Virtuosismo I (Uno Nessuno)
«Che guardi mio sire laggiù, nel vuoto?
Mi ascolti signore? Non fai cenno…».
«Se sento amico? Dai tempi del loto
non mi parlava alcuno con tal senno:
tutti temevano che io scordassi
ma tenni saldo il cuore e fine l’ingegno».
«Come allora quando calcavi altri sassi,
signore, eppure oggi sembri lontano:
i tuoi occhi questi paterni massi
guardano in guisa del lido troiano…
…e se un po’ li guardassero almeno!
Loro guardano il mare e così piano…
come quando altro cuore, altro seno…».
«Ma tu che vedi nel mare, amico? ».
«Mio signore vedo un bel luogo pieno…»,
«Di che?», «…di vita, di potenza dico! »
«E?» «Un covo di forze misteriose…»
«E?» «Un demone arcigno e un nemico
e un baratro che già Ercole pose,
tra le vicende umane e divine:
la fine dell’uomo, di tutte le cose,
il discrimine il solco!», «Ed io il fine…».
«Signore…», «Guardami negli occhi adesso!
Che vedi?!» «Sire» soltanto due mine
se è vero quel che ho già pensato spesso…»
«Io con gli occhi chiusi vedo più chiaro…»
«…vuoi partire ed hai inviato il messo,
la ciurma è pronta e pur la barca al varo:
ho visto un tempo sì in lor qualcosa:
l’amor paterno per il figlio caro,
per Penelope regina madre sposa;
vidi, ma nei loro vedo ora l’orrore
e, se proprio, nei tuoi sol vivo e rosa
d’un mare fatale al vespero il bagliore…».
«Io li amo ancora sapessi se li amo!
Ma hai visto bene amico il rossore…
un furore così noto solo a Samo.
Ah! Un furore tale m’attanaglia!
Che capiste me voi tutti, ciò bramo:
come fate a veder mutare in paglia
tanto spesso l’erba? All’occidente
pianeti e stelle il sole il cosmo sbaglia
forse a correre? Che vi sarà? Niente?!
Maledetti dei! Cosa oltre ogni sguardo
ponete che solo il cieco vede e sente
per cui io però sudo il cuore ed ardo
e m’è imposto..? Nell’occhio saggio
di un ombra ho capito che qui tardo:
vera pace per me, vera casa è il viaggio.».
Virtuosismo II (Alba padana)
L’oscurità notturna si dirada,
traendosi ritrosa ad occidente,
come temendo il lume rosso e ardente
pronto a tornar su la sua strada.
Ancor però si posa sulla terra,
sui tetti sugl’alberi e le case,
ancor tutt’ uguali, nere e abrase,
e con gli umidi e pallidi piedi erra.
Ovunque sta silente ad osservarmi
mentre viandante solitario incerto
l’accompagno e lotto e incrocio l’armi
con l’agro nebbioso ed aspro e aperto
aguzzo come il sol d’agosto e parmi
il vuoto, il silenzio or men grave ed erto.
Riflesso I
«Addio» diceva
il cacciatore al bosco,
ed alle foglie il fosco
sole ed il tramonto.
«Addio!» gridava
il cuore, balbettio
di voce al pigolio
di cove, borbottio.
«Addio» sparava
in fronte il bel fucile
al cane gentile,
al padre senile,
al bosco, al mondo,
a Dio.
Riflesso II
Sarà che è torvo
il corvo,
che sta lassù,
nero, avvinghiato
secco, al gelido ramo
in cielo.
E sarà che è sordo
il corvo,
che sta lassù
(vecchie pallide foglie
secche, rotte al passo
lieve).
E sarà anche assorto
il corvo,
teso laggiù
il nero e lontano
sguardo invetriato
e fiero.
Ma ora è morto
il corvo,
che sta quaggiù
freddo, impallinato,
in becco l’ultimo fiato,
cieco.
Riflesso III
Quando parlo
dico me stesso
e mi vergogno.
Esametro I
Gloria d’uomo! Con te solo il dramma umano è intero:
Nulla che nulla aggiungi e che togli semmai un che al Vero!
Esametro II
Alzo la testa all’insù ed inarco la gola e l’espongo
a quei vortici d’aria per il rigore notturno
gelidi e dolci carezze dell’aurea notte nascente.
Ecco la stella brillante! Ma ecco lì l’astro potente:
luce, potenza e fermezza fissate in quel punto garrente.
Quanto il mio animo esprimi, oh quanto mi sento con te qui.
Tu tuttavia non sei qua ma giaci e risiedi tra dei.
Forse è questo che voglio: stare al di sopra di tutto,
sopra di quello che sono ma ancora di più stare con lei.
Symbebekòs I
Vanno a braccetto,
sotto il lampione,
la nonna e il nipote.
Lui alto e sincero,
lei piccola e lieta,
li vedo e poi penso:
«Che triste la sera.».
Forse lui crede
che non cambierà
la vita e per sempre
con lei riderà;
forse lei pensa
lo stesso e dirà:
«Che bella la sera!».
Invece io so
quanto il sogno
sia breve e non ho
altro modo:
abbasso la testa,
gemo e poi sento:
«Che vera la sera…».
Symbebekòs II
Sotto il tunnel nel mezzo
tra Liviano e Capitanio
andavo a slegare la bici
un giorno di pioggia
ma lieto.
Sicuro prendevo le chiavi,
chiuso nella corazza
del bel vestir quotidiano,
quando complice incrociai
lo sguardo di un ragazzino
che sembrava invitarmi
a fare silenzio, pianino.
Non colsi subito il senso
e lasciati guidarmi
gli occhi dai suoi
allora capii
l’intesa fra noi:
un bel gatto nero
oziava tra i ciotoli,
bello davvero.
Quatto ed attento
slegai il catenaccio,
un altro gatto
saltava un muretto,
e lasciai quel bambino
mentre un suo amico
gridava: «Peccato peccato!
Era bello il micetto!».
Symbebekòs III
Sfreccia veloce
di fretta
sul fianco il ragazzo,
saetta.
Feroce bicicletta.