Roberto Giorni - Poesie

LIEVE RUGIADA

Pur ignorando ciò che pensano i tetti
avvolti da silente nebbia leggera,
nei nostri passi circospetti
qualcosa di nuovo si avvera.
Dentro al bosco novembrino
inseguiamo le foglie e nuovi momenti
dolci come saranno le corde di un violino,
quando le vedremo ridere sapendoci contenti.
Tesoro mio come ben vedi
si presenta sdrucciolevole
il terreno sotto ai nostri piedi,
propongo di calpestarlo con fare amorevole.
Giusto ieri mi hai deriso
per questa mia pancetta,
di cui sconfiggerla son deciso.
Devo darti una notizia delicata,
in mezzo ai tuoi capelli
una lieve rugiada si è insinuata.
Mi hai risposto con una carezza
mezza robusta sopra questa guancia,
solitamente ai tuoi baci avvezza.


 

TALUNI

Taluni equiparavano ad un crimine
il fatto che una povera sirena
ondeggiasse nella consuetudine
anche durante la luna piena.
Taluni sorseggiavano tiepida nostalgia
insieme a deboli conversatori
stravaccati nei divani di tua zia,
che nel frattempo era già fuori.
Taluni si aggiravano
molto rasi alle pareti,
un trasferimento coatto temevano
verso un rifugio di asceti.
Taluni radunandosi dopo le venti
a gattoni preferivano camminare,
unico loro sistema per essere contenti
sperimentando questo nuovo scherzare.
Taluni mi parvero espansivi,
gesticolavano mulinando mani e braccia,
sotto l’ombra garantita dagli ulivi
rubizza era la loro faccia.


 

QUARTO DISPACCIO

Le scarpe si erano appesantite,
dentro quella calma apparente
a taluni caddero delle matite,
mi sembrò di scorgere un serpente.
Percepivo da minuti scarsi
qualcosa che non avevo udito,
neppure loro vorrebbero coricarsi
sopra un blocco di granito.
Più di qualcosa non funzionava,
le persone anziane bisbigliavano frasi
per cui la pelle si accapponava,
male in effetti ci rimasi.
Una cinquantina di giovani uomini troppo vestiti,
con voce grossa sfornarono vecchi attriti,
pochi minuti di quel confuso comunicare
li condussero di nuovo le mani a menare.
Adirati venditori di ombrelli
iniziarono di brutto a lamentarsi
di questo e di quelli,
come riuscire a dimenticarsi?
La definirono su rete quarto dispaccio
una somma di momenti particolari,
con la ragione che lascia spazio
a nuovi ed antichi sfoghi amari.


 

RUBRICA CONTESA

Girato il nuovo angolo
calpestai un quaderno
di colore rosso,
forse una vecchia rubrica.
Aperta la sua prima pagina
vidi che era scritta
con grande precisione
e inchiostri di alcuni colori.
Direi mancante l’intestazione
di un eventuale proprietario,
giravo tranquillo altre pagine,
affascinato da un elegante grafia.
Nomi e cognomi in quantità,
a volte faceva capolino una ditta,
lo stampatello e il corsivo
si alternavano in maniera perfetta.
Al fianco destro e zone limitrofe
poco dopo ho avvertito una fitta,
un vocione rozzo alquanto
rivendicò la padronanza della rubrica.
Era un tipo giovanile
e robusto mai visto prima,
aveva con se foglietti tascabili
ove scrisse mostrandomi la grafia,
ammisi che gli somigliava molto,
ma egli tornò alle vie di fatto,
beccai due fulminei pugni sulla pancia,
con la rubrica l’energumeno scappò via.


 

LE SUE DITA

Alla ricerca dello svanito brio
in ogni minima attività
quel giorno ravvisava stanchezza,
di mille cose desiderava l’oblio,
anche della sua tenace rapacità
nel trarre dal bicchiere ebbrezza.
Reduce dall’ennesima settimana zoppicante,
la sua voglia di vivere
le parve male equilibrata
dentro bicchieri a gomito, dove tante
amichevoli persone sincere
ella smarrì, restandone sconcertata.
Di dannosi intrugli le saliva l’ingordigia,
rifugiandosi anche nel desiderio terribile
di un incubo da dimenticare,
divenne come volersi far trascinare
da una vecchia valigia
senza la maniglia estensibile.
La colpa addosso si sente cucita,
fin troppe le volte
in cui, le sue dita
afferrano tutte raccolte
bicchieri pieni di nettare velenoso,
ormai condannata a un presente pericoloso!


 

DUE MICI SIAMESI

Dalle finestre dischiuse
filtra una luce diafana,
tramite la quale immagino un vascello
su cui albergano cinque muse
spigolose dalla faccia strana,
indossatrici di un mantello.
Dopo una lunga mattinata
al mare con degli amici
in vena di scherzi,
mi sono ritirata
in camera con due siamesi mici,
guardando i quali scrivo versi.
Da mesi che non sono bellissima,
dai loro miagolii prolungati
intuisco che essi vorrebbero
più luce, ma forse sbaglio,
li vedo mezzi agitati
mentre penso che sceglierebbero
una padrona giovanissima,
una che mangia con il bavaglio.
Dal canto mio
do loro troppi ordini
e difficilmente mi astengo
dal volerli sempre obbedienti,
essi sfornando un dolce miagolio
ribadiscono fieri di esser birichini,
e li non mi trattengo
nel piangere vedendoli così sorprendenti.


 

IL VECCHIO POETA

Con il suo temperamento affabile
il vecchio poeta è gentile
nell’accettare le altrui debolezze,
figlie di fiacche certezze.
Il vecchio poeta cammina per ore
in stradine di campagna,
dove un antico sentore
spesso lo accompagna.
Il vecchio poeta
non usa moneta,
poi con fogli azzurri
si rintana in dei tuguri,
dove nuove frasi
inizia a sfornare
in un processo automatico o quasi,
portato avanti per non dimenticare.
Il vecchio poeta cerca nella poesia
un aggiuntivo trionfo dell’euforia,
che lui assapora quando l’inchiostro
disegna un futuro più nostro,
nel quale un giorno tutti rivalutarsi
potendo navigare nella concretezza di amarsi.
Il vecchio poeta sforna parole
con cui desidera poter accendere
nuove possibilità di grande amore
fra tutti gli esseri umani,
chiamati ad un mare di coccole
da fare e ricevere
a tutte le ore,
anche sui divani.


 

PALAZZO DI PERIFERIA

Ci abita da ben nove anni
cambiando pochissimi panni,
Carlo ormai si sente pazzo
davanti a quel grosso palazzo
che gli par messo all’estrema periferia
di ogni possibile via.
Da scapolo si sentiva perfetto,
purtroppo da un annetto
sua moglie è fuggita
nei dintorni di Ascoli,
con un maschio più furbo
che in fondo lei si merita,
dopo la noia a grappoli
che Carlo produceva con il turbo.
La consorte neppure gli ha perdonato
il quinto lavoro da cui lo hanno cacciato,
ma è soltanto nella pigrizia
che egli scorge lieve delizia,
prima di rientrare nella confusione
che lo avvolge come un coglione.
Carlo si sente tutto estraneo
nel suo appartamento
messo al settimo piano
di quel troppo cemento,
e dopo gli aggiustamenti attesi
sono ormai cinque mesi
che pure l’ascensore l’ha deluso
rimanendo fuori uso.


 

LA BUONA STELLA

Mi chiesero di allevare conigli,
secondo loro bastava affidarmi
a tale novità da abbracciare,
continuai a cercar buoni consigli
che non riuscivo a darmi
e neppure ad accettare.
Quel sabato mattina decisi
di andarmene al mare,
ero più agitato di altri eventuali visi,
rannicchiato nel bagnasciuga stavo ad osservare.
Ebbene immagino vogliate che riassuma,
nelle pieghe di quella forte schiuma
qualcosa mi sfuggiva, d’altronde
perfetta la confusione di quelle onde,
dinnanzi all’immensità del mare
non sapevo cosa fare,
mi sorgevano molti pensieri
chissà quanto veritieri.
Qualcosa di nuovo in cielo è apparso,
con il vento leggermente calmato
dal solito mi sentivo diverso,
vidi giungere un foglio appallottolato
e pochissimo umido, la cui scrittura
mi parve provenire da mano sicura.
Vicinissima è la buona stella
per cui è sufficiente pazientare
una realtà diversa da quella
a cui ti vorrebbero abituare,
fatti abbracciare da una leggiadra cautela
con cui alzarti fiero a coltivare
una bellissima ragnatela
di sogni plausibili da realizzare.


 

ASPETTANDO IL VERDE

Mi avviai come al solito
verso l’ufficio centrale,
dove lavoro con entusiasmo finito
e ci sto proprio male,
qualcuno entrò a bordo
mentre ero al semaforo,
temevo fosse un balordo
in cerca di qualche ristoro.
Il verde colore
mi costrinse a partire
insieme a quel tipo muto,
feci in tempo a scorgere delle suore,
gli occhi del passeggero sembravano gioire,
rivelò di essere Giancarlo il paffuto!
Insieme facevamo le superiori,
appassionati di Campo dei fiori,
frequente abitudine era abbracciarci,
dieci e più anni senza incontrarci,
Giancarlo tantissimo ama una olandese,
in Italia sono tornati da qualche mese.
La mattina essendo Giancarlo solito passeggiare
mi ha spesso intravisto passare,
aveva in mente questa sorpresa
e bella trova la mia faccia appesa,
Giancarlo è abbastanza dimagrito
mentre io risulto appesantito
da un lavoro infernale
che mi fa star male.
Tre semplici ore al giorno
Giancarlo fa il telelavoro
per una ditta olandese
che verso i collaboratori non ha pretese,
egli ci metterà una buona parola
per convincerli che non sono una sola,
subito dopo lo invito al bar
provando il mio ufficio a dimenticar.