Monica Ingrassia - Poesie

Utopia

 

La gente mi dice: “Hai la testa fra le nuvole!”

Le amiche mi ammoniscono con fare accusatorio:
“Svegliati, ragazza! Sei sempre nel tuo mondo!”
Ed è vero,
io sono assente…


troppo occupata a vivere in una stanza che profuma
di caffè e di pagine ingiallite di vecchi libri di poesia,
circondata da una musica dolce
che riesce a sovrastare i rumori delle macchine
e del traffico delle metropoli.

 

I miei genitori mi rimproverano: “Sei sempre così distratta!”
Mi dispiace mamma e papà,
ma sono troppo occupata a cogliere le pomelie
che crescono nel giardino della mia mente,
a sradicare le erbacce della mia anima incasinata,
a piantare alberi di mandarini nel mio cuore.

 

Mia sorella sbuffa seccata: “Ma perché non mi ascolti?”
E ha ragione, sono troppo intenta a guardare l’Atlante e sognare
terre sconfinate, cieli rosso-arancio, oceani in cui annegare per scoprire barriere coralline, pendii e pianure, campi sterminati di tulipani, savane pericolose e animali selvaggi, siepi di rose blu e labirinti crudeli
da cui è difficile far ritorno.

 

La gente mi dice: “Hai la testa fra le nuvole!”

Ed è vero, avete tutti ragione, perché io sono così:
aliena nel mondo reale,
cittadina di un pianeta lontano,
patria di pensieri codardi
e sogni coraggiosi.



Ingannare la morte

 

Il cielo è avvolto dalla luce tenue di un giorno senza sole e tutto intorno, gli alberi, i fiori, le foglie, le tegole delle casupole sembrano suggerire la loro solitudine e la loro malinconia.

A circondare quel quadro, un silenzio inumano. Il trambusto della città, lo sfrecciare delle macchine e lo sferragliare del treno ad alta velocità sono rumori ormai dimenticati e appartenenti a una realtà distante anni luce.

Qui, soltanto a brevi intervalli, se stai ben attento puoi udire come il vento, lieve, agiti le fronde di un imponente albero di eucalipto; le foglie, di un verde argenteo, si muovono sinuose e nell’aria giocano due grandi farfalle. Percorri un lungo viale a piedi nudi, lastricato da pietre irregolari e di piccole dimensioni. Avanzi con sicurezza, saltellando di qua e di là per evitare di farti troppo male, ma persino la sensazione della pelle a contatto con la roccia ti fa sentire bene.

Qualcosa ti solletica il piede sinistro, guardi in basso e noti un piccolo germoglio cresciuto sul terreno e, come di riflesso, anche i tuoi occhi si colorano di verde. 

Poco più avanti, una colonia di formiche procede a passo di marcia e tu puoi vederne una, la più piccola di tutte, che solleva con forza una mollichina molto più grande di lei e, come un bambino, la insegui curioso perché vuoi scoprire dove vanno così di fretta. Una volta sparita dentro il suo formicaio, decidi di procedere anche tu.

Una brezza fa arrivare un intenso odore di limone e tu cerchi di respirare a pieni polmoni, alzando le mani al cielo come se potessi davvero assorbire tutta l’energia presente su questo pianeta.

La temperatura si abbassa e cominci a sentir freddo, addosso hai soltanto una lunga maglia a mezze maniche consunta e sbiadita, ma i brividi sulla pelle sono soltanto il prezzo da pagare per godere a pieno di quel paesaggio, per diventarne parte integrante.

Il cielo cambia colore e le nuvole si rincorrono impazzite come se stessero giocando a nascondino, provando l’ebbrezza di non sapere chi sarà la prima a gridare “tana libera tutte!”. Sorridi, pensando a quella scena.

Fai un altro grande respiro e cominci a guardarti intorno.

Alla tua destra c’è un pozzo antiquato e arrugginito, sopra un grande vaso di campanule gialle e viola che lasciano una scia di profumo delicato ma persistente.

Dietro un grande masso un serpente striscia verso di te. Per un attimo lo osservi ammaliato, poi senti la sua pelle viscida e squamosa toccare la tua caviglia e un fremito percorre interamente il tuo corpo.

Inizi a correre a più non posso lungo tutta l’area circostante, fino a quando -ormai senza fiato- non raggiungi la parte posteriore della casa. Di fronte c’è una scala a chiocciola, ricoperta di edera rampicante. Ancora, è la flebile luce del giorno a farti da guida e tu, aggrappandoti forte alla ringhiera di ferro, decidi di salire fino al tetto.

Lo spazio è quasi deserto, alla tua sinistra vi sono vecchi recipienti impolverati e alla tua destra due piccole porticine tinteggiate di verde. Fai qualche passo in avanti e noti che una delle due è chiusa con il lucchetto, mentre l’altra è socchiusa.

Un refolo di vento la fa cigolare sinistramente e tu sei attratto da ciò che potrebbe nascondersi dietro di essa. Prima la sfiori e la vernice ancora fresca ti sporca le dita, spingi la porta e un intenso odore di stantio brucia nelle tue narici.

Davanti a te ci sono almeno tre scatoloni vecchi, tenuti insieme da strisce di nastro adesivo e sopra di essi tantissime cianfrusaglie in pila l’una sopra l’altra.

D’un tratto, un ratto esce fuori alla velocità della luce da un buco scavato in una parete, sobbalzi e ti lasci scappare un grido di spavento.

La bestiolina ti passa sotto le gambe e scappa via. Tiri un sospiro di sollievo e decidi di rimanere a dare un’occhiata.

C’è di tutto là dentro: schiere di bambole di porcellana ammassate, supersantos sgonfi, tazzine e teiere in miniatura, pezzi di puzzle incompleti, costruzioni Lego, soldatini di plastica, Barbie svestite e dai piedi mordicchiati. Un vortice di ricordi ti trasporta in un tempo lontano. 

Tocchi quei giochi impolverati che, direttamente o indirettamente, hanno fatto parte della tua infanzia e riesci perfettamente a materializzare davanti a te il momento in cui mamma e papà te li hanno regalati o li hai toccati per la prima volta e, ancor di più, quando ci giocavi con i tuoi amichetti o litigavi con i cugini per rivendicarne il possesso assoluto.

Gli occhi si inumidiscono e capisci che è il momento di salutare un’ultima volta i giochi e con essi l’odore di menta fresca e di terra bagnata che riesci ancora a percepire come se fossi  di nuovo lì, riportato a quei rari pomeriggi d’agosto uggiosi in cui non potevi andare a mare e dovevi inventarti un modo per ingannare il tempo, senza renderti conto che, in questo modo, riuscivi persino a ingannare la morte.


 

Olanda

 

Un finestrino e le pale eoliche olandesi,
gli immensi campi di grano,
l’odore di bagnato
che non lo senti da dietro il vetro,
però si percepisce, s’immagina…

Un finestrino con la scritta “silence stillen”,
un tavolino su cui è posato un giornale in una lingua molto straniera,
delle poltroncine su cui mettersi comodi
e l’odore del grano
ma perché fa odore fa il grano?

Un finestrino e pensieri come punti fissi,
come ragni che tessono una tela di ragnatele – inestricabile.
Ce n’è tanti di ragni in Olanda,
Ce n’è tanti di ragni nella mia testa.

Un finestrino e assenze presenti,
come il sole dietro le nuvole
che anche se si nasconde riscalda
però
queste assenze presenti
fanno l’esatto opposto: gelano.

Un finestrino e il riflesso di una ragazza
con gli occhiali neri e i capelli tinti di rosso,
più rosso del tramonto che ora sta guardando, più rosso del sentimento che ora sta provando.

Un finestrino e uno sguardo
conosciuto sconosciuto
sempreverde
in cui si dipana un viaggio interiore esteriore.

Ma che viaggio dentro un paio di occhi scuri!
Si riflettono passanti perfetti sconosciuti
Si riflettono sorrisi che doni e che rubi.

Ma che viaggio dentro un paio di occhi scuri! Potrai vedere:
le pale eoliche, i campi di grano immensi, l’odore di bagnato, un finestrino con scritto “silence stillen”, un tavolino, il giornale in una lingua molto straniera, le poltroncine, i ragni, quelle assenze presenti, un riflesso di una ragazza con gli occhiali neri e i capelli tinti di rosso – e ancora una volta – uno sguardo,
soltanto uno sguardo

e l’odore del grano, l’odore del grano
che ti avvolge…



Estate

 

Estate ed è poesia
intorno a noi
suoni l’ukulele
e sembra quasi una magia.

 

Estate ed è mare
un azzurro che fa male
perché ti entra dentro
questo eterno vagare.

 

Estate ed è un abbraccio
che ti avvolge intensamente
e quasi sembra maggio
per il profumo che si sente.

 

Estate e sono baci
che portan via le parole
le ansie e le paure
malgrado siano gesti così fugaci.

 

Estate e forse sarà amore
tutto scorre e cambia in fretta
e io son felice di una storia perfetta
ancora al suo primo albore.



Al di là dei sogni

 

Al di là dei sogni ti ho incontrato.

In quello spazio che separa il mio sguardo dal tuo. 

Nel tuo sorriso.

Nei pensieri che mi dedichi durante la giornata, anche quando rimangono fiori mai sbocciati, inespressi.

 

Al di là dei sogni ti ho incontrato.

Nell’incavo della tua spalla, nelle lacrime che ho versato e nella maglietta che ho sporcato con il mio mascara. 

Ti ho incontrato nell’inquietudine e nella paura.

Ti ho incontrato in quel percorso che la mia mano compie sulla tua pelle, 

disegnando stelle sui tuoi nei.

 

Al di là dei sogni ti ho incontrato.

Nella magia delle nostre prime volte, dei primi discorsi imbarazzati e degli approcci un po’ impacciati.

Nel giardino delle rose, su quella panchina a scambiarci i primi baci. 

E ancora una volta, un anno dopo, più sicuri ma con gli stessi identici occhi innamorati.

 

Al di là dei sogni ti ho incontrato. 

Nei litigi, nelle incomprensioni, nella fatica di ogni giorno in cui abbiamo creduto di soffocare, di non essere abbastanza, di mollare. 

Ma non abbiamo mollato, non molliamo mai perché lo sappiamo che la realtà è dura, ironica, quasi crudele a volte ma sappiamo anche che supera di gran lunga qualsiasi sogno. 

 

Ti ho incontrato al di là dei sogni, amore mio, 

in quello strano e tortuoso percorso che è la mia vita

in quello strano e tortuoso percorso che è la tua vita

io ti tengo per mano (anche quando non te ne accorgi)

e cammino insieme a te.


 

Amicizia

 

Un amico è estate
perché passa con te il tempo
dell’innocenza,
della gioia,
della spensieratezza.

Un amico è autunno
perché accetta il tuo metterti a nudo,
il tuo mostrare fragilità
e insicurezze.

Un amico è inverno
perché è disposto ad affrontare
il mare gelido della tua anima
e sa che
nel cielo plumbeo dei tuoi occhi,
dietro le nuvole,
si nasconde un sole caldo, invincibile.

Un amico è primavera
perché sa che dopo il lungo,
interminabile freddo,
dopo la notte più spaventosa,
tu sboccerai all’improvviso,
come il più bello e colorato dei fiori,
pronto ad accogliere nuova luce.

E tu sarai per lui questo e altro ancora:
insieme
ad affrontare
le quattro stagioni della vita.



Scintilla

 

tu, fulmine a ciel sereno,
io, albero,
come altro poteva finire?



Ultima volta

 

Passa le mani tra i miei capelli, dolcemente.
Intreccia le tue dita con le mie e io le stringerò.
Respira piano e stringimi forte nella notte silenziosa.
Non fare rumore, il nostro amore è un segreto.

Urla alla luna le parole che non hai il coraggio di dire.
Tira pugni in aria perché non è andata come volevi.
Asciuga le lacrime che odi tanto e fatti forza.
Dovremo andare avanti l’uno senza l’altra.

Guardami negli occhi, ancora per una volta.
Fammi sentire bella (nonostante le occhiaie e i capelli aggrovigliati),
Prendi le coperte e posale delicatamente su di me (perché non vuoi che senta freddo).
Tienimi, per questa notte infinita.
Tienimi, per questa notte effimera.

Mattina.
Luce che filtra dalla finestra, l’odore del caffè intenso brucia nelle tue narici.
Dammi un ultimo bacio prima di tornare alla vita.
Oh, la morte è stata così dolce,
così leggera.

Mattina.
Respiriamo vicini ancora una volta,
Stringiamoci le mani ancora una volta , ti prego,
amiamoci ancora una volta
prima di dirci addio.



Addio

 

Odio gli addii,
dal sapore agrodolce,
dall’odore di salsedine che ti resta sulla pelle.

Odio gli addii,
scritti negli occhi
di chi non vuole andare via,
impressi in una mente
che non riesce a trovar pace.

Odio gli addii,
carezze
appena accennate
in un viso stanco.

Odio gli addii,

dal sapore agrodolce
di baci
che non hai mai dato.


 

Requiem

 

Polvere, detriti, macerie.
Cosa resta di un sogno?
Hai costruito case, tetti, grattacieli. Hai percorso strade, vicoli, sentieri. 

Hai respirato a pieni polmoni lo smog e la brezza leggera, l’aria salmastra e l’odore di terra bruciata.
Hai vissuto una storia da dentro, ci hai creduto con tutte le tue forze. 

Ti ci sei aggrappato a quella storia lì.
Una voce sussurra: “Cosa ti resta?”
Non puoi prevedere quando esploderà la bomba.
Il sogno può durare un giorno oppure dieci anni, ma quella sensazione di essere alla deriva quando non vi è più niente a cui aggrapparti, quella resta.
E rischia di annientarti.
Una voce, sommessa, grida (o forse sei tu a sentirla così forte?):

Cosa resta di un sogno? Cosa resta?
Polvere, detriti, macerie.
Un requiem lento in sottofondo.
Ma, se guardi bene, tra le crepe, si scorge una luce.
Alla luce non puoi aggrapparti, puoi solo farti attraversare da essa.
Liberare il dolore, lasciarlo andare. Lasciare andare via tutto.
Lentamente alzarti,
lentamente assistere
alla tua rinascita.