Riccardo Sciuto - Poesie

(1)
Non lasciare il destino nelle mie mani,
ho solo altre tre vite da vivere
in tremori ed ermetiche parole
di assai contorti pensieri umani.
Ma il mio lascerò nelle tue,
in queste altre tre vite da fingere
nascerà un solo girasole,
in quei fiati di vento così cari a noi due.


(2)
Ho smarrito il giorno come un amuleto lanciato nel mistero.
Forse quando i legni bruciati faranno il tuo odore
-Dolce autunno di brina nel pettomi
sarà concesso vederti ancora.
Argini di strade nebbiose,
assonnati volti non più abituati alla noia
-errore del nostro tempopiegati
alla fermata del tram.
È così che il tuo nome
trova sempre come stiracchiarmi le guance
in un ghigno di nostalgia.
Ma prima o poi ci si ritrova a seguire
I percorsi riscaldati dal sole
di un giovane inverno già gelido,
pronto a tendere il suo inganno
come un bambino capriccioso che discute per metafore.
È bene che si osservi il mondo,
e che una volta tanto si smetta di farlo
come gara a chi supera la morte.
Un tempo, sotto le armi, si diceva: proietti
Anziché proiettili, azzeccando il termine,
rivolgendolo ad esseri che sono solo
non-forma nociva.


(3)
Per quando sarai grande,
a mia sorella.
Non spargere mai il tuo amore
ai venti che lo trasportino altrove.
Lascia che cresca nel tuo cuore
di piccola creatura che del mondo
conosce solo il bene,
che è come io ti ricordo.
Non perdere la speranza,
anche se queste ore di buio
ti scansano dalla verità,
ricorda il sogno sincero
che per te ho cresciuto,
unica mia donna, figlia di mia madre,
trova per te la pace
che io non ho mai voluto.


(4)
Eppure, mi porti altrove
con quegli occhi così diversi dai miei,
nei rilievi dei tuoi nei,
negli odori dell’alba celata
ai nostri sogni, nei sapori
in una parvenza di sereno,
sul tracollo che aspetterebbe
ogni limite.
Eppure mi porti altrove,
lì dove abbandono la coscienza
e mi credo cielo e tu mare,
sazi solo del vento e i suoi rumori.
Mi porti altrove,
lì dove credo insieme a te
che non c’è fine quando muori.


(5)
Se mi appartenesse il nome che non mi sono dato,
Lo venderei.
Senza nome, sarei accudito
Dalle signore indaffarate
Che si intravedono sul balcone.
Senza nome ricorderei in eterno la tua voce
Come il canto dei giovani usignoli.
Certamente, non avrei più paura.
Senza più nulla di me da raccontare,
Senza più nulla di me da conservare,
Percepirei solo l’essenziale…
Venirti a chiamare
Per portarti al mare.


(6)
Non hai forma nei miei sogni,
non ti conosco, quindi non hai fine.
Perché non finisce mai
ciò che nasce prima del limine.
Non hai forma nei miei sogni,
sei solo l’ombra profumata
di una vita in trincea, ma in tempo di pace,
di una vita immaginata.


 

(7)
Domo
Dominio
Domino
Di molte
interpretazioni
della vita
è vitale
sceglierne
una propria.
La più adatta,
la più intatta.
Per me, io,
domo nel
dominio
di qualcuno,
si chiama
domino.
È semplice,
è solo un gioco:
tasselli
disposti,
o indisposti,
riposti
a piacimento
che al minimo
movimento
crollano uno
sull’altro.
È un effetto,
un difetto,
un meccanismo
imperfetto
talvolta casuale.
Di tanti tasselli
il mio gioco
è individuare
quelli portanti,
ovvero
i meno importanti,
i più irrilevanti,
insignificanti.
È un gioco:
un domino
di un domo,
o di chi doma,
in qualche
dominio
dell’uomo.
Il tassello cauterio:
due occhi,
i tuoi,
parecchi ricordi,
i miei.
Ferite
da rimarginare
da emarginare
da arginare
o immaginare.
Il tassello
donato
a qualcuno:
il mio è tuo,
che mai fu mio.
Tassello
mancante.
Il tassello del dovere
del piacere
del potere
della paura
della casa di cura
della morte
della memoria
della storia
della villeggiatura
dell’abbronzatura
del riposo
della pausa
del lavoro
dell’autostrada
del parco giochi
dei fuochi
degli spari.
Una serie di crolli
finché dura
la pista
quando più
quando meno
articolata
spericolata
spezzata
e riparata,
malata
curata
salvata
avvitata
avvisata
avvistata
disattivata
ignorata
elaborata
ineducata
rieducata
riattivata
riacquistata
riequilibrata
fermata
spaventata
terminata
e infine
finalmente
dimenticata.


(8)
Come sottovaso immergo
le radici nelle lune a venire.
Stenta il sole perplesso
nelle facciate delle villette
e nasconde dall’altra parte
il suo sogno d’ombra.


(9)
Siede qui accanto il venditore di borse.
Ha interrotto la sua canzone di note lontane,
di note di casa.
Le mostra a due vecchi bagnanti
sotto l’ombrellone,
sulle seggiole da spiaggia,
sovrapponendole con rapidità felina.
Le carezza, le elogia, ma nulla da fare.
-Mi dicofarebbe
meglio a pescare telline lì avanti,
con gli altri,
nel loro impassibile quadro
sparsi pochi metri oltre la riva,
piegati con le braccia in acqua.
La pace ha smesso di esaltarmi,
e qui ne trovo sempre troppa.
Due che vendono aquiloni
passano fianco a fianco, chiacchierando,
che i fili quasi si intrecciano,
nella loro lingua incomprensibile.
-Pensocos’è
la lingua madre
difronte alla lingua-pensiero?
In questo fremere di onde
ho compreso a pieno il mio ruolo.
Inavvertitamente mi sono accomodato sul silenzio.


(10)
Non è facile di questi tempi: dormire.
Lo è se si è capaci. Lo si impara bambini
E lo si scorda sognando, nei sogni adulti -ovveroIn
quelli ad occhi chiusi.
Dormire, si, ma fuori ci sono le pareti delle case popolari
Devastate, quasi liquefatte dalla pioggia tremenda
Scagliata dal vento. -Causa di un effettoDormire,
d’accordo, ma fuori ci sono i sogni,
i sogni degli altri, ed io vorrei saperli tutti, raccontarli,
averli sulla punta delle dita e spalmarmeli sul cuore.
Dormire, credo faccia per te: dolcezza svuotata
Della vana gioia che raccontasti a me,
mai compresa fino in fondo. -Realtà e aspettativaNon
è semplice questa cara amica ingestibile: la vita,
la vita di un bambino troppo grande per giocare.