RedruM - Poesie e Racconti

Specchio

 

Jimmy si guardava allo specchio, non faceva altro. Si metteva lì davanti e si osservava come se fosse il proprio medico di fiducia, un medico speciale. Sì proprio così, si spostava i capelli prima in avanti osservando per cinque minuti poi all’indietro e altri cinque minuti e così via. Poi apriva la bocca e cominciava a sfiorarsi i denti per non comprometterli… Poi si arricciava baffi, basette, e pizzetto rimettendoli in ordine a seconda dell’occasione; insomma più o meno ci stava un’oretta davanti al suo amico specchio.
Un giorno sforò l’ora a cui tutti i componenti della famiglia si erano rassegnati, nella speranza che questa strana abitudine cadesse nel vuoto.
Con ansia dopo aver guardato l’orologio per assicurarsi che il tempo a disposizione del fratellino fosse scaduto si precipitò immediatamente suo fratello maggiore Chuck, un omone alto quasi due metri che con voce spazientita ma ancora tendente allo scherzo disse a Jimmy: “Allora mammoletta finocchietta, hai finito con quel dannato specchio!? Devo pisciare le tre birre che mi sono appena scolato. Sai? Probabilmente erano più simpatiche di te, neanche una lamentela hanno fatto prima di finire nel mio bel pancino, ma soprattutto quelle biondone non si specchiano per ore come te, marmocchietta!
Jimmy non rispose perché si stava guardando con estrema attenzione le orecchie e punzecchiandole dolcemente con il cotton fioc, si godeva il suono dello strofinamento.
Chuck allora corse in cucina dalla madre infuriato più che mai: “Mà! tuo figlio, quello stupido, è in bagno da almeno un’ora e mezza. Sta diventando uno strazio. Io devo fare i miei bisognini e sono impossibilitato da quel narcisista da quattro soldi. Neanche a dire che è un divo di Hollywood! O ci procuriamo un altro bagno o facciamo passare con le buone o con le cattive questo brutto vizio a Jimmy! “
La mamma guardò Chuck, scosse la testa in segno di disapprovazione e non disse una parola. Chuck in preda a un esaurimento nervoso si catapultò nuovamente davanti alla porta del bagno dove il piccolo fratello continuava la contemplazione di sé stesso.
Jimmy aveva un serio problema con la sua immagine ma nessuno sapeva realmente il motivo e lui cercava di evitare di parlarne in famiglia, facendosi per di più promettere che quella storia non sarebbe mai dovuta uscire dalle quattro mura di casa.
Chuck aveva gli occhi rossi d’ira, non ci vedeva più dalla rabbia e diede un calcio esplosivo contro la porta che non resse la potenza dell’omone e cadde.
Non andò del tutto giù perché si fermò sul corpo inerme del povero Jimmy.
Il fratellino aveva la testa immersa nel water! Chuck paonazzo in volto e con il respiro quasi mozzato del tutto, trovò il coraggio di prendere per la folta chioma il giovane defunto: sul suo viso ormai non più così bello, intasato d’acqua e vari escrementi che gli calavano dal naso, c’era scritto improvvisato col rossetto della mamma:
“Io sono nessuno e come nessuno me ne vado”.


 

Tutti cessano 

 

Il cesso
è un luogo sacro
è lì che vengono partorite
le più grandi idee
anzi è lì che vengono cagate.
Ho iniziato a scrivere
sulla tavoletta del cesso
e ho continuato
sui mezzi pubblici:
l’odore più o meno è quello.
ma quando stai al bagno
sei solo
si presuppone
hai un’intimità tale
che puoi scavare
nel profondo del tuo essere
e poi le feci
ci ricordano che siamo umani
tutti vanno al cesso
bianchi, neri, gialli, etero, omosessuali.
Il cesso è un qualcosa che unisce
e che dovrebbe farci capire
che siamo tutti uguali.

Indovina dove ho scritto
Questa roba.


 

Il piccolo comico 

 

“Ciao ciao a tutti!”
Nessuno risponde al saluto.
Inizia a muoversi sul palco il piccolo comico.
Spara qualcosa come dieci barzellette ogni cinque minuti che anche volendo uno non potrebbe stargli dietro. Il fatto è che nessuno vuole quindi il problema non si pone.
Allora, visto che nessuno sembra troppo preso e c’è chi divora il suo hamburger con patatine, chi si beve una bella birra artigianale e chi chiacchiera amabilmente, il nostro showman comincia ad innervosirsi e a cercare in qualsiasi modo dal più ingegnoso al più goffo, di strapparci una risata.
Ora non compatisco quella gente che era concentrata su tutto tranne che su di lui ma nemmeno l’uomo in questione che si sbatte da una parte all’altra del palco in cerca di un minimo di attenzione.
Lui deve portare il pane a casa come tutti i presenti. Certo lo sta già facendo mi direte voi ma a quale prezzo? Nessuno ci potete scommettere fino all’ultimo centesimo. In cerca di consenso e di un motivo per ciò che sta facendo ottiene solo di essere giudicato come un fenomeno da baraccone, un giullare privo di seguito.
Comincio a notare la sua esasperazione che si fa sempre più preoccupante.
Lui prende e se ne va, nessuno sembra accorgersene. Forse sarebbe stato più soddisfatto se insultato, colpito da frutta marcia o altri fastidiosi oggetti, almeno si sarebbe sentito calcolato.
Passano cinque minuti e lui alienato dal suo corpo e con una pistola puntata alla tempia fa la sua nuova comparsa.
Viene accolto da un nuovo tremendo silenzio, schifato come un cane in fin di vita e senza padrone che agonizza nei suoi ultimi istanti guaendo in un angolo.
Urla: mi odiooo. Nulla. Urla di nuovo: vi odiooo.
Parte uno sparo.
Tutti si alzano in piedi ad applaudire, come impazziti. Come se finalmente lui esistesse davvero.
Ma non è così, lui non può vederlo.
Rimane immobile con il sangue che lentamente gli fa da mantello.
La sala comincia a svuotarsi.
Lui resta lì, ironia della sorte.


 

Caffè

 

La macchinetta del caffè
sta lacrimando
non l’ho avvitata bene.

La vita l’ho stretta
e mi ha dato una spinta:
siamo solo amici.

La fiamma era debole,
una sola via d’uscita.
Il caffè usciva lo stesso,
lento.

Ho provato anch’io
con una carezza
ma troppo lento
la carezza non l’ha presa qualcuno,
l’ha presa il vento.

Il caffè è nella tazzina:
fuma.
Fumo.

Mi sono scottato la lingua
la vita è breve
il caffè è finito,

questa poesia anche.


 

L.

 

Leggerezza che si insinua
nella bocca
quando parli per sentito dire
e credi alle voci.

Leggerezza che si annida
nella testa
quando poco resta
e fissi il televisore.

Leggerezza che pietrifica
le braccia e le gambe
quando non sei più disposto
a lottare per ciò che meriti.

Leggerezza che giustifica
ognuna di queste azioni,
che raggiunge l’organo cavo
che prima chiamavi cuore.


 

Ammazzo il tempo

 

È una questione di chimica,
mangio senza assaporare.
Ingurgito parole
come il più grasso commensale.

Alla cerimonia mancavi tu,
persa tra le corsie di un ospedale
che non riuscivi a superare.
C’era un ostacolo: le sedie, le persone, le scale.

Ti presto i miei occhi
per vedere
magari li userai meglio,
magari a me non servono.

Quando finalmente sei riuscita a vedermi,
mi hai letto
e tutto è diventato più chiaro…

“Scrivi per ingannare il tempo
che vorresti tanto ammazzare,
illudendoti
che non sia lui ad ammazzare te.”


 

E-State

 

Sudano le folle,
una follia uscire con questo caldo.
Arriva alla testa.
Tranquilli stasera rinfresca,
c’è aria di festa.
Le spiagge si popolano
ma chi costruisce con le sue mani un castello
non ci andrà ad abitare.
Al centro ci sarà una grande piscina
dove nuoteranno ricche persone, povere di cuore.
Il gabbiano un tempo viveva al mare
ora aspetta il treno in stazione
nelle grandi città
e mangia cotolette panate.
Gli uomini ricchi intanto mangiano gli uomini poveri.

Te li immagini senza semi i cocomeri?


 

Foglio bianco 

 

Un foglio bianco
non si riempie in un secondo
o almeno
non se vuoi dargli un senso.
Io ci penso spesso
e spesso
non credo di riuscirci:
la profonda contraddizione
di chi fa,
di chi si fa
e non si piace.
Vorrei parlare per ore
fino a perderlo quel senso,
fino a trovare l’ispirazione.
Dimmi che la troverò
tesoro mio
ma non c’è una volta che mi risponda
è come parlare a un muro,
al mio muro di forse.


 

Paura del buio 

 

Un bambino viene a svegliarmi:
ha paura del buio.
Lo rassicuro,
accendo la luce.
Lui sta meglio
ora dorme sereno,
io non ci riesco più:
c’è la luce accesa.
Vado al bagno,
mi specchio:
mi vedo piccolissimo
quasi non riesco a vedermi
per quanto sono piccolo.
Adesso ho sei anni
vaga il piccolo me, corre nello specchio
va su e giù:
c’è un’intera infanzia intrappolata in un blocco di vetro.
Lo vedo andare lontano, nello specchio.
Svanisce nel nulla.
Ci sono di nuovo io, ora, nella mia attuale forma.
Quel bambino era solo un riflesso,
quel bambino si è perso.
Torno in camera:
C’è ancora il bambino che aveva paura del buio.
Adesso dorme tranquillo,
io no.


 

Lettera d’addio 

 

I miei dubbi, le mie incertezze,
ti lascio delle carezze sul tavolo
ti lascio questa costante inadeguatezza
e queste mie aspirazioni, eterne.
Tu mi lasci un bacio
io, un letto vuoto da rifare.
Mi lasci panni puliti
e la camera in disordine
perché sai che nel mio caos
so esattamente dove mettere le mani:
è lì che trovo ciò che sto cercando.
Mi scrivi ogni giorno
e non mi mandi alcuna lettera
perché speri, in fondo, che sia un arrivederci.
Mi piacciono le frasi interrotte
perché è da lì che nascono i racconti.
Fantasia che mi porti, mi accompagni
rendi anche questo addio
meno triste del previsto.