Vino bianco e panacea
Il vino bianco sa portare l’alba anche di notte
con la sua limpidezza leggera
e impregna di raggi anche l’interiore bufera
che imperve con silenziose lotte.
Il vino non ti trascina nell’ebbrezza t’inghiotte.
L’ hashish placa i pensieri strinati,
irretisce gli istinti,
lascia pulsare tutti i sensi, distinti:
gli occhi non vedono, ammirano meravigliati,
le mani risvegliano spiriti abbandonati.
Ma tutto ciò non cura il mio cuore languido
per l’effluvio della tua pelle, la tua pelle
viva sotto il sole, la pioggia e a sera il bagliore delle stelle
che s’affacciano gelose sul tuo sorriso limpido
perchè non si nasconde mai dietro labbra snelle.
Ma tutto ciò non cura il mio affanno
più profondo e più gravoso,
causato da un bacio bramoso.
Io inerte finchè le tue carezze mi ammazzeranno
perchè il valore di un emozione è troppo oneroso.
Il ritorno
Si torna alla luce dopo che si distilla il cielo,
si torna a quei suoni simpatici e naturali
che hanno accompagnato il nostro mutamento fiero
si torna tra i vecchi amici e alle fumate abitudinali,
ad ascoltar quel chiacchericcio gonfio di nuove parole.
Sì, torna a brillare la luna tra le stelle marine,
dipinge un cielo senza nuvole, dipinge le ore
notturne su una tela di tetti, onde e rovine.
Si torna a veder i nostri vecchi con occhi più vivi
non di vivezza, ma di giorni vissuti lieti e lievi.
CCigarets and women
Cigarets and women
donne o sigarette
si distendono nella cartina,
soavi nell’effluvio di ogni mattina
mentre scorre e corre tra le dita
un intruglio di vita
sana a tratti arcana.
Donne e sigarette
mi bruciano, ardono la pelle, nel petto
un intruglio di forme gravi.
Sciolgono, sì, ogni più profonda idea
che abbandona un corpo
cullato in se stesso.
Sigarette e donne:
un fiato e un arido
per tutta la vita o per un attimo
amore impervio e biasimo.
Ούτως οι άνθροποι
εζήτησαν ταν εύθυμιαν.
Ad un lettore distratto
Ogni piacere è gioia,
un patto naturale
e in un attimo radunare
l’ essenza del bene e del male.
Così iniziò la storia
di un ragazzo a Manarola
che d’ un tratto si tuffava
distratto nel sublime pianto
del cielo che l’ ha coperto,
sciaquandosi la bocca nei dintorni
del mare antico, riflessivo sotto i fari.
Consacrati dalla storia
a tremare per il freddo o per altro
con i fiaschi di vita in mano,
eravamo fanti.
Sono un ragazzo che ogni tanto
ritorna nella sua casa
ad ascoltare orchestre di fiati,
che si sofferma a guardare
le umane genti, si sdraia
sul vuoto per ammirare le infinite stelle.
So che c’è tempo per crescere,
ma non c’è per vivere:
io tra tanti son tornato bambino
a sbriciolar le sigarette;
il mare oltre il mare
e il mare è oltre i miei occhi,
a me resta il volto
su cui battere i rintocchi
di ogni momento che mi porterò dentro.
E tu lettore distratto
che sei arrivato qui
da odi, canzoni e spleen,
come me cerchi, temi e ami,
fermati un solo istante a contemplare
la voluttà del sublime
come un petalo leggero
coccolato dall’ armonia del mare
è trascinato dal vento incostante.
Ogni tanto sentirai una macabra cantilena
dal macello del Samsara,
ma non fremere, non temere
solo alla fine saprai cos’è il bene.
De vere
E’ tornato, è tornato quel vento invero
tra i campi di colza e gli sparpagliati viburni
a far scorta di bacche e purpureo mero
che non sazia le gole, ma i deliri notturni.
Quel buon vino nero che dilata il tramonto
nell’iride mia, mescolando il rosso de’
i miei occhioni al sangue delle nuvole,
come è solito fare il lupo cerviero
quando all’allungarsi dell’opaca ombra
si inorgoglisce nel candido petto, volto
ad assaporar la sottile linea d’ambra
che separa l’io da Dio, dal piacevole.
Chi c’è a sbirciare oltre pronto all’affronto?
Shhh! Senti? I versi si percuotono come note,
le parole si tingono folli come fiori,
le frasi respirano come tumulti in festa.
Ascolta la sinfonia di uccelli indiani nella testa:
volano a pelo d’acqua tra i pescatori
che gettano nel calmo Jhelum le reti vuote.
Il soffio poggia dove la natura è viva,
dove il mare è infinito ed io eterno con esso,
qui, la bellezza mortale di Karya fioriva:
sbocciano il bel volto ed il seno convesso.
Davanti uno spettacolo tanto incolpe
io supplice di un bacio che tu non concedi,
insensibile, alle nostre labbra incolte,
deserte di ricordi sui nostri volti seri,
aspre al tatto, bramose di pelle austera.
Appetito di api in primavera
insoddisfabile all’animo umano.
Un vile
Io sono un vagabondo nel mare
delle sirene, ma non sono Ulisse,
lo lodo, ma non attuo ciò che disse:
Nessuno m’ha insegnato ad osare.
Io sono un marinaio che rintraccia
la sua Itaca dagli occhi verdi,
eppure sembra vicina quando la guardi,
ma Eolo non mi donò l’audacia.
La molla
Nonostante tutto siamo uomini
foglie autunnali ravvivate
dal vento lungo i freschi cammini,
che si elevano alla voluttà.
Tanto coraggio il tuo: d’essere
racchiusa in sé tra piccole mani
per volare forte, imperterrita
come quando da ieri a domani
il sole galleggia sopra gli occhi.
Guardati. Un petalo di speranza,
rigoglioso e sempre purpureo,
ti culla il cuore; ascolta. Vivi.
Vibra in aria, nel limbo effimero,
sui frutteti e i fiori di stagione.
Ascendi alle stelle come fumo mellifero,
e non accomodarti mai sul furore di una vana consolazione.
All’ Italia
Tra il nostro mare e le sinuose Alpi
immacolata sta una terra
amata e baciata da chiunque salpi
mentre le onde, verso l’eterna
ostentazione di beltà, lo respingono.
Incessante beatitudine
trova riposo sotto i divini astri:
ancor viva la consuetudine,
la meraviglia in un battito di ciglia;
insana speranza dei nostri
ancor vive nel vivo cuore di questa terra.
Il poeta in riva al mare
E’ come le labbra la mia città:
ha preso dal mare il sapore,
dei colli ha la corposità.
Vive tutta nel suo ardore
di natura e di meraviglia
che ad ogni sguardo sa colmare
fino al collo una bottiglia
con l’infinito tra cielo e mare.
L’ aurora dalle dita rosa,
mentre sommerge tutti i colli,
trova il cuscino, dove posa
perchè le mattine siano folli,
dove le carezze non bastano
mai, perché la sua freschezza
è fatta di luci che velano
ogni cinguettio e la brezza.
Al tramonto è una magia
perché le nuvole e i tetti
si vestono con un armonia
colorata da mille effetti.
Tramonto acceso che sfoca
dietro le nuvole frammentate,
fino a lasciare una fioca
serenità di sere d’estate.
Il sole nel mare si accascia,
si sparpaglia in mille faville
sulle onde, il mare rilascia
il suo aroma che oscilla
tra la sabbia chiara e il sale,
fin quando arriva la sera
che chiude il portale astrale
con la potenza di un carnera.
E se impervono stralci interni
oppure si stuccano gli occhi
sono i passi lenti e alterni
a trascinare me tra i balocchi
fatti di luci, silenzio, gocce
finissime che addolciscono
le notturne e serene rocce.
Proprio dove le stelle nascono
tra palme e pini marittimi
la notte, piano, si fa sublime,
mette paura, certi attimi,
guardare le nuvolose cime.
Io amo questa città calma
perché si abbraccia tra Lerici,
schiuma vivace sotto la balma,
e di un carugio i vivaci
colori sul mare arlecchino.
Quando c’è il sole cambia volto
pare un sorriso cristallino
ai piedi di un colle folto.
Ad un guardone salutista
Cosa guardi proprio tu, depresso assopito
nel silenziosissimo luccicar della notte?
Non troverai le mie parole nel filtro ammorbidito
che con estrema calma mi porterà la morte;
sigaretta post sigaretta son esistito.
Pace non trovo e non voglio ascoltar ciance,
intendo fumare, inaridendo la gola:
aspra secca, fredda come una fumarola,
fino a diventare nebbia sulle province,
finché non sento più lo spirito del tabacco
che colora gli ultimi respiri pesanti.
Mi uccide perché io sussisto, vigliacco,
tra mozziconi spenti e boccate costanti.