Amore di burro
Lasciati andare nelle mie braccia, abbracciati a me e lasciamoci cadere nel burrone delle nostre follie. Questo non è un posto dove si cade per poi schiantarsi al suolo, questo è solo un ammasso dolce e cremoso dove poter affondare la nostra voglia di amarci. Il burro ricopre ogni pelo del mio corpo senza vestiti, mi fa il solletico tra le dita dei piedi e mi impasta i capelli con le sopracciglia. L’unica cosa che non è ricoperta da un sottile ricciolo dorato sono gli occhi. Le mie pupille riescono solo a guardare l’immensità del mare di latte davanti al mio naso e lì, di fronte, ho te, te, solo te. Sei la morte del giorno e l’aurora della notte. I tuoi capelli di rame sono screziati di bianco, giallo e un tenue arancione che gioca a nascondino con la fine della luce dietro le tue spalle, in lontananza. Il burro ci inghiotte e in un certo senso ci immobilizza, ma ci va bene così, galleggiamo senza sforzo. Giochiamo a tenerci per mano, lasciarci con delle spinte sui nostri palmi, per poi tentare di riprenderci con delle piccole bracciate, sollevando alcuni schizzi di panna dalla superficie immobile. Sei…sono senza parole. Anche tu sei nuda, ma il burro ti ricopre da capo a piedi e crea un tenue vestito quasi traslucido attorno alle tue forme. Non voglio pensare al tuo corpo fuori di qui. Sei perfetta così. Siamo perfetti così, abbracciati, imburrati (quasi impanati) l’uno nell’altra. Non penso, guardo. Non voglio, ammiro e basta. Non mi serve averti, ti ho già, sfuggente, ma saldamente tra le mie dita. Non mi serve amarti, sono già diventato pazzo per te, e forse neanche ti conosco. Ma d’altronde che importanza ha tutto questo, se poi affondiamo tutte le nostre certezze in un bacio al sapore di fragola in questo mare di burro?
Ani – Fratello
Oggi
chissà come
mi sono ritrovato
in un campo
coi piedi impastati
di terra;
il fischio lontano
del treno
la brezza che sibilava
tra i peli arruffati
della barba
e l’acqua stagnante
del fosso
che si contraeva
a suo piacimento
mentre fissavo
un traliccio
ficcato lì
in mezzo al nulla,
ancorato al niente
imperituro.
Ho appoggiato
la testa
contro una
delle sue tiepide gambe
metalliche
scolorite
e
mentre le mie lacrime
si mischiavano
con la sua ruggine
fratello
l’ho chiamato.
Chō – Farfalle
Non trovo più
piacere
masturbandomi
con tutte le cose
che ho creato
per tenerti
lontana.
La verità
fa male
come una bugia;
pensavo
di aver finito
le lacrime
quando
le ho solo
nascoste altrove
come un tesoro
su un’isola
sperduta
nella burrasca
il mio cuore.
Chissà
quando muoiono
le farfalle
cosa diventano
lampadine forse,
un attimo prima
fibrillanti di vita
un attimo dopo
creature lunari
nel Mare della Tranquillità,
come Armstrong e Gagarin,
innamorate
della loro crisalide
vuota e fragilissima.
Con semplicità,
come Lucio.
Hōmon-sha – Unici
Mi succede
spesso
di essere
(o almeno volerlo)
un personaggio
di qualche anime
che non sia
la mia vita;
ora so perché
i suicidi
cadono dai ponti.
Quando il pianto
incrosta
ogni vena
ogni arteria
del tuo corpo
e gli occhi
non bastano più
buttarsi
nell’acqua
e riempirsene
i polmoni
quale gioia immensa
deve essere!
Ma a me
piace
rimanere in bilico
sul parapetto
guardando gli altri
cadere
tutti quanti
molto meglio
di me.
Tuttavia non so se
questo mondo
meriti
di essere salvato
dai barboni
e dai poeti;
noi forse
saremo gli ultimi
a saltare
e una sola lacrima
ci righerà il volto
guardando la terra
bruciare;
gli unici
che hanno amato.
Hoshinoōjisama – Il piccolo principe
Siamo tutti
bambini
che giocano
a fare gli adulti
ma quanti adulti
giocano
a fare i bambini?
Che poi
non è così
difficile
chinarsi per invidiare
un fiore di magnolia
o fermarsi
per dare un passaggio
a un altro essere umano.
Ma ci insegnano
che un fiore caduto
è solo un fiore
e che un uomo
a lato di una strada
è solo uno stupratore.
E così parliamo
costringendo
gli occhi
e il cuore
al silenzio;
viviamo
morendo
ogni giorno di più
perché non siam fatti
per correre:
ogni giorno
è maratona
è follia
per chi inventa
nuovi modi
di uccidersi e ucciderci.
Non c’è salvezza
non c’è redenzione
ci siamo solo noi
su questa terra
e io
che piango
quando mi arrabbio col mondo;
ho perso
la mia biro
preferita.
Shiroi yoru – Le notti bianche
Quello era il nostro posto.
Dove in equilibrio
sulla sponda dell’argine
correvi dietro
a una farfalla
come fosse un tuo sogno,
come se le tue gambe
esistano apposta per quello,
come se l’orlo della tua gonna
fosse stato creato
per baciare l’aria fresca
di primavera.
Ti guardo allontanarti
così,
con la terra che si fa
cenere
attorno a me
e pesanti catene
mi avvolgono col loro tepore
strisciando sull’erba nera.
Perdonami,
ho solo paura
di conoscerti
e poi
una vita dopo
vederti morire:
il mio ultimo segreto.
Mi hai scoperto
nudo
nelle mie notti più bianche.
Rōjin to hikōki no ki – Il vecchio e il platano
Se ne stava un vecchio
sotto un giovane platano
in mezzo ai campi appena arati
erano simili
due caducifoglie
entrambi reduci
da una guerra millenaria,
due soldati nemici
nella tregua pasquale.
Dopo poche ore
e una vita intera
tornai lì
su quell’argine malandato
li trovai ancora una volta
familiari
ma aspettate
qualcosa è cambiato
ora il vecchio è tutto ricoperto di muschio
e radici dalle narici,
la sua pelle corteccia;
il giovane platano mi scruta
e piange lacrime umane
dai rami nodosi.
Ai piedi del vecchio
una lapide di ardesia:
“Ivi sono sepolti coloro
che amarono e odiarono.”
Intristito ma leggero,
me ne tornai a passo svelto
verso casa.