Nadia Anna Renzi - Poesie e Racconti

Di angoli è fatto il mio cuore

(Nadia Anna Renzi)

 

Di angoli è fatto il mio cuore
Angoli tondi come gusci
Profondi come abissi
Dove adagio i miei sentimenti
Piano per non farli spezzare
Di angoli è fatto il mio cuore
Angoli vitali come humus
Spaziosi come anfiteatri
Dove pongo i miei affetti
Teneramente per non far loro male
Di angoli è fatto il mio cuore
Angoli cangianti come le stagioni
Imprevedibili come un temporale
Dove cerco il filo che li unisce
Come in un gioco sempre nuovo
Nel dedalo delle emozioni
Ascolto la musica dei miei silenzi
Ad occhi chiusi
Così da non perdermi


Di là dell’oblò

(Nadia Anna Renzi)

 

A te, Damiano, mio piccolo nipotino
Esile Fragile come Cristallo
I tuoi gridolini soffocati
Simili a prismi accecanti
Lacerano il nostro cuore
Colmo ormai di ferite mai chiuse
Di là dell’oblò
Tutto è verbo
Tu sei “Il Verbo”
Sofferente e Guerriero
Cullato da una croce impietosa
Di là dell’oblò
Briciole di tempo
Di un tempo troppo breve
Nutrono la nostra anima
Illusa speme
Di là dell’oblò
La tua voce e la tua pelle
I tuoi abbracci e le tue carezze
Mancate Immaginate Desiderate
Come acqua nel deserto
Di là dell’oblò
Tutto si è fermato
Il nostro respiro soffocato
Tu inerme come ghiaccio
Poi soffice nuvola
Volo che non ci abbandona
Cura e Balsamo per vite ormai mutilate
Di là dell’oblò
Tu prezioso dono
Tu come oceano
Fluttuante nell’Immenso
Tu Piccolo Tenero Eterno Amore
Zia Nadia


 

In Alto…Lassù

(Nadia Anna Renzi)

 

alla piccola Nora
Fai volare la tua Fantasia
In alto sempre più in Alto
Lassù
Dove i tuoi occhi di Bimba non avranno confini
Dove non ci saranno più muri di pianto
Dove le prigioni si dissolveranno
In Alto sempre più in Alto
Lassù
Dove le carezze asciugheranno le tue lacrime
Dove i suoni ed i colori ti culleranno
Dove potrai librarti in pace
Fai volare la tua fantasia
In Alto sempre più in Alto
Lassù


Occhi di Bimba

(Nadia Anna Renzi)

 

Alla nipotina Camilla
Grandi come fari nella notte
Luminosi Attenti Stupiti
Si posano su ogni dove
Spugne che tutto rapiscono
Incauti si aprono al dolore
Sgorgano lacrime salate
Una carezza lenisce il pianto
Asciuga le piccole gote
Fiduciosi gioiscono ad un sorriso
Occhi di bimba
Grandi come fari nella notte
Luminosi Attenti Stupiti
Velluto che tutto avvolge
Come nuvole
Sopra un cielo di stelle luminose


 

Il Tempo

(Nadia Anna Renzi)

 

Il Tempo è come un quaderno
Scritto da parole evanescenti
Il Tempo non ha forma
Non si lascia afferrare
Fugge come un innamorato
Si nasconde e fa capolino
Si ferma poi corre
Sfuggevole dispettoso
Come in un gioco di bimbi
Il Tempo il Tempo
Ci segue ci precede ci avvolge
Come la voce di un eco
Inafferrabile come una nuvola


 

In cammino pellegrina

(Nadia Anna Renzi)

 

al mio gemello scomparso

Non ho mai saputo per quanto tempo
Per quanto tempo ci siamo toccati
Il “Prima” è spietato
Non concede ricordi
Mi piace immaginare il nostro fluttuare
Come astronauti senza peso
Manine che si stringono
Mi piace immaginare il tuo sorriso
Perduto per un crudele fato
Nel grembo fallace un abbandono
Vuoto che pietrifica
Resta la mia vita Sola
Metà salva metà strappata
Da sempre in cammino pellegrina
Mi volgo al miraggio di un incontro
Un abbraccio un tenero abbraccio
E sarà sollievo il tuo fraterno perdono


 

Fiocchi bianchi di neve

(Nadia Anna Renzi)

 

a Carlo
Fiocchi bianchi di neve
Che vedevi scendere leggeri leggeri
E tu ridevi ridevi…ridevi
Era agosto nel caldo dei vicoli
La tua ebrezza contagiosa
Risa sincere e spensierate
Affetti e ricordi vivi
Come diamanti incastonati
Sconosciuto ora il tuo luogo
Lo vorremmo luminoso e morbido
Come fiocchi bianchi di neve
Che vedrai scendere leggeri leggeri
E tu riderai riderai…riderai


 

 

Ci chiameremo per nome

(Nadia Anna Renzi)

 

È il pensiero di te
Che mi assale…
Il Segreto come macigno
Impietosamente ti ha carpito
Dissolvendo la tua esistenza
È il pensiero di te
Che mi penetra….
Germano senza volto né odore
Neanche un nome da ricordare
Vorrei vedere i tuoi occhi
Forse sono o sono stati come i miei
È il pensiero di te
Che mi porta lontano…
Nell’Eden culla sicura
Una mano affusolata si muoverà
Carezza da me amata
Forse da te bramata
Inizierà i nostri giochi
In un tempo senza tempo
Mi apparirai sorridente
Germano con volto e odore
Nel Cerchio che ci unisce
La tua voce sarà musica
Ci chiameremo per nome
Teneramente
Ci chiameremo per nome


 

 

Come Albatros                                                           

(Nadia Anna Renzi)

 

 Alla piccola Livia Ludmilla

 

Afferrare i momenti tristi

Plasmarli come creta

Farne uscire forme nascoste

Svaniranno le lacrime

E tu potrai accarezzare la Pace

Morbida come nuvola

Potrai volare

Come Albatros

Potrai volare



Mio scherzoso rifugio                          

 (Nadia Anna Renzi)

 

Odore di tabacco e sudore

Pelle rugosa fine pizzicata tra le mie piccole dita

Tenere coccole calmavano malesseri ora veri ora inventati

Mani forti gentili dita affusolate macchiate di nicotina

Tristo Mietitore repentino come dardo

Battute  scherzose placavano tormenti

Sul tuo ultimo letto ridevi illudendomi

Non mi avresti lasciata

Sorridevi spostando l’angolo della bocca

Sinistra destra svanito ricordo

Le labbra  si allungavano aspettavo il suono schioccante

Tutto si compiva balsamo per bimba

Rammento il tuo volto non la tua voce

Cantavi una canzoncina melodia dimenticata

Principe di un regno antico

Tu sul Cavallo bianco onirica visione

Uccidevi mostri di un sonno tormentato

Era il nostro momento

Radio di sottofondo odore di minestra

Raccontavi dolorose avventure

Ascoltavo rapita ingoiavo lacrime

I tristi anni di collegio le scellerate “Campagne fasciste”

Il viaggio di ritorno

Barca in balia del mare malaria tu madido

Non ti avevo aiutato sensi di colpa mi soffocavano

Accade ai bambini sempre sempre

Ero senza pelle con te

Sconfinata fiducia di bimba

Emozioni amplificate

Mi sgridavi severo

Battiti assordanti chiudevano la mia gola

Poi aprivi le tue braccia

Culla dove abbandonavo paura e pianto

Scherzi riconcilianti argentine risate

Basta poco con i bambini

Ero senza pelle con te

Principe di un regno antico non troppo lontano

Ero senza pelle con te

Sconfinata fiducia di bimba

Ero senza pelle con te

Mio riposo

Mio scherzoso  rifugio.


 

Canuta bimba                                  

(Nadia Anna Renzi)

 

Il tuo sorriso ora lieve accenno

Labbra serrate

Prigione di  mute parole

Mani immobili  

Madri di gesti ripetitivi

Una carezza ti muove

Luce che accende i tuoi occhi

Prima spenti ora stupiti

Paure ataviche ti avvolgono

Lenite da semplici baci

Come acqua nel deserto

Tempo di generare ormai lontano

Declino che tutto trasforma

Erge un confine impietoso

Meta conosciuta quasi mai gradita

Di un viaggio senza ritorno

Una nostra carezza come compagna

E lieve sarà il tuo passaggio

Canuta bimba senza più età



NUOVA  VITA

(Nadia Anna Renzi)

 

Esci

da questo silenzioso buio della Notte

Lamento

Non rimanere  sommerso dal fango della Paura

Singhiozzo

L’Alba di questo nuovo giorno ti aspetta

Ora puoi esistere

Voce


 

TU SEI IL NOSTRO CRISTO                                   

(Nadia Anna Renzi)

 

Crudele realtà che ti muove

Abbandono del tuo essere

Pianto che ti strugge e ti porta lontano

Non hai mete né ingenui sogni

La fuga è la tua sola salvezza

Poi l’ignoto

Dove accoglienza e respingimento abitano insieme

Come il giorno e la notte

I porti diventano approdi

Ma anche prigioni

Indifferenti al tuo dolore

Ormai esistenza

Parlano i tuoi occhi

Occhi grandi profondi

Occhi come oceani

Specchi del  tuo dolore

Nostro silenzio

Pavida paura

Cieco sordo

Inerte aguzzino

Parlano i tuoi occhi

Trapelanti di sentimenti profondi

Celati e distrutti dal nostro egoismo

Tu sei l’esule il clandestino

Come ciascuno di noi

Un giorno potrebbe essere

Tu sei il nostro Cristo

Laico e religioso

Tu sei il nostro Cristo

E Noi non ti abbiamo riconosciuto.



I tuoi Occhi                                   

(Nadia Anna Renzi)

 

I tuoi occhi

Atterriti spalancati disarmanti

Quasi irreali

Urlo di stupita impotenza

Unica compagna nell’acqua ingannatrice

I tuoi occhi

Preda di abominevoli esseri

Narrano di nefandezza  umana

Apolide senza religione

Vive in ogni dove senza età

Non chiede passaporti

I tuoi occhi

Fari dell’ennesimo relitto

I tuoi occhi

Prezioso dono per un impavido abbraccio

I tuoi occhi

I tuoi occhi chiunque tu sia

Inseguiranno la nostra anima


 

NUOVA   ALBA                                    

(Nadia Anna Renzi)

 

Le luci della notte si spengono

Insieme

come in una silenziosa

Intesa

mentre nel cielo a braccia

Aperte

si accende

Nuovo

il Giorno


 

Ti aspetto                                     

(Nadia Anna Renzi)

 

 “a Paolo, compagno della mia vita”

Ti aspetto

Tutto e Niente è cambiato

Come acqua uguale e diversa

Ti aspetto

Sei parte di me

Cerchio che si chiude

Tempo senza confini

Ti aspetto

Impaziente

Ti aspetto

Come allora


 

Tra una sua stranezza e l’altra..                   

(Nadia Anna Renzi)

 

Un’immagine ho spesso davanti a miei occhi, quella di mio zio Giovanni, mentre cammina con la sua giacchetta dimessa ed i pantaloni troppo larghi, nella cui tasca risuonano gli spiccioli, le 5 e 10 lire che tocca per farle tintinnare, così, per gioco.

Qualche volta, quando la sua giacca era appesa in bagno (la casa era molto piccola), io prendevo qualche spiccioletto con il suo tacito e benevolo  assenso (lui sapeva e ridacchiava), poi, mentre andavo a scuola, ci compravo le liquirizie dal “nonnetto”, il banchetto di dolcetti vicino al Parco di Villa dei Gordiani. \

Era il nostro gioco. Solo il nostro.

Non è stato facile vivere tutti insieme in una casa piccolissima: mio zio,  mio padre che era suo fratello maggiore, mia madre, mia sorella ed io.

Ogni tanto mio zio armava un casino fino a discutere concitatamente con papà.

Quando litigavano io piangevo e ricordo che una sera scongiurai mio padre, abbracciandogli le gambe, di non cacciare di casa mio zio. Non sopportavo l’idea che lui andasse da solo in giro di notte. Ne ero angosciata.

Mio padre non mi diede retta ed io stetti malissimo, con un  senso di colpa enorme.

Lo stesso senso di colpa verso mio zio che mi porterò dietro per tanti anni.

Mio padre lo fece tornare  il giorno dopo. Per qualche tempo andò tutto bene.

Lui era tranquillo ed io pure.

La nostra famiglia fu l’unica che lo accolse, gli altri parenti mettevano sempre scuse enormi, forse anche vere, non so.

Erano gli anni 50-60, le persone come lui finivano in manicomio se non c’era una famiglia che le ospitava. A Roma primeggiava il Santa Maria della Pietà con i suoi stanzoni enormi, le sbarre alle finestre e le urla disperate dei malati che si sentivano fin dal giardino. Meno male che mio zio, lì, in quel posto orribile, non ci andò mai; già la sua infanzia in collegio, come orfano, era stata terribile. Era piccolo, si faceva la pipì addosso e per questo veniva punito in modo crudele: di notte gli tiravano i capelli e di giorno lo rinchiudevano  dentro sgabuzzini e gabinetti, al buio, da solo, nei quali, ci raccontava, di aver visto apparire il diavolo.

Quegli anni lo segnarono per sempre.  

A mio zio ero molto affezionata anche se provavo un disagio enorme, un dualismo di emozioni contrastanti.

Lo ammiravo perché conosceva tutte le strade di Roma a memoria, ricordando perfettamente verso quale direzione andassero i numeri dispari o pari di ciascuna via.

A volte lo chiamavano per piccoli lavoretti, affidandogli,  in genere, la pubblicizzazione dei volantini da mettere nelle cassette delle lettere perché conosceva a menadito le strade; li diffondeva dovunque, con le sue gambe e gli autobus.

Era sugli autobus che passava le sue giornate, osservando tutta la città.

Era così che trascorreva molto del suo tempo.

A lui, lo zio “mattacchione”, devo la mia passione per la musica classica.

Stava al buio nella cameretta (multifunzione come succedeva allora),  ascoltando per ore gli LP delle sinfonie.

Io sbirciavo dal buco della serratura e lo vedevo seduto su questo piccolo seggiolino con il capo tra le mani.

Non ho mai capito perché stesse con le dita fra i suoi capelli lisci e bianchi.

Sembrava  come se dovesse schiacciare qualcosa o qualcuno dentro la sua testa.

Anche in collegio, quando veniva punito, stava da solo e al buio; chissà se la musica l’aiutasse a cacciare i fantasmi che fin da quel luogo, malsano e crudele, lo perseguitavano. A volte mi permetteva di entrare.

Mi sedevo in terra, emozionata per questa concessione e lui mi elencava i nomi degli strumenti che, di volta in volta, entravano per gli assoli; poi mi indicava il Piano, Pianissimo, Allegro etc etc. Ma come faceva ?!  

Non era analfabeta ma quasi. Non so se lui fosse  cosciente di queste sue capacità.

So solo che,  ancora prima della Legge 180, tanto voluta da Basaglia, io bambina sapevo che mio zio,  pur essendo un po’ “strano”, era anche una persona con capacità notevoli.

Tutti i giorni questi aspetti geniali sono davanti agli occhi dei familiari di persone come mio zio.

Il guaio è che, spesso,  non si conosce la chiave  per comprendere quello che accade e poter così  apprezzare queste “genialità”, importanti quanto le “stranezze”.

Quando viene meno questa consapevolezza è come se le genialità alimentassero solo la parte malata.

Si diventa succubi dei disagi, tantissimi, che imperversano su una quotidianità imbevuta di pregiudizi.

Quei disagi  e quei pregiudizi  che non risparmiano né il cosiddetto “strano” né il cosiddetto “normale”, diventando artigli che strappano via  qualsiasi emozione positiva.

Tutto questo diventa insormontabile se si aggiunge la “solitudine” che troppo spesso impera nelle famiglie come fu la mia. Non è facile, sapete? Anzi, è difficilissimo!

Una volta, faceva molto caldo, siamo andati tutti al mare o al lago, non ricordo bene! Mio zio indossava un cappotto lungo lungo e passeggiava sulla spiaggia, stupendosi di chi lo guardava con curiosità, ridendo di loro.

Era agosto, quasi 40 gradi e lui indossava il cappotto.

Eppure, per mio zio, “gli strani” erano loro, gli altri, quelli che lo guardavano insistentemente.

I miei genitori, quel giorno, erano proprio a disagio ed io quella volta mi vergognai molto di lui.

Quando in classe qualcuno parlava dei “matti” provavo un misto tra vergogna e rabbia.

Mio zio aveva anche un odore strano, a volte non buono, non di sudore, ma non so neanche cosa fosse.

Non l’ho mai capito e non l’ho mai più sentito.

Fino a qualche anno fa non mi ero proprio resa conto di quanto potessero essere stati pesanti, per me, quei dieci anni della mia infanzia. Dieci lunghi anni.

Forse perché  consideravo mio zio una persona e quindi lo accettavo in tutti i suoi aspetti?

Oppure perché alla fine ci si abitua a tutto? Boh, non  lo so.

Certo, ce ne ha  combinate di tutti i colori.

Era  dispettoso, cattivello e quando sapeva che c’era qualcosa che infastidiva, lui la faceva apposta.

Quando raggiungeva il suo scopo mostrava un’espressione che non mi piaceva, quasi un ghigno.

Io ci soffrivo, perché poi tutto diventava difficile e la tensione in casa si tagliava con il coltello.

Volevo bene a questo zio così “strano” anche se  mi metteva a disagio quando mi chiedeva, sottovoce,  chi fosse entrato in casa quel giorno.

Era  gelosissimo di noi e non voleva che nessuno ci frequentasse.

Sapeva mettere zizzania tra noi ed i parenti, tirando fuori tutte le sue capacità, quasi diaboliche, per inventarsi frasi che non erano state pronunciate da nessuno.

I miei non gli credevano, ma gli altri parenti abboccavano e  fu così che dopo la morte di mio padre, quando mio zio dovette andare a vivere altrove,  lui si vendicò e riuscì a farci litigare.

Solo ora mi rendo conto che forse si era sentito abbandonato e voleva punirci.

Intorno a noi si creò il vuoto:  io persi mio padre con tutti i suoi parenti che erano anche i miei ed ai quali volevo bene. Persi anche lui, mio zio.

Non lo rividi più perché successivamente andò a vivere da solo, tagliando,  a poco a poco, i ponti con tutti, noi e gli altri.

E tutti tagliarono i ponti con lui e con noi, come se l’unico  punto di unione tra tutti fosse proprio lui, mio zio, lo “strano”.

Lui ci lasciò portandosi via una gran parte dei miei affetti!

Averlo accolto in casa per più di dieci lunghi anni non bastò.

Dopo che se ne andò, morì in casa. Solo.

Lo trovarono dopo giorni. Sporco. Abbandonato.  

Un pezzo di me se n’era andato via per sempre.

Non avevo salutato mio zio né lui salutò me.

Il solito senso di colpa nei suoi confronti mi perseguitava.

Sicuramente, in molti momenti difficili, avrò desiderato che lui se ne andasse di casa e questo mi ha fatto sentire responsabile delle sue sofferenze e della sua brutta fine.

Oppure mi sono caricata dei sensi di colpa di chi mi stava intorno??

O tutte e due le cose?

È terribile come un bambino debba sempre, sempre, sentirsi colpevole!

Solo con il tempo mi sono resa conto che, allora, ero piccola e non potevo fare nulla per mio zio.

Le  nostre emozioni sono imprevedibili, anarchiche,  vulcani pronti ad eruttare e sommergerci.

Non ho più ascoltato con lui le sinfonie, non gli ho più rubacchiato gli spiccioletti e non abbiamo più ridacchiato insieme dei comportamenti, secondo lui, “strani”, degli altri.

Si, perché per mio zio, gli “ strani”, erano gli “altri”.

Era simpatico, scomodo, ostinato, ironico, permaloso, dispettoso, geniale, tignoso, cattivello, parlottava e bofonchiava pure tra sé e sé.

Mi faceva gli scherzetti.

Era proprio “strano”, mio zio.

Ma io gli volevo bene.

Era lo zio mattacchione, che tra una sua stranezza e l’altra, ascoltava con me,  in silenzio ed al buio, le sinfonie.



Tutto si compie                                       

(Nadia Anna Renzi)

 

Atteso raggio repentina apparizione

Rossa luce riflessa in una scia marina

Ecco il Tramonto che placa il bagliore del meriggio

Verso l’oscurità  della notte

Tutto si compie ogni giorno

Eterno miracolo con pudore ti palesi

Meraviglia e malinconia mi pervadono

Io sono solo un punto nello spazio

Tutto si compie ogni giorno

Mentre il crepuscolo scalda la mia anima

Momenti magici mi accarezzano piano

Tessere di un prezioso mosaico

Colore di Vita