Eterno
Un giorno ci ritroveremo,
ed il mondo silenzioso
rimarrà sospeso
come i nostri respiri,
che all’unisono
si confonderanno l’un l’altro,
per fondersi
in un eterno amore.
Il grattacielo
Un groviglio di ferro e cemento
mi teneva sospesa a due passi dal cielo.
Seppure fossi vicina a Dio
non sentivo pace.
Nessuna bellezza in tanto artificio,
nemmeno la quiete
che solo la natura infonde
nell’animo umano.
La tristezza s’insediò nel profondo,
e il vuoto inghiottì
il barlume
di luce
di vita.
Il bosco
Un silenzio tombale regnava
nell’estremità del bosco,
mentre le tenebre cedevano ai raggi di sole
che a lama di coltello rimbalzavano
tra le fronde.
L’incantevole luminosità che si espandeva nell’aria
baluginava agli occhi miei
ombreggianti farfalle in fiore.
E mi ammantai di brividi
di gioia.
Il mare
Necessitavo di un luogo
dove
il confine tra me e l’infinito
fosse trasparente,
per rimestare i pensieri
e cullare un sentimento
che
dentro me
disperato gridava.
Infinito
E’ qui
in questo luogo sperduto che mi rifugio
dove, il rumore del mare
quieta la bufera che l’anima scompiglia.
E’ qui
nel tramonto
che scorgo il tuo spirito che ancora non riposa.
Ed è qui
in questo dove,
che oggi mi unirò a te,
dolce amore mio.
Mamma
Prigioniero di una maledetta corazza,
urla
il sentimento per te,
mamma,
che assente
ora e mai più
potrai udire.
Nei sogni ti insinui
risorgi
accarezzi la mia anima
risvegli i ricordi.
Ci unisce il filo invisibile
che lega
madre e figli,
perenne,
infinito,
indissolubile.
Moltitudine
E siamo così diversi
d’aspetto,
di carattere, di intenti.
Pesci in mezzo al mare
che nuotano
muti,
inconsapevoli
del proprio destino,
immersi
in un mondo
senza tempo.
Basta poco sai,
forse
un punto di contatto
fra noi
che mi sembra di stare meno sola
su questa terra.
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Era un pomeriggio di giugno, un giorno qualunque, l’estate
alle porte si percepiva dalla mitezza profusa da un cielo azzurro
ricamato di nubi ovattate.
Un breve triin triin, procurato da un tremolante indice destro
posato sul campanello dell’appartamento numero sei, anticipò
l’apertura di un imponente portone guardiano.
L’atrio presentò la sua regale pertinenza. Salii lentamente,
con il cuore in gola, le otto rampe di scale che dividevano
l’ingresso principale dall’appartamento; esso era situato
all’ultimo e quarto piano di un edificio risalente ai primi
dell’Ottocento, nella zona rinascimentale della cittadina.
Lo stabile, sprovvisto di ascensore perché troppo antico
per permetterne la costruzione, era destinato al domicilio dei
piani superiori a persone agili ed abili a percorrere le scale
quotidianamente.
Giunta all’ultimo pianerottolo, mi trovai di fronte due porte
simili una delle quali era socchiusa, cautamente la spinsi.
Con la naturalezza con cui si compiono azioni usuali, mi invitò
a entrare; attraversammo silenziosi l’imponente ingresso
che un’arcata in marmo nero divideva dal salotto.
Nonostante la concitazione, tentai di non far trapelare
l’emozione, avvertita da un palpito veloce e da un tono vocale
investito da un brusio ignoto.
Non mi era d’abitudine incontrare segretamente e in privato
un uomo, l’ultima volta risaliva a qualche lustro addietro,
insomma a un’eternità!
E proprio per l’eternità che separava il vivere situazioni
simili, la percezione del presente che l’emotività procurava,
mi proiettava in una dimensione surreale tanto da avere una
confusione mentale tale da limitare il ragionamento.
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Indossavo dei jeans comodi ma attillati e una camicetta azzurra
a pois abbottonata fino al taglio del seno, come biancheria
intima scelsi di sfoggiare un perizoma azzurro in tinta
con la camicia, bordato di pizzo marrone e un reggiseno del
medesimo colore; ai piedi portavo un paio di comode scarpe
da tennis grigio e rosa.
Un aspetto semplice ma curato.
Lui vestiva un paio di jeans e una camicia colore chiaro, la
cui tinta non ricordo, le maniche leggermente arrotolate scoprivano
l’avambraccio, ai piedi calzava un paio di calze grigie.
Accomodata in sala, chiese cosa gradissi bere ed io domandai
un caffè come a prendere tempo per acclimatarmi a
quell’ambiente che esalava aria di lusso e cultura.
Nell’attesa, curiosamente, mi avvicinai alla libreria situata
sulla parete sinistra della sala, il mio sguardo si soffermò sui
tanti volumi riposti ordinatamente che dimostravano quanto
Dixi fosse appassionato di letteratura, colto e non di meno
benestante.
Poco dopo arrivò con una tazza di caffè posata sopra un
piattino che sorreggeva con la mano sinistra, me la porse ed
io prontamente l’afferrai, ponendo di proposito lo sguardo su
quel fluido nero impreziosito da una spessa schiuma marrone,
per velare una tiepida sensazione d’impaccio, enfatizzata
dalla maestosità del mobilio. Chiesi poi informazioni su di un
libro che aveva attirato la mia attenzione per il solo fatto di
essere stato mal riposto fra gli altri ordinatamente accatastati;
una scusa pretestuosa, argutamente da lui interpretata, ma intelligentemente
camuffata.
L’atteggiamento galante si commisurava alla comprensibile
esposizione della prefazione del libro oggetto d’interesse
e il tono pacato frammentò il disagio in pochi istanti anche
se l’atmosfera si colorava d’argento vivo per il suo calzante
ondeggiare. Non riusciva proprio a stare fermo nella stessa
posizione per più di un secondo e mentre lo guardavo incuriosita
spostarsi qua e là, sentii sfiorarmi i capelli.
Un brivido mi pervase da capo a piedi.
Quelle parole accuratamente proferite, scandite con tono
pacato e con l’espressione serena stampata sul volto, giunsero
al mio udito gradite e agli occhi, piacevolmente riflesse le
linee del suo viso.
«Piace molto anche a me il mare d’inverno, ha qualcosa
di misterioso e di tranquillizzante; però resisto poco al freddo!».
Più parlavo con lui e più mi sentivo stranamente a mio agio,
nonostante fosse una neo-conoscenza e gradevole era ascoltare
il suono della voce particolarmente melodico.
In quella specifica situazione non mi sforzavo di portare
avanti un’educata conversazione atteggiandomi carinamente
e in maniera educata, esprimevo ciò che semplicemente sentivo
senza essere troppo formale; se mi avesse infastidito lo
avrei liquidato in sveltezza, però pareva così leggero e disinteressato
da estrapolare la mia loquacità imprigionata nelle
barriere che ponevo fra me e gli sconosciuti. Forse non si trattava
di uno sconosciuto, poteva essere che mi avesse conosciuta
prima di incontrarmi, forse avevo già vissuto quell’incontro
in un’altra vita, siamo certi di vivere solo questa?
Amori impossibili possono transitare in un’altra vita e diventare
plausibili, il famoso colpo di fulmine poteva avere radici
remote; tanta passione soffocata e fermentata nel tempo
dei tempi si sarebbe potuta scatenare in un futuro indefinito
con l’intensità di un fulmine, investendo il cuore.
«Pescara non l’ho mai vista!» dissi.
E lui rispose: «Non è mai troppo tardi… ».
Rimasi in silenzio e guardai l’orologio che avevo al polso
sinistro.
«Devo andare tra un po’ esce mio figlio e non voglio farmi
cercare».
«Sei una mamma apprensiva?».
«No, sono una donna che ama la puntualità!».
Liquidato frettolosamente, colsi un’impercettibile sensazione
malinconica.
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