Autopsia interna
Era un freddo mattino di tiepido inverno
fuori il vento soffiava
dentro no.
Io calmo e tranquillo
destatomi nullo
accesi la pipa inver per pipare.
D’un tratto, nel mentre che ‘l tedio regnava,
un fremito, a cui ormai disavvezzo,
mi scosse il freddo del nullo sentire:
“O bacco! – mi dissi -
mi strugge un problema,
sia che sia autunno sia primavera
non so s’è mattino oppure se è sera”.
Dato uno sguardo rapido in fuori
mi dissi “Che importa, tanto tu muori”.
Tu muori o mattina, tu muori o serata,
l’inganno è servirti,
sporca giornata.
Calamandrei fritti
Calamandrei fritti,
in ristoranti misti,
al tavolo chiassano seduti
personaggi falsi e tristi.
Non più spade sguainate ma risate sguaiate.
Non più Dossetti ma borsette e rossetti e pizzini e merletti.
Ranci bellici poverelli
or son piatti ricchi e belli
finemente cucinati
per le masse svergognate
di politici sbracati
furbi, lerci e invertebrati.
Oh, Costituenti nostri grandi Padri
vilipesi siete e calpestati
da una oscura cricca di assassini e ladri.
La Pira e l’Ignazio solo fuoco sono ora per i forni
per i primi, i secondi e lor contorni.
E tu Legge prima
fondamento dello Stato
giù in fondo dalla cima giaci inerme
quasi in modo rassegnato.
Prima legge, povera, da piovre avvolta, strozzata, offuscata.
Perisci perdente per diritti depredati ma non strisci
come fanno quei serpenti viscidi e impomatati.
Lamalfamati Lamalfattori
degustan mais, perete e soia
nell’attesa spasmodica che tu presto muoia.
Togliattitelle e Saragattò,
e ridono pensando che manchi solo un po’.
E tu che, numero ventuno,
volevi liberi i pensieri
ma con chiavi e carcerieri
non sei più quello di ieri.
Non è lecito parlare
e se vedi dev’ignorare.
Ormai messo sei a tacere
da chi fa il gioco del potere.
E tu onesto non eroe zitto e Mosca
qui comanda la mafiosa cosca.
Eran Carnelutti ora sono carni a lutto.
Eran Giovani Leoni e ruggivan per il giusto.
Ora solo è rimasto del poter l’insano gusto.
Mangiare a dismisura, volere il niente e il tutto
E buttato tutt’è Allara, tutto volge in Ruina.
Oh, che fine misera e tapina.
L’Ottava Penna e i penniVendoli,
Fuèran Fanfani ed oggi fanfaroni,
maschere e coriandoli
celan mascalzoni
Senz’anima, fuor di testa, veri casi clinici
omuncoli terra terra e Terracinici.
Spanni porchi in segreto son lavandi
Son Denicoliche e son dolori Grandi.
Fantasie per Acse
Tu lenta altalena talentuosa
sul tuo seno il tuo bimbo, dolce, riposa.
All’ombra d’un platano attendi
chi a te donerebbe
la luna e ogni altra cosa.
Lo sai ch’avrai le sue mani
ed una rosa
e con lui di lui riderai,
bellissima sposa,
di lui smemorato, nato imbranato, sognatore sognato,
dai tempi dei tempi a te destinato.
Tu lenta altalena talentuosa
fragil essenza, lunatica e luminosa
movimento sinuoso e senza posa
umore variabile, pigra e laboriosa.
Tu donna attraente, formosa,
mia intelligenza e calanca sicura.
Tu splendida creatura
e lui che in eterno,
eterno innamorato di te,
di te avrà cura.
Germanico m’additò
Germanico m’additò sentenziando morte.
Er’io Ebreo ed ei orbo ed ebbro del sangue mio.
Fascitalico tenente mi portò a diversa sorte
limpidi sguardi, l’abbraccio, un sorriso e l’addio.
Han levato le maschere
Sono solo.
Losche temo trame e tra me e me mesto mi sto.
Storie rievocasti che già stimai stolti timori di tradimento.
Quei due infidi e cupi
non sapevo esser
se pecorelle o lupi.
Ma più or non m’assale dubbio.
Han levato le maschere, torbidi dioscuri d’oscuri artifizi
e le finzioni per tali m’appaiono quali,
cose senza senso sol ch’io ci pensi.
Ma or solo sono, e stanco, eppur pronto alla pugna.
Non riman che aspettare recluso in codesta stanza buia e tetra
gli agonizzanti tetragoni ma ancor funesti assai
e mortiferi.
Il Conte Oliver
Sono solo di passaggio.
Feci vagare il mio lento incedere solitario
vivendo, sognando.
Il tempo di un saluto
a voi amici della notte
e di nuovo mi avventuro
nell’oscurità.
Strade nuove da esplorare
adrenalina ed emozioni
per conoscere e sentire
al di là della ragione.
La pera Perina
La pera Perina assai deperita
non perì però,
e sperava di reperir la giusta medicina.
Fu così che senza tema del periglio andò
a trovar la sua grande amica, la Pera Regina.
Fu così che a sé la nobile Pera tosto chiamò
tutte le tante Pere Operaie
ch’eran al comando di Pera Cugina.
-Adoperatevi, forza, trovate il rimedio – ordinò.
e tutte le pere, operose davvero, feron un intruglio di miele e farina
aglio e pistacchi, more e mirtilli, di tutto un gran po’.
La diedero a bere alla povera pera
sempre più smunta ma sempre carina.
Dopo averne ingerito giusto un pochino
“Però!”- la pera esclamò –
“Perbaccolina! mi sento già meglio” e fece un saltino.
Nel giro di poco la nostra Perina
si rimise in gran forma, e meglio di prima.
Radunò la Regina e tutta la corte
ringraziò tutte e fece un inchino
poi le abbracciò e diede loro un bacino.
Quindi tornò sul suo alberello
e si addormentò nel pensare
al suo paesello
dove tutto era lieve,
dove tutto era bello.
Passi
Passi la passione per il passato
passi la passione per il passito
passi che passo dopo passo diventi un parassita
passi che il tempo passato sia semplice o remoto e che il tempo presente non esista perché già passato.
Passino i piccoli passanti
con i loro passeggini
passino passeri e passerotti
ma non passi ch’essi, pessimi,
passino passivi il tempo ad appassire,
dunque non ragioniam di lor ma guarda e passa.
E lei che passa andando a spasso a spassarsela
e lui che passa e spassa sotto quel balcone
ma tu si’ guaglione, tu nun canusce ‘e ffemmene,
e tu, femmena, tu si’ ‘na malafemmena
e così son passato di palo in frasca.
Io lo vedo l’asino che vola ma non casca,
è la storia del passato ch’ormai ce l’ha insegnato
in un con Dante, Gian Burrasca
Totò de Curtis e Carosone.
Or sento augelli fare festa, passata è la burrasca
e pure la tempesta, e così pur anco Giacomo ho citato.
Passionali siamo noi che viviamo nel passato, saltando i pasti,
e che col passo lesto torniamo spesso pesti.
Quanto tempo passato a satollarci a pranzo
ma post prandium aut stare aut lento pede deambulare
così dopo le melanzane alla parmigiana
prosciugata di vin la damigiana
ci siam pesati e, spaesati,
pian pianino dal paese siam tornati.
Abbiam trovato bulli citrulli da citrulli bulli circondati,
circondanti un che per lor era lo spasso:
che fesso, non è al passo e allora dai
passaparola, adesso, ora,
lui ha paura, gli si stringe la gola,
dai, passerà un brutto quarto d’ora.
Di lì passavan un gendarme e un generale
e furon li citrulli a passarsela assai male.
Lei passando le mani tra i capelli scese le scale,
Lui con le mani sulle passanti
vide passar tutti i suoi denti
e fu portato in ospedale.
Ma passa o non passa questo bus?
No, qui passa solo il tempo.
Ma io tempo non ne ho,
mi mancano i fazzoletti.
Tienimi informatico
Scansionami, deframmenta il mio cuore
e poi poni la mia foto
nella cartella dell’Amore.
Touch me, touch me,
ma poi regola la ventola
se no mi surriscaldo,
fornello d’una pentola.
Dai resettami, sarò come tu mi vuoi,
sì resettami
e se poi però mi blocco
tu insultami
fammi male.
Ma cosa c’è?
Dimmi il perché.
Aiutami, se no me fai murì
ma perché Wi-Fi così?
Lo sai che t’amo desktròpp
e che non ho in me malware
dammi lo start e poi lo stop
tu mi vuoi, dimmi ch’è ver.
Mi son fatto or coraggio e
ti ho inviato un messaggio:
ascoltalo e vedrai
che alla fine riderai
e son sicuro…. capirai.
Il musorno acculattato
S’acculattò musorno rassegnato ad ascoltare quel parabolano sitibondo di dir plagas esprofesso un po’ di tutti, propalando fanfaluche a più non posso. Il farabolone non dringolava affatto nel satisfare alla sua accentuata pronità nel propalar ignobili fallanze falcidiate, qua e là, dai numerosi eventi dell’ebdomada ormai passata ed eziandio quel brindellone sperticato, a tutti noto per la sua spiccata pronità all’inazione, sembrava rangolar tutto in materia di pettegolezzi. Ma il musorno acculattato, che per tutto il tempo aveva taciuto, sperando che l’amico si limitasse ad una sinossi delle maldicenze, vedendo come questi si dilettasse invece nella protrazione delle sue fole, s’elevò dal seggiolo e, primieramente inalbato, d’improvviso imporporossi le gote e, evulso letteralmente l’amico dal suo seggiolo, sbottò: “Egregio bietolone, possibil mai che la tua unica rangola sia quella di dir plagas di Tizio, Caio e Sempronio? con le tue fandonie ci puoi fare un florilegio, epperò non hai da straziar le mie povere orecchie! Or t’inchiavardo nel tuo licet che so esserti un vero eldorado: potrai lì elucubrare, evacuare e se vorrai potrai financo evellere dal tuo viso chiappiforme quelle farfecchie schifosissime ed impidocchiate. A mai più rivederci!”. E così lo trascino nel licet e, senza dringolare, così come promesso lo inchiavardò.