FAI DEI BEI SOGNI
Notte uguale al silenzio,
notte antichissima nata regina.
Notte stellata con strisce di perle,
non dagli astri che in seno rifulge
ma da occhi brillanti
che vengon dal cuore.
Vieni e consola
l’ anima grande
in una vita crudele.
Posa il tuo bacio
sulla sua fronte
e premurosa accanto al suo letto
abbraccia il suo cuore.
UNA SERA BELLA
Calma è la sera
ed il silenzio m’accosta
le piacevoli cose della giornata
che il frastuono
e le occupazioni
avevano allontanate.
Il balcone è aperto:
l’aria fresca e profumata
del salice in fiore
mi ritempra,
il gaio canto degli uccelli
mi tiene compagnia.
Una gentilezza ricevuta
mi rincuora,
un sorriso donato
a chi non sorride
gioia m’infonde
perché ricambiato,
il ricordo
di una persona cara
m’inebria.
Dal cielo cupo
par che
mi sorrida una stella
e penso:
al di là del firmamento
c’è l’intero Universo.
IL CASTELLO DI METHRON
Nella città di Babana si erge il catello di Methron. Fessure sinistre, occhi vuoti, pareti nude. Finestre, non finestre di un castello doloroso, in cui viene spontaneo chiedersi dove fosse la pietà quando le forti braccia erigevano quella nera prigione dalla quale era impossibile uscirne vivi e allora…:<<facciamone un sogno!>> disse Cossydra rivestito di chitone demosteiniano e bastone d’oratore.
Uniamo le mani in un ideale anello di creatività e di azione comune, improvvisiamo un monologo dell’utopia e il mondo scoprirà che nel castello non ci sono prigioni e pene da espiare, ma azioni da compiere.
A Methron non si sentono tintinnare metalli, l’unico oggetto di scambio è il sapere, non certo la moneta. Se un cittadino di Babana commette un errore, in luogo di una pena da espiare, alto dovrà essere il suo impegno nel trasmettere conoscenza a chi ne richiede o ne necessiti.
Come una fonte sicura, incantevole da cui poter attingere l’acqua che dona la vita, secondo una graduale acquisizione dei premi. Ci saranno infatti cinque anelli da conquistare.
Un primo anello, che corrisponde al sapere elementare, alla distinzione dei segni e dei simboli. L’acquisizione di esso nella città di Babana è come un piccolo, trasparente rivolo sulle alte montagne dove tutto è pace, purezza, silenzio.
Il secondo anello da conquistare è l’approccio alle varie classi della conoscenza. E’ come l’acqua cristallina che continua la sua corsa formando cascatelle che cadono in piccole pozze trasparenti. Per un attimo sembra sostare, ma solo per riprendere con impeto il suo cammino, come un fanciullo che avanza con i suoi momenti di gioia e con le sue incertezze.
A tutto questo si giunge con il secondo anello mentre quale prezioso tesoro porterà con sé il terzo anello?
Esso porterà all’acquisizione del metodo e del sapere sistematico.
Come il ruscello che ora è pronto ad affrontare percorsi difficili nei canali profondi delle montagne, senza più avere intorno il candore delle nevi e l’acqua spesso subisce improvvisi sussulti e urta violentemente contro le rocce con un rumore assordante.
Giunto tanto in alto l’animo non può che continuare il suo volo e giungere a possedere il quarto anello: quello dell’approfondimento e della conoscenza superiore dove “ la conquista della gloria supera la gloria della conquista”. Quel piccolo rivolo nato nella purezza delle altitudini è diventato ormai adulto e scorre forte e sicuro fra boschi di lecci, platani e tigli e la sua voce si ode fra i sassi e i cespugli di erbe.
Ormai il fiume è pronto a distribuire la sua ricchezza a tutti prima di affrontare la pianura riposante, la maturità della vita che lo porta ad aprire lo scrigno dove è custodito il quinto anello: quello della coscienza della saggezza e dell’abbandono totale dei propri averi.
Mentre attraversa la grande pianura, il fiume è passato fra paesi, città e campi di grano. Ha incontrato boschi e campi fioriti. Ha dato da mangiare a una moltitudine infinita di persone che abitano lungo le sue rive.
Ora, dopo il lungo viaggio, è arrivato sino alla marina pronto ad allargarsi per perdersi nell’immensità del mare.
Lì il fiume sembra morire invece, inizia una nuova vita.
Anche Cossydra è giunto alla fine del viaggio.
Nell’atrio del castello di Methron ha raccontato il suo monologo del sogno, ma tra quelle mura non vi era un attore che recitava un copione ma l’uomo che interroga se stesso.
Cossydra è l’uomo venuto dal sud, fautore del non-agire perché vuole trovare la Via, fautore della potenza magica perché vuole scoprire la Virtù.
Sa che il non-agire è altro che essere passivi; al contrario è l’efficacia suprema, condizione necessaria per unire la linea continua con la linea spezzata, l’oscurità e la luce, il freddo e il calore, il pari e il dispari, la donna e l’uomo. Per questo si avvicinò al suo contrario. Furono in tanti a considerarlo pazzo perché non parlava quasi mai o abbassava il capo come fanno i Santi. Agiva senza clamore ma sapeva che l’agire era un non-agire; aveva coscienza che tutto costantemente è incostante, che il frutto fiorisce per appassire e poi rinascere. E’ stabile soltanto ciò che muta.
Il mondo confondeva la sua mitezza con l’apatia, ma la mitezza al contrario di quest’ultima rende longevi come la saggezza, entrambe virtù poco occidentali.
Pensare in silenzio, riflettere in silenzio, agire in silenzio: i verbi della mitezza non sono quelli della rassegnazione. I primi sono carichi di coscienza, i secondi di abbandono.
Cassydra ora sorride ripensando ai suoi anni che ormai non celano più la paura di vivere né quella di morire. Non aveva mai deciso nulla per sé che non fosse dedicato alla Via Maestra e non si era mai adagiato alla semplice positività del suo pensiero.
Un uomo mite lascia che le stagioni corrano e non si ribella ai venti; un uomo mite non muore a causa della sua anima elastica e della forza del suo cure, dove tutti possono entrare ma senza far troppo rumore.
La valle di Akor
C’è una valle di Akor dentro ognuno di noi.
In quell’abisso profondo
non c’è posto per la tenerezza, l’amore.
Lì è custodito l’insopportabile,
il segno perenne di ogni rifiuto,
di ogni carezza mancata,
delle colpe commesse dai padri
e pagate dai figli.
Ferita perenne
che ha marchiato la nostra carne.
Da quel pozzo profondo
sale un grido disperato
che non trova risposta
e scatena una collera
che avvampa e picchia
lasciando spazio solo
a lacrime silenziose.
Mare di ricordi
Dopo troppe immersioni negli abissi,
ho bisogno di scivolare
sulla superficie della vita.
Per troppo tempo i sogni
sono rimasti radicati
nella mia anima fuori servizio.
Dalle spiagge lontanissime dell’infanzia,
si stacca l’onda
di un ricordo dimenticato e
dalla corazza che ho costruito
per sopravvivere al dolore
sale una verità
per troppo tempo ignorata:
morire è nulla,
spaventoso è vivere!
Nostalgie notturne
La notte è chiara e luminosa.
La luna piena
appare a tratti
tra le chiome degli alberi.
Tutt’intorno
regna una grande calma.
Anche la mia ombra,
se potesse,
andrebbe via per non disturbare.
In me,
nostalgia e felicità,
intense e profonde
come solo nei sogni
mentre continuo a camminare
in un silenzio carico d’incanto.
Maschera
Stanco
calo la mia maschera
sugli occhi e sulle orecchie.
Mi brucia
il ricordo di quei giorni
in cui tutto crollò,
minaccioso e terrificante.
Gettai nel fuoco
Il mio mantello,
il mio ruolo,
la mia dignità,
il mio futuro.
Mi maledii,
mi gettai a terra
e piansi amaramente.
Ora mi ritrovo abbattuto
sulla riva della mia quotidianità,
nella barca della mia miseria
con le mani piene di niente.
Essere
Fammi essere
un soffio di calore,
il respiro di un fiore,
la carezza dell’arcobaleno.
Fammi essere
Il sorriso del mare,
il bacio di una stella,
il battito di un cuore
che stringe a sé
tutto il dolore del mondo.
In mezzo alle tenebre
E alla paura
fammi essere
come fiaccola di speranza
che brucia alta
per tutti quelli che
non hanno più lacrime da versare.
Paura
Bambini indifesi,
occhi atterriti
invocano amore.
Mani forzute
strappano fiori
negli orti della vita;
menti malate spaventano
colombe candide e pure.
Strade di un mondo lontano
E sopra la giostra il bambino
al grande galoppo lanciava il cavallo,
gli scioglieva sopra la bianca criniera,
le redini, e voci di gioia gridava.
Cercava il cavallo
le strade d’un mondo lontano,
i fiumi varcava, i monti saliva,
correva le valli del vento,
le spiagge del mare.
E come la giostra finì quel suo gioco,
scesa il bambino di sella;
vedeva la terra più bella,
vedeva più belli i colori,
vedeva che tutto girava,
che tutto cantava.
E allora al suo grande cavallo
guardò dentro gli occhi il bambino;
gli stava vicino,
voleva vedergli nel cuore,
toccargli quel cuore,
sotto la bianca criniera.
Vita
Crebbe con la tristezza nel cuore e
imparò a camminare sola
con il suo dolore.
Il suo coraggio
era come il girasole
in un campo di grano
stemperato dal vento.
Le sue mani
portavano la luna
in un’urna di vetro
e parlava con la voce del mare.
Nel suo sorriso
l’insieme di tutti gli amori
che palpitano nell’Universo.
Nelle vene la paura del passato
che frantuma i pensieri.
La vita le era scivolata di mano,
era fuggita lontano
dimenticandosi di lei.
TARI
Tari viene dal mare dove la luce nasce e genera calore, ma vive nell’attesa di un domani che non c’è. Nella sua vita non c’è indulgenza e tenerezza ma solo una danza aspra e selvaggia dove la speranza è una notte troppo lunga da passare.
Lei donna di un’isola, in cerca di un’isola di silenzio, di pace, un’sola lontana dal rumore del mondo dove l’erba cresce sul sentiero del sole.
Da piccola sognava di diventare una pattinatrice, capace di tagliare un’aria di ghiaccio ma ha ripiegato le ali, il suo cuore batteva la guerra e la principessa è diventata guerriera. Ora si è fatta grande e per la piccola guerriera non ci sono più legni inarcati da cavalcare, canne per pifferi e cerbottane, dipinti di mare su cui volare, ci sono solo tanti perché!
Perchè se l’Infinito esiste non è anche dentro di lei? Perché le insegnarono la paura? Quando provò il primo “mal di esistere” ascoltando tesa il battito del cielo e il silenzio del cuore? Perché non seppe rispondere alle mille domande, mille aghi che le trapassavano la mente? E perché si cresce e si capisce il male di un uomo contro una altro uomo?
La donna guerriera cerca di nascondere un cuore delicato perché è più semplice vivere con l’unico guaio delle nubi piuttosto che compiere mille piccoli atti di coraggio. Ma lei non sa rimanere inerte: ha visto la disperazione senza bocca, la pena senza occhi.
Occhi di suo fratello, gli ultimi dietro il finestrino quando lei partiva. Occhi di sua madre che non la conobbe mai. Occhi come sotto un bombardamento: tristi, svuotati, suicidi.
Se solo fosse capace di amare, di amare davvero quelli di cui non si innamora nessuno. Se sapesse guarirli con elemosine di cielo, portarli dove il vento s’acquieta, se sapesse ridargli la luna. La luna: soldo lanciato in aria sperando cada giù dalla parte buona. Se potesse fermare quel suo cuore “malato”, il cuore di una donna a metà.
La donna guerriera sa di non poter cambiare il passato, di non poter tessere il destino, deve avere pazienza e rimanere immobile perché solo il tempo si muove e porta le persone, le storie e quando il tamburo suona lo stesso ritmo, lo stesso canto di un altro allora si prova amore, si diventa compagni, amici, fratelli, figlie, madri, si vuole bene a un luogo, a un momento e tutto torna e tutto passa.
Anche le cose cambiano, il mare si alza e si abbassa e mai una goccia si va a perdere e gli amori, le storie, le amicizie finiscono quando c’è più paura di perdersi che voglia di aversi, così diversi sulla soglia dell’abbandono. Cambiano le storie, cambiano gli attori, le battute, le scene. Anche il suono si sfalda, si dissolve, i tamburi battono più lontani e il tempo se li riprende senza aspettare, sole le radici del passato non si fanno strappare, ci si resta attaccati, imprigionati per sempre.
La donna guerriera avrebbe desiderato volare solitaria, alta come un’aquila là dove solo l’aquila va, ma era ancora un pulcino bagnato, arruffato che appena rotto l’uovo fa i primi passi incerti a percorrere la vita e subito vorrebbe rientrare nel guscio. Così dell’aquila pur non avendo le ali ebbe la solitudine e da lì cercava di vedere oltre i confini del mondo dove il sogno era libero, l’aria non era cenere e non c’erano strade per perdersi come nel mare e nel cielo. Dove poter vegliare con la sua lancia sul sonno degli uomini.
Tari sperò di essere un poeta. Uno di quelli che non diventano mai grandi, che camminano le vie ribelli e cieli di stelle. Che non vivono la vita di tutti, ma la vivono per tutti: sacerdoti della fantasia, custodi della follia. Qualcuno li cresce, li nutre, ma rimangono soli, diversi, lontani. Essi non vivono mai veramente, ma non sono capaci di morire.
Tari è stanca, ma non vuole che nessuno compri la sua infelicità, le sue ferite. Non sa piangere più davanti alla tristezza ma solo alla sincerità. Se qualcuno riuscisse ad amarla senza ferirla, senza volerla vedere diversa. Qualcuno con la voce del mare e il sorriso negli occhi potrebbe salvarla. E’ giovane ma è come se avesse nella sua vita più vite intere a scolorirne gli occhi. E’ sola quando tutto si spegne persino le stelle che viaggiano per l’eternità a illuderci che c’è sempre una luce su chi non sa più cantare. All’improvviso sente un fremito nel petto: non può arrendersi, non può scordare. Se non ci fosse il ricordo non ci sarebbe il dolere e il dolore è come lo sforzo: fa male il giorno dopo. I suoi ricordi sono acqua e l’acqua è memoria. Dovunque passi, ogni cosa sfiori, bagni l’acqua porta via con sé l’aver saputo e lo conserva. Anche le lacrime sono acqua che raramente si beve mai in compagnia.
La donna guerriera ripensa a quel giorno…E’ come uno sparo nel petto e all’improvviso non sa più niente, non è più niente, non ha più parole. Un dolore forse più zitto di un silenzio, poggiato sulle braccia del vento come un povero Cristo sul grembo di Maria Addolorata.
E così va, prigioniera in libertà provvisoria. Ospite della sua vita. Costretta a pagarle di continuo un prezzo troppo alto e sforzandosi di fare del proprio meglio per continuare a sorridere.
E’ un’immensa sala d’attesa il mondo e dentro le speranze di bimbi che presto cresceranno. Com’è duro essere nuovi, avere un’altra storia, ricominciare, continuare a vivere.
Tari ha sperato confusa che il mondo sarebbe cambiato. Ha cercato di imparare ad amare solo ciò che ha, ma non sa non amare quel che non ha. Ha visto in faccia il suo diavolo, la sua dannazione e ora va e va. Funambola senza filo sul bordo dell’abisso della sua vita tra esaltazione e pericolo, rischio e paure, lacrime e sorrisi, dubbi e incertezze, odio ed amore.
Ora…la donna guerriera abbassa lo sguardo, s’abitua al silenzio, dà essenza alle cose, chiede perdono se ha fatto talvolta del male e cade come angelo in volo che non riesce ad aprire le ali. Sa che tutte le sue domande in realtà sono una sola così spera e dispera che un Dio ci sia. Quel Dio che dorme nella pietra, respira nelle piante, sogna con gli animali, si desta con l’uomo, ma il primo atto di ogni neonato è piangere. Tari si sveglia ogni mattina bambina poi cresce nel corso del giorno. E’ una piccola donna che teme di pronunciare il suo nome (quel nome che il mondo, gli altri gli hanno dato), che non conosce risposte, solo sillabe, suoni, fonemi e balbetta per un senso alla vita: la sua!
Raddrizza la testa chinata, forse ora ha capito. Ringrazia per ciò che le è stato donato e per quello che nessuno gli dette mai perché così poté trovare da sola la forza, il coraggio, la luce, le stelle, un cielo mago sopra un mondo nuovo.
Tari ora è libera, è vera, è oltre
IL CASTELLO DI METHRON
Nella città di Babana si erge il catello di Methron. Fessure sinistre, occhi vuoti, pareti nude. Finestre, non finestre di un castello doloroso, in cui viene spontaneo chiedersi dove fosse la pietà quando le forti braccia erigevano quella nera prigione dalla quale era impossibile uscirne vivi e allora…:<<facciamone un sogno!>> disse Cossydra rivestito di chitone demosteiniano e bastone d’oratore.
Uniamo le mani in un ideale anello di creatività e di azione comune, improvvisiamo un monologo dell’utopia e il mondo scoprirà che nel castello non ci sono prigioni e pene da espiare, ma azioni da compiere.
A Methron non si sentono tintinnare metalli, l’unico oggetto di scambio è il sapere, non certo la moneta. Se un cittadino di Babana commette un errore, in luogo di una pena da espiare, alto dovrà essere il suo impegno nel trasmettere conoscenza a chi ne richiede o ne necessiti.
Come una fonte sicura, incantevole da cui poter attingere l’acqua che dona la vita, secondo una graduale acquisizione dei premi. Ci saranno infatti cinque anelli da conquistare.
Un primo anello, che corrisponde al sapere elementare, alla distinzione dei segni e dei simboli. L’acquisizione di esso nella città di Babana è come un piccolo, trasparente rivolo sulle alte montagne dove tutto è pace, purezza, silenzio.
Il secondo anello da conquistare è l’approccio alle varie classi della conoscenza. E’ come l’acqua cristallina che continua la sua corsa formando cascatelle che cadono in piccole pozze trasparenti. Per un attimo sembra sostare, ma solo per riprendere con impeto il suo cammino, come un fanciullo che avanza con i suoi momenti di gioia e con le sue incertezze.
A tutto questo si giunge con il secondo anello mentre quale prezioso tesoro porterà con sé il terzo anello?
Esso porterà all’acquisizione del metodo e del sapere sistematico.
Come il ruscello che ora è pronto ad affrontare percorsi difficili nei canali profondi delle montagne, senza più avere intorno il candore delle nevi e l’acqua spesso subisce improvvisi sussulti e urta violentemente contro le rocce con un rumore assordante.
Giunto tanto in alto l’animo non può che continuare il suo volo e giungere a possedere il quarto anello: quello dell’approfondimento e della conoscenza superiore dove “ la conquista della gloria supera la gloria della conquista”. Quel piccolo rivolo nato nella purezza delle altitudini è diventato ormai adulto e scorre forte e sicuro fra boschi di lecci, platani e tigli e la sua voce si ode fra i sassi e i cespugli di erbe.
Ormai il fiume è pronto a distribuire la sua ricchezza a tutti prima di affrontare la pianura riposante, la maturità della vita che lo porta ad aprire lo scrigno dove è custodito il quinto anello: quello della coscienza della saggezza e dell’abbandono totale dei propri averi.
Mentre attraversa la grande pianura, il fiume è passato fra paesi, città e campi di grano. Ha incontrato boschi e campi fioriti. Ha dato da mangiare a una moltitudine infinita di persone che abitano lungo le sue rive.
Ora, dopo il lungo viaggio, è arrivato sino alla marina pronto ad allargarsi per perdersi nell’immensità del mare.
Lì il fiume sembra morire invece, inizia una nuova vita.
Anche Cossydra è giunto alla fine del viaggio.
Nell’atrio del castello di Methron ha raccontato il suo monologo del sogno, ma tra quelle mura non vi era un attore che recitava un copione ma l’uomo che interroga se stesso.
Cossydra è l’uomo venuto dal sud, fautore del non-agire perché vuole trovare la Via, fautore della potenza magica perché vuole scoprire la Virtù.
Sa che il non-agire è altro che essere passivi; al contrario è l’efficacia suprema, condizione necessaria per unire la linea continua con la linea spezzata, l’oscurità e la luce, il freddo e il calore, il pari e il dispari, la donna e l’uomo. Per questo si avvicinò al suo contrario. Furono in tanti a considerarlo pazzo perché non parlava quasi mai o abbassava il capo come fanno i Santi. Agiva senza clamore ma sapeva che l’agire era un non-agire; aveva coscienza che tutto costantemente è incostante, che il frutto fiorisce per appassire e poi rinascere. E’ stabile soltanto ciò che muta.
Il mondo confondeva la sua mitezza con l’apatia, ma la mitezza al contrario di quest’ultima rende longevi come la saggezza, entrambe virtù poco occidentali.
Pensare in silenzio, riflettere in silenzio, agire in silenzio: i verbi della mitezza non sono quelli della rassegnazione. I primi sono carichi di coscienza, i secondi di abbandono.
Cassydra ora sorride ripensando ai suoi anni che ormai non celano più la paura di vivere né quella di morire. Non aveva mai deciso nulla per sé che non fosse dedicato alla Via Maestra e non si era mai adagiato alla semplice positività del suo pensiero.
Un uomo mite lascia che le stagioni corrano e non si ribella ai venti; un uomo mite non muore a causa della sua anima elastica e della forza del suo cure, dove tutti possono entrare ma senza far troppo rumore.