Bianco e Nero
Cosa è bianco?
Cosa è nero?
A scegliere spetta a noi.
Nero è come la Notte
oscura che ti prende a botte.
Bianco è come il giorno,
con la voglia di pregar tutta attorno.
Nero è quella paura,
avvolgente come una tela oscura.
Bianco è il coraggio,
esser libero e mai ostaggio.
Nero è il vuoto,
precipitar fino all’ignoto.
Bianco è pieno,
di cui non puoi far a meno.
Allora, di nuovo:
Cosa è bianco?
Cosa è nero?
A scegliere spetta a noi.
Vivi e non pensare:
chiudi gli occhi e datti da fare!
Vendetta
Quell’infame mi ha offeso,
mi ha disonorato,
mi ha derubato dei miei sogni:
ha distrutto la mia vita.
Come sarebbe bello
fargli esplodere il cranio,
fracassargli tutte le ossa,
farlo contorcere dal dolore.
D’ora in avanti sarà il mio scopo:
non ci sarà nascondiglio
né perdono che tenga.
Il suo inferno sarà il mio paradiso.
Una mattina, però, mi alzo,
mi guardo allo specchio,
e a tratti non mi riconosco:
mi sembra di esser più vecchio.
No, la verità è un’altra:
l’odio per quel tale
mi ha consumato le energie.
Non ho costruito un futuro,
ed il tempo è ormai passato.
Dunque, a che serve vendicare?
Solo a farci perdere noi stessi,
a non realizzare i nostri sogni:
per non far vivere gli altri, alla fine,
dimentichiamo di vivere noi.
Vergogna
Sono un essere infame.
Il mio aspetto è così atroce
che non mi posso guardare.
La mia presenza è così nefasta
che in nessun luogo posso andare.
Le mie azioni sono così mendaci
che nulla devo fare.
La mia essenza è così nociva
che solo nel guscio posso stare.
Ogni gesto è una spiegazione.
Ogni parola è una giustificazione.
Ogni movimento è un’esagerazione.
Perché sono così male? Vai a saperlo.
Non me lo so proprio spiegare.
Ma forse, non è neppure reale
perché, in fondo in fondo
non ho fatto nulla di male.
Il destino del mondo è sulle mie spalle
ma sopra di me non c’è appoggiato nulla:
me ne sono accorto solo ora.
Ma perché nessuno me l’ha mai detto?
Rispetto
Tutti a chiedere il rispetto
ma nessuno lo vuole dare.
Ma cos’è il rispetto?
E cosa non lo è?
Il rispetto non è un obbligo
non è la medicina prescritta dal dottore
non è imposta dalla legge.
Non è obbedienza ad ogni costo
né una prova di fedeltà.
Il rispetto non è dipendenza.
Il rispetto è una conquista
una scoperta continua
un’accettazione del proprio limite
e del limite dell’altro.
Il rispetto è fratellanza
è l’anticamera dell’amore.
Tutti a chiedere il rispetto
ma nessuno lo vuole dare.
Cominciamo a chiedere rispetto
invece di aspettare che arrivi verso noi.
Il salto del canguro
Salta, salta, canguro pazzerello
non fermarti sul più bello.
Da ogni lato mette la zampa
così di rendita campa.
Non segui mai la stessa bandiera
non vesti mai lo stesso colore
oggi sei bianco, domani nero
la moda è il tuo unico credo.
Salta, salta, canguro pazzerello
non fermarti sul più bello.
In ogni porto lo vedi salpare
per godersi lo stesso mare.
Decidi sempre di non decidere mai
non preghi mai lo stesso dio
la fedeltà non ti appartiene
il tradimento per te è un onore.
Salta, salta, canguro pazzerello
non fermarti sul più bello.
Ami farti sempre mostrare
al centro del mondo ti piace stare.
Te ne freghi delle regole
ma stai sempre ad ubbidire.
Sei schiavo di chiunque
e chi ti battezza ti è compare.
Salta, salta, canguro pazzerello
non fermarti sul più bello.
Per te hai progetti immensi
ma al tuo vicino mai ci pensi.
Infanzia perduta
Volevo essere un bambino
e non lo sono stato.
C’è qualcosa che non va
qualcosa non ha funzionato.
La vita da adulti
è fatta di responsabilità:
non si può essere responsabili
in tenera età.
Giochi, amici,
la vita del fanciullo è tutta qui:
io dei primi ne ho assaggiati metà,
ma dei secondi ho avuto privazioni.
Non sono mancate le prove di coraggio
e nemmeno gli atti di dolore:
i secondi li ho provati appieno
ma dei primi, neanche un assaggio.
Ma adesso, basta!
Mi hanno rubato l’infanzia,
e ora la rivoglio.
Pur di riaverla sono disposto a tutto,
anche ad andare al campidoglio.
Un consiglio: ascoltate sempre
il vostro fanciullo interiore.
Crisi d’ansia
Aiuto!
Ma che mi succede?
Ho i nervi a fior di pelle.
Ho le traveggole.
Il cuore va fin in gola e oltre.
Sono bloccato.
Sono rigido.
Che diavolo mi succede?
Ogni novità.
Ogni scoperta.
Ogni uscita dal mio uscio protetto.
Mi fa una gran paura.
Non mi muovo.
Non avanzo.
La vita mi scorre davanti.
Ma a me non capita nulla.
Non ho un lavoro.
Non ho amici.
Non ho amanti.
Che diavolo mi succede?
Ho un demone all’interno?
No.
Niente di tutto questo:
hai solo paura
paura di vivere.
Vivi, e lasciati andare
al resto non pensare.
Il mio amico gatto
Il mio amico non mi abbandona
e se son triste mi consola.
Il mio amico ha quattro zampe e una coda
ma non segue mai la moda.
Il mio amico ha carattere e forza
ma non è un duro, non ha la scorza.
Il mio amico non parla ma ascolta,
e si fa capire più di una volta.
Il mio amico è un gatto
e, credetemi, non son diventato matto:
meglio lui, amico sincero
che un umano che sia non vero.
Adesso, però, smettila di mordere, ok?
La fanciulla e il campione di Rally
Il sole faceva capolino sopra il cielo della Londra Cockney, circondato dalle solite nuvole nere che fino a due ore prima avevano portato la pioggia. Stephen era rimasto in garage tutto il tempo, impegnato a lucidare la sua amata creatura. La Talbot Sunbeam brillava sotto le luci artificiali del garage: il colore rosso era intenso e i cerchi da corsa, equipaggiati con pneumatici da ghiaia, erano lucidati a specchio. Era ormai pronta per il primo test in vista del rally RAC, che si sarebbe svolto di lì a tre mesi.
Annabelle si affacciò alla porta del garage. Non si erano visti molto durante la settimana, in quanto Stephen era impegnato nella preparazione della macchina. Lei sapeva bene quanto tempo e sacrifici era costato quel mezzo: per raccogliere le 850 sterline necessarie per comprarla da un privato, lui aveva dato fondo ai suoi risparmi, guadagnati consegnando giornali la mattina presto, girando in bicicletta l’intera City. Entrata in quella specie di grotta, Annabelle si fermò ad osservare la Sunbeam. Ai lati del cofano motore, lungo il paraurti laterale, notò la scritta del pilota, in stampatello, con la dicitura “Stephen Buncombe” in basso, e quella del navigatore, “Ray Keats”, in basso. Le venne un colpo al cuore: nell’immaginario collettivo, i rally erano gare tanto affascinanti quanto pericolose. Affrontare i percorsi di gara con un’utilitaria appena elaborata, come stava per fare il suo Stephen, non era esattamente una passeggiata di salute: a conti fatti, si trattava di lanciarsi a più di 100 Km/h su un percorso fangoso, scivoloso, con alberi spessi il doppio di un lampione, ad un palmo di naso. Appena notò la presenza di Annabelle, Stephen le si avvicinò sorridendo. “scusa, non ti ho sentito entrare”, le disse. Poi volse lo sguardo verso il suo piccolo bolide, come un padre orgoglioso osservava proprio pargolo. “hai visto, ti piace?” si rivolse di nuovo a lei con grande entusiasmo. Annabelle abbassò leggermente il capo. “si, è bella”, disse a voce bassa. Vedendola con il capo chino, Stephen si preoccupò. “c’è qualcosa che non va?” le chiese. Annabelle rialzò la testa: i suoi occhi erano lucidi. “sei proprio sicuro di voler continuare con questa storia?”, gli chiese, questa volta a voce alta. “è molto pericoloso: e se capita un incidente? Non riuscirei a stare con il pensiero che ti possa accadere qualcosa”. Stephen cercò di consolarla, accarezzandole le spalle e le braccia con le mani. “non ti devi preoccupare di nulla”, le rispose con un tono il più possibile rassicurante, “capisco le tue paure, ma andrà tutto bene, vedrai”. “non puoi rinunciare?” “non posso, mi dispiace. Ormai la mia strada è segnata: voglio diventare campione del mondo, e per raggiungere questo traguardo, non devo perdere nemmeno un’occasione. Ogni lasciata è persa”.
Intuendo che le intenzioni di Stephen erano serie, Annabelle lo abbracciò per augurargli buona fortuna. “ti prego, fai attenzione”, concluse. E si allontanò dal garage, con gli occhi ancora lucidi. Nonostante le rassicurazioni del ragazzo, i brutti pensieri continuarono a tormentarla.
Il mattino dopo. Stephen, con l’aggiunta di Ray e di suo cugino Harold, esperto meccanico, si era diretto verso una stradina di campagna appena fuori Londra. Il terreno ghiaioso e fangoso era assai simile ai tracciati gallesi che avrebbe affrontato a breve, perciò era un buon test in ottica del gran giorno. Dopo alcuni controlli tecnici, Stephen e Ray salirono in auto: collegata la batteria, e premuto il pulsante d’avviamento, il 4 cilindri Lotus iniziò a borbottare. Sotto la guida di Harold, Stephen portò la vettura appena davanti ad un cancello di legno rimasto aperto, usato come linea di partenza virtuale. Harold, con la mano destra, indicava il conto alla rovescia, e Ray faceva lo stesso nell’interfono. “5…4…3…2…1”. Tra il 2 e l’1 Stephen portò i giri del motore al massimo, con frizione e freno ancora premuti. Il propulsore rantolava, invadendo l’abitacolo spoglio con il suo frastuono. Harold poi tolse la mano, e Ray gridò al microfono: “via!”. Stephen rilasciò sia freno che frizione, mantenendo il piede destro sul gas. La Sunbeam sbandò leggermente sulle ruote posteriori motrici, per poi riprendere grip e avanzare a velocità sempre più alta. Dopo qualche secondo, la vettura sparì dall’orizzonte, con il ringhio del motore Lotus che da assordante divenne sempre più ovattato. Quello che rimase agli occhi di Harold furono i segni lasciati degli pneumatici sul ghiaioso terreno sottostante.
Il parco in bicicletta
Sotto il sole, la città di Sin City sembrava tutt’altro che quel lugubre posto che tutti dipingevano. Quella mattina, Tom aveva la giornata libera, lontano dalla routine del poliziotto fatta di delinquenti da acchiappare e indagini da concludere. Decise d’inforcare la bicicletta (la sua fida Vespa era in manutenzione), e di dirigersi al Main Park, il polmone verde cittadino. Ispirato al celebre Central Park di New York, si distingueva da esso per il grosso lago artificiale che sorgeva al centro del parco. Le sue acque erano così tranquille e poco profonde che si organizzavano corsi di nuoto per bambini. La pista ciclabile circondava il lago a mò di anello, dando al fortunato ciclista una panoramica della città davvero incantevole. Tom la stava percorrendo tranquillo, a pedalata sostenuta, fino a quando si fermò. Una strana macchia violacea a distanza lo aveva attratto. Pedalò fino a raggiungerla, per poi fermarsi di nuovo. Scoprì che quella macchia era uno splendido fiore. Pensò: perché non raccoglierlo per regalarlo a Lily, la donna che amava? Si ricordò del divieto di raccogliere i fiori del parco, e del senso del dovere che gli imponeva la divisa che indossava. La combinazione di questi due fattori lo fece desistere, ma aveva già l’alternativa: prese il telefono, e chiamò un fioraio per ordinare un bel mazzo da regalare alla sua amata. Terminata la telefonata, riprese a pedalare.
Quando si fece mezzogiorno, gli venne un certo languorino. Aveva una gran voglia di hamburger, cosa che lo spinse a lasciare il parco per dirigersi al Burger King situato dall’altra parte della Kingston Boulevard, la stradona che accostava il Main Park. Rifocillatosi, stava per rimettersi a pedalare, quando non avvertì un paio di zampe che si appoggiavano sulla sua gamba destra. Si trattava di un gatto tigrato, pelo folto e rosso, e corpo asciutto. Non si trattava di un cucciolo, doveva avere un anno o due. Lo fissava con occhi rotondi, accennando ad un miagolio. “non puoi venire con me”, gli disse Tom all’inizio. Ma il ragazzo di città aveva sempre avuto una passione per gli animali, e desiderava da sempre riempire il suo vuoto alloggio da scapolo con un amichetto a quattro zampe. Di fronte allo sguardo innamorato del micio, aprì la giacca e fece un cenno con la testa. “salta su, dai!”, gli disse, ed il gatto con un balzo entrò nella giacca.