Salvatore Chiaramonte - Poesie

Clessidra

L’ultimo bacio
ha un sapore salato
di tristezza.
E’ una dolcezza muta
come il vuoto che l’anima
trasporta.
Mesta, sale, contro il vento
e contro il cielo,
sull’ ali che puntano lontano.
L’accompagno pochi
istanti coi miei occhi,
col cuore sempre.
Poi rituffo la clessidra
verso il basso
perché m’intessi
dentro ai fili dell’attesa
una trama sottile
di speranza
che regga il peso
della lontananza.
Duecento passi son
duecento grani
minuscoli di tempo
che hanno già ridotto
l’infinita distanza
del ritorno.
L’antico inesorabile
strumento riempirò
di carezze sussurrate,
vuoti celesti, piccoli progetti,
lampi di gioia,
pensieri come schegge…

Quando sarà pieno,
sarà un abbraccio,
amore,
che non ha confini.

 


 

 

Vigilia

E già pregusto il bacio
delle tue labbra…
come il primo,
respiro non conosce, né pudore;
bacio che mi libera la voglia
incatenata in una lontananza
E non è più sogno
domani, la tua pelle
né il bianco seno
assalito in una prateria,
ebbrezza e preda
di un folle desiderio.
E non è più attesa
domani, mia dolce
primavera, i sussurri
come brezza sopra i lobi
e i dolci morsi e lo scorrere
infinito delle labbra
a disegnare ed esserci,
bacio su bacio, curva
dopo curva, le belle
forme che affollano
la mente di delizie.
E non è più buio
domani, quando le mie luci
delle tue saranno
piene.

E assaporo già la dolcezza
della tua bocca…

 


 

 

E leggerai sul viso…

Posa, donna, le corse,
gli affanni, lo sguardo teso,
la mente
stanca di vegliare
dall’alba al suo ritorno
sopra i figli
sangue delle tue vene
e delle mie.

Leva le scure lenti
sciogli i capelli
ché un tuffo voglio fare
dentro il verde
e rovesciare e bere
le speranze che hanno
nei tuoi occhi mare
e stanza.
China il tuo corpo, amore,
sulle mie ginocchia:
mille pensieri e mille
più silenzi devo raccontarti,
complice e compagna
questa sera,
la pallida pienezza
della sfera
ch’erra notturna
pei solcati cieli.

Riposa i tuoi pensieri, i dubbi
lunghi e vicini
l’ombra di un momento
sul mio petto:
adesso che dormono
i pulcini
delle mani posso dirti
con le palme
la gioia di avere te
donna, amica, amante.

E leggerai sul viso…
che vuoto è il giorno
senza il tuo sorriso.

 


 

 

Grani di speranza

L’aria sottile muove
i passi e il sangue
nel brumoso mattino del villaggio
al viso che ha pensieri
come foglie corteggiate
da un rude maestrale.
La nuda pelle
sotto il crine rado
sfida e assapora il vento contro
col gusto temerario
di un bambino,
e la pigrizia catturata dentro
l’alito molle
dell’opaco velo
e l’essere solitario
nel cammino.
Quando gennaio poca luce lascia
nell’ora prima che la squilla
chiami
uno sparuto gruppo
di presenze
al nuovo patto che quotidiano
il Cielo stringe
con la terra cruda
è immagine del seme
che ho piantato
e innaffio poi con grani
di speranza, controcorrente
e contro mille ratio.

 


 

 

Leggerezza è…

Bilanciare l’anima
sulla fune del funambolo
tra una tristezza luminosa
e un’ebbrezza notturna;
spiegare ad una farfalla
il lieto annunzio perché il cavallo
non ti sa ascoltare;
sui sentieri del cuore
fragilità e fantasie dirottare
se la ragione non ti può seguire.
Leggerezza è il sorriso
del saggio che scusa
il nembo sbarazzino
accucciato contro un raggio di sole;
affinare il peso
dei giorni confidando,
nella luce di una fiamma
che incoraggia l’alba
ad uscire dalla flemma,
dubbi e domande
ai versi di un viandante
poi che teoremi e formule
non hanno risposto.
Leggerezza è addomesticare
il tempo e le stagioni
tra volteggi di noncuranza
e distese di accoglienza;
raccontarsi ai gabbiani
che annusano
il tramonto e la salsedine dell’onde;
è sentirsi sicuri nel cuore
di una donna
piuttosto che nel forziere delle perle.
Leggerezza è un volume mai sazio
di varie altre movenze,
come vario è il sapore
della vita e il suo dolore,
che non sarebbe leggerezza
volerle tutte sfogliare.

Leggerezza è posare adesso
la carta e il pennino
per meglio gustare
dondolando un bicchiere
il rosso e il profumo
del buon vino.

 


 

 

Estasi di un tiglio

Quando si spegne
il vespero sul monte
e ogni chiarore
nel suo seno beve
s’incanta il tiglio
sotto il lampione
che spande la sua luce
opaca e greve.

L’albero ch’è senza primavera
tutta la notte
con le braccia nude
diventa ascolto
silenzio immoto
quasi preghiera.
Cosa dirà di sacro
e d’importante
dall’alto del suo rigido
montante
la lampa al verde figlio
della terra
da tenerlo dentro
un’estasi notturna?

La nuova brezza
che ritorna all’alba
e i salti di un fringuello
mattiniero
ritufferanno nel diurno gorgo
l’anima del tiglio
e tutto il borgo.

 


 

 

Passeggiata

Ha la consistenza del sale
e il suo sapore
il tempo
nell’ora ch’esibisce rosse tende
l’astro diurno sopra l’orizzonte
e s’imperla l’acqua immensa,
l’onda s’affina, diventa
un dormiveglia,
e l’andare e il narrarsi
non è un viaggio
ma raccogliere cocci frastagliati
e comporre, forse a caso,
l’impossibile mosaico della vita.

Ma è già un’ebbrezza
leggere il tramonto, fissarne
la bellezza e poi indossarla
mentre stringi la mia mano
e mi sorprendi
a rubarti le parole
e poi le labbra.

 


 

 

Le domande sbagliate

(Ai bambini di quinta)

Eravate, ieri, dei timidi pulcini
e già s’apprestate al primo volo
nello spazio chiassoso del domani.
Tra questa mura vestite d’allegrezza,
che hanno accolto in silenzio
le vostre grida festose
e i giochi e le tenere bugie,
i dubbi e le vittorie
e i grandi perché,
lasciate oggi le pagine belle
della lieta fanciullezza;
pagine di vita che avete stampato
capovolte sulla nostra pelle
sicché fu più difficile
comprendervi.

Perché, maestro, ci sono i poveri?
Perché soffrono e muoiono
anche i bambini?
Ci chiedevate fiduciosi
i perché inquietanti
che nessuno sa sciogliere
e nessuno sa capire,
quand’anche aggrappato
ad un raggio di luce.
Ricorderete i banchi,
dove avete posato le vostre
manine operose,
e i nostri insulsi e monotoni perché.
Perché non hai studiato? Perché parli?
Perché ti alzi? Perché giochi?

Il nostro saluto
ha un sorriso e una speranza:
la gioia commossa di vedervi cresciuti,
l’augurio sincero che nessuno più
vi faccia domande sbagliate.

 


 

 

Suggestioni marine

Ho chiesto due colori
ad un pittore
ché sulla tela
poi voglio imbrigliare
il mio pensiero del mare,
cervo braccato da mille levrieri.

Rade giunchiglie bianche
in primo piano
e quattro cardi ritti, ebbri di sole
e di salati umori,
spiano
col favore di una brezza
una fanciulla di belle fattezze.
Accenno di spirale
ha il crine scuro,
il nudo collo, ch’è follia dei sensi,
all’alito marino si distende
e un vestito le scende
sulle forme, sì casto,
fine ed elegante
che solo al pensiero lascia
curve e gambe.
Fermi sono i passi
sul confine
dove il moto dell’acqua
arresta e cede
ai sassi muti, al lido caldo,
farinoso e spoglio,
a sparse, minute schegge
di conchiglie.
Muore il vento
sotto il gran meriggio.
Splende l’aria, brucia
e trascolora.
La mente d’un oblio
già s’innamora,
come di donna
fascinosa e bella
che il suo candore difende
e la sua pelle…

Ho chiesto due colori
ad un pittore:
di luce e d’infinito
voglio empire
la tavolozza inquieta
del mio sentire.

 


 

 

Infiniti senza quiete

Incontrare il vento e raccontargli,
modello e artista d’ogni moto,
dei moti dell’anima.

Specchiarsi nella brezza
del giorno lungo dell’estate
ed inseguire
nelle ore salate del meriggio
l’immagine malferma
d’una bellezza in forma o d’ un fantasma.

Sfidare ed affidargli adesso,
al turbine, il bagaglio
dei pensieri e degli affanni
e ritrovarlo ancor
più carico domani
nel lago degli inganni.

Salire verso l’Oreb
e sentirsi nel vento leggero
e confidare quello straccio
d’ una stanca ragione
all’ alito inquieto
d’ un inquieto Assoluto.