Paola Marini - Poesie

Alle Maestre del cuore

 

Ci sarà una volta, in un tempo futuro

in cui un gruppo di amici starà decidendo

chi, da grande, voler diventare.

Ciascuno avrà un sogno

che la mente avrà disegnato nel tempo

e che il cuore arderà di raggiungere…

Ognuno per la propria strada

ognuno con un proprio bagaglio.

Non sapremo mai come e quando

ma ci sarà per ciascuno un istante

un frammento o un attimo intenso

in cui penserà a quell’anno sui banchi

seduto a terra, chino su un testo o un materiale

quando uno sguardo si è alzato e ha incontrato

un compagno di storia e di viaggio

quando il braccio si è levato alto e fiero

per porre un quesito importante

con voce più o meno sicura

a quel volto di famiglia impostato e attento

ma ricurvo ad accogliere

e a prestare la giusta attenzione

al futuro uomo o donna che aveva di fronte.

Care maestre, noi stiamo crescendo.

Ci sarà un tempo in cui ci mancherà tutto questo…

Un tempo in cui non incontreremo più i vostri sguardi

Un tempo in cui crescendo sbiadiranno i ricordi

Ma non la sensazione del realizzato

Del compiuto, del costruito insieme.

Ci sarà un tempo in cui i nostri occhi

Vi cercheranno senza scorgervi.

Ci sarà…futuro semplice.

Oggi vogliamo vivere il presente dell’io e del noi,

vogliamo frazionarci in maniera propria, impropria o apparente

vogliamo vivere l’attimo e conservarne il ricordo

per poterlo gustare

in un futuro semplice o anteriore che sia.

20 grazie in un cuore solo.

La Vostra 3^ M


Iniziazione CAMPO SCUOLA

 

Ecco a voi brava gente

Siamo quelli della MENTE

Qui davanti promettiamo

che una squadra diventiamo

con gran forza e assai coraggio

noi iniziamo questo viaggio

ed in coro canterem

siam la mente, vincerem!!!!

Ecco noi siamo la squadra del CUORE

Il nostro motto sarà il buonumore

Gioia e furore saranno da matti

Protagonisti dei nostri atti

Sguardo da amici, maestri dell’arte

Mente ci spiace, fatti da parte!!!

Finora vi abbiamo lasciati parlare

Ma ora è il momento di presentare

La vera squadra che vincer saprà

e con gioia grande al ciel canterà

Vittoria, vittoria, la VOCE ha parlato

voi mente, voi cuore, vi abbiamo stracciato!!!

Che stolti che siete, ma come farete?

Di certo da soli non vincerete!

Ciascuno di voi dovrà accontentarsi

di un podio più basso dove sdraiarsi

poiché senza un CORPO, avrete capito,

non sarete in grado di muovere un dito!

Perché affannarvi, magari ricordare

Che l’importante non è vincere, ma partecipare!

Cari ragazzi, abbiamo capito

Che da educatori staremo in campana

Di certo useremo un ingegno condito

Di tanta pazienza che cada a fontana

Il campo comincia, le squadre assegnate

Pozza i bbè, speriamo capiate

Una cosa importante al vostro “risveglio”

Che da soli si può… ma insieme è meglio!


Halloween Campo Casone

 

Benvenuti a tutti i bimbi

Mostriciattoli e paurosi

Che stasera sono pronti

A far giochi spaventosi.

Passeremo per le vie

A suonare i campanelli

Per giocare e divertirci

Ne vedremo delle belle.

Il quartiere sì vi accoglie

Con il cuore spalancato

E per farvi divertire

Anche il nome ha trasformato.

Una zucca un po’ speciale

Fa ritorno qui al Casone

E per voi l’ha trasformato

In un super Campo Zuccone!


Il Natale in 3^ M

 

C’è una festa che il mondo

con ansia attende

Una festa speciale

che nulla pretende

Se non l’amore

tra cuori vicini

Dei gran specialisti

sono proprio i bambini.

Care maestre, teneteci per mano

Insieme siam certi, andremo lontano.

Gesù nascerà, è un dato di fatto

chi dice di no davvero è un po’ matto.

Ma noi siamo qui

crescendo con voi

Per poi diventare

dei piccoli eroi

Che tra cielo e terra

sapranno trovare

Il più bell’augurio

di Buon Natale!


Poeta per caso

 

C’era una volta… poi due… poi tre…

Una storia diversa, ecco ciò che leggerete.

Ma cominciamo dal principio.

Marco, giovane ragazzo dalle mille risorse, decise di dichiararsi alla bella Sara, fiducioso in un lieto successo.

Decise di dedicarle una serenata: radunò gli amici più cari, una chitarra e una fisarmonica, scelse il più bel mazzo di fiori, appuntamento ore 22,30 sotto il suo balcone in Via degli Innamorati n° 2. Tutti puntuali, mi raccomando.

C’era solo un piccolo particolare: Marco era stonato come un campanaccio vecchio e stridulo.

Ma come rimediare? Avrebbe potuto cantare in playback…ma che figura!!!

Così decise di improvvisarsi poeta, sulle note musicali che i suoi due amici avrebbero strimpellato…ma quale poesia scegliere?

Oh perbacco, che dilemma!

Trovato: “reciterò La nebbia sui finti colli, ricordo bene di averla studiata alle elementari…”, disse Marco tra sè.

Ma lui non la sapeva a memoria. Avrebbe dovuto leggerla nel mentre: ma che figura!!!

Allora decise di creare un gobbo che gliela suggerisse.

Cercò a casa un vecchio testo di scuola da cui trascrivere la poesia… ma nessuna nebbia sui finti colli all’orizzonte…eppure ricordava benissimo di averla imparata.

C’era solo una cosa da fare: affidarsi alla sua memoria.

Incredibile, riuscì a ricordare tutta la prima parte. Soddisfattissimo, arrivò puntuale sotto il balcone della giovane fanciulla.

Raccolse una pietra da terra e la tirò alla sua finestra.

Come sentì aprire l’infisso, diede il via a chitarra e fisarmonica: sul balcone apparve la ragazza più bella, affascinante, tenera e dolcissima che Marco avesse mai conosciuto.

Cominciò la sua interpretazione:

“La seppia agli orti polli

Piovigginando male

E sotto il davanzale

Urla come un cane

Che in compagnia dell’orco

Dal ribollir dei pini

Va l’arduo odor dei cimi

L’abito ad indossar”.

Conclusa l’insolita interpretazione, tutti gli amici erano rimasti senza parole, mentre Sara dal balcone, con gli occhi sbarrati, cominciò a ridere a crepapelle.

Marco rimase interdetto, non sapeva cosa pensare: le sarà piaciuta?

Non riuscendo a resistere le chiese gridando:

“Ti è piaciuta, mio splendore?”

E Sara:

“O mio giovane poeta, le tue parole mi sono giunte dritte al cuore, Carducci starà sorridendo di un simile restauro”.

E Marco:

“Sono così felice! Sai, avrei tanto voluto cantare, ma non essendo intonato ho preferito recitare”.

Sara rispose:

“ O mio dolce cavaliere, per come sai recitare, potresti anche cimentarti a cantare! Torna domani sera, e portami in dono una nuova poesia o un canto, a tua scelta”.

Marco annuì felice…e così fece: la sera dopo, stessa ora, stessa compagnia di musica e amici, si presentò sotto il balcone della giovane fanciulla e, non avendo trovato la stessa pietra, ne scelse un’altra per far affacciare la giovane alla sua finestra.

Alla vista di Sara, Marco s’improvvisò cantore mononota!

“Amor dammi quel fazzolettino…amor dammi quel fazzolettino…amor dammi quel fazzolettino vado alla fonte lo vado a lavar…”

Scattò l’applauso impetuoso della dolce Sara che dal balcone interruppe la sua straordinaria esibizione.

“Basta così, mio giovane cantore, non vorrei la tua voce si facesse fioca per domani sera, quando dovrai tornare a cantare o recitare ancora una volta per me!”, disse Sara.

“Mia adorata”, disse Marco”, ma poi accetterai di scendere e uscire con me?”

“Ad una condizione”, rispose Sara, “che il componimento di domani sera sia tutto frutto della tua immaginazione”.

Marco ebbe la sensazione che la mandibola fosse precipitata a terra, tanto la sua bocca si spalancò.

“Ma io non sono capace”, disse Marco, “di comporre qualcosa di decente come la poesia di Carducci di ieri sera!”.

Sara soffocò una risata fragorosa e poi disse: “anche se non fossi capace di un tal componimento, sarà comunque speciale, poiché frutto del tuo cuore!”.

Marco tristemente annuì…e se ne andò col suo squadrone di amici.

Il mattino seguente il giovane cominciò a buttar giù dei versi ma nulla…nessuna ispirazione, i fogli bianchi rimanevano tali, la matita non riusciva a imprimersi con alcuna parola, tutto era inutile. Allora che fare?

Andò in biblioteca, cominciò a leggere poesie per lasciarsi ispirare, ma non potendole copiare non sapeva cosa farne.

Lesse di tutti i più grandi poeti e autori, contemporanei e non, le parole girovagavano nella sua mente, ma non riuscivano ad unirsi in un pensiero speciale…”come farò?”, disse tra sé, in preda alla disperazione.

Giunse l’ora del ritrovo, i suoi amici erano tutti lì a sostenerlo, ma lui non era certo di voler andare: avrebbe deluso Sara, ne era convinto!

Si fece forza e si trovò per la terza volta sotto il balcone della sua amata, stavolta con una profonda tristezza e angoscia per non essere riuscito a pensare a nulla che fosse degno di essere a lei dedicato.

Poi all’improvviso la giovane uscì, forse impaziente di ascoltare il componimento in suo onore; appoggiò i gomiti sul passamano e mise il dolce volto tra le mani, in attesa del primo verso…

Alla vista di Sara, qualcosa in Marco si accese: era stato tutto il giorno a pensare con la testa, invece di leggere nel suo cuore le parole più belle.

D’impulso partì dicendo:

“Mio dolce amore,

linfa del mio cuore

accetta questo povero me

che solo chiede di uscire con te”.

I suoi amici si guardarono attoniti: non era male… ma… neanché ‘sto granché!

Alzando lo sguardo, videro all’improvviso Sara rientrare in casa, chiudere la finestra e spegnere persino la luce.

Che disastro: un completo fallimento.

“Coraggio, Marco, hai fatto del tuo meglio…vedrai, domani sera andrà meglio”, dissero in coro i suoi amici.

D’un tratto, il giovane vide un’ombra affacciarsi nella notte e corrergli incontro a braccia aperte: ma…ma… era Sara!

Marco fu inondato da un abbraccio travolgente che lo fece cadere a terra.

Entrambi scoppiarono in una risata fragorosa, interrotta da Sara che disse:

“O mio dolce poeta, certamente uscirò con te! Il tuo fresco componimento mi ha convinta!”.

“Dici davvero?”, chiese il giovane.

Sara lo fece tacere con un bacio.

E vissero per sempre Poeti e Contenti.


Un’avventura da sogno

 

Cari amici piccoli e grandi,

Mi chiamo Elia, ho sette anni e il 25 gennaio ho vissuto l’avventura più straordinaria che un bambino possa sognare… siete pronti a viaggiare con me? Tenetevi forte, si parte!

Era una giornata fantastica, il sole splendeva alto nel cielo ed un sola unica nuvola a forma di elefantino era sopra casa nostra: insomma, la giornata ideale per non andare a scuola.

Detto, fatto.

Era la festa del Santo Patrono, scuola chiusa.

Chiesi al mio papà di poter trascorrere qualche ora nel suo ufficio per poter fantasticare con un videogioco dal nome 8 gamer, disponibile su un suo vecchio computer.

Ma andiamo per ordine: mi alzai con la mia solita frizzante allegria, feci colazione guardando i miei cartoni preferiti, mentre sentivo la mamma sbraitare con Sara, la mia sorellina di 4 anni, che, vedendomi a casa, non voleva saperne di andare a scuola. Dimenticavo, non frequento la scuola del mio paese.

Dove eravamo?

Ah sì, terminata la mia colazione, la mamma mi raccomandò di lavarmi e vestirmi che sarebbe tornata a prendermi di lì a poco per accompagnarmi da papà, come desideravo.

Da bravo bambino (a volte mi stupisco da solo), obbedii su tutti i fronti e mi feci trovare pronto al suo ritorno: zaino in spalla, per farle credere che avrei fatto anche i compiti (sono un grande!), acqua, merenda, giubbino, sciarpa, cappello e guanti, come da copione: “eccomi mamma, sono pronto. Bravo, vero?”

Presi l’ascensore mentre lei parlava al telefono (zia Manu mi disse), aprii il portone del palazzo per uscire, aprii il cancello, tornai indietro e mi feci dare le chiavi della macchina, aprii anche quella, compreso il portabagagli, misi dentro lo zaino, chiusi il portabagagli, salii in macchina, misi la chiave nel quadrante (attenzione a non girarla) e aspettai che anche la mia mamma salisse a bordo.

Mamma, ma sei ancora al telefono? Che pazienza ci vuole!!!

Finalmente salì e partimmo. Sempre dritto, poi a sinistra, di nuovo a sinistra, poi a destra ed eccoci arrivati… ormai conoscevo a menadito la strada, sono diventato grande…IO!

Bussai alla porta, entrai, salutai papà, con noncuranza della mamma che gli disse qualcosa che non capii, ma poco importava: 8 gamer, stavo arrivando!

Ci giocai per una mezzoretta circa quando papà mi chiese se dovessi fare i compiti: io risposi distrattamente no, poi ci ripensai e dissi “forse”. In realtà non avevo compiti a casa, ma avevo promesso (ero impazzito?) che avrei lavorato su un libro che la maestra di linguaggio mi aveva prescritto per migliorare la mia grafia illeggibile.

“Ok papà”, gli dissi, “adesso prendo il libro e faccio qualcosina”.

Rispose: “Appena finito vieni qui da me, ti mostro qualcosa sul mio computer”.

Il suo computer? Fantastico! Completai 5 pagine più rapidamente di Flash, chiusi il libro che lasciai sulla scrivania e mi fiondai sulle gambe di papà…ti ho mica spaventato?

“Elia, ti mostro un nuovo gioco che potrai fare sulla mia postazione…mi assenterò una mezzoretta, mi raccomando, non aprire a nessuno e vedrai, sarò di ritorno prima che tu abbia conquistato tutti gli stadi del gioco.”

“Grazie papà, farò come mi hai detto: non mi alzerò dalla sedia se non per andare in bagno!”

“Bravo il mio ometto…tornerò presto”…e, messosi il giubbino, aprì la porta e uscì dall’ufficio.

Incredibile: ero solo soletto nel regno del mio papà, con tutte le sue attrezzature a disposizione, che ovviamente non sapevo usare, ma non mi importava: potevo giocare, giocare, e ancora giocare senza la voce stridula di mamma che mi dicesse “due minuti e poi basta”.

Che divertimento ragazzi! Il gioco scaricatomi da papà era fantastico, le mie dita volteggiavano leggiadre sulla tastiera dell’I-Mac fino a quando successe l’imprevedibile: lo schermo del computer si fece improvvisamente tutto nero, buio assoluto, come una voragine… e adesso?

“Che ti prende, schermo…coraggio, non facciamo scherzi, non puoi abbandonarmi così”.

Sembrava non ascoltarmi.

Clickai sul mouse per vedere se qualcosa si muovesse, ma nulla…il buio sembrava sempre più buio del buio…esiste un colore più nero del nero?

Aiuto, cominciai a sudare ma in realtà non stavo mica correndo…anche perché non c’era la mamma che mi avrebbe asciugato con il phon…Anche gli occhi cominciarono a sudare, le guance si bagnarono, ma…ma non era sudore…

“Oh mamma, sto piangendo!!!

Scoppiai in un pianto inconsolabile, battei la testa sulla tastiera, mi alzai, feci il giro della sedia, mi risedetti, mi rialzai, presi i fazzoletti con il naso gocciolante, ero una specie di scimmia saltellante e ululante come un lupo in preda al panico e alla disperazione. Ma i lupi avranno mai paura?!?

“E adesso? Che faccio?” mi chiesi.

Intanto continuai a piangere: “ho sette anni”, mi dissi, “ne ho tutto il diritto”.

Per quanto tempo piansi non lo so… di fazzoletti ne avrò usati 10 o 15, quindi direi non troppo…misi la testa tra le mani e cominciai a pensare. D’improvviso smisi di piangere come se i neuroni si fossero risvegliati e riattivati e mi chiesi cosa poter fare per risolvere il problema. “Aspettare papà” mi dissi, tanto di lì a poco sarebbe dovuto tornare…guardai l’orologio sulla parete ma non sapevo leggerlo…scusa mamma, ti ho sempre detto che non mi serviva, maledetto me!

La lancetta grande stava sul 7…la piccola sul 10…oddio, che ore erano?

“Basta Elia”, dissi tra me e me, “adesso va’ in bagno, lavati mani e viso, fai anche pipì se già non l’hai fatta nei pantaloni e rifletti…rifletti…rifletti…”

Ok, avevo riflettuto…e presi la decisione più incredibile della mia vita: “esco e torno a casa! Lì troverò la mia mamma che mi riaccompagnerà in ufficio e risolverà l’enigma schermo nero corvino. Non ho altra scelta”.

Rimisi tutto nello zaino (non potevo lasciarlo da papà, la mamma mi dice sempre che le mie cose devo custodirle come un tesoro), mi rivestii indossando giubbino, cappello, sciarpa e guanti, presi il trolley, chiusi la porta dello studio e…ero fuori.

Mille pensieri affollavano la mia mente: era la prima volta che mi trovavo DA SOLO a dover affrontare una simile sfida: trovare la via di casa. “Cosa troverò sulla strada? Sarò capace di arrivare a casa mia?” pensai.

“Ma certo”, mi dissi, “l’abbiamo fatta talmente tante volte con mamma, papà e Sara, cosa vuoi che cambi? Saprò bene come fare”.

Cominciai a camminare mettendomi sul marciapiede, dapprima con passo calmo e tranquillo, poi tutt’a un tratto presi a correre, facendo continuamente sobbalzare lo zaino che se avesse potuto parlare mi avrebbe urlato contro e contemporaneamente vomitato libri e astuccio.

Arrivai su Via Roma, l’ex strada statale nonché strada principale del mio paese, dove papà mi dice sempre che le macchine sfrecciano rapide nonostante vi sia il limite di 50 km orari (avete presente? Si tratta di quel cartello con su scritto il numero 50 dentro un cerchio rosso). Cercai attentamente le strisce pedonali (eccoleee!), scesi dal marciapiede, mi affacciai da dietro un’auto parcheggiata e una macchina con una signora sorridente si fermò per lasciarmi passare.

Attraversai le strisce praticamente in volo e salutai con un cenno di mano. “Elia, ricordati di ringraziare sempre chi si ferma per lasciarti passare ” dicevano sempre mamma e papà.

Raggiunto l’altro marciapiede, nella mano il manico del trolley ben stretto, continuai a camminare svelto, poi a correre, correre, correre, fermandomi solo ad ogni cambio via: “Attento Elia, quando finisce una via ne inizia un’altra, possono arrivare macchine, che devono fermarsi allo Stop, ma la prudenza non è mai troppa , prima di attraversare guarda bene e stai sempre molto attento”. Nelle mie orecchie risuonavano insistenti i sermoni di mamma e papà, e così feci: sosta da Via Roma a via Concetto Franchi e poi via come un treno, sosta da Via Concetto Franchi a Via Giorgio Amendola per poi riprendere Via Concetto Franchi… di nuovo in corsa sul marciapiede fin quando lessi Via Enrico Berlinguer…,ma…ma… ma è la via dove abito…oh Signore ti ringrazio…ero finalmente arrivato! Ero stanchissimo, avevo percorso tutto di corsa e, ansimando, sostai per un po’ davanti al cancello del mio palazzo con il trolley a terra e le mani sulle ginocchia. Ce l’avevo fatta, il mio sogno si era avverato: tornare a casa completamente solo, fantastico, mamma e papà (forse anche Sara) sarebbero stati fieri di me!

Quarto piano, ecco dove devo suonare… pigiai il pulsante…aspettai…cominciai a contare uno, due, tre, ma niente.

Risuonai più forte,aspettai contando fino a 7, i miei anni: ancora niente.

“Non c’è due senza tre” mi dissi, risuonai…stavolta contati fino a 11 (la mia età più quella di Sara), ma nulla di fatto.

“Forse mamma è uscita sul terrazzo e non mi sente. Idea, scavalcherò il cancello” mi dissi. Così, da allegro velocista, mi trasformai in quattro e quattr’otto in perfetto scalatore: un bimbo dalle mille risorse, incredibile ma veropro!

Andai alla pulsantiera per aprire il cancello, rientrai lo zaino che aveva preferito non scavalcare con me, chiusi il cancello e suonai al portone.

Suonai e risuonai…due, tre volte…fino a sette come i miei anni…mamma, ma dove sei? Feci il giro del palazzo ma non trovai nessun condomino che potesse farmi entrare: rimaneva solo una cosa da fare. Sigh…Sigh…SighSighSigh… ma che pensavate? Ovvio, mi misi a piangere!!!

“E adesso? Che faccio?” pensai tra me e me.

Due erano le soluzioni: continuare a disperarmi, oppure riprendere la strada dell’ufficio.

Secondo voi cosa decisi?

Ebbene sì, scelsi la seconda opzione: sarei tornato in ufficio da papà.

Aprii di nuovo il cancello, uscii sempre con il mio fedelissimo zaino, richiusi il cancello e ripresi a correre sul marciapiedi senza sentire il peso delle mie gambette ossute e magrissime.

Striscie pedonali, grazie a tutti, marciapiede, massima attenzione…e se papà non fosse ancora tornato? Da lontano mi accorsi che in effetti la macchina non c’era…incredibile, il tempo si era fermato, non mi spiegavo…doveva uscire solo per mezz’ora…

Ero ripiombato nella tristezza buia come lo schermo quando di lì a poco, dietro di me, sentii un’auto che mi affiancava rallentando: mi girai molto lentamente, con gli occhi gonfi e pieni di lacrime, ed era… LUI, sì, proprio lui…il mio papà! Era tornato, il mio papà era tornato da me!

Parcheggiò al solito posto, scese dall’auto con una faccia più strana della mia, forse l’incontro non era andato come previsto, mi prese la mano, rientrammo in ufficio e resistetti, tenetti duro, non volevo assolutamente mi vedesse piangere. Mi chiese con la sua solita calma come mai mi avesse trovato fuori tutto vestito e incappucciato, e io risposi: “sono tornato a casa, ma mamma non c’era…”

Alle mie parole i suoi occhi si sgranarono oltre l’inverosimile, la bocca spalancata come dal dentista, si sedette lanciato sulla poltrona e mi disse quasi con sussurrando: “scusa, ripeti: cos’hai fatto?”

E io “Te l’ho detto, sono tornato a casa per cercare aiuto, chiedere alla mamma, il computer si era fatto tutto nero, io non ho toccato nulla, non ho rotto nulla, ho fatto tutto come mi hai detto tu, ma a quel punto non sapevo più cosa fare, ho cominciato a piangere, poi ho smesso, ho ripreso coraggio, ma forse ho fatto un guaio, dovevo rimediare…” gli dissi con voce tremolante.

Pensai fosse arrivato il momento di crollare e piangere, giammai gli fosse venuto in mente di sgridarmi.

E invece vidi solo le sue braccia spalancarsi verso di me in un avvolgente e caldo abbraccio consolatore…uno di quegli abbracci che non dimentichi facilmente poiché ti spezzano in due tanto sono forti…Così pensai bene di raccontargli tutto quello che avevo provato, ciò che avevo pensato di fare, che ero passato sulle strisce pedonali (tanto me l’avrebbe chiesto), che avevo ringraziato (mi avrebbe chiesto anche quello), che ero rimasto sempre sul marciapiede…insomma, in pochi minuti gli raccontai tutta la mia fantastica avventura da sogno.

E voi? Cosa vi sareste aspettati a quel punto?

Grazie al calore dell’abbraccio del mio dolce papà…ma anche all’irrefrenabile corsa con il mio zaino degli Avengers, avevo sudato così tanto che papà non ebbe altra scelta che portarmi a casa per lavarmi e cambiarmi.

Lungo il tragitto (stavolta in auto), gli raccontai tutto, senza tralasciare alcun dettaglio. Della strada percorsa, dei miei pensieri, dell’attenzione alle vie, alle auto e alle persone, delle mie soste tra un cambio e l’altro di via e soprattutto della profonda delusione di non aver trovato mamma a casa ad aspettarmi dopo tutto quello che avevo fatto.

“A proposito, ma mamma, dov’è?” chiesi a papà.

“A farsi i capelli” mi disse.

A farsi i capelli?!?!? Ma dico, stiamo scherzando? Io disperato girovago, velocista, scalatore…piccolo, ma non troppo, e indifeso quanto basta, in cammino sulle strade di un piccolo paese di mare, con una meta ben precisa ma senza il risultato tanto atteso…e lei a farsi i capelli…?

Ma dico…schierziamo?

In auto, lo devo riconoscere, arrivammo a casa molto più velocemente che a piedi (quando prenderò la patente sarà tutta un’altra cosa).

Cambiato, asciutto e pulito, dopo aver fatto incetta di caramelle (calo di zuccheri o golosità pura?), rimontammo in macchina e avvisai una strana sensazione sopra la cintura…avevo come dei morsi allo stomaco…che rumori…come potevo chiamarli?…ma certo…erano i morsi…della fame!!! “Aiuto papà, ho una fame da lupi, come facciamo?” gli chiesi.

Prontamente mi rispose. “Semplice, andiamo a comprare il pane!!!”

Il mio papà è fantastico: ha sempre la risposta giusta, mitico papà!

Presa la mia baguette chilometrica (il lupo non poteva accontentarsi di un misero e semplice panino), tornammo in ufficio e, mentre parcheggiavamo, vedemmo arrivare la mamma in tutto il suo splendore…bellissima (così vuole le si dica sempre).

Ci salutò, ovviamente ignara dell’accaduto. Entrammo in ufficio, io mi tolsi giubbino, sciarpa, guanti e cappello e continuai a mangiare. Mamma si sedette e ci chiese: “Allora, novità?”.

Io e papà ci guardammo negli occhi con un po’ imbarazzo, al che la mamma, a cui non sfugge mai nulla, avendo notato un atteggiamento insolito, ci chiese: “Tutto a posto? Che succede?”…e giù a valanga, raccontai ogni cosa senza mai fermarmi.

Alla fine della storia, con un grosso sospiro, guardai la mamma: era impietrita, accasciata sulla sedia, occhi giganti e luccicanti come grossi fari nella notte, bocca semi aperta (dal dentista così non va bene).

Senza distogliere lo sguardo da mamma, mi rivolsi a papà e ironicamente (ma non troppo) gli dissi: “Papà, la mamma è diventata una statua, guarda, non si muove!”

Vidi gli occhi di papà incrociare quelli di mamma, si guardarono per un po’, poi la mamma scoppiò a piangere. Ero disorientato, non sapevo cosa pensare, l’avevo delusa, era arrabbiata con me…Poi si alzò dalla sedia e mi strinse così forte da togliermi voce e respiro, tanto che non potetti dirle di fermarsi…tremava tutta, quasi quanto me quando non l’avevo trovata a casa. Avrei voluto dirle: “capisci cos’ho provato?”, ma preferii tenermelo per me.

Ne parlammo a lungo, fino a pranzo, ma anche durante e dopo. Ripensando alla mia avventura, mi ricordai di particolari che avevo tralasciato, dei gatti incrociati, delle foglie a terra lungo la strada, degli alberi spogli, dei colori delle case e del cinguettio di qualche raro uccello che aveva forse perso la strada di casa.

Tutto mi sembrò fantastico…e potevo ben dirlo, ero veramente fiero di me.

Anche mamma e papà si congratularono con me per aver compiuto una missione incredibile in maniera eccellente…però conclusero in coro dicendo: “mi raccomando, non lo fare mai più”.

E io: “e perché mai? In fondo…sono stato così bravo!”


Benvenuta Vita

 

Un altro volto, un altro cuore

arriva a pulsare di vita propria.

Nessuno lo credeva più possibile

E così, quando tutto ormai sembrava segnato

arrivi tu, a stravolgere i sensi

a rimettere in circolo le attese.

Arrivi come un tornado costruttore

come un impeto che viene dal mare

che si abbatte sui nostri scogli sopiti

scuotendoli e svegliandoli.

Arrivi come la pioggia

in una calda giornata d’estate

Improvvisa ma attesa, desiderata, voluta.

Creatura perfetta, disegnata col pennello

sei un vero prodigio…

Ho paura a toccarti, così tenero e fragile

che rischio di romperti.

I tuoi occhi entrano nei miei…

Ebbene sì, sono il corpo di quella voce

sono io…la tua mamma.

Ho questo volto, questo sguardo…

non so se ti piaccio

Ma tu piaci tanto a me…

e al tuo papà, che non smette di fissarti

per paura di perdere una smorfia, un lamento, un rigurgito.

Ora sei…tangibile, concreto, reale.

Ora sei…vita che respira da sé…

Benvenuto miracolo

Benvenuta vita

Il tuo nome è…


Dove sei

 

Non ti sento

Non ti vedo

Il tuo profumo è lontano

Il tuo sguardo non scorgo

Eri sempre con me

Ti tenevo la mano

Ma quando sei partita

Non ho fatto in tempo a stringerla

A salutarti

A te, che sapevi tutto di me

Da sempre

A te, a cui confidavo le mie paure

Le mie attese

Le mie ansie

I miei sogni

A te, parte di me

ed io, parte di te.

Complici in tutto

Non c’era mattino che non ci appartenesse

E tramonto che non ci accarezzasse.

Tutto sapeva di noi

Un noi costruito dal nulla

Voluto dall’Alto

Quell’Alto che ti ha ripresa con sè

Che ha rubato la mia metà

O il mio tutto.

Fatti sentire ancora

E ti racconterò di me

Di ciò che hai perso

Che magari sai già

Ma non dalla mia voce.

Fatti vedere

E io ti mostrerò di loro,

Dei doni ricevuti

Che mi chiedono di te

Da sempre sul mio comodino,

Da sempre vicina

Come quei giorni

Come quel tempo

In cui mi baciavi e dicevi

“Sei perfetta così come sei”.

Tua l’ultima buonanotte, tuo il primo buongiorno.

Altri bimbi accudirai, fortunati di certo.

Ma di me non scordarti

Io non potrei

E ti immagino così

Come quella scritta pensata per te:

“…E tu, Bellezza infinita

Brilli radiosa abbracciata al tuo Dio.”


Inadeguata

 

Ho sempre creduto di essere diversa

di avere una marcia in meno

un difetto di fabbrica

una falla incolmabile.

Quand’ero piccola i miei mi dicevano

“vali meno di niente”.

Ma com’è possibile che tu sia così

cosa abbiamo fatto di male?

Ho finito per abituarmi all’idea

per ammettere che quanto dicessero fosse vero.

E così sono cresciuta

consapevole di limiti addossati

che poi reali sono diventati

poiché riuscivo a calzarli a pennello

divenuti ormai parte di me.

“Sono quella che sono”, mi ripetevo

creatura di Dio, che mi ha voluta così

con i miei pregi e i miei tanti difetti.

Chi mi ama mi segua

ma dietro di me il vuoto assoluto.

Terribile la solitudine

amara la realtà.

Eppure sentivo un fuoco ardere dentro

e un cuore pulsare di vita.

Se c’è vita – e la vita è un dono -

perché io dovevo sentirmi un errore?

Non c’è mai errore in una vita che sboccia

in un nuovo respiro che prende corpo e forma.

Mi sentivo un aborto mal riuscito

che ha stretto i denti per aggrapparsi alla vita

che ha difeso i battiti perché il ticchettio non si fermasse

che ha schivato la presa, nascondendosi da morse mortali.

Ma per avere cosa? Offese e derisioni?

E’ davvero meglio morire che vivere?

Arrendersi piuttosto che lottare?

Inadeguata…inadatta…incapace…

Avete fatto nascere una creatura

per poi farla morire di stenti.

Non l’avete nutrita d’amore

non l’avete innaffiata, concimata

l’avete solo potata di autostima e carica vitale

annientandola, perché comprendesse la sua pochezza.

Ebbene, quella creatura oggi vi ringrazia

perché nonostante il vostro non-amore

è incredibilmente sopravvissuta alla tempesta

avendo conosciuto l’Amore gratuito

che nulla chiede in cambio, ma tutto sopporta.

Un Amore speciale, salvifico

capace di ridare linfa alla pianta

ormai ingiallita e imbruttita

che improvvisamente riprende vigore

alza lo sguardo, drizza il busto.

E si accorge che non tutto è perduto…

Dico grazie a quest’Amore

grazie alla Vita e a Colui che me l’ha donata.

Non ho più paura ormai

perché seppur inadeguata ai miei occhi

divento perfetta ai Tuoi…e questo conta, nulla più.


La pietra e la farfalla

 

Sono come una farfalla

dapprima giovane e colorata

ora vecchia e sbiadita.

Le mie ali sono stanche di sbattere

di alzarsi in volo

mi appoggio sempre più di frequente

senza scegliere dove

ma lì, dove capita, senza selezione

poiché tutto diventa meta

quando non si è in ricerca.

E’ un mattino di primavera, uno dei tanti.

Mi fermo su di una pietra, una qualsiasi.

Non mi accorgo della sua forma

né mi curo della sua levigatura.

Improvvisamente odo una voce molto vicina a me.

La pietra su cui mi sono posata

mi sta parlando e dicendo:

“grazie di aver scelto me!”

E io: “Ma non ti ho scelta, sei capitata a caso”.

“Nulla è a caso”, mi dice, “tu in qualche modo

hai scelto di posarti su di me, rendendomi felice. Hai fatto la differenza, grazie!”

“Io avrei fatto la differenza nella tua vita!?!?” le dico.

“Beh non esageriamo… nella mia giornata!” risponde.

“E questo ti basta?”

“Perché, ti pare poco? Io sono una pietra, costretta ad essere sempre nello stesso posto

a meno di incontri, come il nostro di oggi”.

“Non c’avevo mai pensato, di poter cambiare le sorti di qualcuno intendo…”.

“Le tue ali sono un grande dono, ti rendono libera e capace di spostarti ovunque

decidi tu quando, dove e come.

Per me invece decidono gli altri, ma va bene così, sai? Non importa, io so aspettare”.

“Io invece non ho pazienza”, le dico.

“Voglio metterti alla prova”, dice la pietra, “resta con me un minuto, un’ora o tutto il tempo che vorrai

diventa pietra per un po’, e poi mi dirai se ti piacerà.”

Rimango lì un’eternità…in realtà solo il tempo di uno sbatter d’ali.

Percepisco e realizzo che il dono della libertà è unico ed inalienabile.

“Non potrai mai essere pietra” mi dico a voce alta.

E la pietra a me: “Infatti non lo sei…e non lo sarai mai. Va’ e continua per la tua strada.

Non importa se il tuo volo sarà stanco e fiaccato dagli eventi, non smettere mai di cercare dove un fiore

dove una pietra, per il riposo.

Tu sei nata farfalla, come io sono nata pietra. Siamo diverse, ma entrambe coloriamo di noi questo creato.

Io da pietra, tu da farfalla.

Non sentirti mai sola, ma parte di un universo che ha bisogno di ognuna delle sue creature

fiero di me…fiero di te…fiero di noi. Buon viaggio!”

Da quell’incontro tutto è cambiato…

o forse nulla…

ma si è accesa in me la certezza

che nessuno mai potrà prendere il mio posto…

e questa consapevolezza rende il mio volo alto e leggero…

unico…insostituibile…

che solo io sono in grado di governare…

perché sono quel che sono.

Sono Farfalla.

E quasi posso dire…fiera di esserlo.