eterno.
Un fascino di trascendenza
aleggia, respira e incute l’omaggio,
a dispetto di croci diverse.
E, nel bianco del marmo,
quei corpi, quei visi, eternati
in un istante del loro vissuto,
così umanamente identici
a quanti prima di loro e ovunque,
così come a quanti dopo di loro e altrove,
sembrano indicare a noi tutti,
fra simboli estranei e attese diverse,
uno stesso destino di pietà
e condivisione
oltre la soglia
della vita.

(Vagando nel cimitero acattolico di Roma)


 

Un frammento per sempre

Non so in fondo al viale che cosa mi aspetta:
quale gioiosa sorpresa o quale grido.
E intanto scorre inesorabile il mio tempo,
tracimando con violenza ad ogni curva
e sbaragliando sogni e speranze.
Che mi preservi il cielo quelle più belle e pure
e le trasformi in miracolo:
riguardano te, il tuo divenire
sulla scena del mondo.
Abbi forti spalle e sguardo fermo
e cammina dritto senza colpire mai:
se amerai il mio ricordo, non fare del male.
Io ho tremato spesso e ho avuto paura,
ma non ho mai ferito altri che me stessa.
Abbraccia con tenerezza, ti prego, pensando
che io di tenerezza non ne ho mai ricevuta.
Che il nulla non sconfigga quei ricordi
che ti vedono attore,
accatastati uno sull’altro nel mio cuore
e stretti per farsi posto fino a far male:
solo tu potrai preservare le nostre memorie dall’oblio.
Parla di me ogni tanto a qualcuno
che avrebbe potuto amarmi;
racconta di quella volta e di quell’altra
ma conserva solo per te
i momenti troppo nostri per essere condivisi.
Porta il mio esserci stata lontano,
oltre la tua stessa soglia;
che ne rimanga un frammento
in ciò che sarà dopo di te e oltre ancora.

Per sempre.
(A mio figlio)


 

Anni a venire

Quel riflesso di luce
in timoroso silenzio
che schiuderà
gli occhi assonnati
di ogni tuo nuovo mattino
la sferzata di cielo
che irromperà radiosa
in ogni attimo di gioia
al suono argentino
delle tue fresche risa
il soffio tiepido
che accarezzando il cuore
sfiduciato e stanco
lenirà il freddo gelo
dei tuoi giorni più bui
quell’antica nenia
nascosta nei ricordi
di un’infanzia felice
intenta a scivolare sogni
nell’intimo ristoro
di ogni tua notte
tutto questo
in anni
e anni
e anni
a venire
avrà
il nome
il sorriso
e il profumo
del mio ricordo
(A mio figlio)


 

Forse un giorno i delfini…

E il mare sottende a strati muto silenzio,
tra scenari viventi di guizzi e scaglie
e ricci e coralli…
Un tentacolo allaccia e discioglie nodi
senza ragione, senza destini
e il boccheggiare di cernie e lamprede
è muto, inconsapevole respiro.
Quale il messaggio? Quale la scelta?
Ignari dei secoli, occhi liquidi danzano
tra colori di sfrontata bellezza.
Trascinar nell’aria il mistero sommerso!
Forse un giorno i delfini…


 

Il grande predatore

 

Il silenzio

stende le sue ali di grande predatore
a soffocare ogni tentativo di grida.
Alte cime indomite svettano,
trionfando nella distanza,
su una preda così facile,
così facile da dominare
e gli spazi,

che si nutrono di quel maestoso silenzio,
cosa hanno a che fare con la mia miseria
tanto piccola, tanto inutile,
tanto mia?

Voltare pagina ad un nuovo giorno
non rende più stimolante
il brivido della rinascita
quanto piuttosto
insopportabile
il peso
della
ras
se
g
n
a
z
i
o
n
e


 

Taceva l’acqua…

Taceva l’acqua che scorreva in rivoli,
di quel silenzio che proprio scorre
fra un arbusto
e un nulla di fatto
e avvolge ancora,
sulla scia
del suo bagnato percorso,
gesti e parole.
Si intreccia il cuore,
che di silenzio ha sete,
e di rivoli
tanti ne ha percorsi


 

La tavolozza e il pennello

Sulla tavolozza del dolore
il pennello si impregna
di stati d’animo fuggevoli,
ora ossessivi, e li riporta
su tela di una vita, appoggiata
all’ instabile cavalletto del nulla.
Un cupo grigio color di cenere
domina, frustato qua e là
da chiazze di rosso, come quando
ti accorgi del sangue
e, se intingo a forza il pensiero
nel giallo del sole,
un misterioso solvente
ha già annegato quel sole
in assenza.
L’immagine ritratta
è certo il mio cuore,
ma in una strisciata veloce,
riesco con l’inganno
a tracciare sul fondo
uno sfacciato azzurro mescolato di rosa,

quasi un tramonto.
Ecco, ora pare si apra al cielo
ed il pennello, veloce, ne approfitta
e imbratta la tela tutta
col bianco candido
della speranza.


 

Bilanci

Sempre che sia possibile
ricucire lo strappo
fra la realtà e le attese.
Ci vuole indifferenza
per vagare nel mondo
senza ferirsi.
Nessun margine di tolleranza:
ho dato troppo e ho mani vuote
e cuore all’inferno.
E non permetto più violenze
alla mia debolezza;
che almeno
abbia il conforto del silenzio.
Così i bilanci di un percorso
dalle fragili sponde
pagano un prezzo
davvero incommensurabile.


 

L’insidiosa tenerezza del dolore

Sto combattendo
tutti gli anni miei
nell’ attesa del mare
e, fra improvvisi strappi
e un graffio che brucia
insidioso nell’ombra,
alterno pace a grida,
vuoti a bagliori,
aggrappata
all’insidiosa
tenerezza
del dolore.
Poi il richiamo
di quanto siamo stati,
di dove e perché andiamo,
di quello scopo che va cercato,
comunque compreso e mai rinnegato,
mi riafferra improvviso a mi lega all’oggi
senza un sorriso.
Forse,
se smetto
di cercarmi,
avrò infine
pietà
di
me
stessa.