LIBERTÀ
Il tuo nome
Dovrebbe essere innalzato
Sulle cime dei monti,
Sulle onde del mare,
Sulle ali del vento.
Dovrebbe essere il vessillo
Di ogni Nazione, di ogni Paese,
Di ogni Villaggio,
Il canto di ogni essere umano.
Il tuo nome
Dovrebbe essere scolpito
Nel calore del sole,
Nel chiarore lunare,
Nell’azzurro del cielo,
Nel profondo del mare.
Ma niente di questo è reale
E il tuo nome
Resta solo un frammento
Di un muto alfabeto.
Una vuota parola
Stampata sui dizionari
E nei libri di scuola,
Priva di senso
E nessun ideale.
NOSTALGIA
Dio che voglia di piangere!
Che tristezza immensa
Trafigge il cuore
Quando ripenso
Ai giorni felici e brevi
Trascorsi al tuo fianco.
Pensandoti
Ti ritrovo riflessa nei miei gesti,
Parte di me stesso.
Ricordo il tuo viso,
Così dolce eppure così triste,
Ripenso al tuo sorriso:
Meraviglioso e soave
Che mi entrava nel cuore,
Come un raggio di sole
E annullava del tutto
La mia volontà e l’ira.
VORREI
Vorrei donarti
Un attimo di gioia
Che possa scacciare
I tristi pensieri.
Vorrei donarti
Un dolce sorriso
Che possa allontanare
La malinconia e la noia.
Vorrei donarti
Un po di speranza
Per affrontare
L’umana esistenza.
Vorrei donarti
Una forza interiore
Per superare
I quotidiani problemi.
Posso solo donarti
Un’amicizia sincera
Che raccoglie nel cuore
Un affetto infinito.
FRESCHE SORGENTI
Fresche sorgenti
Dalle limpide acque
Del paese natio
Dove io andante
Mi fermati più volte
Nel corso degli anni
Per placare l’arsura
Che mi bruciava la gola.
Addio,
Io vado lontano,
Ove il Fato conduce
E forse mai più
Ritornerò
Fra le tue rive
Dove tante volte
Specchi ai il mio volto
E i tristi pensieri
E solitario
Parlai con voi
Delle mie amarezze.
Con voi
Che spensierate e gaie
Correvate
Verso l’infinito
E profondo mare,
Portando con voi
Le mie pene d’amore.
SOAVI PENSIERI
E tremano le foglie di quel pino
All’ombra del quale ci amavamo,
Stretti l’un l’altro come rami
Gustavamo le delizie dell’amore.
E batte le sue ore la campana
Vigile sentinella della chiesa,
Dove in silenzio restavano incantati
E lo sguardo nello sguardo si perdeva.
E scorrono le acque di quel fiume
Come felici passavano quelle ore,
Quando in riva ad esse il cuore traboccava
Di estasi infinita e sconosciuta.
E risuona di grida quel locale
Dove un tempo ascoltavo la tua voce,
E quante, quante volte il mio bicchiere
Alzai insieme al tuo nel brindare.
E ritorna alla mente quella voglia,
Indomabile come fiera tra le sbarre,
Di rivedere quei posti e quelle cose
Insieme al tuo viso mai scordato.
SOLITUDINE
Essere soli, senza nessuno,
Andare in giro senza un amico,
Solitari per le vie del mondo
Alla ricerca di un sorriso.
Quando infine trovi un compagno
A lui ti accosti con gioia e speranza
E fai di tutto per fartelo amico
T’accorgi però che lui ti respinge.
Senza curarsi delle tue amarezze
Felice e gaio prosegue la via,
Pensando con gioia nel suo cuore
Ai cari amici che lo aspettano al bar.
Quando poi sol ti ritrovi
Riprendo il triste vagabondare,
Cercando sempre quel che non trovi,
Vivendo sempre come hai vissuto:
Senza l’ombra di un cane randagio
Che segua docile il tuo cammino.
LO SCORRERE DELLA VITA
Vedo
Passare il tempo e le stagioni,
Vedo
Spuntare i fiori e poi seccare.
Vedo
L’alba che insegue il tramonto
E la notte seguire sempre il giorno.
Vedo
I giovani di ieri farsi vecchi
E i nuovi nati diventare grandi.
Vedo
I miei capelli farsi bianchi
E lo sguardo fiero diventare dolce.
Vedo
L’orgoglio antico affievolirsi un poco
E lo spirito ribelle farsi mite.
Vedo
Il cuore sognatore diventar maturo
E l’agil mente farsi stanca.
Vedo
Il desiderio antico scomparire
E le passioni di un tempio tramontare.
Sento il bisogno di un po di quiete
dopo avere a lungo travagliato.
Domani ritorno a Firenze, emozionato e commosso fino alle lacrime mi
apprestavo a lasciare quei luoghi e quelle persone a me tanto care e che tali
resteranno nel mio cuore, nonostante lo scorrere del tempo e degli eventi. Mentre
camminavo solitario per le vie del borgo, respiravo a pieni polmoni il profumo
delle “crepes” e delle “omelettes” che si spandeva nell’aria, un profumo per me
ormai così familiare. I miei amici mi hanno lasciato momentaneamente solo
ed era meglio così, in questo modo potevo assaporare e ripensare liberamente
agli eventi principali di quei cinque anni, così lunghi eppure così brevi,così
lontani eppure vicinissimi, palpabili trascorsi a Parigi. Me ne stavo andando
innamorato della Francia e pieno di rimpianti. In questa splendida città avevo
incontrato il mio primo, grande e sventurato amore. Avevo conosciuto le persone
più meravigliose che si potessero incontrare e gli artisti più svariati. Avevo vissuto
i momenti e le esperienze più intime e significative della mia esistenza. Eppure,
nonostante questo dovevo partire perché il Fato e gli eventi, da tempo, avevano
già programmato ogni cosa. Che ne sarebbe stato in seguito di tutto questo?
Mi sarebbe stato concesso di ricevervi ancora? Mentre mi ponevo queste
domande sapevo benissimo che la numerosa cerchia di amici, tutti artisti, fra
I quali, e questo mi onora tantissimo, c’erano anche dei Nobel, mi stava aspettando
forse commossa e triste più di me per la mia partenza per fare ancora un
ennesimo brindisi alla libertà dei popoli e a un mondo più giusto e migliore,
argomenti questi che riempivano gran parte delle nostre giornate e dei nostri
incontri giornalieri al “Cafe de L’Esplanade” situato dietro la basilica del Sacro
Cuore a Montmartre. Rientrando in casa infatti, trovai le cose proprio come mi
aspettavo: c’erano tutti, compresa “lei” che per me era stata, per tutti quegli anni,
causa di estasi intensa e di atroce tormento e forse lo era ancora, riuniti intorno
a un tavolo pieno di pasticcini e di bottiglie di champagne. Con gli ultimi giorni
della mia permanenza in Francia, si chiudeva la parte serena della mia
esistenza, iniziata per “caso”, una sera d’estate, al chiaro di luna e fra le braccia
di ” lei”.
Cher Fabienne, per me è sempre motivo di gioia immensa avere tue notizie e mi rallegro nel sapere che stai bene. Ho già saputo in anticipo della tua “personale” alla Galleria Moderna perché, come tu saprai, una quindicina di giorni fa, Tom e Georgette, mentre si recavano a Roma, per la Conferenza Internazionale sul Disarmo Nucleare, della quale erano i relatori principali, sono passati da Firenze per salutarmi. Insieme abbiamo trascorso una giornata indimenticabile, evocando dolci e nostalgici ricordi e, tra l’altro, mi hanno aggiornato degli ultimi eventi e anche del “suo” stato attuale. Mi chiedi di essere presente al “vernisage” e so che ci tieni moltissimo, questo conferma la stima e l’affetto reciproco che ci legano ormai da anni. Tutto ciò mi riempie il cuore di gioia, anche se riapre un’antica ferita ancora sanguinante e rinnova il mio atroce e immutato dolore, accende anche un tenue barlume di speranza. Tu sai bene che la voglia che ho di ritornare nella “mia” Parigi è tanta, insostenibile, immensa e credimi, ogni giorno faccio uno sforzo immane e continuo per non saltare sul primo treno e farvi ritorno perché mi manca davvero tutto, mi mancate voi, la vostra compagnia, il vostro affetto, mi mancano i luoghi e i profumi e le persone tanto care, mi manca proprio tutto. Il perché di questo mio rifiuto ti è noto nei minimi particolari e nelle vicende più intime e segrete, perché lo hai vissuto in prima persona e magari anche tu, come il sottoscritto,ne stai pagando le conseguenze, anche se la tua sola colpa è quella di essermi amica e di volermi bene. Ancora è troppo vivo, troppo intenso il ricordo di quella passione,così profonda e totale che, per cinque anni ha consumato totalmente la mia esistenza e continua a farlo. Per questo ho dovuto partire, ho dovuto lasciare affetti e persone a me tanto care perché ormai parte essenziale della mia esistenza. Spero che, almeno tu, questo lo abbia capito. Alla tua esposizione, naturalmente, ci sarà anche “lei” e sinceramente non mi sento di rivederla, di parlarle. Non ancora, non adesso. Troppo odio, troppo rancore ma anche tanto, tantissimo amore immenso, infinito, sublime. Capisci anche tu che è ancora troppo presto, anche se sono passati degli anni, per questo ho dovuto lasciare Parigi, quasi fuggendo come un ladro, un delinquente, un criminale e non voglio neanche immaginare cosa potrebbe succedere incontrandola e, date le circostanze, la cosa è inevitabile. Preferisco evitarlo, almeno per il momento finché avrò la forza di resistere e credimi, non è per niente facile, non mi va di compromettere la nostra amicizia, così cara e preziosa e quella di tanti altri. Anche se so perfettamente che dovrò incontrarla prima o poi, presto o tardi che sia. Un chiarimento è necessario e non solo per noi due, ma per tutti se vogliamo coltivare ancora i nostri rapporti di amicizia e affetto che durano ormai da anni. Per il momento lasciamo che le acque si calmino del tutto e che il tempo faccia il proprio corso, poi si vedrà. Adesso concedimi il piacere di farti i migliori auguri, dal profondo del cuore per la tua “personale” e nella speranza di vivedervi tutti al più presto, salutami affettuosamente tutta la numerosa cerchia di amici, ricordando loro che sono sempre nel mio cuore e nei miei pensieri. A te un forte e affettuoso abbraccio. Il “tuo” Pascal.
Ormai sono quasi arrivato. Non mancano che pochi chilometri alla meta tanto sognata, desiderata e odiata allo stesso tempo con tutte le forze, con tutto me stesso, con tutto il mio essere: anima e corpo. Giorni interi, mesi, anni di atroce tormento, ma anche di estasi infinita, nel dolce ricordo di quel tempo incantato, trascorso in quei luoghi in seguito evitati come la peste e, nel contempo desiderati ardentemente più della stessa aria che respiro. E adesso? Perché ci sono ritornato? Perché avevo ceduto dopo tanti anni? Per le numerose e continue insistenze degli amici o perché in realtà lo desideravo con tutto me stesso? Che senso e che valore aveva adesso questo mio ritorno? Quale sarà la “sua” reazione? Domande e ancora domande, le stesse che mi ero fatto per tanti anni, le stesse di innumerevoli notti insonni, le stesse in attesa di un chiarimento, di una risposta. Ma, in fondo, forse, era proprio per questo che stavo ritornando in quei luoghi, in quella città, dove tutto ebbe inizio, dove ci aveva travolto quell’ amore infinito, quella profonda passione, vissuta in modo totale, completo, assoluto, per cercare un senso e delle risposte a tutto quello che era successo. Qualunque esse fossero, meglio la verità più crudele che il dubbio atroce che mi aveva roso l’esistenza per tanti anni, rendendola un vero inferno. Che andasse come doveva andare, che succedesse quel che doveva succedere, non si poteva continuare a vivere nel dubbio, nel rimorso, nel rimpianto, nel timore costante di aver fatto qualcosa di terribile e di irreparabile. Così alla fine, almeno, speravo di ritrovare un po di serenità e di pace, con me stesso e con gli altri, che non avevano nessuna colpa, ma che mi volevano un mondo di bene. Mentre mi dirigevo verso casa, all’insaputa di tutti, perché nessuno sapeva del mio arrivo, fui costretto a passare davanti al “Cafe de L’Esplanade” che si trovava lungo il percorso e un nodo mi serrò la gola, impedendomi quasi di respirare. Mi appoggiati e feci un profondo respiro per riprendersi dalla forte emozione, ancora così viva dopo tanti anni, mentre un’infinità di ricordi affollò di colpo la mia mente. Quante interminabili notti avevo trascorso in quel posto con i suoi occhi pieni di amore che si perdevano nei miei. Quante innumerevoli giornate passate a quei tavoli con la numerosa cerchia di amici a parlare di arte, di fede e cultura, ma anche di libertà e di speranza in un mondo più giusto e migliore per tutti. Entrai e l’emozione riprese con più intensità di prima. Cercai di superarmi e con fare indifferente ordinai un Martini, lo stesso che, per cinque lunghi anni, in quello stesso posto, prendevo con gli amici ogni pomeriggio. La ragazza del bancone, anche lei una carissima amica, mi servì meccanicamente, facendo gesti usuali. Poi alzò gli occhi, mi vide e mentre piena di gioia e stupore pronunciava il mio nome, mi gettò le braccia al collo, mentre lacrime di gioia le ricavano il viso. Poi mi prese per mano e mi portò in un angolo appartato del locale, indicando i un tavolo di marmo biancastro con scritto su un cartoncino la scritta “reservee”. Era l’unico tavolo ad avere quella indicazione. Con fare emozionato mi disse che ” lei” veniva in quel posto ogni giorno, ormai da dieci anni, quasi a celebrare un memoriale che si protraeva nel tempo, sedendosi sempre a quel tavolo, il “nostro” tavolo, sorseggiando da sola il suo “demi” assorta, pensierosa, triste e ogni volta usciva sempre con le lacrime agli occhi. La ringraziati e mi avviai alla meta poco distante, mentre gli occhi mi diventavano umidi di lacrime di gioia per quello che avevo appreso. Allora non era tutto finito! Non era tutto perduto come avevo temuto in quegli anni! Appena giunsi davanti al cancello in ferro battuto, di un verde smeraldo, feci un profondo respiro e mi accinsi a bussare. Ma non feci neanche in tempo a sfiorare il campanello che sentii il caratteristico scatto metallico di apertura, mentre un rumore di corsa, di scalpiccio mi giungeva dall’interno della casa. Appena varcai la soglia vidi un’immensa, dolcissima nuvola bionda che scendeva le scale a precipizio per poi buttarmi le braccia al collo e stringersi con tanta forza e tanta passione da togliermi il respiro. Il suo cuore, appoggiato al mio, batteva con lo stesso ritmo di un tempo, di quella magica notte del nostro incontro. Quel sentimento così sublime che credevo finito per sempre, era più vivo e vegeto che mai. Restammo abbracciati, stretti l’una all’altro, per alcuni interminabili e dolcissimi minuti, senza parlare, mentre le sue lacrime, copiose e liberatrici, mi bagnavano il viso e le mie il suo. Poi, piano piano, rientrammo a casa e con mia immensa sorpresa, mi accorsi che niente era cambiato, ma tutto era rimasto come prima, come l’avevo lasciato. Era come se il tempo si fosse fermato. Eppure erano trascorsi dieci lunghi anni, i più terribili della mia esistenza. La mia poltrona al solito posto accanto al camino, la mia scrivania con le mie scartoffie buttate a casaccio, in un apparente, armonioso disordine, la mia giacca da camera piegata e pronta all’uso, le mie “babouches” dentro la custodia. Sembrava proprio che fossi uscito quella stessa mattina. Quella sera al “Cafe de L’Esplanade”, seduti al ” nostro” tavolo, con il mio Martini e il suo “demi” trovai le risposte ai tanti perché che mi ridevano dentro, avvelenando la mia esistenza. Tutto, all’improvviso, appariva chiaro, limpido, sereno, come un cielo di primavera e tutto quasi senza parlare, senza porsi domande, senza chiedersi niente. Non ne avevamo bisogno! Nei suoi occhi che, come un tempo, continuavano a perdersi nei miei, trovai tutte le risposte che cercavo e ogni dubbio, anche il più assillante, scomparve di colpo come neve al sole. Quell’amore così infinito, così sublime, così profondo che provavano entrambi, quell’amore che era il nostro orgoglio e la gioia della numerosa cerchia di amici, quell’amore che ci apparteneva e al quale appartenevano in modo indissolubile, inscindibile, inseparabile, non era morto come credevamo, non era spento, ma era vivo più che mai e ardeva di rinnovata e mai svanita passione. Guardandoci negli occhi, commossi e pieni di amore l’una per l’altro, quella sera rinnovammo un tacito e segreto giuramento, un patto che entrambi sapevamo essere eterno, indissolubile. Noi nelle nostre miserie e debolezze, nelle nostre invidie e gelosie, nelle nostre paure, menzogne e inganni, potevamo offenderlo, tradirlo, maledirlo. Potevamo fare tutto ciò che è umanamente possibile fare, senza per questo riuscire a cambiare un solo atomo della sua essenza, del suo essere tale. Il nostro amore avrebbe superato qualunque tempesta, qualunque avversità ci avrebbe riservato la vita e la nostra triste e dolorosa esperienza ne era una prova più che eloquente, perché il nostro era un amore infinito e sublime. Un amore che era al di là e al di sopra delle debolezze e delle miserie umane e che, come tale, niente di ciò che è umano e terreno avrebbe mai potuto scalfire o semplicemente sfiorare. Di questo, mentre la sua mano stringeva la mia, eravamo consapevoli entrambi, come entrambi eravamo consapevoli di dovere a lui, a questo amore sublime la ragione stessa della nostra esistenza.
I TUOI OCCHI
I tuoi occhi
Così dolci,
Profondi
Come un abisso.
I tuoi occhi
Così chiari,
Come un cielo
A primavera.
I tuoi occhi
Limpidi e sinceri,
Dove leggevo
I tuoi pensieri.
E le recondite
Emozioni.
I tuoi occhi
Che hanno malcelato
Il tuo amore
E la tua passione.
I tuoi occhi
Che a guardarli
Tante volte mi son perso
E consapevole continuo a farlo.
LA MIA VITA
Ho fatto svariati lavori:
Dal lavagista
Allo scaricatore di porto,
Dal muratore
All’impiegato di banca.
Ho dormito
Nei posti più strani:
Nel carrozzone dei rom,
Negli hotel di lusso,
In un campo di grano,
Nelle notti d’estate,
Sotto il cielo stellato.
Ho visto
Svariati Paesi,
Diversi
Per costume e cultura,
Ho pianto e ho riso
A secondo dei casi.
Ho conosciuto
La felicità e la gioia,
La tristezza e il dolore
Che hanno segnato
La mia esistenza
Lasciandovi impressi
Velati ricordi.
Ho vissuto la vita
Accettando sereno
Ciò che Dio mi ha dato,
Senza chiedere nulla
E nulla negare.
ADDIO
Domani ritorno a Firenze, emozionato e commosso fino alle lacrime mi accingevo a lasciare quei luoghi e quelle persone a me tanto care e che tali resteranno nel mio cuore, nonostante lo scorrere del tempo e degli eventi. Mentre camminavo solitario, per le vie del borgo, respiravo a pieni polmoni il profumo delle ” crepes ” e delle
” omelettes ” che si spandeva nell’aria, un profumo ormai per me così familiare. I miei amici mi avevano lasciato momentaneamente solo, ed era meglio così, in questo modo potevo assaporare e ripensare liberamente agli eventi principali di quei cinque anni, così lunghi eppure così brevi, così lontani eppure vicinissimi, palpabili, trascorsi a Parigi. Me ne stavo andando innamorato della Francia e pieno di rimpianti. In questa splendida, unica e indescrivibile città avevo incontrato il mio primo, grande e sventurato amore. Avevo conosciuto le persone più meravigliose che si potessero incontrare e gli artisti più svariati. Avevo vissuto i momenti e le esperienze più intime e significative della mia esistenza. Eppure, nonostante questo, dovevo partire perché da tempo, il Fato e gli eventi, avevano già programmato ogni cosa. Che ne sarebbe stato in seguito di tutto questo? Mi sarebbe stato concesso di rivedervi ancora? Mentre ripensavo a tutto questo, sapevo benissimo che la numerosa cerchia di amici, tutti artisti e scrittori fra i quali, e questo mi onora tantissimo, c’erano anche dei Nobel, mi stava aspettando, forse commossa più di me, per fare ancora un ennesimo brindisi alla libertà dei popoli e a un mondo più giusto e migliore per tutti, argomenti questi che occupavano gran parte delle nostre giornate e dei nostri quotidiani incontri al ” Cafe de L’Esplanade”, situato dietro la Basilica del Sacro Cuore a Montmartre. Rientrando in casa, infatti, trovai le cose proprio come mi aspettavo. C’erano tutti, compresa ” lei ” che per me era stata e lo era ancora, per tutti quegli anni, causa di estasi intensa e di atroce tormento, riuniti intorno a un tavolo pieno di pasticcini e di bottiglie di champagne. Con gli ultimi giorni della mia permanenza in Francia, si chiudeva la parte serena della mia esistenza, iniziata per caso, una sera d’estate, al chiaro di luna e fra le braccia di lei.