Riccardo Piunti - Poesie

Sentieri

 

Nel vespro di un ticchettio del tempo

Ove per un occhio attento,

si smorza il fermento

di luci e di suoni,

i colori sbiadiscono

nella fuliggine del ricordo.

E’ lì che si anima un mondo,

dove, ridesto,

dipingo sulla tela del mio tempo.

Un incesto di colori,

che di volta in volta mutano d’intensità

e glorificano un ricordo

verso cui si cala un sentimento.

Boccheggio e sgomento,

lascio che il mio pennello

si insinui anche sul colore più bello.

E così arranco su sentieri impervi,

mentre dabbasso,

volgendo il mio capo,

un agglomerato di pace

avvolge le case

dei tanti

ignari dei miei affanni.


Vibrazioni di luce

 

Abbandonato nel rimestio di me,
lascio che una lama di luce
scavi tra le ombre
e i pensieri sbiaditi dal tempo.
Con maestria,
questo sprazzo di vita eterna
rischiara le vette della mia anima,
pendici corrose dai venti,
imbiancate dalle nevi
che, a cielo aperto,
hanno, come tempesta,
imperversato coprendone ogni anfratto.
Un rivolo d’acqua porta con sé
il seme di una stagione che promette,
di prati in fiore, di ridenti violette
e germogli di un io che,
quasi destatisi da un contagioso letargo,
già si fa carico di una bellezza incontaminata.
Il sole è già alto
e adesso finalmente lo sento
che scalda ogni mitocondrio
e ogni pulsare di vita, che già in me,
vibra e da coraggio
rendendo beato ai miei occhi
questo ora incantevole paesaggio.


Verità incompiuta

Finché io temo
il cigolio del legno
che stride e sogghigna
ad ogni mio passo incerto,
o una carezza del vento
che avidamente rischiara
il mio tormento,
o il canto di una falena
candido alla luna
che sfida ogni mia fortuna,
allora mi accontento
di annoiare un abulico tempo
fingendo di elevare
un sentimento
a chi si bea
di una verità incompiuta.


Dopo le onde il Mare

Ridesto,
mi adorno di piume
e mi innalzo
al di sopra di un turpiloquio
di bocche mai sazie.
Forte,
mi infilo tra i pertugi del cuore
e mi cimento
in una danza al ritmo
del suo sincopato pulsare.
Vibrano le corde
tra le creste ondose del mare,
ove gemme di sale
insidiano le scogliere
per poi di colpo esalare.
Ad ogni fluttuo
risponde un battito,
uno striato lascito di note
di un amore incompiuto.
Il madido vento,
che, spavaldo
e del trambusto araldo,
prima dirompeva,
ora d’impulso
cessa di soffiare,
dipanando le onde
e distendendo il mare
che di blu cobalto
dall’alto mi vede arrivare
presso i recessi più reconditi
del mio cuore.


Riflessi

Una pigrezza nel sentire
si insinua sottile
nei lustri confinati
tra rari riflessi
di attimi indefessi.
Con una pala inadatta
scavo tra la sabbia immune,
che rende inespugnabile
la gabbia del luogo comune.
Errando ignaro,
tra le gibbose
di un cammino avaro,
di incanto un miraggio di rose
mi da la forza di spianar le ali
e raggiungere un manipolo
di commensali
che folgorato da strali
di autentico Amore
mi invita a liberare di me
la parte migliore.


Spazio e Tempo

Gli ultimi rantoli
di una cieca debolezza
privano l’essere
di uno strame di dolcezza
che invano ha nutrito gli armenti.
Nudo,
il freddo e le intemperie
più non temo,
né il pusillanime sfoggio
di un arido eloquio.
Arde in me il piacimento
di esser sospeso
tra spazio e tempo.
Che parlottino pure gli astanti
nel memento
di un fugace godimento,
di un bivacco
ai servigi di un redivivo Bacco.
Dal mio esile esilio
già basta il mormorio di un canto
per gioir dell’esser vivo.


A mia figlia

 

Vorrei galleggiare

nel blu del tuo profondo mare.

Dalle tue amabili iridi

una diffusa luce

irradia sui tanti felidi,

che animano il tuo mondo

che seduce.

Con te è sempre giorno,

la dolce carezza di un alba

senza mai un tramonto.

Un tuo sorriso

tinge di calore

il mio pallore,

mi scalda il cuore,

ed ogni volta

in me

si rinnova l’Amore,

che alimenta ogni speme

e la vita non più teme.

Mosso dal tuo bagliore,

mi riscopro bambino,

e pieno di ardore,

dimentico del destino,

correndo a te unito

nel nostro segreto giardino,

finalmente mi abbandono

alla breccia dell’ infinito.


A Tristano

 

Oh Tristano !

Levi a oriente

il capo,  ignaro

della sorte che ti attende.

Dagli occhi tuoi,

una spiga di grano

sussulta come buoi,

che da lontano,

tirando tutto il die

assaporano un ristoro

che giammai allenta le cinghie

di un forzato lavoro.

Oziando all’ombra

di un salice ridente,

sgombra

la possente mano

a tentar impotente,

invano,

di trattener

il dilagar di un pianto.

Tinteggiando di cremisi

un orgoglio ormai in crisi

e a rimirar le gesta

di una contesa

a te indigesta,

scoccavi tesa

un freccia

per far breccia

fra pungenti rovi

custodi di mondi vivi.

Oh Amore,

sospirato desio,

me traduci all’oblio

tra le uggiose spine

del mio cuore.

Oh Isotta!

Amata mia,

mostra a me

la scia

che a te conduce

e tira quel filo,

acciò che io lo possa ghermire,

sbocciar dal mio asilo,

prima che l’ imbrunire

dei tuoi occhi la luce debba schermire.


 

Noi Due

 

Che fu,

senza i lumi tuoi,

il peregrinar ozioso

del tuo amato sposo;

su tante prue

lasciavo il mio cuore

ad asciugare,

dai patimenti condannato

di un amore mai ricambiato.

Tra i volti dei tanti

che ho incontrato

un dì il tuo scorsi

e non subito lo riconobbi.

Il vento lagnava

portandosi via

gli ultimi spasmi

della mia follia

di cogliere la luce

fatuo faro della vita mia.

Ma un germogliar di raggi,

più forti della bruma

densa nei paraggi,

partoriva orizzonti

dai nuovi contorni

e il sole ad indicar la strada:

a correr mi misi

verso l’ignoto

e lì ti incontrai di nuovo

che correvi

e ti raggiunsi.

Non appena ti rividi

ti amai.

Ci fermammo.

Ci guardammo.

I cuori a pulsare

all’unisono

di un canto nuovo

al nostro trovato Amore.

La mia mano nella tua,

abbandonati alla luce

che solo noi conduce

laddove è sempre giorno.


 

Ode alla Primavera

 

Ribolle nel meriggio
il sol
al grazioso arpeggio
di un usignuol.
Sulle pendici
da lontano
nivei ruscelli
gorgogliano
di verde tingendo
gli ultimi pigri
e pallidi acervi
del tempo che fu.
Oh Primavera,
suadente messaggera,
dai rinnovata speranza
e dissolvi ogni malacreanza!
Ravviva i colori
sui tanti fiori,
acché suonino
leggiadre arie
e rallegrino i monti
addolcendone i contorni.
Possa tu dunque,
col sorriso,
riscattar
il greve e indeciso
ruminar
in letarghi
che l’incanto di una vita
posson annebbiar.


 Spazio e Tempo

 

Gli ultimi rantoli
di una cieca debolezza
privano l’essere
di uno strame di dolcezza
che invano ha nutrito gli armenti.

Nudo,
il freddo e le intemperie
più non temo,
né il pusillanime sfoggio
di un arido eloquio.
Arde in me il piacimento
di esser sospeso
tra spazio e tempo.

Che parlottino pure gli astanti
nel memento
di un fugace godimento,
di un bivacco
ai servigi di un redivivo Bacco.

Dal mio esile esilio
già basta il mormorio di un canto
per gioir dell’esser vivo.


A Tristano

 

Oh Tristano !

Levi a oriente

il capo,  ignaro

della sorte che ti attende.

 

Dagli occhi tuoi,

una spiga di grano

sussulta come buoi,

che da lontano,

tirando tutto il die

assaporano un ristoro

che giammai allenta le cinghie

di un forzato lavoro.

 

Oziando all’ombra

di un salice ridente,

sgombra

la possente mano

a tentar impotente,

invano,

di trattener

il dilagar di un pianto.

 

Tinteggiando di cremisi

un orgoglio ormai in crisi

e a rimirar le gesta

di una contesa

a te indigesta,

scoccavi tesa

un freccia

per far breccia

fra pungenti rovi

custodi di mondi vivi.

 

Oh Amore,

sospirato desio,

me traduci all’oblio

tra le uggiose spine

del mio cuore.

 

Oh Isotta!

Amata mia,

mostra a me

la scia

che a te conduce

e tira quel filo,

acciò che io lo possa ghermire,

sbocciar dal mio asilo,

prima che l’ imbrunire

dei tuoi occhi la luce debba schermire.


Lassù

 

Indaco è il cosmo per occhi sognanti…
lo puntellano di stelle, di diamanti,
o mendicano, diafani,
tributi di un giorno
che già medita al domani.

Le speranze, or fumose,
sbuffano dai tetti delle case!

Cosa rimane del tempo,
della briosa rugiada nel campo,
dell’apollineo sol che nasce
e dei nostri sogni ancora in fasce?

Lassù!
Con un gabbiano
a perlustrar le onde,
o con un’aquila beata
a spiegar le ali tra correnti
imperlate dai venti:
ove il calpestio del tempo
giunge muto, spento…
si gioca a dadi con la luna,
un tuffo nell’aurora e
si sfida senza indugi la fortuna!