Natascia Milani - Poesie

NEL TEMPO CHE CADE

 

Chiedo una stella

per guidare il mio Sogno;

tornerà l’alba nel ricordo

e l’azzurro nel Domani

non cercherà il Vento;

il cuore sospirerà

con la vela bianca spiegata

del mio pensiero

mentre il giorno,

come lama tagliente

getterà il tremore,

come afono d’eterno

respirerà in questo luogo

dell’Anima di liliale

e splendore, sulla prua

della Felicità attraversata

nell’aria mansueta, stringendo

attimo immortale ai funebri

silenzi delle ombre affiorate;

grondante come gigli d’innocenza

crescerà il mio Desio

nell’illacrimato sussulto di Vita,

del mio abisso d’infinito

palpitare.


QUEL GRAZIE

 

Scrivo il Silenzio

su pagine di sogni compiuti

nella notte solitaria

di Domani e di Albe

e su ceruli pensieri

che di poesia respirano,

la gloria del cuore

sull’umile Anima di carezza

alle parole non dette

dietro l’ombra di un sorriso

che s’infrange di Vita

al ricordo di un grazie.


STAGIONI

 

Un minuto…..senza fiato

Un secondo….elaborato

In un’ora….pare eterna

al rintocco del Dolore;

sospiriamo aspettando

giorni infranti…dalla Gioia;

secolari sono i mesi e nel Tempo consacrato

di una giovane Speranza in un lamento sussurrato,

una Vita fatta bene;

inseguiamo l”Infinito trattenuto dalla corsa

di follia dichiarata e, al richiamo di un Silenzio

il ricordo  di un Respiro.


FILASTROCCA DELL’INNAMORATO

 

Davanzale dei sospiri

prendi fiato nella notte

per l’amore ricercato.

Suonatore innamorato

sotto il ramo del dilemma

sei riuscito a musicare.

Dolce tenero sonetto

nel duetto della danza

prendi il cuore dell’amata

di una rosa rosso vivo

per un cuor che batte forte

sotto casa di Giulietta,

di un Romeo ormai annunciato

s’incammina nel ritorno

stanco di aver, dato fiato

di un amor, non corrisposto.

Sconsolato, fiducioso

del doman che poi s’appresta

per potersi presentare

sotto il grande davanzale.

Non pensare troppo amico

alle cose troppo grandi,

torna ancora col tuo liuto

per unire il tuo casato,

sotto il fiore dello stemma.

Troppo ricco il tuo pensiero

di una povera speranza

che si spegne con l’andare

di una cammino troppo arduo.

Il tuo passo frettoloso

di tornare un’altra volta

nella notte dei sospiri.

Torna ancora da sceicco

dal tuo Harem ben fruttuoso,

una sola principessa

nel tuo Regno accederà.

Mentre il dubbio poi rimane

di un deserto di un Sahara,

di un’angoscia ancor gravosa

nel gonfiore dell’orgoglio.

Ah! Pensiero col turbante

perché turba la tua mente

sotto il tempo delle ore.

Abbi fede creatura,

i davanzali sono tanti,

basta sceglier la misura.

Buona notte innamorato

sogna ancora la tua amata

nelle notti ancor rimaste.


 

MAGIA

 

Fiabe di castelli e di farfalle,

sotto il soffio di una brezza,

nel giardino misterioso, delle rose,

la figlia del sultano

si vestiva eloquentemente

di sentimenti profondi,

nel porgere l’Iris,

sul trionfo della Verità,

al nemico, in una promessa

di Speranza, di un futur

incoronato di Saggezza

sull’inchino della fede,

nel bocciolo della Trinità,

fra i petali dell’alleanza

di un’orazione, in fiore

ove, sul biancospino,

nel suo sorriso,

gradevole e delicato,

le fate danzavano

in un’alba, di buoni auspici,

per tanta meraviglia,

mentre una rosa, solitaria,

in un angolo, dell’incanto,

tra lo schiudersi,

dei suoi petali, svelava

la dolcezza del segreto,

riservato allo stupor.


DAVANTI E DIETRO

 

L’accidia e l’avarizia

davanti al Bene,

prendevano posto,

dietro il Male,

in una mano protesa,

ardita davanti al povero;

il denaro, nel dover

di donare, dietro l’obbligo

di accettar, il sacro

pedaggio, nel trionfo

dell’egoismo, dietro

l’illusione, di un regno eterno

davanti alla mestizia,

di una miseria.


L’ARTE DEL PARLARE

 

Noi parliamo,

farfugliamo,

mendichiamo, in parole;

altezzosi, nel poi dire,

in peccati di superbia,

redigiamo, nel sapere

la devota conoscenza

ma il sapere, silenzioso

osservava il nostro andare

in concetti assai, arroganti

ove il sciocco presuntuoso,

si mostrava con corona,

di ridicoli vestiti.


FRASTUONI

 

- C’è chi ride,

ad alta voce;

– C’è chi piange,

sottovoce;

– C’è chi urla,

nel silenzio;

– C’è chi grida,

nel rumore;

Mentre, la natura,

della pace, silenziosa,

nel rumore,

sottovoce prende forma,

nella voce del Divino.


IL VECCHIO E L’ANDANTE

 

Il ritmo della tua vita

corre su un Adagio

non ancora udito

da una realtà troppo Allegra

generando un’ouverture

di un’unica Verità.


COLORI E SUONI IN UN AFFRESCO

 

Tramonto che mi accompagni

verso sogni velati di rosa

mentre le onde del mio lago

sfiorano i pensieri,

intonando la musica del cuore

nell’anima di un paesino

ancora avvolto dal mistero

di una storia narrata,

dalle rughe di volti,

di saggi uomini.

Dolce specchiarmi in questo mare.


MUSICA

 

Eco del canto,

sul suo ardore,

giungeva da molto lontano,

in un paesino, nell’intento

di asciugar le lacrime,

di una mestizia, mentre

il cuor si cullava,

nelle note di intonare,

l’inno dell’amor,

sul ritornello acceso,

della speranza.


GIOCO PASSIONALE

 

Il cuor di fante,

chiedeva la mano,

di una regina, vanitosa,

di quadri, di un castello,

nel dar picche,

allo sfortunato,

nell’illusione, di un fior,

donato, dall’innamorato

sotto il gran, davanzale,

di una notte giocosa,

sul fischiettio,

di una delusione,

di desiderar,

la rivincita.


TRA L’IMMENSO E IL PROFONDO

 

Il mio passo sospinto dal vento,

il mio cuor volava,

in regni lontani,

albeggiando perenne

sulle ali della fantasia,

padrona d’incanto,

servile al mio animo,

sfiorando l’invisibile.


 

ALLEGORIA DELL’ORTO

 

Occhieggia quel finocchio, sotto la barba folta tra una terra arida ed avvizzita dal gelo, rallegrando con storie buffe il cuore, dinnanzi attenti astanti, in remoti ricordi, con broccoli di leggerezza, sempre verdi  e cavolfiori bianchi, d’illusoria magrezza, mentre rape vanitose in bellezza sfoggiavano, arrossite di nascosto, con la verza sazia di festeggiamenti, riposata in abbondanti Sogni su spinaci, d’appagar la vista con la loro muscolatura, ben scolpita tra ogni abbraccio, grande di foglia, d’intolleranza ai bimbi capricciosi che, arricciavano il loro piccolo naso innocente, di fronte al pianto cagionevole sulle voci di mamme allarmate e preoccupate; scese allora in tavola il radicchio a donar sorrisi e colori all’inverno triste, per cullare il sonno dei più piccoli che aspettavano in una dolce ninna-nanna, che un topolino cortese e affaccendato in abiti d’acribia, nella notte silenziosa imbastita di magia, al dente caduto in disgrazia, portasse soldini musicanti, per preziose caramelle deliziose da reclamare, al palato e laggiù, lontano un carciofo imperiale combatteva il pallore di un dicembre, rimasto frodato, dal fugace di fior appassiti, dalla nostalgia, di quanto è trascorso, di tempo vicino a nonni che, con fiducia, in un orto di Saggezza donata, d’udir il frutto della speranza coltivata d’Amor genuino.


 

FIABA DI VITA

 

Esiste tra il confine dell’infinito, nel mezzo e la fine dell’eterno, al centro, ad un certo punto del sentiero d’orizzonte di ¾ nel ricamo di due punti, il regno di valico e promesse ove le certezze si misuravano con la fine del giorno  e si lasciava quello che non c’era alla notte che ripiegasse ogni dubbio nel suo manto di nera distanza; tutti gli abitanti, per lo meno i vecchi di storia, si radunavano sulle alture del Sapere e ci si accontentava del mezzogiorno per chiudere il lavoro, all’indomani rimandato di mah! nell’oggi, su cuor sospiranti che reclamavano peccato, che non ci sia luce per continuare il dovere voluto e sollevavano le fatiche del pensiero, nell’antica osteria rallentando il tempo con sorrisi di gioia, canticchiando nostalgie fiorenti d’amarezza sul loro sguardo tacito, che cercava l’Amore di lontananza mentre i muti con il bicchiere colmo di tristezza, annegavano le parole di un Tempo nella voce di Bacco e i sordi echeggiavano sul sogno quasi disfatto dall’aroma di dolore, le poesie di ciò’ che rimaneva nella piccola piazza di ricordi adornata di strofe e filastrocche remote nell’ombra di una secolare quercia dipinta dal destino contro il cielo grigio, per ostentare la forza della Vita sotto il tetto d’universo, allegoricamente spettinata dal vento nel digiuno di un inverno, temprato di noia. Fiocchi e nastri per il Natale che passa fugace, lento di una vecchiaia rivestito d’anni e clamori di gloria, donata alla vecchia vita mentre un fanciullo cercava il suo azzurro aquilone tra nubi, cariche di neve, con novella d’innocenza che s’effondeva per le vie setacciate d’antiche leggende sulla scia di sapori zuccherati da biscotti e canditi, di mille peccati di gola, tra comignoli ardenti di fumo, macchiando folli, con la loro bocca colma e sazia  di scoppiettanti rami di bacche, la sera innamorata d’Avvento d’umana sorte e ribolliva la fiamma dell’Anima, ancor carica di speranza quando il primo fiocco di neve posò l’Incanto di candore nella valle del coraggio, ammantando come carezza del Domani il borgo, rimasto sul pendio del sogno, di favola accartocciando nel suo cristallo di melodia celestiale la crusca dell’oblio, spolverando con la farina di angeli, custodi di pace, quel regno laggiù come presepe, incastonato di Bellezza, sulla via di viandanti curiosi dell’Oltre e s’ode ancor oggi la folla in fila, per ammirare lo sperduto paese, incalzando terre d’infinito rasentando Eterno, nel cuore che batte stupito, d’intravedere primavera in giardini schiusi di conoscenza sotto agrifoglio perenne di rosso Amor a 4/3 dell’immensità, senza porti di dolor, ormeggiando stelle di lucciole nel Silenzio per mostrare Saggezza del mare azzurro e del cielo blu che, con bacio segreto, in una buia notte sigillarono la loro unione con la terra di quel regno, figlia della Fede. In quella condanna di distanza, non potendosi sfiorare d’abbracci, affidarono ad un refolo il compito di condurre le loro lettere di perduto Amor su rime di fior, lei in versi di fiocchi, lui, in baci nell’invisibile poesia e brillò di colori il falco di carta tra le piume della Grandezza sorridente, d’immortale luce che piega le ombre, d’umiltà, senza fine, dinnanzi al Valore di Vita nei cuor sospiranti di attimi e di Sogni nella fiaba del Mondo.


 

GOLDONI IN TUTTA VERITA’

 

Prodigio dell’altrui e venale la sua Anima, stende quella mano che non dà sentimenti, per avere, senza offrire, un po’del suo cuore, rimasto rinchiuso in vecchie stanze e sull’avvenire parsimonioso non sa’ di essere la vittima del suo stesso imbroglio, ordinato in bramosie di ricchezza, tra libri di conti e ricerche, per lustrare i suoi occhi di Grandezza mentre porgeva un solo dito per non sprecare tempo in tante accuratezze e ornamenti, non restituendo fronzoli di riverenza per non accumular debiti, senza speranza d’altezza; diventava sempre più gobbo e curvo negli anni, ancor di più ammucchiati e camminava svelto per riscaldare le sue ossa scricchiolanti come la sua scrivania, mai sostituita; tra le vie teneva con rigore un bastone, fedele al suo comando, perché lo aiutasse nell’allontanare i seccatori che aspiravano, con miseria di stracci, ricuciti con lacci di Sogni, al suo impero polveroso di tempo; all’angolo, quasi fosse dimenticata, dalla sua anima nera a metà, poiché riflessa per metà nello Splendore, segreto agli occhi di curiosi, una stufa trascurata di Bellezza e calor adornava la sua camera, impolverata di benefizio, ricordando Gloria e gioventù passate. Egli supplicava sulla sua voce buia, lo stento degli altri vizi, ricordando il sudore donato, ai passanti, senza sprecare ciò che aveva di lui per non ricevere gran dolore mentre servitù dovuta era con Stecchino, di cinta magra e un Merluzzo, come sguardo smarrito in fatiche mentre lontano, il servitore di due padroni si divertiva sotto quell’allegro vestito, schiaffeggiando in faccia Verità, nei giorni di beffa di ironiche realtà, tra il dolce e l’amaro e stavano dietro le quinte, i Geni, mostrando protagonista di Vita, tra applausi leggeri, come ali di libertà nel sentire un vento nuovo, come sollievo al cuor di chi piange, in lacrime pesanti e giunse  di rifugio, Speranza, nella dimora dell’Anima che, pur piccina che fosse di ristoro, dinnanzi all’avidità dell’uomo, era abadia, sognando bellezza per poter addolcire domani, illudendoci ancor di più per poi ritornare nella notte con i nostri silenzi e, ci fingiamo ammalati per riscattare nella pietà altrui, presunti peccati, sulla buona fede circondati, speculiamo Bontà donataci per venderla ad un prezzo più alto, senza udir lo strazio di giorni stropicciati nel buio di Virtù non concesse al cuor, per Diletto e all’anima per Amor.