Samuele Mattarozzi - Poesie

Amore di burro 

 

Lasciati andare nelle mie braccia, abbracciati a me e lasciamoci cadere nel burrone delle nostre follie. Questo non è un posto dove si cade per poi schiantarsi al suolo, questo è solo un ammasso dolce e cremoso dove poter affondare la nostra voglia di amarci. Il burro ricopre ogni pelo del mio corpo senza vestiti, mi fa il solletico tra le dita dei piedi e mi impasta i capelli con le sopracciglia. L’unica cosa che non è ricoperta da un sottile ricciolo dorato sono gli occhi. Le mie pupille riescono solo a guardare l’immensità del mare di latte davanti al mio naso e lì, di fronte, ho te, te, solo te. Sei la morte del giorno e l’aurora della notte. I tuoi capelli di rame sono screziati di bianco, giallo e un tenue arancione che gioca a nascondino con la fine della luce dietro le tue spalle, in lontananza. Il burro ci inghiotte e in un certo senso ci immobilizza, ma ci va bene così, galleggiamo senza sforzo. Giochiamo a tenerci per mano, lasciarci con delle spinte sui nostri palmi, per poi tentare di riprenderci con delle piccole bracciate, sollevando alcuni schizzi di panna dalla superficie immobile. Sei…sono senza parole. Anche tu sei nuda, ma il burro ti ricopre da capo a piedi e crea un tenue vestito quasi traslucido attorno alle tue forme. Non voglio pensare al tuo corpo fuori di qui. Sei perfetta così. Siamo perfetti così, abbracciati, imburrati (quasi impanati) l’uno nell’altra. Non penso, guardo. Non voglio, ammiro e basta. Non mi serve averti, ti ho già, sfuggente, ma saldamente tra le mie dita. Non mi serve amarti, sono già diventato pazzo per te, e forse neanche ti conosco. Ma d’altronde che importanza ha tutto questo, se poi affondiamo tutte le nostre certezze in un bacio al sapore di fragola in questo mare di burro? 


Ani – Fratello 

 

Oggi 

chissà come 

mi sono ritrovato 

in un campo 

coi piedi impastati 

di terra; 

il fischio lontano 

del treno 

la brezza che sibilava 

tra i peli arruffati

della barba 

e l’acqua stagnante 

del fosso 

che si contraeva 

a suo piacimento

mentre fissavo 

un traliccio 

ficcato lì

in mezzo al nulla,

ancorato al niente 

imperituro.

Ho appoggiato

la testa 

contro una 

delle sue tiepide gambe 

metalliche

scolorite 

e

mentre le mie lacrime

si mischiavano 

con la sua ruggine 

fratello 

l’ho chiamato.   


Chō – Farfalle 

 

Non trovo più 

piacere 

masturbandomi 

con tutte le cose 

che ho creato 

per tenerti 

lontana.

La verità 

fa male 

come una bugia;

pensavo 

di aver finito 

le lacrime 

quando 

le ho solo 

nascoste altrove 

come un tesoro 

su un’isola 

sperduta 

nella burrasca 

il mio cuore.

Chissà 

quando muoiono 

le farfalle 

cosa diventano 

lampadine forse, 

un attimo prima 

fibrillanti di vita 

un attimo dopo 

creature lunari 

nel Mare della Tranquillità,

come Armstrong e Gagarin, 

innamorate 

della loro crisalide

vuota e fragilissima.

Con semplicità,

come Lucio.  


Hōmon-sha – Unici 

 

Mi succede 

spesso 

di essere 

(o almeno volerlo)

un personaggio 

di qualche anime 

che non sia 

la mia vita;

ora so perché 

i suicidi 

cadono dai ponti.

Quando il pianto 

incrosta 

ogni vena 

ogni arteria 

del tuo corpo 

e gli occhi 

non bastano più 

buttarsi 

nell’acqua 

e riempirsene 

i polmoni 

quale gioia immensa 

deve essere!

Ma a me 

piace 

rimanere in bilico 

sul parapetto 

guardando gli altri 

cadere 

tutti quanti 

molto meglio 

di me. 

Tuttavia non so se

questo mondo 

meriti

di essere salvato 

dai barboni 

e dai poeti; 

noi forse 

saremo gli ultimi 

a saltare 

e una sola lacrima 

ci righerà il volto 

guardando la terra 

bruciare;

gli unici 

che hanno amato.


 

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Hoshinoōjisama – Il piccolo principe 

 

Siamo tutti 

bambini 

che giocano 

a fare gli adulti

ma quanti adulti 

giocano 

a fare i bambini? 

Che poi 

non è così 

difficile 

chinarsi per invidiare 

un fiore di magnolia 

o fermarsi 

per dare un passaggio 

a un altro essere umano. 

Ma ci insegnano 

che un fiore caduto 

è solo un fiore 

e che un uomo 

a lato di una strada 

è solo uno stupratore. 

E così parliamo 

costringendo 

gli occhi 

e il cuore 

al silenzio; 

viviamo 

morendo 

ogni giorno di più

perché non siam fatti 

per correre:

ogni giorno 

è maratona 

è follia 

per chi inventa 

nuovi modi 

di uccidersi e ucciderci.

Non c’è salvezza 

non c’è redenzione 

ci siamo solo noi 

su questa terra 

e io 

che piango 

quando mi arrabbio col mondo; 

ho perso 

la mia biro 

preferita. 


Shiroi yoru – Le notti bianche 

 

Quello era il nostro posto.

Dove in equilibrio 

sulla sponda dell’argine 

correvi dietro 

a una farfalla 

come fosse un tuo sogno,

come se le tue gambe 

esistano apposta per quello,

come se l’orlo della tua gonna 

fosse stato creato 

per baciare l’aria fresca 

di primavera.

Ti guardo allontanarti 

così,

con la terra che si fa 

cenere 

attorno a me 

e pesanti catene 

mi avvolgono col loro tepore

strisciando sull’erba nera. 

Perdonami,

ho solo paura 

di conoscerti 

e poi

una vita dopo 

vederti morire: 

il mio ultimo segreto.

Mi hai scoperto 

nudo 

nelle mie notti più bianche. 


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Rōjin to hikōki no ki – Il vecchio e il platano 

 

Se ne stava un vecchio 

sotto un giovane platano 

in mezzo ai campi appena arati 

erano simili 

due caducifoglie 

entrambi reduci 

da una guerra millenaria,

due soldati nemici 

nella tregua pasquale.

Dopo poche ore 

e una vita intera 

tornai lì 

su quell’argine malandato 

li trovai ancora una volta 

familiari 

ma aspettate 

qualcosa è cambiato 

ora il vecchio è tutto ricoperto di muschio 

e radici dalle narici,

la sua pelle corteccia;

il giovane platano mi scruta 

e piange lacrime umane 

dai rami nodosi. 

Ai piedi del vecchio 

una lapide di ardesia: 

“Ivi sono sepolti coloro 

che amarono e odiarono.” 

Intristito ma leggero,

me ne tornai a passo svelto 

verso casa.