Sara Spiga - Poesie

Ode a Brian Jones

 

Avevo l’immagine di mio padre in posizione eretta

Nella sua freddezza

Mentre con uno sguardo statico

Guardava le mie carni e le mie ossa

Borbottava in silenzio per non dare nell’occhio

Come un uomo di buona famiglie dovrebbe fare

Ma il suo dito, seppur in tasca, era esteso

Pronto quasi a denunciare il suo solito moralismo per l’ultima volta

Mia madre era proprio dietro di lui

Con gli occhi più lucidi di un bicchiere di cristallo

Il trucco si scioglieva intorno agli zigomi

Marcando ancor di più le rughe della vita

 

Pensai a quanto maestosa la mia morte avrebbe potuto essere senza quell’insulso abito

Avrei preferito la mia camicia di lino rossa

Oppure la camicia di velluto dorata

Più dorata dei suoi capelli

E con qualche gioiello in più

Così, oltre al riflesso della luna, attraverso quella patina bagnata,

Avrei visto luci colorate

 

Riflettei sul desiderio più bramato, su quanto fui contento della sua felicità,

Mentre acqua gelata di un giovedì di luglio entrava nelle mie narici

Pensai più volte alla mia fine ed essa non era affatto sofferente,

Ma soltanto un viaggio verso le grandi valli del paradiso

In quelle valli ci sarei voluto rimanere per minuti, ore, anni

Mentre queste, queste valli sono in salita

Tanto che io scivolo verso il basso

Dopo un po’ le mie ossa ed il mio cuore si annientano a terra

Rendendomi spirito in viaggio verso l’ignoto

Ma mi aggrapperò nel fango di quelle valli ed esisterò

Mi chiesi il perché di così tanta crudeltà ed ingiustizia

E lì capii che non esiste alcun Dio

Mi ha affogato e ho sofferto per le mie ali

 

Eppure se voi desiderate conoscere come tutto questo sia terminato

Per dare vita alle vostre anime prive di emozioni

Ve lo dirò

Era un gioco ed ero sobrio

Ma anche con una bottiglia di Brandy del ’46 avrei potuto reggere qualche nuotata

Io e lui decidemmo di andare a fare un bagno in piscina

E poi iniziammo a stabilire, come si fa nel mondo animale, chi fosse il capo, il maschio alfa

Mi tirava le ginocchia

Così forte che mi bagnai l’intero viso e il caschetto già lavato da poche ore

Il ricordo del ghigno inciso sul suo volto mi rende timoroso e dubbioso

Della malefica sorte di noi esseri umani

 

Decadentemente bello caddi

Come Lucifero

Anna vide il mio corpo che si affievoliva scarno e spoglio nel freddo chiaro di luna

Ed un urlo tagliente emise la sua bocca sottile

Mi trascinò fuori da quella piscina che conteneva acqua dolce e lacrime amaramente disperate

L’ultimo mio ricordo di quell’illusione chiamata esistenza sono le mani di lei

Le sue dita sottili tra le mie, rigorosamente abbellite di diamanti blu

Le strinsi la mano ossuta e dissi, in mente o ad alta voce,

“Io ti amo”

E mentre bambini e donne durante la guerra muoiono

Nuovi amori sbocciano, deboli cuori si spezzano e occhi si prosciugano

Io resto lì a guardare.


 

L’immenso

 

Era l’immenso

Come potrei mai descrivere il tutto

Offenderlo con così tanta banalità

Il corpo mortale si bloccò, mentre l’anima impulsiva cercava di esplodere fuori da esso

La gola non emise un gemito, avida dei suoi più cari sentimenti

Ma gli occhi…

I due cristalli della verità, urlavano

Invano

Pioveva dagli occhi amore più profondo

Per quell’idealizzata figura della perfezione

La bella donna mortale si spogliò

E di lei rimasero soltanto i frammenti di ciò che era un tempo

No, non è il fumo

Sono le viole!

Le viole viola cresciute nel mio petto

Meravigliosi doni preziosi

Ma non respiro

Annegano i pesci

Corpo trascinato nella notte di un sabato sera

Non si girò

Il desiderio più bramato di una fine all’inizio

Offuscato da quel bellissimo pagliaccio dagli occhi color speranza


Dimenticanza

 

Angeli ballano in cerchio la canzone dimenticata dal mondo

Il tempo scompare e lo spazio è astratto, buio e senza forma

L’anima spinge verso l’alto il corpo morto di emozioni

Destra

Sinistra

E poi in su

Sto volando!

Rimbomba tutto

Sento il cuore della terra battere

E provo una gran pena per essa

L’abbiamo stuprata

E i suoi logoranti gemiti

Li copro con un grasso eco di una risata


Tè Caldo

 

Tè Caldo fumante lungo i tavoli di legno

Non si poteva né bere, né drogarsi

Eppure schifosissimo vino rosso girava nelle mani di quei giovani ribelli

Le nuvole grigie ovattavano la mattinata

E la luccicanza del sole fuoriusciva da esse, rendendo tutto, e dico tutto, come una fiaba irlandese

Ovunque mi girassi, in movimento, vedevo pantaloni di jeans anni ‘70

L’entrata, a quella sottospecie di cantina, era inespugnabile

Protetta da una banda di ragazzi con i capelli lunghi e con la barba, molto più alti di me

Mi adattai in fretta a quel clima vintage

Con il rosso delle mie sigarette, troppo pesanti per una quindicenne

10:30, si, per quell’ora mi ritrovai al centro in prima fila, circondata da ignoti

E poi la scena folle, l’entrata del Principe della Casina

Era armonioso, aveva dei ricci biondi, così lunghi che gli accarezzavano le spalle

La fronte prorompente, coperta da un cappello di lana viola e rosso

Abbinato ad un felpone viola che cancellava ogni forma alcuna

Le mani le teneva strette, una attaccata all’altra

Dando l’impressione che qualche brigante gli avesse potuto rubare la bacchetta magica

Gli occhi erano un misto tra azzurro e verde, immensamente lucidi

Dovuti forse alla barca della pace

Non credete a quello che leggete oppure che vedete

In qualche film film d’amore strappalacrime di seconda o terza visione

Quando t’innamori nulla si ferma, nulla si blocca

Ma per pochi secondi, pochi attimi, ogni cosa  si rallenta

E tutto muore e tutto nasce

Questo è rivoluzione

Non ho assaggiato il tè fumante

Per la semplice ragione che globalmente è tutto più gustoso, affascinante, interessante

Anziché conoscere la concretezza delle cose


 

Le Porte Della Percezione

 

Ritorno al passato

Il sitar incessantemente suona nel mio inconscio

Fanciulla, sei così follemente folle

Svegliati!

Anima stuprata, violata della sua noncuranza, occhi profondi

Verdi come l’ego

Azzurri come il sogno

Fumo nell’aria di maggio

Porte della percezione

Serratevi per sempre

Affinchè il bacio della Dea Libertà sfiorerà nuovamente la mia bocca

E la mia anima ricominci ad esistere


Tinta Rosa

 

Con tutta questa pioggia e neve

Il mio amore per te muore

Eppure

Follemente tu mi manchi, mi rendi roccia, fredda come la tinta colorata per capelli

Sul corpo dei primi di novembre

Via con te hai portato la mia gioiosa sensibilità

E, nonostante io abbia abbandonato e concluso parte della mia vita,

Non provo nulla

Proprio come un soldato, tornato dalla guerra, dovrebbe

Quando sono stanca della mia apatia, penso a te

Tutto diventa agitato

La pelle colorata e le fossette più evidenti

Da roccia in dinamite pura, mi rendi

Mi rendi viva


Ove Tutto Splende

 

Riscriverò fino a quando il mio ultimo respiro si recherà nell’oblio

Scriverò per Ophelia

La farò respirare

Scriverò per Dio rendendolo concreto

Infine scriverò per l’Angelo incompreso

Lo riporterò ove tutto splende

Ispirazione, vieni a me

Così che io possa liberare l’apatia, brutta schiava mondana

E farla innamorare ed accecare dalla sensibile dolcezza mortale

Eppure il mio cuore enuncia di te

Della tua camicia in stile vittoriano

Della tua statura nanerottola

E della tua frangia color oro

Il mio cuore batte delle tue vene

Ove caldo sangue scorre

Della tua collana d’argento

E delle tue scarpe in pelle di serpente a punta

L’apatia chiederà scusa ai suoi non sentimenti

E narrerà del tuo storto sorriso


Bambino Dorato

 

Ho sognato che la nostra amicizia volasse

Proprio come quelle lanterne che comprammo in  estate

Tutti quei soldi li sprecammo in guai e risate

Ricordo quella luce, giuro, non ho mai visto nessuno con quella luce

Nessun bambino, adolescente, adulto, ha mai espresso, quanto te, l’importanza della felicità

Ho sognato me stessa, sfrecciavo nel mondo

Proprio come quando mi lanciasti per quella discesa entusiasmante

Ho sognato che prendevi fuoco, come il fuoco di Natale che lanciasti sotto quella macchina

Riscontrando nessun problema alcuno

Hai lasciato il segno su quella strada, sulla strada del mio cuore

Ricordo il diluvio di marzo

Apristi   il balcone ed iniziasti a danzare, felicemente sotto fulmini e pioggia

Così facemmo anche noi

Liberammo la nostra infantilità

Bambino dorato, tu che conservi il mio cuore in quella maglia arancione,

Questa è per te


120 giorni

 

120 giorni, poco più

Passati nel pub dei vanitosi e superbi

Qualsiasi giovane minimamente conosciuto, lo trovi lì

Tra 4 mura verde muschio, con tavoli di legno di quercia

Oppure a mostrare la loro vanità nel bagno ricoperto da scritte di ubriachi

Riflessi nel lungo e sporco specchio

Il bagno non è illuminato e non ha la maniglia

E ciò lo rende estremamente grunge

Ieri quel luogo non emanava la sua complessità

Per quanto invaso da fanciulli con drummini e Tennent’s

Contrariamente al solito e sereno schema, non era completo

E fui colpito da un grosso senso di smarrimento e soffocamento

E, con sobrietà assoluta, guardavo i Babbo Natale, sui muri di ottobre

Muoversi lentamente in direzioni opposte

Esisti?

Oppure tutto era un semplice frutto della mia immaginazione adolescenziale

Per fortuna i folli quanto me mi continuano a dire di si

E ciò mi rende sana

Eppure, alla domanda contenente il tuo nome, rispondo tu chi sia

Mostrando un’enorme curva di un sorriso, strepitosamente falso


Quell’istante

 

Sono immensamente turbata da quell’istante

Sono passata di fianco a te ridendo

Così forte, tanto che le mie lacrime si lasciavano cadere sui miei zigomi sporgenti

Mi sentivo nuda

Nuda ed osservata dai loro occhi, dai tuoi

Eri così sicuro, tu

Indossando la tua camicia estiva, con Cristo affianco

Mai la mia mente cancellerà quel momento dalla mia memoria

Quel sorriso, sadico, egocentrico, provocante sorriso

Eppure io sono la Dea delle provocazioni

La tua voce, mentre cantavi quella canzone che racconta della pioggia

Mi ricordi sempre la strada che vuole seguire la mia anima