Mirella Salonia - Poesie

Buio/Luce

Che rumore fanno i miei pensieri
nel freddo buio della stanza che da ieri
è l’unica compagna della mia vita
a lottare, lottare a fatica
con la coscienza che questo respiro corto
in un secondo ti può far trovar morto!
E quanti me ne son passati accanto
e per alcuni ci ho anche pianto,
le loro storie tutte diverse
ma mai pensate cause perse!
Io, infermiere di pronto soccorso
sorridente sempre, mai un orso
per me tutti dovevan essere speciali
in un posto dove tutti non si sentono normali!
Ma adesso son qui con mille tubicini
suoni lontani, voci amiche con tristi visini
il suon della mia voce però nessuno sente
e mille pensieri offuscano la mia mente.
Gridare, chiamare, cantare, correre, giocare, amare…
e poi…Buio…

Infine… Luce

 

 

 

Tommy il toretto

Un bel giorno alla corrida
ci fu proprio una gran sfida
il toretto col torero
ne uscì proprio fiero.
Non di lance e mantello
rosso sangue il poverello
ma di fiori profumati
e di gioia e canti urlati.
Tommy è un piccolo toretto,
che si aggira per il campetto,
tutto allegro zompettando
annusando fior di campo.
Ma un bel giorno il poveretto
si scontrò con sir Gioberto:
“dai, su vien con me” insistette
lui che già lo vide a fette.
Fior di campi e nuvole rosa,
il profum su lui si posa,
ma nessun può più capire
cosa il toro vuol dir muggire.
Uno scatto suo furioso,
coglie un fior speranzoso
e brandendo il suo trofeo:
“Nessun morto, nessun reo!”

 

 

 

Auguri mamme!

Auguri, giovane donna inesperta,
che il mondo ancor non conoscevi
mai ti sei messa in allerta,
e di illusione ti immergevi!
Il tuo cuor grande hai donato,
ma poi ti è stato calpestato:
quell’uomo falso ti ha abbagliato
ma con forza nove mesi mi hai portato!
Con coraggio e determinazione
hai inghiottito la tua disperazione
dandomi alla luce nel giorno dell’amore
come un bianco fiore grondante di sudore.
Braccia appesantite porgesti dinanzi a te
poi il nulla!
Freddo, vuoto, solo il grido di un poppante!
Il tuo ruolo si concluse qui, povera madre!
Auguri, mamma!

Auguri mamma!
In quel grande e freddo androne
ti scorsi arrivare da dietro il portone.
Forte la mano stringevo di chi
per lunghi tre anni mi curava lì.
Il cuore in gola, gli occhi sgranati
quanto noi tutti vorrem essere amati.
Poi il tuo sorriso solare e aperto
fu uno squarcio di sole a me offerto.
Corsi da te e la lunga gamba t’afferrai
in uno slancio accorato, non lasciarmi mai!
Ora cinquant’anni che sto con te
e la mia bambina tu sei or per me.
Ti dono un briciolo di ciò che ho ricevuto
perché mai potrei compararlo col tuo avuto.
Il tuo ruolo è iniziato un po’ più tardi, madre!
Ma ti ringrazio di esserci stata per me.
Auguri, mamma!

 

 

 

Abbandono

Adagiarsi su un prato bagnato di rugiada,
Baciare i petali gialli e bianchi delle margherite,
Bere la pioggia che cade dolcemente dal cielo primaverile,
Accarezzare una prima farfalla dai colori violacei che ti vola accanto,
Nascondere una lacrima che ti sgorga all’improvviso al ricordo di tua madre,
Dire alle nuvole di parlarle e sussurrarle quanto ti manca,
Ossigenare i tuoi polmoni con l’aria pura della natura ripulita e rinnovata,
Narrare al tuo piccolo com’è bello tornare a vivere la gioia della rinascita.
Odia il rancore e abbandona il passato.

 

 

 

Tu

Avevo un libro ed ho letto
avevo una penna ed ho scritto
il tuo nome ho letto
e ti ho scritto amore.

Un amore felice e spensierato
dolce ricordo che non avrò più.
Rimpianti i miei, solo rimpianti
ma ciò che conta è che penso a te.

A te che sei lì ad ascoltare passivamente
i passi della solitudine del cuore
a me che rimango sola
e penso a te che tutta mi consoli.

 

 

 

A te donna violata

Amami di un amore dolce e delicato.

Ti dono tutto il mio cuore
E ti dono tutta me stessa, amore.

Dedico ogni momento della mia giornata a te,
Oscuro è ogni istante in cui sei lontano da me,
Nei miei pensieri ci sei solo tu, amato mio
Nei miei respiri solo tu, cuore mio
Al mondo ho solo te, uomo mio.

Vedo, adesso, i tuoi cupi occhi plumbei
Incontrare i miei interrogativi e vitrei!
Odi tutto di me: i miei passi, il mio profumo, il mio essere!
Lacrime sul mio viso colmo di lividi da nascondere!
Ancora non comprendo perché ce l’hai con me, cosa ti ho fatto?
Ti ho solo amato, eppure di me non sei soddisfatto!
Amaro amore per chi amore non conosce!

 

 

 

Padre

Da tanto tempo tu eri lì
e mi attendevi ogni dì
Da tanto tempo io ero qui
non ti attendevo, ci sei, sì.
Così impossibile e lontano
eppure quasi ci davam la mano.
A quante emozioni hai rinunciato
per un amore giammai peccato.
Tu uomo forte e orgoglioso
dall’apparenza spigoloso
dall’incantesimo di un amore
è sbocciato un piccolo fiore
che il profumo tu hai odorato
e che poi hai subito consegnato
nelle mani di persone
che con cura e dedizione
han curato e protetto
il tuo fior prediletto.
Tu animo incupito dal rimpianto
dal dolore sordo e infranto
ti proteggevi con severità
e nascondevi la tua fragilità.
Adesso che il tuo fiore hai ritrovato
odoralo e dagli il bentornato.

 

 

 

Fratelli miei

Finché non vi ho trovati
Ricercavo pezzi di me
Ai sogni miei alati
Tingevo alcunché
E in paesi e città
Lungo piazze e lillà
Leggevo ogni dove
In cerca di prove.

Ma poi siete comparsi
I miei occhi sui vostri volti
E come in una catarsi
Il richiamo ci ha raccolti.

 

 

 

Non ho tempo, ma ho tempo

Dopo tanti anni di ricerca di me stessa e di quello che realmente mi appagava più nella vita, ho deciso di continuare gli studi interrotti per via di un lavoro che mi teneva impegnata tutto il giorno.
Fin da piccola il mio sogno era quello di diventare maestra di scuola elementare, ma, ancor di più, quello di poter aver successo con la musica e il canto. Contemporaneamente agli studi magistrali, infatti, studiavo pianoforte e canto lirico, ma, ahimè, nell’attimo in cui stavo spiccando il volo soprattutto con il canto, ho dovuto interrompere. Il troppo studio e le troppe attività che contemporaneamente in quelle settimane portavo avanti, mi resero più debole, e, infatti, un giorno, mentre a lezione di canto intonavo un sovracuto, sono svenuta. A quel punto i miei genitori mi vietarono categoricamente di studiare canto che, a detta loro, era solo uno spreco di fiato, energia e soldi. Inoltre, secondo loro, non mi avrebbe portato a nulla. Era importante che, invece, mi concentrassi nello studio per il concorso magistrale, e così feci. Dopo qualche mese riuscii a vincere due concorsi, per la primaria e l’infanzia: per la primaria sia come posto comune e sia come sostegno, nell’infanzia, sempre sia come sostegno e sia come posto comune. Avendo potuto scegliere, ho deciso di intraprendere l’insegnamento nella scuola primaria come posto comune. Fin da subito mi sono concentrata in questa bella attività che mi impegnava tutto il giorno: la mattina a scuola a far lezione di matematica, scienze, inglese e musica, il pomeriggio a correggere i compiti e a stilare la progettazione per il giorno successivo. Ho avuto tanti bei riscontri professionali, ero molto riconosciuta come maestra e voluta bene quanto apprezzata sia dai colleghi e sia, soprattutto, dai genitori e dagli alunni.
Ma …ma il mio sogno nascosto nel cassetto era sempre quello di riprendere a studiare canto e pianoforte e concludere sia il mio percorso pianistico, ero arrivata all’ottavo anno, e sia quello di canto, dovevo sostenere l’arte scenica.
A quel punto, dopo un bel po’ di anni, quattro anni fa mi sono rimessa in gioco. Mi sono iscritta a Catania all’Istituto musicale Vincenzo Bellini, per prendermi la triennale in didattica della musica e contemporaneamente ho riiniziato lo studio del canto, privatamente. Mi sono dovuta mettere a scuola in part time, per poter frequentare le lezioni a Catania: giornate frenetiche in quanto per tre giorni alla settimana andavo su e giù Ragusa – Catania dalle 6 del mattino alle 20/22 di sera, per assistere alle lezioni, gli altri giorni recuperavo a scuola con ritmi massacranti e, quel poco tempo che mi restava, oltre il sabato e la domenica, lo dedicavo interamente allo studio e qualche briciolo di tempo alla mia famiglia composta da una madre novantenne e un marito sposato da poco. Sono riuscita brillantemente a laurearmi promettendo a mio marito che da quel momento mi sarei dedicata interamente a lui e alla famiglia, ma …ho visto su Internet che si era aperto da un anno una triennale in musicoterapia e mi son detta: a questo non posso proprio rinunciare, solo così chiudo il cerchio delle mie conoscenze. Le lezioni si tenevano a Enna solo un fine settimana al mese full time. Ok mi iscrivo. Inoltre avevo fatto richiesta a scuola di passare nel settore amministrativo per delle forti emicranie che non riuscivo a contenere! E, dopo un anno me l’hanno concessa! Speriamo che mi passino o quantomeno diminuiscano gli episodi di emicrania!
A quel punto le mie giornate erano programmate minuziosamente a orari:
– Lunedì: 8,30 – 13,30 scuola; dalle 15,00 alle 16,30 studio; alle 16,30 lezione di pianoforte; alle 18,00 posturale;
– Martedì: 9,30 – 10,30 zumba; dalle 11,00 – 17,00 scuola; alle 18,30 palestra attrezzi;
– Mercoledì: 8,30 – 12,30 scuola; alle 12,40 prendere lezione di canto; alle 16,30 fare lezione di canto; alle 18,00 posturale;
– Giovedì: 8,30 – 11,30 a Caltagirone per tirocinio; dalle 12,00 alle 15,00 scuola; dalle 16,00 alle 19,00 studio per il corso di musicoterapia; dalle 19,00 alle 21,00 andare al Coro;
– Venerdì: 8,30 – 13,30 scuola; dalle 15,30 alle 18 studio; alle 18,00 andare in palestra;
– Sabato: 8,30 – 13,30 a Caltagirone per tirocinio; dalle 14,30 alle 18,00 studio per il corso di musicoterapia; alle 18,00 uscire con mia amica per il centro commerciale; di sera o pizza fuori casa o cena a da noi;
– Domenica: 8,30 – 12,30 studio per il corso di musicoterapia; alle 13,00 preparare il pranzo; alle 15,00 scendere a mare per passeggiata e comprare, rigorosamente, il cono; appena rientrati uscire con amici fino alle 21,00 …oppure, ogni inizio mese …venerdì, sabato, domenica intere giornate a Enna!
Nel frattempo nella mia vita ci fu uno sconvolgimento importante: riesco a ritrovare la mia famiglia di origine, mi accolgono, devo recuperare e quindi ogni mese, o anche meno, vado a trovarli con mio marito e mia mamma. Insomma non ho spazio per respirare. Una vita intensa e dai ritmi incalzanti. Nonostante ciò mi sentivo così viva e carica, non ne avrei potuto fare a meno! Giusto per non farmi mancare nulla, decido di scrivere la mia storia personale in un libro che verrà poi pubblicato! Inizio ad essere invitata a partecipare alla presentazione del libro anche fuori sede. Quest’anno, in occasione del festival di Sanremo, sono stata presente ad un evento proprio per pubblicizzare il mio libro.
Dopo pochi giorni comincio a sentir parlare che in Cina un virus sta uccidendo diverse persone. Ci dicono di stare attenti ai mezzi di trasporto e di usare, se si può, le mascherine!
Ma che sciocchezza, mi dico, quel virus è in Cina, qui non c’è nulla! E poi sinceramente sarei stata l’unica a indossare la mascherina, erano tutti senza. Continuo per qualche altra settimana la mia vita compulsiva: ‘riesco’ a prendermi la specializzazione triennale in musicoterapia il 27 febbraio 2020. In quella occasione vengono anche due mie sorelle con famiglia, ‘riesco’ a festeggiare, il giorno dopo, anche quest’altro traguardo. ‘Riesco’ perché dico ‘riesco’. Perché è già dalla settimana precedente alla discussione della mia tesi che il virus ha messo piede in Italia, al Nord, e si comincia a vociferare che ci sarebbe stata la possibilità di dover chiudere scuole e Università, in quanto il contagio sta dilagando a vista d’occhio.
Prego Iddio affinché il ‘Virus’ mi dia il tempo di concludere il mio percorso, perché non volevo postergarlo di qualche settimana. Sì qualche settimana, così dicono in televisione. Dovrebbero chiudere le scuole e le Università per qualche settimana. Io, nel frattempo, ho qualche allievo privato che non se la sente di venire a lezione! Accetto la cosa ma penso anche che molta gente si faccia prendere presto dal panico! Io prendo i miei giusti accorgimenti e tutto questo presto finirà.
Tutto presto finirà.
No, tutto inizia in quel momento.
Di lì a una settimana chiudono le scuole al Nord, cominciano ad esserci le prime vittime! Qualche altro giorno e il governo vara un decreto per tutta la Nazione: scuole chiuse fino al 03 aprile. Ma io dovevo partecipare al ritiro di un premio Internazionale, uffa! Speriamo almeno che possa andare in crociera dopo Pasqua e poi ho la laurea in Scozia della figlia della mia amica a metà giugno. Tutto si sistemerà per quelle date, ne sono certa!
Anche i sindaci della Sicilia dicono scuole chiuse, e migliaia e migliaia di giovani studenti che non avevano visto l’ora di ‘uscire’ dal guscio materno andando a studiare al Nord, in flotta decidono di ritornare dai loro cari genitori, per nostalgia, per paura, ma provengono da una zona rossa, non c’è tempo, scappano con aerei, pullman, treni, auto e si riversano in Sicilia! Il Presidente regionale della Sicilia decreta ‘Sicilia Blindata’ non può entrare più nessuno…ma già sono tutti qui!!! E hanno avuto l’ardire di festeggiare il loro rientro con gli amici per pub e discoteche! Ci stiamo contaminando anche qua! Centri commerciali chiusi, …utilizzare le mascherine quando si esce …NON scendere nelle proprie abitazioni estive …NON fare passeggiate o sport all’aperto …NON andare a fare shopping, solo per beni strettamente essenziali …NON incontrarsi con amici al bar …NON invitarli a casa …tenere la distanza minima di sicurezza di un metro …NON abbracciare …NON baciare …NON USCIRE.
… IO STO A CASA …
… Flash mob dalle nostre case alle ore 18: cantiamo o suoniamo un brano tutti insieme per essere UNITI se pur distanti …NON USCIRE!
E adesso dov’è il noi?
Chi sono ‘noi’? Prima erano gli amici, la comitiva, i colleghi, il giornalaio o il barista, la parrucchiera o l’estetista!
E io? Adesso cosa faccio io? Sono COSTRETTA a stare a casa, come riuscirò a resistere? Sarà una noia mortale! E non uno – due giorni, settimane, forse mesi! Non posso crederci! Da scuola mi hanno fatto mettere in ferie forzate!
Il mio sbigottimento per questo improvviso cambio di rotta nella mia vita così abituata ad essere priva di spazi, piena di orari, di incastri, di impegni, ricca di persone con cui ero giornalmente in contatto!
Eppure ad oggi sono passati dieci giorni dall’isolamento totale con il mio mondo e devo dire che tutto si è riequilibrato, riarmonizzato, rivisto e rivalutato.
Come trascorro le mie giornate? Beh, innanzitutto la mattina appena mi alzo ho tempo per pensare un po’ al mio viso: dopo aver pulito a fondo la mia pelle, mi passo uno strato di crema e ho tutto il tempo che voglio per spalmarmela per bene, massaggiando ogni singola cellula del mio viso, mi guardo allo specchio, in questi giorni ho notato che mi sono spuntati cinque capelli bianchi, che ridere, se non avessi avuto questo tempo in più non me ne sarei neanche accorta! Dopo vado in cucina, preparo con calma la colazione a mio marito e a mia mamma che ancora dormono. Appena tutto è pronto, sveglio mio marito con più dolcezza rispetto a prima che avevo tanta fretta, adesso ho del tempo in più, e lo chiamo con tanti nomignoli simpatici e, anche per lui, la mattinata inizia meglio vedendomi così serena e distesa. Poi vado da mia madre, le chiedo come sta, le do un bacio e l’accarezzo, mentre lei mi sorride nell’aver ritrovato una figlia meno scontrosa e agitata. Le alzo la serranda e l’aiuto ad alzarsi: da quanto tempo non mi occupavo di lei! Adesso ho tempo per accudirla tranquillamente. Doveva aspettare che arrivasse la badante, ma adesso ho tempo e quindi lo faccio io. Saluto mio marito che va al lavoro, purtroppo non ci baciamo e abbracciamo neanche più da quando c’è ‘Corona’ in agguato, in quanto lui fa l’infermiere e mantiene con entrambe noi una distanza di sicurezza. Però con lo sguardo e la voce sento che ci accarezziamo anche più di prima. Dopo colazione, rigorosamente fatta con i miei cari, faccio uscire la mia cagnolina Alba: adesso ho tempo per portarla a spasso e farla gironzolare anche un po’ di più e lei, la mia piccolina, si è abituata al fatto che sia prima, quando dobbiamo uscire, perdo un po’ di tempo per indossare la mascherina, i guanti, il cappellino e la sciarpa, e sia dopo, al rientro, al fatto che devo igienizzarla con fazzolettini antibatterici imbevuti. Successivamente, avendo tempo a sufficienza per dedicarmi alle faccende domestiche comincio col rassettare la mia stanza da letto e non vi dico quante cose ho ritrovato che erano nascoste tra mille carte mai rassettate o infilate dentro un cassetto un po’ troppo in disordine! Ma come mi sta piacendo sanificare la mia casa, adesso sì che me la sento mia. Riesco anche a trovare dove sono le forbicine o il mestolo rosso, dove si trovano tutte le spezie o quel cerchietto giallo che non riuscivo più a trovare! Pensavo me lo avessero rubato, che sciocca! Era solo messo fuori posto.
Finalmente adesso ho tempo per fare gli esercizi giornalieri con la voce: ho iniziato un nuovo percorso di studio di canto tramite la tecnica del VoiceCraft, un metodo dove si prende consapevolezza del proprio organo fonatorio, in quanto si è studiato il vocal tract e il piano glottico con una semplice laringoscopia effettuata mentre i cantanti emettevano suoni. Da questo studio si è compreso come tutto dipenda dai comportamenti della laringe e delle corde vocali vere e false. Si tratta di un metodo che insegna a usare le diverse strutture necessarie per cantare. Ci metto circa un’ora e mezza per eseguire questi esercizi che prima del ‘Corona’ li facevo solo dall’insegnante, una volta a settimana! Non avevo tempo! Adesso, invece, studio tutti i giorni e ho scoperto che la mia voce sta migliorando ed evolvendosi velocemente. Il tempo che sto dedicando a me stessa è veramente salutare e produttivo! È l’ora di pranzo, mi sbrigo a cercare ricette sempre nuove e succulente per mio marito che sta intraprendendo un nuovo regime alimentare dove può, consentitemelo di dire, strafogarsi a più non posso, ma con un alimento per volta, con in più tutte le spezie che vuole. Non è certo facile andare alla scoperta di ricette monoalimenti, ma ne ho trovate abbastanza e, avendo tempo in più, posso dedicarmi alle ricette culinarie. Cuori di carciofi grigliati, gamberoni con limone e curcuma, filetti di merluzzo in umido con la salvia, macedonia di kiwi-mele verdi, pera e noci, frittate con asparagi o cipolla, galletto allo spiedo con aromi, etc. Sono veramente stanca, non ho avuto un attimo per annoiarmi, pazzesco, e ancora sono soltanto a fine mattinata! E io che mi preoccupavo di come trascorrere il tempo senza tutti i miei impegni! Incredibile!
Il pomeriggio presto, posso dedicare del tempo a scrivere: non mi manca certo il tempo per poter scrivere un altro libro, era da un po’ che ci pensavo, ma avendo le giornate tutte quante prese da mille impegni, sinceramente non sapevo quando poterlo iniziare. Ma adesso è diverso: mia mamma e mio marito amano fare il pisolino pomeridiano, e io, che non ho mai amato questo momento, sentendomi spesso un leone in gabbia, ho tutto il tempo per potermi mettere davanti al computer e liberare la mia mente e condurla verso mondi inesplorati del mio intimo, del mio IO più nascosto e ancestrale, dove le storie vere diventano racconti e poesie, dove il reale si mischia con l’immaginario, dove tutto è vero e tutto non lo è, un mondo dove le parole diventano immagini e l’interiorità diventa parola. Le parole mi scorrono come un fiume in piena nella testa, si trasformano in ciò che vorrei e che non è e quello che è, si trasforma in idee possibili e in immaginazioni sempre più reali che cullano il mio cuore affannato e stanco, lo calmano, lo sedano, lo ricompongono fino a divenire universo di serenità e tranquillità, nostalgia di un passato apparentemente lontano che mi sta sfuggendo di mano, che si sta dissipando davanti ai miei occhi increduli per tutto quello che sta accadendo. La mia fantasia fortunatamente è ancora intatta e mi permette di canalizzare le mie angosce momentanee in un turbinio di belle sensazioni nitide e concrete che si traducono ora in canzoni, ora in monologhi, ora nella stesura di un racconto. Sono trascorse già due ore da quando mi sono seduta davanti al computer; chi mi ha destata è stata la mia cagnolina che, con i suoi atteggiamenti, mi ricorda di aver dimenticato di farla uscire per la passeggiatina pomeridiana. Aspetta un attimo Alba, il tempo che mi imbacucco a mo’ di befana o, come dice mio marito, un abbigliamento da ‘Oddio non toccarmi!’ e conduco la mia piccolina fuori casa per i suoi bisognini. Che silenzio! Non passa nessuno, si sente solo un cane che abbaia dal terrazzo della sua abitazione. Per un attimo chiudo gli occhi e provo a immaginare di essere nella distesa di un prato, lontano dal ‘vociare’ della città, dove si respira un silenzio incantato …ma lì, però, si ascolterebbe il brusio delle foglie mosse dal venticello, il cinguettio di qualche uccello, il frinire delle cicale, il frusciare delle foglie secche a terra per via di qualche lucertola che va a nascondersi al mio passaggio, il muggito di alcune mucche al pascolo accanto, oltre a percepire l’odore della terra e dell’erbetta bagnata dalla rugiada! Riapro gli occhi, guardo verso il cielo, è già primavera da calendario, ma non c’è neanche una rondine a giocherellare con i cirri, il loro garrito è solo un pallido ricordo dell’anno precedente, ma possibile che tutto si è fermato e tutto è silenzio? Passa una macchina, che strano! Dentro c’è una sola persona con tanto di mascherina, cappuccio e sciarpa, i nostri sguardi si incrociano per un attimo e quel che vedo è solo disorientamento e paura. Paura, sì c’è tanta paura dentro di noi e i nostri occhi, specchio della nostra anima, la proiettano fuori a chiunque ti trovi davanti, anche davanti allo schermo del televisore percepisce ansia e sbigottimento! Alba mi sta guardando, anche lei sembra particolarmente nervosa, forse sono io a trasmetterle ansia, o forse lei, animaletto intelligente e perspicace, ha ben chiaro che c’è qualcosa che non torna! Torniamo a casa, i miei ancora dormono, anche loro hanno il loro modo di vivere questa situazione surreale! Io, animale dinamico non riesco proprio a concentrarmi sul sonno, io ho bisogno di vivere, di andare avanti con i miei interessi e i miei svaghi, anche se vissuti dentro le mura domestiche. Alle 17 ho appuntamento online con la mia insegnante di canto, che bello vedere un viso amico e parlarle, anche se aldilà di uno schermo. Questa è vita! Questo mi dà la sensazione che il silenzio assordante percepito poco prima è solo un brutto momento! Iniziamo a studiare tecniche nuove e in quell’ora dimentico totalmente tutto quello che sta accadendo alla nostra martoriata Italia, Sicilia, Ragusa! Le faccio ascoltare l’ultimo brano studiato, “People” di Barbara Streisand: è rimasta molto contenta di come l’ho cantata, ancora qualche piccola imperfezione, dovuta anche a delle parti tecniche ancora non imparate. L’ora è trascorsa velocemente, ci diamo appuntamento fra due giorni, con l’invito di stare su con il morale e ‘divertirci’ a VIVERCI. Sono le 18, è arrivata la badante di mia mamma che starà fino alle 20. In questo frangente dedicherò del tempo a me e mio marito, facendo ginnastica insieme e poi un po’ di meritato relax. Rilassamento che è possibile concedermelo avendo mia mamma in compagnia e al sicuro. Chiamo mio marito e ci trasferiamo nella mia stanza di musicoterapia. Preparo la stanza: accendo delle luci da soffitto che cambiano continuamente colore e forma, accendo anche due lampade di sale, che lasciano andare un colore caldo, due alberelli, vado al computer e metto un cd di musica per il pilates. Sì oggi ho deciso di fargli fare degli esercizi di allungamento muscolare e di equilibro. Mi improvviso sua coach, che ridere! Ho già sistemato due materassini. Parte la musica. Lo sguardo di mio marito mi fa ridere di soppiatto: è un misto tra la noia e tra il “se proprio devo!”, però diligentemente segue le mie istruzioni anche se …se deve fare dieci squat, lui ne fa cinque …e io sedici; se deve fare dieci flessioni, ne fa sei …e io dodici; se deve fare sedici addominali, ne fa otto, poi si riposa, e poi ne fa altri sei …io nel frattempo ne ho fatto sedici più sedici …sempre la solita iperattiva! In verità mio marito ha accettato di buon grado il fare mezz’ora/quaranta minuti di ginnastica, solo perché ha poi il contentino finale, quello che lui denomina come ‘il bastone e poi la carota’, e cioè venti minuti di musicoterapia su una poltrona a dondola, chiamata foglia, e con in sottofondo il suono delle campane tibetane, lo steel drum e l’ocean drum, e, per ultimo, termino con o un massaggio vibrazionale con il set di 18 diapason a differenti htz, o con un cuscinone colmo di perline di polistirolo che metto sopra di lui e lo massaggio! Chiamatelo stupido! Che ridere! Lui, in verità, a tutt’oggi non è mai riuscito a rilassarsi completamente, deve sempre parlare durante questo momento di alto relax, però ieri, l’ho rimproverato e gli ho detto di stare con la bocca chiusa e godersi queste coccole! Se facessimo al contrario ogni tanto, vedrebbe come ci si rilassa! Ma no, neanche a chiederlo! Beh, comunque devo dire, ad onor del vero, che durante i venti minuti di musicoterapia, c’è uno scambio di energie molto forte, anche se io sono la parte attiva e lui la passiva, in verità mi concentro talmente tanto da ritemprarmi anche io, e poi il suono di questi strumenti, tutti intonati a 432 htz, e cioè ai suoni della natura, ti equilibra interamente. Usciamo dalla stanza in uno stato di grazia e totalmente risintonizzati. Bene, mentre mio marito si doccia, io preparo la cena per tutti e tre, ops no! per tutti e quattro, Alba deve cenare insieme a noi, e alle 20,30 ci mettiamo in tavola. Divieto assoluto di ascoltare le notizie del Tg mentre ceniamo, c’è sempre tempo per sentire gli ultimi dati, ma non certo durante un momento di serena convivialità. Terminata la cena ci sediamo in poltrona e cominciamo a fare zapping fin quando non troviamo un accordo su cosa guardare insieme: mio marito ascolterebbe tutti i talk show presenti nei vari canali, io li detesto perché gridano e litigano continuamente e, per me, emicranica, sono fonte di mal di testa, io preferirei film polizieschi tipo Criminal Minds o N.C.I.S., ma mio marito e mia mamma non sopportano tutto quel sangue, per cui alla fine optiamo per qualche film romantico o qualche documentario che tratta argomenti sulla Terra o sugli animali. Mia mamma si stanca presto e la porto a letto. Io sono l’ultima a coricarmi, avendo tempo e non dovendo andare a lavorare il giorno dopo, sto anche fino a mezzanotte e mezza/l’una. E poi mi godo pienamente il gruming della mia Alba: ha una predilezione, peraltro condivisa, di farmi tra i dieci e quindici minuti di gruming ai piedi, io distendo le gambe e lei, sdraiandosi su di me, poggia le sue zampette tra un mio piede, quasi a trattenermelo, e inizia a leccarmi il dorso, le dita, tra le dita (che ridere!), sotto e infine alla caviglia. Lei si addormenta subito dopo soddisfatta del suo operato, io con un occhietto chiuso e l’altro semiaperto, continuo a vedere, ma forse meglio dire ascoltare, il programma sintonizzato!
Un altro giorno è passato, adesso siamo a quota quindici di quarantena, io non mi sento così stressata e innervosita come molti mi dicono nelle loro lunghe telefonate fattemi, sempre per ‘ammazzare il tempo!’ che per loro non passa mai! Io in verità ho trovato un mio equilibrio, ma soprattutto ho riscoperto quanto è bello stare in casa con il pigiama e godere appieno della vicinanza di mia mamma e di mio marito. Certe volte mi soffermo a pensarci e credo che, in tutta la mia vita, non sono stata mai così tanto tempo a stretto contatto con loro. E mi son detta che, tra l’altro, mi ci trovo bene, ci siamo avvicinati di più e adesso ci comprendiamo anche solo con un micro – gesto o un furtivo sguardo. Ma quanto è bella questa complicità!

Se ci penso, fino a ieri non avevo tempo per:
– andare in giro per locali o bar e divertirmi …”mi manca il tempo …”;
– andare a fare un giro nelle campagne vicine a raccogliere qualche verdura da cucinare … “non posso! mi manca il tempo …”;
– accudire mia mamma, stare un po’ vicina a lei e parlarle, … “ma dove lo trovo il tempo! Non posso! Ho tanto altro da fare! …”
– girare per i supermercati a comprare frutta, verdura, latte, pane, …“non ce la faccio, mi manca il tempo …”;
– preparare il pranzo e la cena ai miei cari, … “ma con tutto quello che ho da fare! Mi manca il tempo …”
… oggi invece …
– adesso sì che avrei tempo per andare con gli amici a prendere un aperitivo in un bar …ma non è possibile!
– farmi una bella raccolta di asparagi o cicoria, per poi cucinarli …ma non posso!
Dobbiamo stare CHIUSI IN CASA, in quarantena, fino a nuova disposizione!
Ma ancora, ogni giorno, troppi morti si contano in Italia, non meno di 500 e più al giorno!
Che silenzio spettrale che c’è per le strade, soprattutto il sabato e la domenica! Proprio i giorni in cui c’erano più macchine in giro che strombazzavano con dentro ragazzi che tenevano la radio ad alto volume, assordante, anche fastidioso direi, o ragazzi a piedi che vociavano sguaiatamente o gettavano petardi. Che chiasso infernale che c’era!
Che silenzio infernale che c’è!
Una macchina attraversa i quartieri scandendo le ore, ricordandoci che siamo in assetto di guerra, che c’è il coprifuoco, che NON BISOGNA USCIRE ….
Parola che rimbomba costantemente nelle nostre orecchie ma soprattutto nel nostro animo frastornato e sempre più indebolito!
NON C’È PIU’ TEMPO!
Ma oggi invece ho tempo!
Ho tempo per
– alzare, pulire, vestire e coccolare mia madre … “e me ne resta di tempo …”
– preparare la colazione, il pranzo, la cena ai miei cari … “ne ho di tempo! …”
– pensare ai miei bisogni, riempirmi di attenzioni, curare la mia persona, dentro e fuori … “che si parla di tempo che ho! …”
… Adesso c’è tempo …
C’è tempo per i propri affetti, per dimostrare loro che tu ci sei, che sei presente nelle loro vite, nella loro quotidianità.
C’è tempo per se stessi, per trovare il modo di ritrovarsi, di riappropriarsi, di conoscersi meglio, di abbracciarsi e coccolarsi con quello che la vita ci dà, senza cercare di riempirsi le giornate per non pensare o per paura di ascoltare troppo il proprio silenzio interiore.
Io, dal canto mio, ne ho approfittato per coltivare quelli che sono i miei veri interessi: l’amore, la musica, la scrittura.
• L’amore, come spesso io stessa dico al mio partner, deve essere una pianta dove fioriscono dei bei fiori colorati e profumati. Affinché questo sia possibile, bisogna innaffiarla ogni giorno con acqua e pillole di lealtà, recidere le parti malate o infettate dalla routine, accarezzare e parlare ai fiori nascenti con delicatezza e rispetto.
• La musica, è stata per me il mio alimento e nutrimento. Mi sono cibata di ogni genere musicale, pur avendo più cura nell’innamorarmi di ciò che maggiormente mi abbia trasmesso emozioni forti e mi abbia fatto viaggiare in mondi lontani e incontaminati.
• La scrittura, mi ha dato la possibilità di riaffermare me stessa, ma anche di rielaborare le mie difficoltà e le mie incertezze; mi ha dato modo di fantasticare e creare storie, presenti da tanto tempo nella mia testa ma che non avevo tempo di tramutarle in scritti, questi stessi scritti che mi hanno dato la possibilità di guarirmi, di canalizzare i miei dolori o i miei dispiaceri in un fiume di ottimismo.
Ho scritto anche durante il Corona virus, ho voluto scrivere un racconto per i bambini, per tranquillizzarli e guardare a questo mostro con un pizzico di allegria e di positività. Ops, ho utilizzato un termine errato, almeno in questo periodo: POSITIVITA’. Ma io voglio, con questo racconto, dare un senso non demoniaco a questo termine, che da sempre abbiamo utilizzato proprio per descrivere qualcosa di bello, razionale e costruttivo. Sì, ho deciso, intitolerò questo breve racconto “Positivo, l’altra faccia della Terra”.

 

 

 

Storia di un piccolo semino

I
Come un piccolo semino

Cadde dal becco di un merlo in volo, ondeggiando tra le nuvole, portato da un venticello lieve che lo dondolava ora verso una nuvola rosata per i primi bagliori dell’alba, ora vicino a un albero secolare di carrubo, deliziato dal profumo acre dell’erbetta bagnata dalla prima brina mattutina.

Il merlo non era più vicino a lui e questo, da un lato, lo fece
sentire libero, senza più nessun vincolo , senza nessuno accanto a lui, però…che solitudine, che vuoto, che incertezza…ma dove stava andando a finire? In quale luogo sarebbe approdato?
Ecco che una folata di vento lo fece risollevare nuovamente più in alto e si ritrovò a volteggiare con una farfalla dai mille colori che le chiese di giocare con lei…ma il piccolo semino non aveva le ali e, dopo poco, si ritrovava a precipitare nuovamente giù.

Ma cosa c’era laggiù? Cos’era quel luccichio in lontananza?
E quello scroscio che sentiva? Ohhh, ma guarda, un pesciolino rosso, blu e giallo guizzava da un ruscello. Come si divertiva insieme ad altri fratelli e che armonia di colori: il sole era già alto in cielo e il ruscello scintillava coi suoi colori verde smeraldo e turchese, bombardato da questi pesciolini coloratissimi che si divertivano a giocare tra loro.
E il semino? Il semino stava cadendo proprio lì vicino, in un terreno ricco di tulipani rossi, bianchi, gialli e variegati che circondavano un grande caseggiato con un tetto verde,

recintato da muri a secco che delimitano l’intera struttura.
Accanto si distendeva una struttura molto grande dove erano sistemate tante altre piante e fiori molto diversi tra loro e dai ricchi colori. Il semino cadde proprio lì, sopra un vaso di colore bianco, con della terra fresca e accogliente, molto profumata, che lo avvolgeva con delicatezza fino a prenderselo con sé. Che bella sensazione per il semino, come si sentiva protetto e sereno dentro quel terreno morbido e profumato.

II
Luce

“Ma guarda quel girasole, ma chi ce l’ha portato? Ma quel vaso non era quello che avevi gettato via, maritino mio? Chi ha seminato quel fiore?”
Gloria proprio non riusciva a capire come mai suo marito

non le avesse detto che nel loro vivaio avesse deciso di
piantare anche fiori non delle loro zone! Ma poi, perché mai non gliene aveva mai parlato? Certo era che, avvicinandosi a quel piccolo vaso bianco abbandonato, fu grande il suo stupore nel vederlo con quel grazioso fiore dai colori così fulgidi e vivaci.
Gloria si sentì richiamata da quel fiore che cominciò a sfiorare, con la punta dell’indice solleticò i suoi arancioni e gialli petali con striature nere, sembrava quasi che, a questo tocco, i petali reagissero rimandandole una dolce sensazione di

serenità e pace, un sentimento che aveva ormai sotterrato
dentro di sé da tanto, tanto tempo e che non riusciva più a trovare nel suo cuore e nel suo animo.
Fu forse per questo, o forse perché sentiva che questo fiorellino sembrava solo e sperduto, che Gloria decise di andare a trovare LUCE, così aveva battezzato il girasole, due volte al giorno, e lo coccolava concimandolo, innaffiandolo e lucidandogli le foglie.
Di contro il fiorellino era un ottimo ascoltatore e Gloria gli raccontava tutte le sue amarezze, delusioni e tristezze della

vita. Tutto questo era ormai diventato un rito. Il fiorellino
aspettava ormai questi momenti e viveva solo nell’attesa di scorgere il viso di quella pallida donna triste che riusciva a essere tenera e generosa con lui.
A volte LUCE, nel suo silenzio, gli porgeva delle domande e sembrava che lei lo sentisse perché spesso gli rispondeva. Una volta LUCE si chiedeva come mai si chiamasse girasole e, mentre stava pensando a ciò, Gloria gli disse:
“Caro LUCE, voglio raccontarti la storia del tuo nome. Devi sapere che ti chiami girasole perché, per tua natura, tu volgi lo

sguardo sempre verso il sole. La leggenda racconta che una
ninfa era molto innamorata del dio Sole, chiamato Apollo. Questi, dapprima le fece credere di ricambiare ma, appena lei cedette, lui la abbandonò per andarsene con sua sorella. Allora lei andò in un campo e pianse per tanti giorni finché il suo corpo si irrigidì e si trasformò in uno stelo duro e la sua bionda chioma di capelli divenne un fiore che continuò a volgere lo sguardo verso il suo amato dio Sole”.

III 
Il sacrificio

LUCE si svegliò di soprassalto quando sentì che delle mani sollevavano lui e il suo vaso bianco con la chiara intenzione di portarlo chissà dove.

Quanti pensieri affollarono in un attimo il suo animo: Cosa
volevano fargli? Dove volevano portarlo? E se lo volevano buttare via?
Cautamente aprì un occhietto impaurito e quale fu la sua sorpresa nel vedere che chi l’aveva preso era Gloria. Era una Gloria diversa, però: ben vestita, truccata, con un buon profumo di lavanda, delle scarpe con tacchetto rosse e un bel sorriso stampato in faccia; aveva un’aria diversa, sembrava di buon umore e anche molto decisa in quello che si apprestava a fare.

Ma cosa voleva fare? Come al solito, Gloria, ascoltando i
pensieri di LUCE, dolcemente gli disse: “E’ arrivato il momento che tu conosca i tuoi fratelli, devi stare con loro. Sono sicura che questo ti renderà felice, ti vedo un po’ smorto in questo periodo, e poi non cresci come dovresti, i girasoli sono alti e tu sei rimasto troppo piccolo. Ora avrai ciò che è giusto tu abbia.”
LUCE era incredulo alle parole che aveva ascoltato. Ma che donna era questa Gloria? Era una fenomeno. Era da tanto che in effetti voleva conoscere il posto dove era nato, ma, soprattutto, stare in mezzo ai suoi fratelli e lei? Lei aveva capito tutto, aveva

capito lui, un piccolo semino diventato girasole che non sapeva
parlare! Che donna, donna Gloria!

Dopo diverse ore di viaggio su una stanza che si muoveva su quattro ruote, che poi Gloria gli spiegò chiamarsi auto, LUCE spalancò gli occhi quando si trovò dinanzi una distesa immensa di fiori simili a lui, come lui, su un vasto terreno. I fiori lo salutarono tra tante vocine stridule e allegre dandogli il benvenuto. Gloria lo prese e lo poggiò con tutto il vaso in mezzo a loro, LUCE la vide asciugarsi una lacrima, ma era sorridente e gli augurò tanta felicità.

IV
L’amore di un semino

Ero un piccolo semino portato via da un merlo come pasto per i suoi figlioletti, ma il destino ha voluto, per me, che continuassi a vivere, ma non dove nacqui, ma in un paese più

lontano, tra mani che mi hanno curato con amore e tenerezza,
regalandomi tanto affetto, senza chiedermi nulla in cambio. Fino all’ultimo, nella sua grande generosità, ha voluto ridarmi alle mie origini, pensando che questo mi rendesse felice, ed è stato così.
Sono felice di stare vicino ai miei fratelli, sono felice di essere in un campo anziché chiuso in una serra, però lei mi manca, mi manca tanto. Mi manca la sua voce, il solletico delle sue dita, le sue lacrime che, a volte, bagnavano le mie chiome, mi mancano le sue chiacchierate e le sue storie. Mi manca lei.

Lei mi ha regalato tutto di lei e adesso mi ha regalato anche la
sua assenza per regalare la mia libertà, ma per me è tremenda e mi fa soffrire tanto. Vorrei almeno che mi venisse a trovare, a toccare, a parlare, almeno qualche volta, perché lei è stata parte importante della mia vita, è la mia vita e vorrei che ne facesse parte ancor di più adesso che sono felice di essere nel mio ambiente e coi miei simili.

Sono passati diversi mesi, il girasole non era cresciuto di più, Gloria era ripiombata nell’apatia e nella tristezza. Il marito,

allora, decise di riandare a riprendere LUCE e riportarglielo.
Arrivato sul posto gli venne un lampo di genio e, una volta recuperato LUCE andò a comprare altri semini di girasole promettendo a se stesso di mettere su un campo di girasoli anche nel suo vivaio….e così fece
LUCE adesso era un girasole gigante che si distingueva tra gli altri. Il campo era in una posizione strategica: difronte la stanza di Gloria: ogni mattina, alle prime luci del giorno, Gloria dalla finestra della sua stanza solleva il braccio verso LUCE e gli dà il buongiorno prima di raggiungerlo e potersi coccolare a

vicenda.

 

 

 

Tratto da “Storia di una diversa”

“Mi chiamo Maria Chiara, dall’età di quattro anni, però il mio nome è Matilde. Sono nata da una grande storia di amore. Ho vissuto i miei primi tre anni in un orfanotrofio. Mia madre naturale non mi avrebbe voluto abbandonare, è stata costretta. Un giorno la troverò. Oggi sono Matilde e ho deciso di cercare le mie radici, però in punta di piedi, senza far male a chi mi ha cresciuto con amore e dedizione. Oggi son pronta.”

La ricerca
Erano ormai anni che con il mio avvocato cercavamo vari modi per avere tracce sulle mie origini, ma sembrava quasi che, ad ogni strada percorressimo, ci fosse una qualche difficoltà o chiusura che non permettesse l’accesso ad alcune informazioni.
In un primo momento l’avvocato pensò di aggirare le vie legali tramite conoscenze ecclesiastiche che ci permettessero di scoprire come mai fossi nata a Firenze e quali agganci ci potessero essere tra un mio padre biologico e colui il quale ha reso possibile ai miei genitori adottivi di prendermi prima in affido e poi adottarmi, ovvero il magistrato di origini sicule trasferitosi a Firenze alla Corte di Cassazione. Dopo alcuni mesi, però, il risultato, ancora una volta, fu il buio assoluto.
Fu in quella occasione che, ormai stanca, ma soprattutto preoccupata dello scorrere del tempo che non mi permettesse di poter trovare i miei genitori naturali in vita, decisi la via più semplice: rivolgermi a una trasmissione televisiva che, tra l’altro, seguivo da decenni, nell’agognata speranza che qualcuno, dall’altro capo dell’Italia, mi cercasse. Scrissi una mail a una redazione televisiva, in cui raccontai in modo accurato, ma sintetico, la mia storia e fu grande la mia sorpresa nel leggere, solo dopo pochi giorni, la loro risposta dove mi dicevano che ormai non si occupavano molto di questi casi ma che, in considerazione del fatto che, in quei mesi, avrebbero celebrato l’anniversario degli “orfanelli”, la mia storia, come si suol dire, “cadeva a fagiolo”, e quindi mi avrebbero contattato di lì a breve per concordare un incontro con loro.
Ancora una volta, io ne fui spaventata. Sì. Ogni volta che mi si presentava dinanzi la prospettiva di conoscere la verità, mi succedeva una cosa stranissima: da un lato ero emozionatissima e felice perché la verità era vicina, ma, dall’altro lato, la paura mi attanagliava le viscere e mi imprigionava il desiderio di fuggire il più lontano possibile, perché la verità poteva essere dolorosa, e, forse, malgrado tutto, era meglio non sapere!

Che strana la mente umana! Ma per chi, come me, è figlia adottiva questa sensazione la conosce bene. L’ambivalenza emozionale del voler sapere/non sapere è qualcosa che ci contraddistingue. E poi c’è una sorta di muta colpevolizzazione nei confronti dei genitori adottivi, quasi come se il nostro desiderio di ricerca delle nostre origini fosse un pugnalare il grande amore incondizionato che ci hanno dato. Come se noi li tradissimo, come se, nell’attimo stesso in cui solo sentiamo il desiderio di conoscere i nostri genitori naturali disconoscessimo loro e non apprezzassimo ciò che loro hanno fatto per noi. È un dolore troppo grande che causiamo a loro e che a noi torna amplificato al mille per mille, facendoci sentire delle fecce, degli ingrati, degli indegni.
Comunque, tornando a noi, la redazione mi chiamò dicendomi che erano disposti a scendere a intervistarmi anche dopo due giorni: PANICO! Chiesi se potevano oscurare il mio volto. Ovviamente no! Mi diedero quarantotto ore di tempo per decidere se voler fare l’intervista o meno e, come era prevedibile, decisi di no. Non potevo fare un torto così grande a mia madre, tra l’altro ormai così avanti con l’età. Tutta l’Italia avrebbe visto e conosciuto la mia storia con il mio viso bello in mostra. No, non era possibile. E poi? Se dall’altra parte non sapessero nulla? Avrei scatenato un putiferio! Non era possibile!
Rassegnata da questa ennesima delusione decisi di procedere per vie legali, con i tempi opportuni, anche se lunghi, affidandomi al buon Dio.

La verità
Dopo circa due anni e mezzo, dal tribunale dei minori venni chiamata per riferire le informazioni che ho in mio possesso, cosicché possano procedere alle ricerche. Tra l’altro mi dissero che da diversi anni aspettavano nell’imminente una sentenza che rendesse più facile al figlio adottivo la procedura di ricerca della madre naturale.
Dopo quasi un anno arrivò l’agognata telefonata. Mi telefonò un funzionario un po’ stizzito perché non mi ero presentata all’udienza di quel giorno, di cui mi avevano avvisato tramite mail ma che io non avevo ricevuto. In pratica avevano notizie da darmi in merito alla mia ricerca. Dopo anni e anni che attendevo, finalmente potevo avere le mie prime risposte e la mail non mi era arrivata! Non potevo crederci! E per giunta, venivo anche rimproverata della mia assenza! Io, che avevo passato decenni su decenni aspettando questo momento! Non potevo crederci! Mi sentivo così sfortunata!
Però non tutto era perduto. Mi passarono al telefono proprio il magistrato: era una donna di una dolcezza infinita, che mi comprese subito e concordammo insieme un altro appuntamento, ma sarebbero passati altri quindici giorni. Quindici giorni! Ma come era possibile? Avrei potuto saperlo quel giorno stesso! E invece sarebbero dovuti passare quindici giorni! Ma erano tantissimi! Ma come dovevo fare? Non riuscivo a rassegnarmi all’idea di dover aspettare così tanto. Per me erano come quindici anni! Non potevo crederci!
Ma il magistrato era una donna.
Il magistrato era una donna sensibile.
Il magistrato era una donna sensibile e di cuore.
Il magistrato aveva ascoltato anche dietro le mie parole, le mie angosce e le mie frustrazioni.
Inaspettatamente, dopo un giorno, mi arrivò una mail. Arrivò dal tribunale dei minori. Era una mail di dieci fogli. Iniziai sedendomi. Cominciai a leggerla.
Senza che me ne accorgessi, il mio cuore cominciò a battere sempre più lentamente, fino quasi a fermarsi, il mio respiro si bloccò, le mie mani cominciarono a sudare, la mia bocca si aprì nello sforzo di comprendere quella lunga mail piena di citazioni di leggi, articoli e commi che non giungeva mai a una conclusione, a una notizia, a quella notizia, quella che aspettavo da così tanti anni.
Il mio cuore si fermò. Il mio respiro si fermò. La mia bocca ancora aperta venne coperta dalla mia mano per soffocare un grido disperato. Gli occhi si bloccano dinanzi a una frase inequivocabile “La madre è morta nel 1992”.
NO! NO! NO! NO! NO!
Tutti i miei sogni!
Infranti!
Goccioloni caddero dai miei occhi pietrificati. Ero tutta contorta in un dolore straziante, che quasi mi impediva di respirare. Avevo come dei sussulti in tutto il corpo… Poi, finalmente, esplosi.
Mia madre è morta. Non avrei mai potuto mai vederla, sentirla, ascoltarla. Era tutto finito, finito, finito!

MADRE
Occhi negli occhi
emozioni dopo emozioni
le tue labbra, il tuo sorriso
la nebbia del non sapere
sempre più offusca la mia identità.
Tu, donna, mi hai messo al mondo
Ma tu non ci sei più
Giammai potrò sentire la tua voce
Giammai conoscerò la nuda verità
Giammai saprò, saprò, saprò.

TU
Occhi che non vedono
mani che non sfiorano
risate che non si sentono
lacrime che non si asciugano.
Il tuo cuore batte le ore
I giorni, i mesi, gli anni
ma tu sei solo anima
che non riesco a sentire
che non riesco a percepire.
Tu immagine sfocata
senza alcun ricordo
senza alcuna emozione
solo il solco del tempo
che irrefrenabile non ci ha uniti
ma ha lasciato dividerci
tra terre e mari
tra monti e valli
in un turbinio di sensazioni
che solo vuoto e tristezza portano.
Vorrei conoscerti
vorrei abbracciarti
adesso sì che ti sento
sei qui nel mio cuore
e stai piangendo
mi stai straziando
sento la tua sofferenza
sento il tuo grande amore
che ci ha portato via
pezzi di cielo da condividere
strade da percorrere insieme
Tu, mia madre.

L’appuntamento
Dopo questi lunghi attimi di smarrimento e desolazione in cui coinvolsi mio marito con la più grande amarezza melodrammatica che mi contraddistingue, decisi di comunicare tutto al mio avvocato, rimarcando, tra l’altro, la mia totale convinzione che, a questo punto, le mie ricerche sarebbero state sempre più complesse.
Andai, dopo quindici giorni, all’appuntamento, con lo stesso animo contrito e leopardiano dei giorni precedenti e fui accolta da due occhi azzurro cielo carichi di dolcezza e pieni di accoglienza della mia sofferenza. Il magistrato, appunto, mi spiegò che si era sentito in dovere di mandarmi la mail prima dell’appuntamento per darmi il tempo di metabolizzare la notizia appresa, comprendendo quale turbamento io possa avere avuto da tale notizia. L’umanità di questa donna ha reso questo momento doloroso, bellissimo. Conservo questo ricordo nella mia memoria e lo immagino simile a quello di una mamma che culla il suo bimbo in grembo mentre piange a dirotto e, pian piano, con la serenità trasmessa dalla sua nenia e il suo dondolio, il piccolo si quieta e riesce ad addormentarsi serenamente e beatamente al caldo abbraccio calmo e tenero dell’accudente madre.
Quel giorno, per la prima volta, mi è stata donata in mano la mia prima cartella clinica, quella della mia nascita, e, mentre una lacrima solcava il mio viso, mi sono intenerita nel vedere l’impronta del mio piedino, nel conoscere il mio peso, nel conoscere l’orario di quando sono nata e come sono nata. Il magistrato mi chiese se questo mi rendeva felice, se secondo lei aveva fatto bene a darmi queste notizie, tutto questo me lo chiedeva in quanto io ero il primo caso dopo la pubblicazione della nuova sentenza che dava più possibilità al figlio adottivo di cercare le sue origini. Io, dunque, ero il primo caso e lei voleva sincerarsi con me che le decisioni che avevano preso fossero state per me, parte adottata, giuste e soddisfacenti. Che tenera! Questa tenerezza mi ha portato ad alzarmi dalla sedia e chiederle se la potevo abbracciare e ringraziare di tutto. Fu un abbraccio silenzioso dove le parole volteggiavano sopra di noi e i nostri palpiti danzavano insieme in una sinfonia di complicità e fusione di emozioni. Che bel momento, bello e triste, sereno e tormentato, dolce e amaro, splendido.

Mia madre
Sconvolgente è stato scoprire, dallo stato di famiglia, che mia madre naturale risulta essere rimasta vedova due anni prima di morire, a soli 49 anni, povera, e di non aver avuto altri figli. SOLO IO! Lei ha avuto solo me. Mamma, hai avuto solo me! Ma, allora, mi avrai pensato qualche volta, ti sarò mancata! Avrai avuto il desiderio di sapere di me? Ma non hai chiesto mai a nessuno di cercarmi? Perché non mi hai preso con te quando ti sei sposata? Perché? Certo, però, se hai avuto solo me, però, che sventura! Ti avrebbe sicuramente fatto piacere vedermi! Sai, anche a me, madre! Sentire almeno una volta la tua mano sul mio viso. Chissà se era liscia o rugosa! Sentire la tua voce! Chissà se era squillante o suadente! Sentire il tuo sguardo su di me! MALEDIZIONE!

TU DONNA
Cara donna sfortunata
presto verrò a trovarti
ti amerò di un amore immenso
per il grande sacrificio che hai dovuto sopportare
ti amerò perché so che hai tanto sofferto
ti amerò perché io sono te
e ti amerò di un amore sconfinato.
So che tu da lassù stai sorridendo
finalmente la tua amata ti bacerà
ti accarezzerà, ti amerà.
Mi spiace non averti dato la gioia su questa terra
Ma, tu da lassù, mi amerai senza confini
Senza più nasconderti
Senza più bugie
Senza più limiti.
Ti amerò e ti ringrazierò sempre
Perché grazie al tuo sacrificio
Io ho vissuto nell’agiatezza e nell’amore
Duplicato, triplicato da mamma, papà, zia, nonna.
E tu? Cos’è stata della tua vita?
Neanche la gioia di stringere al tuo seno
un figlio, una figlia… me!
Ti amerò perché meriti di essere amata
Amerò tutto di te
Il tuo cuore
Il tuo rimpianto
Il tuo triste sorriso.
Ti amerò e ti verrò a trovare
Cara donna sfortunata.

Ho saputo dove sei stata sepolta. Adesso mi organizzo per venirti a trovare. Almeno per depositare un fiore sulla tua tomba. Per accarezzare la tua foto. Per vedere il tuo volto. Per rispecchiarmi nel tuo volto. Per versare lacrime sulla tua tomba. Per gridare forte il tuo nome. Per dirti quanto mi dispiace che la vita non ci ha permesso di incontrarci tra i vivi! Per ringraziarti di avermi protetto da lassù e per dirti che, adesso, puoi sorridere da lassù perché io ti ho trovato, mamma.
Lo scorgere per la prima volta il tuo volto è stato un vero trauma per me. Ti ho dipinta nel mio immaginario così tante volte.
Ti vedevo alta e snella, con occhi verdi, così come qualche incauta donna amica di famiglia mi aveva voluto far credere.
Adesso sei qui, davanti ai miei occhi, purtroppo in bianco e nero, ma già così, si vede tutta la tua bellezza, tutta la tua raffinatezza, tutta la tua delicatezza. Però non mi vedo somigliante a te!
Aspetta, mamma, mi faccio una foto col cellulare e mi faccio una sovrapposizione. Forse il sorriso. Sì, forse la bocca ce l’abbiamo uguale. Gli occhi? No, non ce li abbiamo uguali. Neanche il naso. Mamma sei proprio bella. Bella e delicata. Però hai un sorriso così mesto!
Quanto ho sognato questo momento…
Sono passate due ore, non me ne sono neanche accorta, sono ancora qui a fare prove e riprove tra il tuo e il mio viso, mi trucco come sei truccata tu in foto, può darsi che così la somiglianza sia più evidente. Sono ridicola, ridicola davvero!
È vero che in questi casi l’età si annulla: puoi averne 18 oppure 60, ma se si tratta di conoscere il tuo passato di cui fino a ieri non ne avevi il benché minimo indizio, ti appelli alle minuzie, ai piccoli particolari che per te rappresentano macigni di certezze e speranze anche se agli occhi degli altri possono essere sciocchezze e futilità. Comunque anche questa è stata un’altra grande conquista. Adesso quando parlo della mia mamma naturale ho davanti a me un volto, ho chiara davanti a me una caratteristica ben precisa di persona, è una conquista magnifica per me.

Colloquio con mia mamma
«Ciao mamma, sono qui», un sorriso amaro dipinge il mio volto.
«Tesoro mio, tesoro mio, mi hai trovato!», un singhiozzo sordo le batte in petto.
«Mamma, mammina mia, come sono felice di averti trovato, ma perché sei morta così presto, perché? Non ho fatto in tempo ad abbracciarti, a stringerti forte e singhiozzare con te!»
«Cuore mio, quanto ti ho pensata, quanto avrei voluto abbracciarti ancora, tenerti stretta sul mio grembo, gioia mia»
Ora il mio cuore colmo di lacrime non ce la fa più, e un pianto dirotto mi pervade, e un grido sordo: «Mamma, ma perché, mamma! Oh mamma, mammina mia»
«Figlia mia. Che bello sentire la tua voce che mi chiama mamma, come sono felice! Adesso la mia anima è serena, ti ho ritrovata, figlia mia»
«Mamma, perché non mi hai tenuta con te? Perché non hai lottato per avermi, perché? Io ho sofferto tanto dentro quelle mura alte, grandi e fredde senza il calore del tuo corpo! Perché mi hai abbandonata?»
«Non mi accusare, tu che non sai. Tu che non hai visto cosa è stata la mia vita senza di te! Mi sono annientata nel dolore e molte volte mi sono accusata di non essere stata abbastanza coraggiosa da lottare contro tutti per tenerti con me!»
«Mamma è il dolore che mi fa parlare così. Adesso che tu non sei più qui su questa terra, chi mi racconterà di te? Chi mi dirà quanto mi hai pensato realmente? Quanto il tuo cuore è stato triste per non avermi avuto?»
«Tesoro posso dirti solo di non fermarti nella ricerca, io ti aiuterò a scoprire il perché è successo tutto questo. Spero che un giorno mi perdonerai. Io ti ho voluto bene fino alla mia morte. In cuor mio speravo che tu mi cercassi, ma sei arrivata tardi!»
«Mamma sono stata bene nella mia famiglia adottiva, non volevo ferire i miei, cercandoti, ma nello stesso tempo avevo una voglia matta di conoscerti e di amarti in vita! Sono stata una codarda! E adesso? Adesso possiamo parlare qui in questo luogo freddo e triste!»
«Quante parole! Basta! Dimmi che mi vuoi bene e io finalmente potrò dormire in pace!»
«Mamma ti amo e vorrei stare con te in eterno qui. Mamma stanotte culla il mio corpo stanco e affaticato. Io ti riempirò di baci e di strette così forti da farti scoppiare il cuore. Voglio amarti con tutto il mio cuore»
«Figlia mia, Oh figlia mia, lo farò da oggi e per sempre. Ti amo»
Le mie origini
Nel frattempo, con l’avvocato, iniziammo ad avviare le pratiche per sapere se, almeno, avessi degli zii o dei cugini. Dopo qualche settimana dal rientro dall’aver salutato mia madre al cimitero ebbi un’altra sorpresa: non era figlia unica. Aveva altri fratelli e sorelle, alcuni deceduti, altri trasferitesi tutti in un’altra città del centro Italia. A quel punto la mia indole impulsiva ha preso il sopravvento e non ho resistito più alla tentazione e, grazie ai social, mi attivai subito alla ricerca di persone con lo stesso cognome di mia madre residenti in quella città. Mi si aprì un mondo. Quante persone! Quanti giovani! Ma la cosa sconvolgente, quante persone mi somigliavano, Dio mio, alcune sembravano la mia fotocopia! Cominciai a piangere a dirotto, non era possibile vedere occhi uguali ai miei, bocche uguali alla mia, persino attaccature dei capelli uguali alla mia o le macchie sul viso! Ero incredula! A quel punto, senza neanche stare lì a pensarci tanto, presi il mio profilo, postai una delle mie foto più recenti, sotto aggiunsi la foto della mia mamma naturale, cambiai il mio cognome mettendo quello di battesimo (cognome di mia madre naturale) e cominciai a fare richiesta di amicizia all’impazzata. Ad alcuni di loro, però, in più, mandai anche un messaggio: “Ciao, sei originario di………, conosci la donna che ho postato sul mio profilo?”
Ero impazzita ed elettrizzata.
Dopo qualche ora un ragazzo mi rispose: “Era la sorella di mamma”
Ce l’avevo fatta.
Ci ero riuscita.
I social mi avevano aiutata, mi avevano dato una grande mano.
Avevo fatto centro.
Adesso dovevo solo raccontare tutto e conoscere, conoscere, conoscere.
Gli risposi subito di getto, spiegandogli che ero la figlia naturale di sua zia, che mi scusavo di essere stata così diretta ma che non sapevo quale modo trovare per dirglielo, dopodiché gli chiedevo se gli andava di sentirci.
Ma, ahimè, a tale richiesta ci fu il silenzio, il buio! Per me significò che quello che avevo detto o fatto era stato rischioso e, forse, controproducente. Avevo bruciato le tappe troppo velocemente, senza riflettere, impulsivamente. Non avevo considerato il divieto assoluto del provvedimento datomi dal tribunale, quello di non contattare parenti e amici. Il rischio, a questo punto, era diventato altissimo e di questo me ne fece presente, in modo molto deciso, il mio legale, mettendomi dinanzi la situazione. E io? Io piangevo accanto a mio marito. Disperata e amareggiata. Avevo trovato un mio cugino e per la mia impulsività l’avevo già perso!
Ma ecco che, dopo circa due ore, arrivò la sua risposta, un semplice “OK” che riaccese le mie speranze, il buio del mio cuore lasciò il posto ad arcobaleni di rose gialle, rosse, blu, verdi, indaco, e riprese a palpitare con un ritmo talmente incalzante e forte da sentirlo fuori dal mio sterno, rimbombare dentro le mie orecchie, le lacrime che sgorgavano spontanee dai miei occhi rimandavano scintillii fosforescenti e il bagliore della mia risata allegra ed esultante era contagiosa ed accompagnava il richiamo festante del nome di mio marito che si trovava ancora ad occhi chiusi immerso in un atteggiamento di preghiera esortando Dio che sbloccasse questa amara situazione per raccontargli le buone nuove.
Alle 19:26 mi telefonò, io e mio marito aspettavamo in macchina il trillo felice del cellulare che anticipò di ben quattro minuti e, con il cuore in gola dissi il mio primo pronto a quella voce sconosciuta che era mio cugino. Lui fu subito festante e mi mise subito a mio agio chiedendomi di raccontargli di me, io lo feci con molto piacere, dopodiché lui mi spiegò che sapeva della mia esistenza in quanto sua madre, in punto di morte, gli raccontò tutto. Loro sono sei fratelli, tre maschi e tre femmine, e sua madre si pentì molto di non aver preso anche me, figlia di sua sorella, come figlia (come erano sei, sarebbero state sette le bocche da sfamare!) e quindi gli chiese di cercarmi, di trovarmi. Ma purtroppo lui non aveva punti di riferimento e non sapeva da dove iniziare! Siamo stati al telefono un’ora tra commozioni e pianti, fu una telefonata liberatoria, la prima tra tante.

I giorni successivi ci sentimmo tante volte, feci la conoscenza anche con gli altri suoi fratelli, molto carini e affettuosi con me, persone molto allegre e alla mano. Dopo qualche giorno uno di loro mi fece una richiesta insolita, e cioè quella di salire il prima possibile da loro. Mi diede quasi la sensazione che fosse indispensabile salire al più presto perché c’era qualcuno che volevano farmi conoscere e che potevo non poter vedere se fossi salita più in là. Quindi spinta dal mio sesto senso decisi di prenotare subito un aereo per me e mio marito e partire la settimana successiva, ospite di mio cugino.
Arrivammo in aeroporto, lui ci venne a prendere, un po’ di imbarazzo aleggiava e in quel caso mio marito riuscì a dissipare le mie reticenze diventando estremamente loquace. Giunti a casa, mio cugino ci disse che al piano inferiore ci aspettavano i suoi fratelli i quali avevano organizzato una cena di benvenuto. Io, tanto per cambiare avevo una forte emicrania, quindi gli chiesi un attimo il tempo di rinfrescarmi, di prendermi una compressa e poi li avremmo raggiunti giù. Ero molto emozionata e trepidante per quell’incontro. Menomale che avevo il mio adorato marito accanto.
Scendemmo e tutti ci salutarono in coro con sorrisi aperti e conviviali, indicandoci di accomodarci sul divano. Pensavo che dovessimo cenare e che quindi dovessimo accomodarci attorno al tavolo, chissà perché dovevamo sederci sul divano, prima! Appena ci accomodammo tutti quanti, uno dei fratelli gemelli mi chiese se potevo raccontare loro la mia storia. Che strano, mi dissi, anziché cenare, vogliono conoscere la mia storia tutti messi in cerchio, quasi come se dovessi superare un esame, boh! In verità, io, non avevo nulla da nascondere, quindi potevo pure raccontare la mia storia.
«Sono nata a Firenze e sono stata messa, dopo essere stata battezzata, due giorni dopo, nella Cappelletta adiacente l’ospedale, in orfanotrofio.» Mentre parlavo loro si guardavano e cominciava a scendere dai loro visi qualche lacrimuccia. «So che mia madre era una bella donna di origine casertana, alta di statura, che lavorava come domestica presso una famiglia agiata di Firenze, e, in quel periodo si innamorò, ricambiata, del suo datore di lavoro, sposato e con figli…» cominciarono a guardarsi tra loro e i fazzolettini delle donne erano già zuppi di lacrime, anche gli uomini piangevano e con lo sguardo verso l’alto, cercavano di ricacciare indietro le lacrime che non smettevano di fuoriuscire dai loro occhi… «So che io con molta probabilità assomiglio a mio padre, perché mi hanno detto che lui era piccoletto, e io sono piccoletta come lui, e, comunque sia, so che mia mamma non mi ha potuta tenere, anche se non ha avviato subito le pratiche per l’adozione, perché forse sperava di trovare un altro lavoro per potermi riprendere con sé, ma non c’è riuscita!» Una delle mie cugine non riusciva a stare ferma, lanciava continuamente occhiate alle altre, piangeva a dirotto, e mi guardava con compassione. Certo la mia storia è struggente, capivo che si immedesimassero tanto, che erano veramente delle brave persone, molto empatiche, ma anche troppo! E poi, vedere anche gli uomini così commossi, mi faceva veramente sentire a disagio, vedere i loro occhi gonfi, i loro nasi rossi, le loro espressioni contrite e dispiaciute, davvero, me li faceva rendere speciali. Però non capivo tanta commozione! Conclusi la mia storia dicendo che, il non aver potuto conoscere mia madre per me è stato un duro colpo, anche perché, adesso, sapevo che la mia ricerca finiva lì: lei non aveva avuto altri figli, quindi non avevo altri fratelli, e poi, cercare il padre era praticamente impossibile! A quel punto una di loro mi disse di calmarmi un po’, di bermi un po’ d’acqua, di rasserenarmi un po’ e di prendermi la bottiglia d’acqua e accomodarmi vicino a lei con mio marito accanto. «Adesso» mi dissero «stai tranquilla seduta che ti raccontiamo la nostra storia…» E si guardarono tra di loro. Era uno sguardo complice che mi fece gelare il sangue. Capii in quell’istante che loro mi avrebbero raccontato la loro di verità, la loro storia, ma che in quella storia io c’ero dentro e il mio cuore si fermò nell’attesa di scoprire…

Ora so
Chi prese la parola fu il gemello grande. Fu dato a lui il compito di svelare il loro segreto.
«Cara Matilde, ci hai raccontato la tua storia, che in parte noi conoscevamo, ma, sai, alcune cose noi possiamo spiegartele meglio, altre te le possiamo chiarire. Innanzitutto come tu ben sai tua mamma è nostra zia, la sorella di mamma. Quello che devi sapere è che tuo padre, non è il signorotto di Milano… tuo padre non è milanese, tuo padre… è nostro padre!»
Le mie orecchie sentirono subito dopo solo un urlo provenire dentro di me, forse era un grido, forse fu un “NO”, non lo so, ma non riconobbi quella voce, ricordo solo che corrispose un movimento involontario delle mani sul mio volto, che lo coprirono completamente. Era sudato e freddo e dalla bocca ansimante cominciarono ad uscire dei singhiozzi, il corpo iniziò a tremare violentemente, mentre delle mani, tante mani mi avvolgevano e forse qualcuno mi versava anche un bicchiere d’acqua. Il tutto durò solo pochi secondi ma per me fu devastante. Dopo pochi attimi sollevai lo sguardo annebbiato dalle lacrime e con un mezzo sorriso dissi: «Ma allora voi siete i miei fratelli?»
Loro tutti scoppiarono in lacrime e compresi, compresi tutto.
Capii le somiglianze,
capii l’empatia,
capii soprattutto perché mia madre mi “aveva abbandonato!”