Pasquale Roberto Cortese

Poesie


DIARIO MARGINALE

L’urlo della montagna

Foglia su foglia..
e con la pioggia…
sentii il lamento,
della campagna.

Ahi, quante lacrime versate,
Ahi, quanta paura nel cuore…

Così piccolo,
che il mio monte
era un piccolo muro..
da scavalcare…

Così piccolo,
che l’impeto
era più forte,
da superare.

Saltai nel pozzo, ma giù non caddi.
Aggrappato, gridai e gridai…
e intorno c’era il silenzio ed il fondo profondo,
sul terrazzo del pozzo il sole picchiava, strano…

Fiocco su fiocco,
E con il vento caduco,
si rinnova talvolta l’urlo
della mia montagna…

Che ancora fa male….

Un’istante di te in me

Un biglietto, 
un invito.
Per te che sei lontana, per te…
che sei poi così vicino.
Distante dal muro immenso e fragile, 
che ci ha fatto sognare,
dalla spiaggia deserta e fredda, 
che ci ha fatto tremare,
dal sole inebriante e mistico, 
che ci ha fatto sperare e poi…
dalla nuvola, orfana e cristallina, 
che ci ha fatto scappare e scappare.
Accarezza il nostro animo, 
gioia della nostra vita insieme,
con brevi, magiche e dolci parole 
uniche, di passione e poesia.
Sfiora il tempo delle nostre piccole,
delicate e tormentate cose…
Disposte in ogni angolo del tempo, 
nel nostro disperso oscuro universo.

E adesso laggiù…
Dove le rondini camminano,
dopo il volo di agosto
dove il tempo meccanico,
assordante e impetuoso,
ha distrutto i luoghi
della nostra allegria,
non ci sono più le nostre
piccole e importanti cose.
Non ci son più le nostre
parole sul muro,
l’albero che ci oscurava dal sole,
né il biglietto affisso, 
che solitario cantava
con la brezza leggera del tempo…

Adesso quaggiù c’è solo un istante,
di te in me, nel mio tormento.
C’è solo un’istante,
di me in te,
nel tuo risveglio.
Perché c’è… 
un’istante breve, intenso,
caldo, sereno… intorno a noi.
per noi, tra di noi, con noi.

Radio mitica

Quando vien la sera, ti aspetto,
seduto sul vecchio e rigonfio sofà.
Guardo la tua foto e penso,
“In fondo sono il tuo papà”.
Ma tu… sei grande e diverso,
regole nuove, storie diverse…
C’è buio, sole ed io son desto,
aspetto fuori spiova, torni il sereno.
La porta è aperta e tu sempre quello
“sei forte pà, che t’è successo?”
e poi veloce vai nella tua “grotta”
perché nessuno lì è ammesso.
“Ma senti… senti che poesia…
alla radio cantano i Rolling Stone,
Musica magica, è storia mia, 
dei mitici del Rock.”
Ma niente è come lo smartphone,
i tuoi contatti, i tuoi post.
Nessuno è come Clementino,
che poi… gli assomigli un pò.
E la radio lascio a scaricarsi,
mentre seduto fuori ancor stento.
Sento ancor il tuo dolce abbraccio
e “sei forte pà, che t’è successo?”.

Potere sismico (24 agosto 2016)


Cosi’
il campo dopo l’onda di fumo.
I castagneti ricoperti dalla cenere,
giù sulla rugiada soffocandola.
Intorno…
fango su rovine del cemento antico
Un mondo vivo sommerso dal tutto e..
le piazze, i ricordi, l’allegria.
Spenti, 
dal faro oscuro della notte.
Spenti, 
da inutile, assurda, follia.
Adesso tremano appollaiati dal freddo
Tremano per un viaggio senza ritorno
Tremano per quei vagoni di sfollati.
E tremano per le case dimenticate.
Qualcuno finge però, impotente.
Con rabbia, per una giornata storta
Le labbra scolpite dai morsi e
quella luce soffocante e fredda…
e sulle spalle un peso infinito.
Una vita da ricominciare,
Una terra da ricostruire.

La vita è una cipolla


Talvolta serve fermarsi,
per non prendere una storta.
Talvolta serve arrabbiarsi,
per non sentir la colpa.
Talvolta serve cantare,
per farsi un po’ ascoltare.
Talvolta serve ballare,
per farsi poi notare.

Talvolta serve pensare,
per non farsi imbrogliare.
Talvolta serve sognare,
per avere un po’ successo.

Talvolta serve una finestra,
per respirare aria nuova.
Talvolta serve un’astronave,
per raggiungere un altro mondo.

Talvolta serve giocare,
per aprire un conto in banca.
Talvolta serve lavorare,
per non finir dentro la fossa.

Ma come disse Carl Sandburg
“La vita è come una cipolla,
la sfogli uno strato alla volta,
e qualche volta piangi”.

Attenderò

Attenderò alla finestra 
il canto dell’usignolo.
Attenderò il battito leggero 
di un perdono.
Attenderò una lettera 
breve, una melodia
Attenderò il sorriso… il volto 
umano di una poesia.

Attenderò tutta la notte 
al freddo e sotto le stelle,
che illuminano il cielo 
e la tua nuda pelle.
Attenderò la porta 
spalancarsi d’improvviso,
e che soffi l’angelo 
sul nostro paradiso.

Attenderò che il vento 
urli dietro il muro.
Attenderò un breve gesto 
per non morire.
Attenderò dietro la porta 
chiusa o sulla collina,
un gesto semplice, 
profondo di una poesia.

L’attimo, che per noi fu 
gioia infinita e che ancora dai.
L’attimo che per noi fu 
così infinito e profondo.
L’attimo,che ha le ali 
trasparenti dell’addio.
L’attimo, che ha le ali 
chiuse della follia…

Finestra aperta nel cielo (1)

Ed il vento soffiò nuovamente,
dopo un giorno caldo e calmo.
Scosse i lungi e lisci capelli,
e le labbra traslucide e pallide.
Il tempo si era dolorosamente fermato
Dentro quel letto imperfetto
e le cose disposte intorno
fissavan Chiara… ostentatamente.

“In quale ossessione Dio mio….
son caduta qui… prigioniera del nulla.
Qui dove l’anima è travolta,
e la vita appare ormai finita.”

Ma infondo, in fondo ad ogni intenso respiro,
il battito acuto del campanile e l’emozione.
C’è il desiderio forte e maturo di un sorriso,
di vincere la guerra che intorno esplose.

“Cerco le mie cose, piccole e importanti,
Cerco le voci e i volti, affetti fondanti,
e cerco nel profumo che si diffonde, intenso,
di guardare fuori dalla finestra… aperta nel cielo”

dedicato a Chiara Insidioso Monda

Il mare come un fiume selvaggio

Eppure,
siamo povera gente…
Tutto sta nelle nostre mani,
con le nostre infinite precarietà.
Ci specchiamo nelle pozze del temporale e
ci affrettiamo verso un nuovo tornello,
smarriti
nella terra di nessuno.

Eppure,
la nostra forza si esaurisce,
in un confine
senza passaggi,
Naufraghi
smarriti e disorientati,
Confusi
nella terra di nessuno.

Esausti,
siamo eroi dell’ultima guerra,
Smarriti, siamo senza terra ferma,
Non c’è notte senza la Luna piena.

Se affretti il passo,
ogni ponte ti sembrerà più corto.
Ma se ti sposti un poco
affondi le dita nell’asfalto,

Perderai la ragione della corsa…
Ecco come sognare un mondo diverso….
Nelle zone scure dello spazio, disperso..
Nascosti tra insolite costellazioni.
Anche se non siamo poi tutti astronauti
Ma vecchi carovanieri,
nel deserto del mondo…
Guadiamo il mare come un fiume selvaggio…

Sulla porta dell’Averno

Non lascerò…
Che la noia cada,
sui nostri antichi libri.
Non lascerò…
Che il tempo dilaghi,
nell’oscura eterna afasia.
Nelle nostre strade,
così battute dal tempo,
ci sono troppe, trappole, insidiose…
Nelle nostre strade…
Non lascerò,
nessun libro, chiuso, per pazzia…
E noi aspettiamo che risorga col sole,
dopo le ombre scalfite dal vento,
E aspettiamo che il tempo
Sconfigga il male sulle cose.
Così nulla è perduto…
Nel dolore vaghiamo ignari per dove?
Così nulla è riapparso…
confondiamo il cielo col mare?

L’addio è scritto sulla porta dell’Averno,
Se ne va strillando, se ne va morendo.
Il mare è pieno di rottami e di povera gente,
e crudele va come nostro sgomento.
Non possiamo chiudere gli occhi,
e lasciar suonare le campane,
se un grande villaggio,
non riusciamo più a sognare…
…e la storia, così antica e dolorosa,
la ragione non trova consolazione,
è come una partita a carte,
truccata dal baro di corte…

Non lascerò, che la noia cada
sui nostri antichi libri..
Sulla porta dell’Averno allora scriverò..
“mare nostrum tormentato…
Mare mediterraneo”

Senso

Lascio dietro la porta,
con profondo dolore…
eppur la forza manca,
nel distacco dal cuore.

Era come il frastuono dell’onda,
sugli scogli aguzzi e neri,
Che si rinnovano ancora,
più graffianti e veri.

E dentro rimane ancora,
un bicchiere di veleno…
Non per fuggir dal pianto,
ma dal   forte rimpianto.

Così come vaghe vennero
le paure poi si dissolsero…
sfiorando labbra e mani,
col dolore degli occhi.

Apologia di un rider


Per quattro soldi corro 
con la bicicletta.
Su e giù vado e 
il tempo corre in fretta.
Il cuore batte forte e son solo
ai primi pacchi.
E ci sarà la notte e poi,
ancora domani…
Un’altra strada che
mi scoppia nella testa,
grido lasciatemi spazio
ho molta fretta.
E poi mi fermo rido e
busso con dolore
tornerò domani,
con tutto il cuore.
Poi la notte chiude,
le porte del locale.
Non ho niente da portare
con le mani vuote.
Ma ho le tasche piene,
di fatica e un gran dolore,
e qualche spicciolo chissà,
ancora da contare.

 


 

Il mare come un fiume selvaggio

Eppure, siamo povera gente…
Tutto sta nelle nostre mani,
con le nostre infinite precarietà.
Ci specchiamo nelle pozze del temporale e
ci affrettiamo verso un nuovo tornello,
smarriti nella terra di nessuno.
Eppure, la nostra forza si esaurisce,
in un confine senza passaggi,
Naufraghi smarriti e disorientati,
Confusi nella terra di nessuno.
Esausti, siamo eroi dell’ultima guerra,
Smarriti, siamo senza terra ferma
Non c’è notte senza la Luna,
Se affretti il passo,
ogni ponte ti sembrerà più corto.
Ma se ti sposti affondi le dita nell’asfalto,
Perderai la ragione della corsa…
Ecco come sognare un mondo diverso….
Nelle zone scure dello spazio
Nascosti tra infinite costellazioni.
Anche se non siamo tutti astronauti
Ma vecchi carovanieri nel deserto del mondo.
Guadando il mare come un fiume selvaggio

 


 

L’emozione

È fatto così,
Non ti telefona prima.
Sa arrivare da te..
Si lascia accarezzare.
Cullare.
É una piccola canzone.
Si lascia addormentare,
come un cucciolo di cane.
Tra le tue mani,
diventa grande e bello…
Tra le labbra,
diventa un canto dolce.
Ed è dentro di te.
Un gigante nella tua mano.
Mentre tu scrivi…. è un versetto.
Lo ami così, come è.

 


 

Mare ghiacciato

Se non fosse il troppo vento,
Non avrei chiuso affatto la finestra…
Guardavo il mare e poi
il monte illuminato dall’astro notturno.

Il mare ghiacciato fluttuava assordante
Cosí, dirompente che scatenava paure.
Arrivan onde nelle nude mani,
e le mani si sporcavan di fango.

Così da sentirsi un po’ vivo…chissà.
Con le ombre che ti accecano furtive,
Ed il mare ghiacciato ….
che ti chiamava, chiamava.

Se non fossero state le falene bianche,
a vibrar le ali tese, rompendo il silenzio,
avrei raccolto la campana dal pavimento
e scagliata sul mare, per far chiasso.

È curioso come le ossessioni ti assalgono,
sul letto duro, tra le radici della legnaia…
Con le parole che oscillano tra la testa e le labbra
Per materializzarsi in orribili e affilati lamenti.

“Addio lavoro ingrato che non mi hai amato…
Addio amore ingrato che non mi hai cercato…
Addio pensiero rubato ad un pellegrino infausto,
Che lascia graffii sul muro… insultando”

E allora vorresti bere soffocando ogni altro pensiero
Vorresti suonare una pentola con il pendolo parlante
E vorresti che l’orologio fermasse il tempo…
Nella infinità delle cose che avevi sognato

Ti rivolti di tanto in tanto come un frullino impazzito
E non ce la fai ad abbandonarti sul vuoto del trampolo.
Nell’attesa dell’ultimo bacio che non hai più avuto,
Nell’infinito e crudele tormento che non ti ha mai lasciato.

 


 

Tracce

Nella vita…
sono infinite le tracce,
lasciate da noi.
Sui monti, sul mare, per le strade
affollate e sbiadite,
e tra la gente che abbiamo dimenticato.

Lasciamo una lacrima e poi un sorriso,
una carezza,
un bacio furtivo.
Forse qualcuno si ricorderà di noi,
anche se non abbiamo costruito statue solenni,
quadri perenni, ne avuto targhe che ci ricordano…

Nelle nostre tracce c’è l’odore dell’amore
e la gioia della nostra vita,
la nostra passione,
la nostra voglia di libertà,
la nostra corsa alla conquista,
una storia che ci appartiene.

 


 

DIARIO MARGINALE DI UN EMIGRATO

Prima parte

Senso

Lasciai dietro la porta, con un profondo dolore…
eppur la forza manca, nel distacco dal cuore.
Era come il frastuono dell’onda, sugli scogli aguzzi e neri,
Che si rinnovò forte, più graffiante e vero.

E dentro rimane sempre, un bicchiere di veleno
Non per fuggir dal pianto, ma dal   forte rimpianto
Così come vennero vaghe, le paure poi si dissolsero cupe
bagnando le labbra e le mani, col dolore degli occhi.

Nave lontana

Un triangolo piccolo e pigro,
nella forza del mare…
Sfuggente come una farfalla sul prato
Soffocata dal sole africano.

Correva, decisa e sicura..
Un puntino sbiadito nel torpore del mattino…
Scuoto ancora la mano
Per l’ultimo addio

Sassi

Dalla finestra guardavo il mare,
Da quella bottiglia miravo l’orizzonte
Su quella spiaggia correvo e lanciavo i sassi.
Sassi lisci e veloci.

Sassi che saltavano sui duri scogli,
Nel castello coperto di sabbia e pane,
Sull’acqua spogliata dal sole,
Sulla labbra sporche di sale.

Sassi della nostalgia
Che contavo lasciando la via
Sassi sull’onda amara.
Sulla sabbia bruciata…

E come i sassi
le parole caddero giù
Con paura se lanciati lontano
Su chi  di sassi ha vissuto e pianto.

Notte

Pian piano arriva la notte
E non ti accorgi delle cose
sotto le lunghe ombre.

Arriva intenso e dall’odore informe
Con il carro dei rifiuti, rumoroso che và…
Che raccoglie ogni piccolo senso considerato…

Intenso

Non sentivo la voce della campana.
Da troppo tempo, aspettavo…
Così intenso, che i pensieri ormai stanchi
presero il posto delle stelle sul mare
Mentre fuori la gente come lupi cantava…
Bianche Farfalle (il sogno)

Tracce leggere, sul gambo di un fiore
Rossori di notte, tremanti le antenne
Fughe rapide da un petalo all’altro
Per chiudersi poi, unite le mani.

Preghiere raccolte.  Pagina dopo pagina…
Sospinti nel muro, vento inatteso e teso…
un riparo a caso, un muro sfortunato
Vago tentativo, di non morir schiacciato

Sorriso (risveglio)

È nel tuo sorriso,
Che trovo il paradiso,
Il sorriso che ha aperto,
il mio cielo, nuovo fiammante…

E’ illuminato… I miei sogni.
Dopo un’esistenza così dura e buia
Riesco adesso a vedere,
fuori dalla porta e la finestra…

Ora l’allegria è tornata,
Ora la tristezza è fuggita,
Ora la porta non è sprangata,
Ora la vita è poesia.

Immagino che mai finisca tutto ciò,
E che non ci siano ponti interrotti,
Ne confini con le dogane.
Dogane aperte e sorridenti.

Gente con le braccia chiuse

Per questo sfugge tra la gente…
non voglio perdere il tuo sorriso.
Sentirlo per sempre dentro di me,
Presente come il sole nel cielo,

Estate addio

Ci hai lasciato…
Nel cielo nuvoloso Padano
E’ andata via così, velocemente.

Lasciando sulla nostra pelle
Un solco acuto e profondo,
Un ibrido, solco… profondo .

Le onde del mare saltano sulla laguna
nelle nostre orecchie fragili, per dirci
“in fondo , non è cambiato molto”.

Ci riprenderemo domani…
E quanti di noi varcheranno nell’oscura… caverna?
Spingeranno l’imponente porta… sotto la collina?

Saremo tutti statue di sale, anneriti dalla paura.
Forte busseremo per una nuova prova…
Una vita duramente conquistata, poi sparita.

Ci impegneremo con una nuova terribile corsa
Non siamo più angeli della misericordia…
Ci arrosseremo dalla vergogna.

Ognuno scappi con le sue paure
Non certo eroi, ma vulnerabili animali..
Piccoli eroi.. Concreta prospettiva.

Il burattino (nel lavoro)

E tu fritellino che avanzi a scatti,
E guardi fisso, fisso  con gli occhiacci…

Due sferoidi grossi, grossi…
Neri, che fan due fagotti.

Non fosse scritto dalla tradizione
Carnevale vien e vaga tosto

A suon di schiaffi, ripetuti…
e qualche filante appeso al capo…

Un guaio assai grosso…

Terra (vagando per l’Italia)

Non era la prima volta,
era sempre la stessa terra.
E la voce aveva perso consistenza.
Avrei dovuto parlare,
con passione il romanesco…
la solita passione

Ascoltare di più …
Soffrire…
con la stessa resilienza
.
Lungo il viale (a Villa Borghese)

Magnifica scoperta….

È come lo scoglio dopo l’infranger dell’onda…
Le foglie come le alghe.
Ci son bottiglie vuote sparpagliate ovunque,
E in ogni dove c’è aria di passione.

Se non fosse per un vecchio e ululante cane
Le foglie dense come la terra
L’atmosfera sarebbe meno cupa e violenta
E la realtà sarebbe ben altra cosa.

Immergevo le mani nel fango,
appena impastato,
la terra come le stelle,
Per sentire l’odore delle rose,
illuminate dal sole,
Magnifica e stupefacente…

Domani

E’ già domani…
un giorno che vorrei…
diverso dai giorni passati…

Diverso dall’oro sepolto sotto l’asfalto..
Ora raccogliamo solo disastri
Sassi disuniti e insignificanti.
,

 


 

Più forte del silenzio

Ascolta… è il vento.
Se non fosse stata l’ultima tegola caduta,
disarcionata dall’arcione della pandemia,
Che arriva con il solito tintinnio delle campane,
e tutti lascia frastornati e confusi.

Se non fosse il vento del mare,
a spingere nella cuffia, le cose e le campane,
facendo cadere i sogni come sassi assordanti,
che avanzano armati fin sulla testa,

nel timore di una nuova guerra mondiale…
Allora la nostra lotta a rimetterci a galla,
dopo le mascherine e i vaccini,
E il vessillo della pace ad avvolgere il mondo…
Tutto sarebbe stato un vano, inutile, tentativo.

Ascolta…è il vento.
Che ha aperto le imposte socchiuse dell’animo,
è il vento che offende le nostre coscienze,
è il vento che ci spinge nel male,
è il vento che dal precipizio ci lascia traballare,
è il vento che non dà più voce alla nostra corda.

È il vento che ci sta facendo morire.
Se pensiamo di continuare a dormire… svegliamoci.
Se pensiamo di continuare a ballare…. fermiamoci.
Se pensiamo che non abbiamo colpe… confessiamoci.
Se pensiamo di non assomigliare a nessuno, guardiamoci dentro
e gridiamo più forte del silenzio.

 


 

Ninna nanna per Eitan

Dove siete?
Dove sono i colori dei vostri occhi,
Il calore delle vostre mani,
Quel dolce sorriso che mi cullava
Con le parole di una canzone?

Ninna nanna per me,
Ninna nanna per voi amori miei
Che dà lassù vedete il mio tormento
La guerra in cui son finito.

Non volevo fosse così…
Non volevo che il mondo mi cadesse addosso,
e urlasse al mondo il mio nome.

Ninna nanna per me
Ninna per tutti noi….

Oggi grido la mia infanzia turbata.
Grido allo strazio di chi mi ama.
Grido alla prigione in cui sono finito,
Prigioniero di un dolore che non ho cercato,

Prigioniero della follia dei grandi,
Ninna nanna per noi
Che non abbiamo più nulla
Che abbiamo perso la dignità del rispetto
che si fossero dimenticati di me.

L’amore per una vita innocente.