Nadia Tezze

Racconti


Metafora

Un giorno lontano, nel mio giardino, nacque un girasole.
Giorno dopo giorno diventava sempre più bello; cresceva in fretta, perché aveva la fortuna di prendere sole ed aria in qualsiasi punto del suo corpo. Infatti, nel mio giardino, non c’erano piante, né cespugli, né altri fiori. Solo qualche ciuffetto d’erba e lui.
Giorno dopo giorno, però, cresceva in lui la vanità. Credeva di essere il re della terra e si beava estendendo la sua chioma al cielo. E con aria altezzosa diceva: “Sole guardami e dimmi quanto sono bello!”
Una mattina, mentre si stiracchiava, notò una piccola ombra che copriva i suoi piedi. Si curvò fino a
terra, fissò quel punto scuro e vide una piccola margherita a ridosso del suo corpo.
Incredulo, ma soprattutto scocciato, gridò: Ehi microbo, come ti sei permesso di occupare la mia proprietà? Vattene, sparisci, nessuno ti ha invitato. Maleducato”.
Poi, continuando ad elargire a destra e a manca i suoi insulti, si girò verso il sole e disse” Ehi tu, brucialo”.
Povera piccola margherita! Aveva appena aperto gli occhi alla vita e già era colpevole e dannata.
Da quel giorno, per il girasole, lo scopo della sua vita era quello di guardarsi intorno; girava continuamente su se stesso per controllare che nel giardino non crescesse nulla.
E gira oggi e gira domani il suo corpo si strinse così tanto nella sua stessa spirale che non aveva più la forza per respirare.
Una mattina, mentre il sole estendeva i suoi raggi, la vista gli si annebbiò, cominciò a dondolare e, come un ubriaco che non sa comandare le sue gambe e la sua testa, cadde stremato a terra.
Allora la piccola margherita, che in silenzio aveva osservato la penosa avventura, si chinò a terra e con uno sforzo bestiale lo liberò dalla sua spirale.
Un po’ intontito e con la testa che gli girava ancora si drizzò. E barcollando disse: “E’ colpa tua se sono ridotto così. Ed ora vattene, non farti mai più vedere!”
Passarono alcuni giorni, il girasole riprendeva la sua forza e la sua bellezza. Mentre la piccola margherita si lasciava andare per la tristezza.
Lassù nel cielo sole, nuvole, vento avevano assistito a questa triste storia e decisero che il girasole aveva bisogno di una bella lezione.
Così il vento iniziò a soffiare, le nuvole si incontrarono e si scontrarono facendo scendere litri e litri di pioggia. Ed il sole andò a dormire.
Bastarono tre giorni di brutto tempo ed il girasole si rannicchiò come un riccio e piano piano cominciò a lasciare andare i suoi gialli capelli.
La margherita essendo piccina piccina non aveva risentito del cattivo tempo, grazie anche alla chioma del girasole che la proteggeva. Aveva tanta voglia di ringraziarlo, ma nel contempo era terrorizzata da qualche violenta sua reazione. Ma era altresì dispiaciuta e soffriva molto nel vedere il suo vicino in difficoltà.
Dopo tanti pensamenti le venne l’idea di chiedere aiuto alla natura. Girò il visino verso l’alto ed esclamò:”Cielo, sole, vento, nuvole abbiate compassione di questo essere”.
Come per magia, il cielo divenne blu, il vento fermò la sua corsa, le nuvole si nascosero dietro la montagna e la pioggia si asciugò con il calore del sole, che tornò a splendere.
Tutto era tornato nella normalità; ma da lì a poco il mio giardino fu invaso di fiori. Sì, di fiori di ogni genere.
Vicino alla margherita era nata una stella alpina, vicino alla stella alpina era nata una rosa, vicino alla rosa era nato un giglio, vicino al giglio era nato un tulipano, vicino al tulipano era nata una primula, vicino a……..
Magia? Fato della vita? Natura scherzosa?
L’unica cosa certa è che tutti i fiori del mondo avevano preso dimora nel mio giardino.
Il girasole, che piano piano riprendeva vita, grazie al sole, al vento, all’aria, alla terra e alla piccola margherita, era così preso a sfoggiare nuovamente la sua livrea che non si era minimamente accorto che intorno a lui una miriade di vite respirava libera.
Verso l’imbrunire, mentre stava dando l’ennesima diffidente occhiata al giardino, i suoi occhi furono abbagliati dall’ultimo raggio di sole, che illuminava la zona dei fiori appena nati.
Sbalordito, frastornato, incantato si pietrificò. Per un attimo gli venne a mancare il respiro; poi, mentre il giorno spegneva la sua luce, un battito di cuore rimbombò nell’aria e nel vento echeggiò una sola parola “meraviglioso, meraviglioso, meraviglioso”.
Anche la piccola margherita ascoltò quella parola e subito allungò il collo e disse:”Caro amico, come sono felice, hai visto quanta compagnia ? Non ti si allarga il cuore vedendo che siamo circondati di vita? Guarda quanti colori, senti quali delicati profumi, ascolta le parole dei nostri nuovi amici. Guardati intorno e dimmi, non trovi che anche noi siamo più belli dentro a questa cornice?” Siamo una vera famiglia.
Nonostante il carattere scorbutico, il girasole non poteva negare che quella visione gli fosse penetrata nel cuore.
Infatti, da quel giorno, appena il sole si svegliava, dal suo piedistallo urlava:”Piccola guarda è nato un ibisco, ehi guarda a destra è nato un iris, ehi ehi dietro di te è nata una camelia…..”
Insomma, per tutto il giorno girava la testa di qua e di là per incontrare nuove vite e dividere con esse gioia e allegria.
Dimenticandosi completamente della sua bellezza e della sua vanità.

 


 

Uno con l’universo

Seduta sulla sedia a dondolo, davanti alla grande vetrata che si affaccia al bosco, chiudo gli occhi e resto in attesa. Ecco, il vento inizia a suonare, gli uccelli a cantare, le foglie a danzare, il torrente a gorgheggiare. Passano le stagioni: sulle montagne crescono nuovi alberi, il sole nasce e tramonta, cade la neve ed io comincio a percepire l’ancorarsi lento delle mie radici alla terra. Questo continuo contatto con la natura mi porta a pensare che dietro alle cose si nascondono tante verità e siamo noi, con il nostro sentire, a renderle diverse e visibili.

 


 

La gioia di un sorriso

Ieri sono stata al mercato della frutta e ho comprato due mele, una per il pranzo, una per la cena.
Prima di rientrare a casa mi sono fermata al parco della “dimenticanza” e mi sono seduta su una panchina. Era freddo e pioveva. Ma che importa, a casa nessuno mi aspettava. Sul prato c’era un barbone sdraiato su vecchi cartoni fradici. L’ho guardato, lui mi ha sorriso e…un soffio leggero mi ha accarezzato l’anima. Stamattina, non sono andata al mercato; son corsa al parco della
“dimenticanza”. Sull’erba c’era un sorriso che mi aspettava. Non pioveva.

 


 

Notte di luce

L’aria era frizzante, il cielo una coperta blu trapuntata di stelle. Mi sdraiai sull’erba e… aspettai. La magia di San Lorenzo non si fece attendere. Da Nord a Sud un tripudio di luci danzava e danzava. Il tempo correva ma le stelle cadenti non si fermavano ed i miei occhi non erano sazi di luce.
Ma ecco che il suono di un campanaccio sovrastò il bosco e toccò il cielo. Il tutto intorno rimase immobile, anche le stelle fermarono la loro danza. Un vitellino era nato. Anche quella notte il creato mostrò la sua bellezza.

 


 

Scorre il tempo

La radura si veste di teneri colchici che aspettano le api per farsi baciare. La rondinella posa l’ultimo ramoscello sul nido. Bella è la sera, nuova nei colori e nei profumi.
Passa il tempo…
I piccoli caprioli cominciano la loro avventura. Il sottobosco brilla di bacche e la rosa canina danza nel vento.
Passa il tempo…
Le ombre si allungano e, senza affanno, lo scorrere del tempo mette a riposo il tutto intorno.
Passa il tempo…
Chiamata dallo scricciolo arriva la prima neve. In poco tempo tutto si avvolge in una luce magica.
La luce della vita.

 


 

Sognare e volare

Ho paura di volare, ma so ben sognare e ogni notte mi trovo a viaggiare. Sono stata a New York e ho cantato al Central Park, ho camminato lungo la Muraglia cinese, sono salita sulla Torre Eiffel, ho nuotato nelle acque di Acapulco e…
La notte che verrà alloggerò in una suite di Buckingham Palace.
Peccato che al mio risveglio non posso ricordare il profumo della terra, il sapore dei cibi, il calore della gente.
Peccato che i sogni siano miraggi nel deserto. E’ già, il sogno non ha un’anima. E senza l’anima il
tutto è niente.

 


 

Inno alla vita

In silenzio e con passo leggero mi inoltrai nel bosco. Dopo una lunga passeggiata, tra faggi, mughi e larici, davanti a me si aprì uno spettacolo a dir poco da mozzafiato. Foglie di farfaraccio, cardi turchini, campanule, cuscini d’erica, miosotidi, non-ti-scordar-di-me sembravano non aver fine e sfumavano all’orizzonte in un colore indefinibile.
L’aria profumava di miele ed il vento, trasportando il polline dei fiori, creava una ragnatela dorata.
Il tutto intorno era un invito alla pace spirituale, all’amore.
Fortemente avrei voluto saper volare per non calpestare tale bellezza. Allora mi inginocchiai e innalzai una preghiera alla vita.

 


 

8 maggio

Ieri notte ho sognato che al mio risveglio, al bordo del letto, c’eri tu amore mio, con le braccia aperte pronte a stringermi. Ho sognato che mi prendevi stretta a te e dicevi “ciao mamma, auguri”.
Ho sognato che mi porgevi un mazzo di rose bianche.
Quando è arrivato il giorno e mi sono alzata non ho trovato il mazzo di rose bianche, ma il calore del tuo abbraccio mi avvolgeva tutta e la mia anima non smetteva di ripetere la parola più bella al mondo: mamma, mamma, mamma.
Stanotte ti aspetto per abbracciarci ancora, ancora e sempre.

 


 

Nell’immenso

La luna tonda va a dormire ed il gallo canta. Si leva l’alba e sulla sponda del fiume siede un pescatore. Tra gli alberi il respiro del vento canta la vita e le betulle danzano allegramente. Sull’acqua dello stagno le libellule formano veli azzurri ed il grillo, tra i fili d’erba, salta di gioia. Corre il tempo…e le ombre dilagano nell’infinito, il cielo, vestito dalla polvere di stelle, bacia la notte ed io, stesa sul prato, lascio volare la voce dell’anima nell’immenso per apparire una stella.
L’amore è l’universo.

 


 

Com’è bello sognare

Stanotte un sogno ha bussato alla mia porta e…leggera come piuma sono volata su su su, e mi sono stesa sul cielo blu. Che emozione. Ho preso una stella per mano e sono scesa giù giù giù. Che gioia. Illuminata da quella luce celestiale ho cercato altri sognatori ed insieme siamo saliti su su su nel cielo blu. Che felicità.
Mano nella mano e con la luce nell’anima siamo ritornati giù giù giù. Che vibrazione.
E mentre il buio faceva da padrone alla notte abbiamo formato un girotondo luminoso, e abbiamo
abbracciato tutto il mondo. La vita quando l’occhio la guarda con lo sguardo del cuore!

 


 

La potenza del sogno

Ho paura di volare ma so ben sognare e la scorsa notte un sogno mi ha portata….
Ero sdraiata su un folto cuscino di muschio e, avvolta dalla pace interiore, ascoltavo la dolce melodia delle foglie degli aceri montani che circondano la mia casa, la mia pelle assorbiva il profumo del bosco ed i miei occhi guardavano il cielo che si stava popolando di stelle.
All’improvviso apparve la tonda luna : mi guardò, mi fece un inchino e mi sorrise.
Era solo un saluto? O forse conosceva la mia paura di volare? O forse voleva un po’ di compagnia?
Non passò un attimo che la mia anima cominciò a fantasticare. Pronta per un’altra avventura presi la bacchetta magica che vive nel mio cuore e con un balzo toccai il cielo.
La luna mi venne incontro, mi abbracciò, ed insieme danzammo sulle note dell’immenso.
Lassù mi sentivo libera e la gioia era così scintillante che mi vedevo come figlia della luce.
Il tempo però passava in fretta e la luna insieme a lui. Lasciandomi sospesa nell’universo.
Ma che importa! Il mio viaggio magico ed unico nel suo genere sarebbe rimasto in un cassetto del mio cuore.
Sognare è una cosa meravigliosa.

 


 

E’ domenica tutti i giorni

C’era una volta una bambina così testarda, ma così testarda, da preferire i castighi pur di non cambiare le sue idee e le sue convinzioni.
Il suo nome è Nadia.
La conosco da sempre e posso dire con fermezza che è stata, è, e sarà, la
mia migliore amica.
Nadia non ha avuto una vita facile e forse proprio per questo era un po’ strana.
Voglio raccontare un episodio che la riguarda alquanto bizzarro per un verso, ma significativo per un altro.
Eravamo in prima elementare e la maestra Teresina le voleva insegnare che la settimana è composta da sette giorni : lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica. Purtroppo non c’era verso di farglieli entrare nella testa. Così un giorno, dopo l’ennesima scena muta, la maestra Teresina le disse : ”Domani voglio il tuo quaderno sulla mia scrivania, con scritto mille volte i giorni della settimana e ora vai dietro alla lavagna e restaci fino alla fine delle lezioni”.
Quel giorno Nadia rimase seduta davanti al quaderno a scrivere e a contare i giorni della settimana e quando arrivò la sera era ancora nella sala studio, mentre tutte le altre ragazze erano in refettorio a cenare.
Non ne poteva più; anche se lo stomaco brontolava dalla fame, a lei non faceva né caldo né freddo saltare la cena, tanto si mangiava la solita minestra e una mela. Era semplicemente infastidita ed innervosita dal dover ammettere che la settimana fosse composta da sette giorni diversi.
Vi domanderete, come mai? Beh, ve lo dico subito.
Poco fa ho scritto che Nadia passò tutto il pomeriggio nella sala studio.
Eh già: i primi quattordici anni della sua vita li ha trascorsi in orfanotrofio; quando aveva un anno il buon Dio decise di portare il suo papà in cielo, e così la sua mamma dovette andare a lavorare per sfamare lei e sua sorella.
Povera stella.
Non potete capire quanto Nadia abbia sofferto; ma il dolore più grande l’ha vissuto sicuramente la sua mamma. Provate per un momento a vederla quando tornava dalla fabbrica, entrava in casa e non poteva abbracciare le sue bambine. Solo alla domenica la madre superiora le permetteva di portarsele a casa. E sugli anni vissuti in orfanotrofio Nadia potrebbe scrivere un libro.
Torniamo però al castigo della maestra Teresina.
La mattina dopo, appena entrata in classe, Nadia mise il suo quaderno sulla cattedra e andò al suo posto. Arrivò il tempo della ricreazione e così corse verso la porta per andare in cortile, ma…si sentì strattonare per un braccio. Mentre uno scappellotto le arrivò tra capo e collo.
Mamma che paura! Il suo cuore batteva forte come un tamburo, e due grossi lacrimoni le scesero fino al mento. Immediatamente si girò verso la cattedra e vide il suo quaderno, aperto. Allora tentò di “scappare”, ma la maestra Teresina la teneva così stretta, da sentirsi dentro ad una morsa. Volete sapere cosa aveva scritto su quel quaderno? Vi accontento subito.
La prima pagina era perfetta : i giorni erano in ordine cronologico ed in bella calligrafia: lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, domenica. Dopo alcune pagine, però, una volta mancava il lunedì, un’altra volta mancavano il lunedì e il martedì, un’altra volta il lunedì, il martedì, il mercoledì…
Nell’ultima pagina c’erano domenica, domenica, domenica, domenica, domenica, domenica, domenica…
Proprio così. Per Nadia il tempo non era scandito dai giorni, bensì dall’amore.
Infatti, quando iniziava la settimana, al lunedì apriva il cassetto della memoria, dove custodiva il suo tesoro, e si portava nel cuore il primo bacio che la sua mamma le dava alla domenica appena entrate in casa. Al martedì si faceva consolare da una carezza. Al mercoledì si gustava un altro bacio. Al giovedì un sorriso. Al venerdì un abbraccio. Al sabato il bacio della buona notte.
In pratica Nadia aveva imparato a vivere tra le “macerie” costruendo un muro d’amore. Incrollabile. Per lei esisteva solo la domenica.
Nadia è cresciuta, è diventata donna, si è sposata, ha due figli, e da sei mesi è nonna.
Nadia è davanti a questa pagina per confermare ancora una volta che è necessario respirare l’amore per superare le tante difficoltà della vita.
Morale: un giorno d’amore è tutta una settimana, un mese, un anno. Un giorno d’amore è la vita.

P.S. E voi come li chiamate i giorni della settimana?

 


 

La danza della foglia

Era autunno e la sera stava calando. Le ombre si allungavano e coprivano la radura, quasi volessero proteggere le ultime genziane, qua e là sparse, ancora coccolate dall’ultimo raggio di sole. Il sole piano, piano si nascondeva dietro gli abeti bianchi che circondano la mia casa. Un gruppetto di faggi, che aveva già vissuto la danza autunnale delle foglie, tendeva i suoi rami spogli al cielo, quasi volessero chiedere aiuto e protezione. Gli uccelli smettevano di cantare e si preparavano al silenzio della notte e le poche farfalle, che ancora resistevano ai primi freddi, si posavano sui cespugli d’erica per far riposare le loro ali. Senza affanno lo scorrere del tempo metteva a riposo il tutto intorno.
Anch’io desideravo la sera. E desideravo che il tempo scorresse più in fretta per lasciare il posto alla notte, e riposare. Il buio non si fece attendere. Allora, salii nella camera da letto e mi infilai sotto alle coperte.
Mentre mi stavo addormentando, e pensavo a quale sogno mi avrebbe accompagnato, dalla fessura della finestra entrò, danzando come una libellula, una foglia di acero montano e, delicatamente, si posò sul mio viso, quasi volesse donarmi una carezza. Allora rimasi lì, immobile per un po’, a respirare il suo profumo e per godere della sua carezza. E fu proprio in quei lunghi piacevoli attimi che la mia mente, senza esitazioni, decise quale sarebbe stato il sogno che mi avrebbe fatto compagnia in quella notte autunnale. Presi così la bacchetta magica che custodisco nel mio cuore e…mi trasformai in foglia. E con l’aiuto del vento, che fuori soffiava leggero, mi misi a danzare. E danzando un po’ qua, un po’ là la mia avventura incominciò.
Appena fuori di casa una folata di vento mi portò così in alto che mi mancò il respiro; una piroetta a destra, una capriola all’indietro e il mio corpo, rapito dalla magia, perse il suo peso e… d’incanto cominciai a seguire le correnti.
Il mio entusiasmo era così intenso che illuminava il tutto intorno: non avevo bisogno di una lanterna, né della luce della luna. Il mio cuore sapeva vedere e mi mostrava dove andare. In pochi istanti mi trovai a sorvolare il grande boschetto di abeti che solo qualche ora prima si era appropriato del tramonto trasformando l’orizzonte in un grosso rubino. Volteggiando sfioravo le punte degli alberi ed il leggero solletichio che mi procurava questo contatto mi portò a pensare, o meglio mi piaceva immaginare, che volessero salutare la mia presenza riempiendomi di carezze. Senza sosta danzavo, danzavo da nord a sud, da est a ovest accompagnata dal vento leggero.
Tutto filava a gonfie vele: il mio viaggio, stravagante ed irreale, continuava la sua corsa facendomi esplorare posti a me sconosciuti, facendomi conoscere piante, fiori, animali che, nonostante le mie assidue passeggiate tra i sentieri dei boschi, tra i canaloni delle valli, non avevo mai incontrato.
Ero così felice, a mio agio, lassù tra la terra ed il cielo, che non mi preoccupavo se il vento mi spingeva troppo in alto o troppo lontano dai miei posti abituali. Ero talmente rilassata, incantata e concentrata a guardare il mondo da un’altra dimensione, che non mi accorsi nemmeno di venire inghiottita da un vortice (molto frequente in quelle zone, perché ci sono tantissime correnti ascensionali).
Tra una piroetta e l’altra salivo su-su-su e poi scendevo giù-giù-giù e ritornavo ancora più su. Un’allegria unica: non esisteva parco dei divertimenti che eguagliasse la felicità e le emozioni che stavo vivendo.
Il tutto durò sicuramente dei lunghissimi minuti, perché ero stremata, la testa mi girava e non riuscivo più ad orientarmi e, nonostante lassù il divertimento fosse assicurato, ebbi un attimo di panico; perciò, sfidando il vento, tentai con tutte le forze, un atterraggio sulla radura. Per fortuna le correnti cambiarono rotta, il vortice si afflosciò e così il mio viaggio riprese dentro ad uno scenario incantevole.
Mentre sorvolavo un bosco scorsi attorno a due faggi dei cerchi a forma di otto; questo strano ed insolito disegno catturò il mio sguardo e la mia curiosità. Subito pensai che il passaggio frequente e a volte scellerato delle persone avesse calpestato e strappato, fino a farla morire, l’erba che per tutta la primavera si era prodigata a crescere. Ma poi mi venne alla mente l’immagine di due caprioli che, mentre io girovagavo tra il faggeto alla ricerca di funghi, si rincorrevano (proprio aggirando i faggi) ed emettevano suoni passionali, perché stava arrivando la stagione degli amori.
Le foglie rimaste sugli alberi, le foglie cadute al suolo, gli aghi dei larici argentati brillavano, come se avessero addosso un vestito di perle, perché nei giorni precedenti le prime piogge autunnali avevano lavato i residui dell’estate. Mille occhi mi guardavano (cesene, tordelle, pernici) immobili, e seguivano la mia danza. Anche un pettirosso, accovacciato dentro ad un cespuglio di rosa canina ormai spoglio del suo vestito, ma carico di bacche rosse, mi fissava e dondolava la sua testolina al ritmo dei miei movimenti.
Salendo verso il crinale intravidi un gruppetto di camosci che lasciavano il campo d’amore per scendere nei boschetti più a valle, dove per loro è più facile superare il gelo invernale. Da qualsiasi parte si posava il mio sguardo la mia sorpresa diventava sempre più grande. Da lassù tutto era diverso: la geometria con cui erano disposti i faggi, che facevano da corona ad una distesa infinita di crochi, prendeva la forma di una cupola, quasi volesse proteggere quel luogo, ed il torrente che corre oltre la radura sembrava avvolto da una coperta i diamanti, creata dalla luminosità delle stelle, che in quella notte colmavano la vastità del cielo.
Insomma, più guardavo il tutto intorno e più avevo l’impressione di muovermi dentro ad un quadro che solo la natura, con la sua fantasia, ma soprattutto con la sua sapienza, sa dipingere.
Arrivata alla cima del crinale, da dove si possono ammirare spazi infiniti, il vento si fermò. Lassù un silenzio, un silenzio rispettoso inondava i monti.
Ma, improvvisamente, in quel silenzio, il bosco si svegliò, il vento riprese il suo viaggio lasciando che le voci segrete si facessero sentire. Da ogni parte udivo rumori, brusii, borbottii, chiacchiericci. Mentre la notte dormiva tutti gli abitanti del bosco erano affaccendati. Un gruppetto di abeti rossi mandava nostalgici saluti alla ormai lontana estate e si stava preparando ad affrontare il lungo inverno ormai alle porte. Uno di loro, un pò bizzarro e fantasioso, proponeva ai suoi amici un corso di danza per combattere le grandi nevicate che sarebbero arrivate a coprire di candore il tutto intorno. Diceva che se avessero danzato tutti i giorni e tutte le notti non avrebbero permesso alla neve di vestirli della pesante e gelida coperta, e neppure il freddo avrebbe spezzato i loro rami, perché sarebbero stati forti ed elastici. I vicini larici si dispiacevano per la loro progressiva nudità, ma nello stesso tempo si rallegravano per il loro nuovo vestire, dal colore dorato, sobrio ma accattivante. Alcuni scoiattoli stavano organizzando la raccolta delle provviste invernali. Due di loro, grandi acrobati, scendevano e salivano, senza sosta, dalle fronde per recuperare dai loro nascondigli le noccioline e le bacche, che astutamente avevano sotterrato durante l’estate, e portarle così nel loro ricovero invernale. Uno dei due sembrava impazzito, (ma io credo un tantino smemorato) perché non sapeva dove cercare. Ininterrottamente scavava qua e là senza alcun risultato; ed ogni volta che vedeva il buchino vuoto squittiva, squittiva come un forsennato. Un concerto di cinguettii mi portò a guardare una macchia di abeti bianchi. Tra i rami, un esercito di uccelli di passo erano in riunione, perché dovevano programmare il lungo viaggio verso i paesi caldi. Il capo proponeva di partire al mattino seguente, perché sentiva odore di burrasca; il secondo in comando, dal fiuto sopraffino, non si diceva preoccupato, perché la burrasca sarebbe arrivata da est e non da sud o da nord . Dopo una breve discussione si misero d’accordo ed il capo diede l’ordine di sospendere il canto del richiamo. Poco più in là un vecchio rugoso abete rosso, solitario, brontolava per l’incessante ticchettio procurato da un picchio, grassottello e dispettoso, che lo aveva disturbato tutta l’estate bucherellandogli il vestito. Nel mentre ero assorta nelle mie fantasie ecco che il cielo diventò uniforme, le stelle si spensero, le montagne si nascosero dentro alle nuvole e, da una catasta di rami, uno scricciolo librò le sue ali e volò via. La sua presenza mi avvertiva che la neve avrebbe fatto la sua prima visita al bosco. Senza fretta la mia danza arrivò a fluttuare sull’ultima nota del vento e, delicatamente, mi trovai stesa sul mio letto. Lo scorrere del tempo portò un nuovo giorno, lasciando che il sogno se ne andasse, ma il mio cuore sapeva che al
risveglio mi sarebbe rimasto il ricordo di un viaggio indimenticabile.