Raffaele Di Ronza - Poesie

Vino bianco e panacea

 

Il vino bianco sa portare l’alba anche di notte
con la sua limpidezza leggera
e impregna di raggi anche l’interiore bufera
che imperve con silenziose lotte.
Il vino non ti trascina nell’ebbrezza t’inghiotte.

L’ hashish placa i pensieri strinati,
irretisce gli istinti,
lascia pulsare tutti i sensi, distinti:
gli occhi non vedono, ammirano meravigliati,
le mani risvegliano spiriti abbandonati.

Ma tutto ciò non cura il mio cuore languido
per l’effluvio della tua pelle, la tua pelle
viva sotto il sole, la pioggia e a sera il bagliore delle stelle
che s’affacciano gelose sul tuo sorriso limpido
perchè non si nasconde mai dietro labbra snelle.

Ma tutto ciò non cura il mio affanno
più profondo e più gravoso,
causato da un bacio bramoso.
Io inerte finchè le tue carezze mi ammazzeranno
perchè il valore di un emozione è troppo oneroso.


Il ritorno

 

Si torna alla luce dopo che si distilla il cielo,

si torna a quei suoni simpatici e naturali

che hanno accompagnato il nostro mutamento fiero

si torna tra i vecchi amici e alle fumate abitudinali,

 

ad ascoltar quel chiacchericcio gonfio di nuove parole.

Sì, torna a brillare la luna tra le stelle marine,

dipinge un cielo senza nuvole, dipinge le ore

notturne su una tela di tetti, onde e rovine.

 

Si torna a veder i nostri vecchi con occhi più vivi

non di vivezza, ma di giorni vissuti lieti e lievi.


 

CCigarets and women

 

Cigarets and women

donne o sigarette

si distendono nella cartina,

soavi nell’effluvio di ogni mattina

mentre scorre e corre tra le dita

un intruglio di vita

sana a tratti arcana.

 

Donne e sigarette

mi bruciano, ardono la pelle, nel petto

un intruglio di forme gravi.

Sciolgono, sì, ogni più profonda idea

che abbandona un corpo

cullato in se stesso.

 

Sigarette e donne:

un fiato e un arido

per tutta la vita o per un attimo

amore impervio e biasimo.

 

Ούτως οι άνθροποι

εζήτησαν ταν εύθυμιαν.


Ad un lettore distratto

Ogni piacere è gioia,

un patto naturale

e in un attimo radunare

l’ essenza del bene e del male.

Così iniziò la storia

di un ragazzo a Manarola

che d’ un tratto si tuffava

distratto nel sublime pianto

del cielo che l’ ha coperto,

sciaquandosi la bocca nei dintorni

del mare antico, riflessivo sotto i fari.

Consacrati dalla storia

a tremare per il freddo o per altro

con i fiaschi di vita in mano,

eravamo fanti.

Sono un ragazzo che ogni tanto

ritorna nella sua casa

ad ascoltare orchestre di fiati,

che si sofferma a guardare

le umane genti, si sdraia

sul vuoto per ammirare le infinite stelle.

So che c’è tempo per crescere,

ma non c’è per vivere:

io tra tanti son tornato bambino

a sbriciolar le sigarette;

il mare oltre il mare

e il mare è oltre i miei occhi,

a me resta il volto

su cui battere i rintocchi

di ogni momento che mi porterò dentro.

 

E tu lettore distratto

che sei arrivato qui

da odi, canzoni e spleen,

come me cerchi, temi e ami,

fermati un solo istante a contemplare

la voluttà del sublime

come un petalo leggero

coccolato dall’ armonia del mare

è trascinato dal vento incostante.

Ogni tanto sentirai una macabra cantilena

dal macello del Samsara,

ma non fremere, non temere

solo alla fine saprai cos’è il bene.


 

De vere

 

E’ tornato, è tornato quel vento invero

tra i campi di colza e gli sparpagliati viburni

a far scorta di bacche e purpureo mero

che non sazia le gole, ma i deliri notturni.

 

Quel buon vino nero che dilata il tramonto

nell’iride mia, mescolando il rosso de’

i miei occhioni al sangue delle nuvole,

come è solito fare il lupo cerviero

quando all’allungarsi dell’opaca ombra

si inorgoglisce nel candido petto, volto

ad assaporar la sottile linea d’ambra

che separa l’io da Dio, dal piacevole.

Chi c’è a sbirciare oltre pronto all’affronto?

 

Shhh! Senti? I versi si percuotono come note,

le parole si tingono folli come fiori,

le frasi respirano come tumulti in festa.

Ascolta la sinfonia di uccelli indiani nella testa:

volano a pelo d’acqua tra i pescatori

che gettano nel calmo Jhelum le reti vuote.


Il soffio poggia dove la natura è viva,

dove il mare è infinito ed io eterno con esso,

qui, la bellezza mortale di Karya fioriva:

sbocciano il bel volto ed il seno convesso.


Davanti uno spettacolo tanto incolpe

io supplice di un bacio che tu non concedi,

insensibile, alle nostre labbra incolte,

deserte di ricordi sui nostri volti seri,

aspre al tatto, bramose di pelle austera.


Appetito di api in primavera

insoddisfabile all’animo umano.


Un vile

 

Io sono un vagabondo nel mare

delle sirene, ma non sono Ulisse,

lo lodo, ma non attuo ciò che disse:

Nessuno m’ha insegnato ad osare.

 

Io sono un marinaio che rintraccia

la sua Itaca dagli occhi verdi,

eppure sembra vicina quando la guardi,

ma Eolo non mi donò l’audacia.


La molla

 

Nonostante tutto siamo uomini

foglie autunnali ravvivate

dal vento lungo i freschi cammini,

che si elevano alla voluttà.


Tanto coraggio il tuo: d’essere

racchiusa in sé tra piccole mani

per volare forte, imperterrita

come quando da ieri a domani

il sole galleggia sopra gli occhi.


Guardati. Un petalo di speranza,

rigoglioso e sempre purpureo,

ti culla il cuore; ascolta. Vivi.


Vibra in aria, nel limbo effimero,

sui frutteti e i fiori di stagione.

Ascendi alle stelle come fumo mellifero,

e non accomodarti mai sul furore di una vana consolazione.


 

All’ Italia

 

Tra il nostro mare e le sinuose Alpi

immacolata sta una terra

amata e baciata da chiunque salpi

mentre le onde, verso l’eterna

ostentazione di beltà, lo respingono.

Incessante beatitudine

trova riposo sotto i divini astri:

ancor viva la consuetudine,

la meraviglia in un battito di ciglia;

insana speranza dei nostri

ancor vive nel vivo cuore di questa terra.


Il poeta in riva al mare

E’ come le labbra la mia città:

ha preso dal mare il sapore,

dei colli ha la corposità.

Vive tutta nel suo ardore


di natura e di meraviglia

che ad ogni sguardo sa colmare

fino al collo una bottiglia

con l’infinito tra cielo e mare.


L’ aurora dalle dita rosa,

mentre sommerge tutti i colli,

trova il cuscino, dove posa

perchè le mattine siano folli,


dove le carezze non bastano

mai, perché la sua freschezza

è fatta di luci che velano

ogni cinguettio e la brezza.


Al tramonto è una magia

perché le nuvole e i tetti

si vestono con un armonia

colorata da mille effetti.


Tramonto acceso che sfoca

dietro le nuvole frammentate,

fino a lasciare una fioca

serenità di sere d’estate.


Il sole nel mare si accascia,

si sparpaglia in mille faville

sulle onde, il mare rilascia

il suo aroma che oscilla


tra la sabbia chiara e il sale,

fin quando arriva la sera

che chiude il portale astrale

con la potenza di un carnera.


E se impervono stralci interni

oppure si stuccano gli occhi

sono i passi lenti e alterni

a trascinare me tra i balocchi


fatti di luci, silenzio, gocce

finissime che addolciscono

le notturne e serene rocce.

Proprio dove le stelle nascono


tra palme e pini marittimi

la notte, piano, si fa sublime,

mette paura, certi attimi,

guardare le nuvolose cime.


Io amo questa città calma

perché si abbraccia tra Lerici,

schiuma vivace sotto la balma,

e di un carugio i vivaci

 

colori sul mare arlecchino.

Quando c’è il sole cambia volto

pare un sorriso cristallino

ai piedi di un colle folto.


Ad un guardone salutista

 

Cosa guardi proprio tu, depresso assopito

nel silenziosissimo luccicar della notte?

Non troverai le mie parole nel filtro ammorbidito

che con estrema calma mi porterà la morte;

sigaretta post sigaretta son esistito.

 

Pace non trovo e non voglio ascoltar ciance,

intendo fumare, inaridendo la gola:

aspra secca, fredda come una fumarola,

fino a diventare nebbia sulle province,


finché non sento più lo spirito del tabacco

che colora gli ultimi respiri pesanti.

Mi uccide perché io sussisto, vigliacco,

tra mozziconi spenti e boccate costanti.