Morena Balugani - Poesie e Racconti

Eterno

 

Un giorno ci ritroveremo,

ed il mondo silenzioso

rimarrà sospeso

come i nostri respiri,

che all’unisono

si confonderanno l’un l’altro,

per fondersi

in un eterno amore.


 

Il grattacielo

 

Un groviglio di ferro e cemento

mi teneva sospesa a due passi dal cielo.

 

Seppure fossi vicina a Dio

non sentivo pace.

 

Nessuna bellezza in tanto artificio,

nemmeno la quiete

che solo la natura infonde

nell’animo umano.

 

La tristezza s’insediò nel profondo,

e il vuoto inghiottì

il barlume

di luce

di vita.


 

Il bosco

 

Un silenzio tombale regnava

nell’estremità del bosco,

mentre le tenebre cedevano ai raggi di sole

che a lama di coltello rimbalzavano

tra le fronde.

 

L’incantevole luminosità che si espandeva nell’aria

baluginava agli occhi miei

ombreggianti farfalle in fiore.

 

E mi ammantai di brividi

di gioia.


 

Il mare

 

Necessitavo di un luogo

dove

il confine tra me e l’infinito

fosse trasparente,

per rimestare i pensieri

e cullare un sentimento

che

dentro me

disperato gridava.


 

Infinito

 

E’ qui

in questo luogo sperduto che mi rifugio

dove, il rumore del mare

quieta la bufera che l’anima scompiglia.

 

E’ qui

nel tramonto

che scorgo il tuo spirito che ancora non riposa.

 

Ed è qui

in questo dove,

che oggi mi unirò a te,

dolce amore mio.


 

Mamma

 

Prigioniero di una maledetta corazza,

urla

il sentimento per te,

mamma,

che assente

ora e mai più

potrai udire.

 

Nei sogni ti insinui

risorgi

accarezzi la mia anima

risvegli i ricordi.

 

Ci unisce il filo invisibile

che lega

madre e figli,

perenne,

infinito,

indissolubile.


 

Moltitudine

 

E siamo così diversi

d’aspetto,

di carattere, di intenti.

 

Pesci in mezzo al mare

che nuotano

muti,

inconsapevoli

del  proprio destino,

immersi

in un mondo

senza tempo.

 

Basta poco sai,

forse

un punto di contatto

fra noi

che mi sembra di stare meno sola

su questa terra.


 

foto in jpg copertina farfalle di vetroPag. 7

 

Era un pomeriggio di giugno, un giorno qualunque, l’estate

alle porte si percepiva dalla mitezza profusa da un cielo azzurro

ricamato di nubi ovattate.

Un breve triin triin, procurato da un tremolante indice destro

posato sul campanello dell’appartamento numero sei, anticipò

l’apertura di un imponente portone guardiano.

L’atrio presentò la sua regale pertinenza. Salii lentamente,

con il cuore in gola, le otto rampe di scale che dividevano

l’ingresso principale dall’appartamento; esso era situato

all’ultimo e quarto piano di un edificio risalente ai primi

dell’Ottocento, nella zona rinascimentale della cittadina.

Lo stabile, sprovvisto di ascensore perché troppo antico

per permetterne la costruzione, era destinato al domicilio dei

piani superiori a persone agili ed abili a percorrere le scale

quotidianamente.

Giunta all’ultimo pianerottolo, mi trovai di fronte due porte

simili una delle quali era socchiusa, cautamente la spinsi.

Con la naturalezza con cui si compiono azioni usuali, mi invitò

a entrare; attraversammo silenziosi l’imponente ingresso

che un’arcata in marmo nero divideva dal salotto.

Nonostante la concitazione, tentai di non far trapelare

l’emozione, avvertita da un palpito veloce e da un tono vocale

investito da un brusio ignoto.

Non mi era d’abitudine incontrare segretamente e in privato

un uomo, l’ultima volta risaliva a qualche lustro addietro,

insomma a un’eternità!

E proprio per l’eternità che separava il vivere situazioni

simili, la percezione del presente che l’emotività procurava,

mi proiettava in una dimensione surreale tanto da avere una

confusione mentale tale da limitare il ragionamento.


 

Pag.8

 

Indossavo dei jeans comodi ma attillati e una camicetta azzurra

a pois abbottonata fino al taglio del seno, come biancheria

intima scelsi di sfoggiare un perizoma azzurro in tinta

con la camicia, bordato di pizzo marrone e un reggiseno del

medesimo colore; ai piedi portavo un paio di comode scarpe

da tennis grigio e rosa.

Un aspetto semplice ma curato.

Lui vestiva un paio di jeans e una camicia colore chiaro, la

cui tinta non ricordo, le maniche leggermente arrotolate scoprivano

l’avambraccio, ai piedi calzava un paio di calze grigie.

Accomodata in sala, chiese cosa gradissi bere ed io domandai

un caffè come a prendere tempo per acclimatarmi a

quell’ambiente che esalava aria di lusso e cultura.

Nell’attesa, curiosamente, mi avvicinai alla libreria situata

sulla parete sinistra della sala, il mio sguardo si soffermò sui

tanti volumi riposti ordinatamente che dimostravano quanto

Dixi fosse appassionato di letteratura, colto e non di meno

benestante.

Poco dopo arrivò con una tazza di caffè posata sopra un

piattino che sorreggeva con la mano sinistra, me la porse ed

io prontamente l’afferrai, ponendo di proposito lo sguardo su

quel fluido nero impreziosito da una spessa schiuma marrone,

per velare una tiepida sensazione d’impaccio, enfatizzata

dalla maestosità del mobilio. Chiesi poi informazioni su di un

libro che aveva attirato la mia attenzione per il solo fatto di

essere stato mal riposto fra gli altri ordinatamente accatastati;

una scusa pretestuosa, argutamente da lui interpretata, ma intelligentemente

camuffata.

L’atteggiamento galante si commisurava alla comprensibile

esposizione della prefazione del libro oggetto d’interesse

e il tono pacato frammentò il disagio in pochi istanti anche

se l’atmosfera si colorava d’argento vivo per il suo calzante

ondeggiare. Non riusciva proprio a stare fermo nella stessa

posizione per più di un secondo e mentre lo guardavo incuriosita

spostarsi qua e là, sentii sfiorarmi i capelli.

Un brivido mi pervase da capo a piedi.


 

Quelle parole accuratamente proferite, scandite con tono

pacato e con l’espressione serena stampata sul volto, giunsero

al mio udito gradite e agli occhi, piacevolmente riflesse le

linee del suo viso.

«Piace molto anche a me il mare d’inverno, ha qualcosa

di misterioso e di tranquillizzante; però resisto poco al freddo!».

Più parlavo con lui e più mi sentivo stranamente a mio agio,

nonostante fosse una neo-conoscenza e gradevole era ascoltare

il suono della voce particolarmente melodico.

In quella specifica situazione non mi sforzavo di portare

avanti un’educata conversazione atteggiandomi carinamente

e in maniera educata, esprimevo ciò che semplicemente sentivo

senza essere troppo formale; se mi avesse infastidito lo

avrei liquidato in sveltezza, però pareva così leggero e disinteressato

da estrapolare la mia loquacità imprigionata nelle

barriere che ponevo fra me e gli sconosciuti. Forse non si trattava

di uno sconosciuto, poteva essere che mi avesse conosciuta

prima di incontrarmi, forse avevo già vissuto quell’incontro

in un’altra vita, siamo certi di vivere solo questa?

Amori impossibili possono transitare in un’altra vita e diventare

plausibili, il famoso colpo di fulmine poteva avere radici

remote; tanta passione soffocata e fermentata nel tempo

dei tempi si sarebbe potuta scatenare in un futuro indefinito

con l’intensità di un fulmine, investendo il cuore.

«Pescara non l’ho mai vista!» dissi.

E lui rispose: «Non è mai troppo tardi… ».

Rimasi in silenzio e guardai l’orologio che avevo al polso

sinistro.

«Devo andare tra un po’ esce mio figlio e non voglio farmi

cercare».

«Sei una mamma apprensiva?».

«No, sono una donna che ama la puntualità!».

Liquidato frettolosamente, colsi un’impercettibile sensazione

malinconica.

 

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