Riccardo Giosi - Poesie e Racconti

GLI OCCHI DI CHI DORME

Il letto del fiume bagnava la sera. L’unica diversità tra cielo e terra si annullava grazie al riflesso della volta celeste sull’acqua ferma e notturna. Aldilà della riva vi era un bambino, fermo su un sasso. Mentre guardava il proprio viso che cambiava i lineamenti tra le increspature dell’acqua, guardava anche il cielo. Sognava di volare, ma poco dopo il volo si tramutava in un affondo abissale.
Si chiese però come doveva essere ritrovarsi fradici e infreddoliti sotto le calorose stelle d’inverno. Le vecchie storie erano chiare: “Dai fiducia alle stelle, e le stelle daranno fiducia ai tuoi sogni”. Si buttò con un traballante coraggio, e ansimante ma immobile rimase morto a galla.
Gli occhi aperti fissavano le stesse stelle che ora accerchiavano la sagoma nell’acqua. Il corpo trasportato dalla piccola corrente scorreva silenzioso e bianco, mentre un sorriso di vittoria gelava nel viso del bambino. Le vecchie storie erano vere, più di quanto sembrava in apparenza.


 

LA LUCE CHE NON FA OMBRA

La piena luce lunare prese la gloria nel buio più denso della notte e illuminò gran parte della città. Su di un tetto c’era una ragazza, chinata, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e la schiena leggermente inarcata in avanti. La dava a pensare facile sul suo stato d’animo. Chiunque l’avesse vista avrebbe dato un giusto sfoggio del proprio perbenismo finendo per chiamare le guardie. “E’ pazza!” avrebbero aggiunto, magari per risultare meritocratici.
L’ombra era guasta, la luce della notte non dava emozioni prettamente romantiche come succede la maggior parte delle volte.
“Sai, cerco solo di non affondare. Di trovare la chiave. E’ sempre tutto così difficile e complicato. E il mondo? Hai visto cos’è il mondo oggi?”

“La chiave…ah e il mondo! Certo, chiaro…il mondo.”

“Intendo…intendo la chiave dell’umanità. Insomma non guardi attorno a te? La morte bacia ogni angolo, e i bambini? I bambini muoiono ogni giorno. Li hai visti? A terra, come se il loro sbaglio sia stato veramente quello di venire al mondo. E le armi? Le hai viste le armi? A me fanno paura lo ammetto, solo a pensare a quel freddo e crudo acciaio! Ne vogliamo parlare? Sento la pesantezza dell’acciaio anche nell’aria! Il denaro, la democrazia assoluta, e tutto quel finto e falso film che vogliono fare apparire così epico. Ogni mattina apro gli occhi e spero di poter tornare indietro…certo, c’era sempre tutto questo, il mondo non era ugualmente onesto lo so.”

“Cosa dici? Cattivi ed egoisti, ecco il succo. Cattivi ed egoisti!”

“Ah, l’egoismo. Ha divorato l’ego di non poche persone” e scosse la testa fissando il cielo color petrolio che inondava sopra di lei ogni cosa.
Era solita parlare a se stessa nella sua mediocre ma affidabile compagnia. Nessuno poteva dirgli cosa pensare, con chi stare. E tutto questo la rendeva indipendente, nella mente e nell’anima.


 

FUGA CON LA SPERANZA

Camminavano a passi svelti Rell e Conchobhar. L’uno faceva le veci dell’altro in quel semi gelo che li circondava. Ansia, paranoia, occhi continuamente guardinghi e schizzati verso ogni ramo, ogni foglia, ogni ombra, riflesso o movimento. Era proprio quel freddo così scottante che trascinava nelle loro menti ricordi caldi e malinconici della loro cittadella.
Era quasi impossibile riuscire a muoversi con l’alta neve che era caduta nella notte, ma nonostante i calzari fradici i due si muovevano bene in quel selvaggio foglio bianco cosparso da alberi alti e fitti come la mina di una matita.
Erano fuggiti poco prima dell’alba da Mezzo Bivio, sfruttando il passaggio sotto fiume, quando l’odore di sangue fuoriusciva da ogni abitazione o bottega e si riversava nelle viucole, rendendosi materiale, visibile. Affondando nel grigiastro della neve vissuta da migliaia di piedi.
Ogni goccia di sangue era stata versata e il motivo era tanto stupido quanto terribile: guerra.
La guerra era brutta da affrontare, specialmente per due fratelli cresciuti in una città montana e che erano abituati all’odore dei pini, alla ricerca dei cervi, la pesca del pesce in primavera e le zuppe nelle gelide sere invernali. Il sangue chiama l’odio, l’odio chiama il potere illegittimo, il potere illegittimo prima o poi chiama la morte. Nessuno di loro avrà scampo, nessun guerrafondaio. Ma nel frattempo chi muore è la gente dei fiumi, i minatori, i mercanti e i poveri mendicanti. La popolazione.
I due ragazzotti avanzavano nel nulla come un’unica anima, senza rendere conto della destinazione, spinti dalla paura, dalla carneficina alla quale avevano assistito. Ognuno ricordava immagini diverse ed elementi sfocati, ma il sangue, il sangue era ben impresso nella loro mente. Non era sangue di leprotto scuoiato, ne’ di un ginocchio sbucciato sulle dure pietre dei viali di paese. Era sangue innocente, sangue versato in terra come vino in una coppa. Per piacere, per potere. No, la guerra no. La guerra e l’odio.
Il problema principale non era tanto fuggire, quanto quello di trovare un’altra città, con differente credo, differente cibo, cultura, lingua che fosse in grado di ospitare con benevolenza e meritocrazia gente proveniente da fuori. Gente fuggita dalla guerra.
Ma a Rell e Conchobhar nient’altro importava ora, erano riusciti a fuggire dal pozzo infernale in cui si erano ritrovati. E per quanto nessuno dopo quel viaggio di sopravvivenza avrebbe potuto avere un letto caldo e del buon cibo, loro ci credevano.
Salvarono l’umanità dopo aver visto tutto quel sacrificio, tutte quelle ingiustizie. Ci credettero ancora, qualcuno come loro si aggirava in altre parti di mondo, pensando le stesse cose, compiendo gli stessi passi. Lasciando un ricordo di quell’animo umano che non è dedito al possedere, ma al conoscere e al condividere.


 

GRANELLI

 

Ho in pugno

granelli di sabbia

che scivolano

e perdono l’identità,

come aquiloni acrobatici

presi a schiaffi dal vento che li sbatte a terra.

Il ritorno delle onde a riva

che distruggono i disegni

di orme pesanti;

passanti che non torneranno sulla stessa spiaggia,

nelle stesse acque,

dove ogni difetto è una piccolezza

disposta a farmi stringere il cuore.


 

 LA PRIMA VOLTA

 

La prima volta che ho poggiato il mio sguardo,

il tuo arrivava troppo lontano.

C’era il cielo

che splendeva sopra tutti,

ma a te non importava.

Il mondo prova a cambiarti?

Tu provi ad attaccarlo al muro,

a prendere in giro il suo orgoglio.

A volte ti ha preso a schiaffi,

non sei rimasta in catene

legata a stupidi concerti di vittime

che passeggiano a terra come formiche

che poi vengono schiacciate per gioco

da un bambino.

Hai sempre saputo rialzarti,

camminare, saltare, affrontare,

distruggere gli ostacoli

senza mai raggirarli,

uno dopo l’altro come un domino con cui allenarti.

Ti chiedo, di alimentare sempre questa tua fiamma,

essa non svanirà mai; mai si trasformerà

in un miasma diffuso nell’aria di tutti.


 

 CROCCANTE

 

Sei come cioccolato;

più mangio

più mi rendi felice.

Un ripieno di nocciola,

come un’eterna primavera che sboccia in un istante

e diventa ispirazione.

Ho il mio animo da poeta,

un salmone che risale la corrente

in un fiume di parole.

Una ciliegia tira l’altra;

la tentazione è palpabile nell’aria

fino al punto che si scontrano negli sguardi

le nostre dichiarazioni,

facendo sì che i nostri respiri si addensino

fino a formare nuvole di drago

che mangio con smisurato desiderio.


 

 FASI LUNARI

 

Sei stata spesso

mia compagna.

Nelle notti più buie

non sei mai andata via.

Sempre immobile,

nella tenue luce che rifletti addosso alle mie imperfezioni

che riscrivo su cartoncini

gialli e sgualciti.

Quanti segreti nascondi

e quante paure hai dissolto?

Sembri quasi una risposta

alle ingiustizie e ai cuori malconci.

Se mi sento solo,

sei un abbraccio per gli occhi,

un conforto per l’anima.

Sei un sogno

venuto dal cielo,

solitario

intenso.

Eternamente magico.


 

 PERLA

 

Pura, come l’animo umano.

Si possono avere dei vestiti gualciti,

ma dentro ognuno di noi risiede

una perla.

Segreta, tenuta stretta come dei sogni in un cassetto

lei fortifica e risplende.

Molte volte nel tempo ci siamo difesi,

stratificando sempre di più ogni male,

Molte volte qualcosa ha fatto breccia

Irritando i nostri battiti.

Bisogna a volte

uscire dal guscio,

all’apparenza così brutto e ruvido

da tagliare la pelle così delicata.

Ognuno è speciale,

nessuno è destinato a una tragica fine.

Possiamo guarire una ferita,

trasformarla in un’innocua certezza

e custodire la nostra avvenenza in pregiati strati di madreperla.


 

 IO MUSICISTA

 

Quando imbraccio una chitarra

non mi perdo in tecnicismi.

La vibrazione delle corde

è percepibile dal cuore,

come una bomba che sbalza i nostri atomi

nello spazio vuoto di una stanza.

Il paesaggio che prende forma nell’anima,

è la più sottile delle emozioni che risuona al nostro interno.

Viene proiettata sulla materia che tocchiamo poi con i nostri occhi,

con i nostri arti.

E’ una forza morale, un’interazione con se stessi e con gli altri

senza il bisogno di dover parlare.

Un radar che intercetta il mondo

e lo rivela in tutte le sue infinite increspature.

 


 

 AGO E FILO

 

Ho ripreso in mano quei pezzi organici ricuciti

con fili di speranza

e con aghi arrugginiti, afflitti.

Sai, puoi crederci

ce l’ho fatta di nuovo.

Adesso dono tutto a te

perché prova qualcosa anche la mia pelle

secca e concia nei giorni di calura,

fredda e delicata nelle giornate d’inverno.

Ti regalo un bacio,

poi un urlo.

Ti abbraccio,

poi ti respingo.

Ti adoro e poi ti odio

come una ferita che squarcia la pelle;

come la pelle che rimargina la ferita,

come una cicatrice che prende forma negli occhi

e rimane stampata lì, per sempre

nel bene e nel male.