Pietro Calore - Poesie

Virtuosismo I (Uno Nessuno)

 

«Che guardi mio sire laggiù, nel vuoto?

Mi ascolti signore? Non fai cenno…».

«Se sento amico? Dai tempi del loto

non mi parlava alcuno con tal senno:

tutti temevano che io scordassi

ma tenni saldo il cuore e fine l’ingegno».

«Come allora quando calcavi altri sassi,

signore, eppure oggi sembri lontano:

i tuoi occhi questi paterni massi

guardano in guisa del lido troiano…

…e se un po’ li guardassero almeno!

Loro guardano il mare e così piano…

come quando altro cuore, altro seno…».

«Ma tu che vedi nel mare, amico? ».

«Mio signore vedo un bel luogo pieno…»,

«Di che?», «…di vita, di potenza dico! »

«E?» «Un covo di forze misteriose…»

«E?» «Un demone arcigno e un nemico

e un baratro che già Ercole pose,

tra le vicende umane e divine:

la fine dell’uomo, di tutte le cose,

il discrimine il solco!», «Ed io il fine…».

«Signore…», «Guardami negli occhi adesso!

Che vedi?!» «Sire» soltanto due mine

se è vero quel che ho già pensato spesso…»

«Io con gli occhi chiusi vedo più chiaro…»

«…vuoi partire ed hai inviato il messo,

la ciurma è pronta e pur la barca al varo:

ho visto un tempo sì in lor qualcosa:

l’amor paterno per il figlio caro,

per Penelope regina madre sposa;

vidi, ma nei loro vedo ora l’orrore

e, se proprio, nei tuoi sol vivo e rosa

d’un mare fatale al vespero il bagliore…».

«Io li amo ancora sapessi se li amo!

Ma hai visto bene amico il rossore…

un furore così noto solo a Samo.

Ah! Un furore tale m’attanaglia!

Che capiste me voi tutti, ciò bramo:

come fate a veder mutare in paglia

tanto spesso l’erba? All’occidente

pianeti e stelle il sole il cosmo sbaglia

forse a correre? Che vi sarà? Niente?!

Maledetti dei! Cosa oltre ogni sguardo

ponete che solo il cieco vede e sente

per cui io però sudo il cuore ed ardo

e m’è imposto..? Nell’occhio saggio

di un ombra ho capito che qui tardo:

vera pace per me, vera casa è il viaggio.».



Virtuosismo II (Alba padana)

 

L’oscurità notturna si dirada,

traendosi ritrosa ad occidente,

come temendo il lume rosso e ardente

pronto a tornar su la sua strada.

 

Ancor però si posa sulla terra,

sui tetti sugl’alberi e le case,

ancor tutt’ uguali, nere e abrase,

e con gli umidi e pallidi piedi erra.

 

Ovunque sta silente ad osservarmi

mentre viandante solitario incerto

l’accompagno e lotto e incrocio l’armi

 

con l’agro nebbioso ed aspro e aperto

aguzzo come il sol d’agosto e parmi

il vuoto, il silenzio or men grave ed erto.


 

Riflesso I

 

«Addio» diceva

il cacciatore al bosco,

ed alle foglie il fosco

sole ed il tramonto.

«Addio!» gridava

il cuore, balbettio

di voce al pigolio

di cove, borbottio.

«Addio» sparava

in fronte il bel fucile

al cane gentile,

al padre senile,

al bosco, al mondo,

a Dio.


 

Riflesso II

 

Sarà che è torvo

il corvo,

che sta lassù,

nero, avvinghiato

secco, al gelido ramo

in cielo.

E sarà che è sordo

il corvo,

che sta lassù

(vecchie pallide foglie

secche, rotte al passo

lieve).

E sarà anche assorto

il corvo,

teso laggiù

il nero e lontano

sguardo invetriato

e fiero.

Ma ora è morto

il corvo,

che sta quaggiù

freddo, impallinato,

in becco l’ultimo fiato,

cieco.


 

Riflesso III

 

Quando parlo

dico me stesso

e mi vergogno.


 

Esametro I

 

Gloria d’uomo! Con te solo il dramma umano è intero:

Nulla che nulla aggiungi e che togli semmai un che al Vero!


 

Esametro II

 

Alzo la testa all’insù ed inarco la gola e l’espongo

a quei vortici d’aria per il rigore notturno

gelidi e dolci carezze dell’aurea notte nascente.

Ecco la stella brillante! Ma ecco lì l’astro potente:

luce, potenza e fermezza fissate in quel punto garrente.

Quanto il mio animo esprimi, oh quanto mi sento con te qui.

Tu tuttavia non sei qua ma giaci e risiedi tra dei.

Forse è questo che voglio: stare al di sopra di tutto,

sopra di quello che sono ma ancora di più stare con lei.


 

Symbebekòs I

 

Vanno a braccetto,

sotto il lampione,

la nonna e il nipote.

Lui alto e sincero,

lei piccola e lieta,

li vedo e poi penso:

«Che triste la sera.».

Forse lui crede

che non cambierà

la vita e per sempre

con lei riderà;

forse lei pensa

lo stesso e dirà:

«Che bella la sera!».

Invece io so

quanto il sogno

sia breve e non ho

altro modo:

abbasso la testa,

gemo e poi sento:

«Che vera la sera…».


 

Symbebekòs II

 

Sotto il tunnel nel mezzo

tra Liviano e Capitanio

andavo a slegare la bici

un giorno di pioggia

ma lieto.

Sicuro prendevo le chiavi,

chiuso nella corazza

del bel vestir quotidiano,

quando complice incrociai

lo sguardo di un ragazzino

che sembrava invitarmi

a fare silenzio, pianino.

Non colsi subito il senso

e lasciati guidarmi

gli occhi dai suoi

allora capii

l’intesa fra noi:

un bel gatto nero

oziava tra i ciotoli,

bello davvero.

Quatto ed attento

slegai il catenaccio,

un altro gatto

saltava un muretto,

e lasciai quel bambino

mentre un suo amico

gridava: «Peccato peccato!

Era bello il micetto!».


 

Symbebekòs III

 

Sfreccia veloce

di fretta

sul fianco il ragazzo,

saetta.

Feroce bicicletta.