Sergio Baldini - Poesie

CHI DICE DONNA, DICE DONO

e non solo per l’8 marzo, ma per ogni giorno dell’anno

 


 

La creazione di Eva dalla costola di Adamo

Dal libro della Genesi 2,18-24
[18] Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”.
[19] Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.
[20] Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
[21] Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto.
[22] Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
[23] Allora l’uomo disse:
“Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa
perché dall’uomo è stata tolta”.
[24] Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

 


 

Dal Talmud

Il Talmud è un libro dove si trovano riassunte tutte le testimonianze e le frasi pronunciate dai Rabbini attraverso i tempi. C’è un detto che termina così:
“Attento quando fai piangere una donna, poichè Dio conta le sue lacrime. La donna fu creata da una costola dell’uomo, non dai piedi per essere scalciata, neanche dalla testa per essere superiore, ma di lato per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta e accanto al cuore per essere amata.”

 


 

8 Marzo

Ci fosse stata ai tempi di mia nonna
questa festa chiamata della donna
e mio nonno tutto agghindato
d’improvviso si fosse presentato
con in mano un ramoscello di mimosa,
mia nonna gli avrebbe detto “Cosa?!
Ti do io la festa per un giorno
quando tutto l’anno corro sempre intorno
per mandare avanti la baracca
mentre tu, uomo, te ne stai in “giacca”.
Se parità vuol dire questa festa
è ora che ogni uomo se lo ficchi in testa
e ci dimostri buona volontà
per realizzare questa parità!
Se poi mi dici “parità dei sessi”
io vi rispondo siete proprio fessi.
Lasciamo ognuno col sesso che gli ha dato la natura
se vuoi far nascere ancor qualche creatura
perché il mondo sarebbe per finire
se fosse l’uomo a dover partorire!”

 


 

L’alfabeto al femminile

Ecco come l’alfabeto
può far capire
quello che ogni donna
da ogni uomo
vorrebbe sentirsi dire.
Chi dice DONNA dice:
amore,
bellezza,
creatività,
dolcezza,
eleganza,
fantasia,
generosità,
humour,
intelligenze,
laboriosità,
maternità,
naturalezza,
operosità,
passione,
qualità,
raziocinio,
sentimento,
tenerezza,
umanità,
vivacità,
zelo.
Ventun lettere
per mostrare
ad ogni uomo
qual è
per una donna
il contenuto
del verbo amare.
Ventun lettere,
ma nella donna
ognuna è riunita
in una parola sola:
VITA!

 


 

Donna

Donna,
armonia dell’essere
e caos dell’avere.
Donna,
luce
e oscurità.
Donna,
Paradiso
e Inferno.
Donna,
vagito
e aborto.
Donna,
sorgente di creatività,
gioia,
conforto,
e palude di aridità,
strazio,
ossessione.
Donna,
speranza
e disperazione.
Donna,
prodigo dono
e avido possesso.
Donna,
anima del mondo
e sua dannazione.
Donna,
così t’hanno descritto
poeti e prosatori,
cantato
menestrelli e cantautori,
dipinto
mille e più pittori.
Donna,
qual è di te
l’immagine che vedi
quando ti guardi
nello specchio della vita?

 


 

Donna innamorata

Come è bello il sorriso
di una donna innamorata,
quanto è dolce lo sguardo
di una donna innamorata,
quale musica è la voce
di una donna innamorata.
Come è breve l’ incontro
di una donna innamorata,
quanto è grande l’amore
di una donna innamorata,
quale passione le carezze
di una donna innamorata.
Come è vivo il ricordo
di una donna innamorata,
quanto è lunga l’attesa
di una donna innamorata,
quale gioia la presenza
di una donna innamorata.
Come…
Quanto…
Quale…
…essere l’uomo
di una donna innamorata.

 


 

Donne

Donne
madri,
sorelle,
nonne,
mogli,
figlie,
amiche,
colleghe,
amanti…
quante realtà
la vita
ti sa offrire
e quante
ognun di noi
ne può scoprire.
Donne
estroverse,
romantiche,
sportive,
oppure no,
introverse,
pratiche,
tranquille…
così diverse
eppur
tra loro uguali
perché comunque
tutte son speciali.
Donne
dell’amore innamorate,
che chiedon solo
di esser rispettate.

 


 

Essere donna

Una rosa,
non una mimosa,
a ogni donna
voglio oggi dare
per la bellezza
di ogni suo sorriso
e per ricordarmi
di togliere le spine
con cui io, uomo,
lo capisco,
con gli atteggiamenti miei
a volte la ferisco.
Una rosa,
la più profumata,
perché comprenda
che le voglio bene
per il dono immenso
ch’è dentro di lei.
Un cervello
che sa completare
quelle riflessioni
a cui io
non so arrivare,
un cuore grande
come il mondo intero
perché sa amare
con i fatti
e non solo
col pensiero,
due braccia aperte
per dare conforto
anche a chi,
a volte,
le ha fatto un torto,
due mani attive
da cui traspare
la volontà e la gioia
di creare.
Ma sopra tutto quello
che ogni uomo
giammai potrà fare:
un ventre colmo
di così tanto amore
che una nuova vita
al mondo può donare.

 


 

Gli occhi di una donna

Gli occhi di una donna
rivelano
del suo essere
tutto lo stupore.
Gli occhi di una donna
parlano
molto più
di quel che le passa
nella mente
e nel cuore.
Gli occhi di una donna
risplendono
se vive
una realtà d’amore.
Gli occhi di una donna
gioiscono
se un bimbo nasce,
dono del Signore.
Gli occhi di una donna
si offuscano
se un sentimento
o una persona cara
muore.
Gli occhi di una donna
sanno leggere nel cuore.

 


 

Inno alla donna

Donna
innamorata della vita
fin dal momento
che sei concepita:
mamma, sorella,
figlia, nonna,
amica, compagna,
sposa o amante…
in ogni veste
sempre sei presente.
Quando qualcuno
stringi al seno tuo
batte il tuo cuore
di tenera dolcezza,
affetto ed emozione
oppur si scalda
forte di passione.
Il tuo sorriso
illumina radioso
e il tuo sguardo
sa veder lontano.
Ogni tuo abbraccio
sa portar conforto
a chi ti è accanto
mano nella mano.
Forte e decisa
o tenera e affettuosa
in ogni cosa
sempre sei operosa.
Donna
della vita innamorata
io ti ringrazio
per avermela donata.

 


 

La donna è

La donna è
mare
di pensieri
che si frangono
ora dolci e lievi
ora tempestosi e grevi.
La donna è
sogno
nella notte
che si agita
a volte triste e inquieto
altre sereno e lieto.
La donna è
vento
di emozioni
che travolge
con le sue dolcezze
e le sue passioni.
La donna è
luce
che illumina
quando resta accesa
tenebra
se l’oscurità è scesa.
La donna è
dono
che gratuito si offre
anche se a volte
nel donarsi soffre.
La donna è
attesa
se nasce poi la vita
ricordo
se è ormai svanita.
La donna è
neve
che si scioglie al sole
gelo
se è così che vuole.
La donna è
pioggia
di lacrime
di gioia o di dolore
a seconda di quello
che le colpisce il cuore.
La donna è
arcobaleno
perché il suo sorriso
riporta poi il sereno.
La donna è
fuoco
che arde sempre attivo
seme
che germoglia vivo
ruscello
che scorre spumeggiante
canto
che sgorga altisonante
fiore
variopinto di colore
abbraccio
che ti accoglie sul suo cuore.
La donna è…

 


 

Una donna

Una donna
cresce
sperando
in un mondo migliore
ma fin da bambina
scopre che il futuro
per quanto ci provi
per lei sarà duro.
Una donna
dona la vita
come atto d’amore
a un figlio che cresce
nel suo grembo materno.
Una donna
gioisce
per un gesto d’amore
se il suo uomo
rispetto le mostra
non solo a parole.
Una donna
capisce
quel che c’è da capire
anche se a volte
non lo fa intuire.
Una donna
agisce
sempre e comunque
perché ferma
non può certo restare
e ogni giorno
la realtà della vita
deve affrontare.
Una donna
sta accanto
a chi ha bisogno di lei
anche se poi
è sola
quando ne ha bisogno lei.
Una donna
riesce
dove l’uomo non può
proprio perché
lei è donna
mentre l’uomo no!
Una donna…

 


 

Corona Virus

Uno starnuto,
un colpo di tosse,
ma anche
un abbraccio
e una stretta di mano:
e allora…
almeno un metro
stammi lontano!
Ma per il virus
non ci sono confini,
né mari, né muri
e nessuno sa
cosa attenderci
nei giorni futuri.
Per ognuno di noi
c’è una sola certezza:
che più niente ormai
può darci
tranquillità e sicurezza.
E così temiamo
per la nostra vita
e per quella
dei nostri cari
e con ogni mezzo
cerchiamo
di metterci ai ripari.
Eppure fino ad oggi
con altri virus
abbiamo convissuto,
ma chissà perché
nessun di loro
così tanto
abbiam temuto.
L’elenco che ora
potrei fare
per anni ha infettato
la nostra esistenza.
Per primo il virus
dell’indifferenza
seguito da vicino
da quello dell’intolleranza,
poi la supponenza
e l’arroganza,
fisica e morale
la violenza,
sempre più sviluppata
la disuguaglianza,
e che dire
della mancanza di accoglienza.
Senza poi dimenticare
il virus che l’ambiente
non ci fa rispettare
e quello che
porta la corruzione,
dei mercati
la manipolazione,
dei più deboli
lo sfruttamento
e della speculazione finanziaria
il sopravvento.
Questi, fra i tanti,
alcuni virus
che da tempo
ci hanno contaminato,
ma per i quali
gli anticorpi
abbiamo già creato.
E ora del corona virus
abbiamo spavento,
ma forse è quello giusto
per farci capire
che di cambiare vita
è giunto il momento.
Il nuovo virus
di cui tutti noi
ci dovremmo infettare
è quello che,
in ogni tempo e modo,
l’ambiente e il nostro prossimo
ci faccia rispettare.

 


 

Premesso che, come ho sempre detto, comunque lo si chiami, Dio è Unico, ecco perché

Ho scelto questo Dio

Ho scelto questo Dio perché
Padre lo posso chiamare
e come un Padre
so che mi continua
ad amare.
Ho scelto questo Dio perché
quello che è giusto
e quello che è sbagliato
come un Padre
tutto mi ha insegnato
e come un Padre,
anche se lo faccio soffrire,
libero mi lascia di agire,
perché come un Padre
mi dona
tutto il Suo amore
e mi chiede rispetto,
non timore,
proprio perché
verso un genitore
una grande fiducia
si deve avere
e pertanto chi
o che cosa
devo temere
se in ogni momento
so che mio Padre
mi sta a sostenere.
Come un Padre
mi segue e valuta
con misericordia
anche se, come Padre,
si dispiace
se faccio qualcosa
che “opportuno fare”
non è
e allora,
in modo molto discreto,
ma deciso,
fa sì che io
mi possa ravvedere
e con il Suo Santo Spirito
sulla via corretta
mi sa indirizzare
e l’opportunità mi dà,
quando sono caduto,
di potermi rialzare.
Come Padre
un Fratello mi ha dato,
in cui ha messo
il Suo compiacimento:
Gesù, l’amato,
che tutti fratelli
ci ha fatto diventare
perché, nel mentre
il Padre sopra ogni cosa
ci ha detto di amare,
ci ha insegnato poi,
che come noi stessi
il prossimo dobbiamo amare,
facendo agli altri
quello che vorremmo
gli altri facessero a noi.
Un Gesù che perfino quelli
che ci fanno del male
ci dice di amare
e non sette,
ma settanta volte sette,
li dobbiamo perdonare
perché di essere misericordiosi
come è il Padre nostro
ci dobbiamo ricordare.
Un Gesù che ci dice
fino alla fine dei tempi
sempre con noi sarà
e che dove sono
due o tre
nel Suo nome riuniti
in mezzo a loro sarà
perché mai
si sentano smarriti.
Ho scelto questo Dio
ecco perché,
ma forse non sono io
che ho scelto Lui,
ma è Lui
che ha scelto me!

 


 

La barca

Chi ha detto
“Stiamo tutti
sulla stessa barca
e ognuno
la propria parte
deve fare!”
o era in buona fede
e a quel che ha detto
crede per davvero
o il suo parlare
è solo menzognero.
La realtà
ben diversa appare:
siamo tutti
sullo stesso mare,
ma diversa è la barca
che ognun di noi
può usare.
E così
c’è chi veleggia
o su uno yacht
sta a navigare
mentre altri, i più,
sono costretti a remare.
La vita ogni giorno
su alcuni
frange leggera
e su altri
getta onda su onda,
ma per molti
ancor non si vede
quanto è lontana
e dov’è sicura
la sponda.

 


 

MILLEMILLANTA

 

Da bambino, le sere d’estate, affacciato con la madre alla finestra, contava le stelle nel cielo.

Facevano a gara a chi ne contava di più.

“Lì ce n’è un’altra, mamma!”

“Guarda quella lassù come brilla!”

“Quante ne hai contate?”

“Quarantacinque.”

“Io ne ho contate di più: cinquantasei!”

“… Ed io di più ancora: mille!”

“Allora ho vinto io. Ne ho contate millemillanta!”, e rideva felice.

E la mamma lo abbracciava per premiarlo di quella “vittoria”.

Era, infatti, millemillanta, un numero magico per loro; era il totale di tutte le cose, era l’infinito. Ma non l’infinito indefinito che tutti conosciamo; era la certezza della vastità del creato e di tutte le cose che esso contiene, era la conoscenza di ciò che esiste nell’universo anche se non si vede: era millemillanta!

E mentre contavano le stelle la mamma gli raccontava che esse rappresentavano i desideri degli uomini, le loro speranze, i sogni, ciò che ognuno s’aspettava nel proprio cuore … e tanto più i desideri, le speranze, i sogni erano forti, tanto più le stelle su nel cielo brillavano.

E se ne vedevano una cadere, la mamma gli diceva:

“Su, svelto, esprimi un desiderio, perché è proprio quando cade una stella che, sulla sua scia luminosa, è più facile si realizzi quello in cui speri!”

Ed egli, nel suo cuore, pensava svelto svelto a qualcosa e poi esclamava:

“Fatto, mamma! Ho desiderato tutto il bene del mondo!”, e la abbracciava stretta stretta.

 

Quante sere passate lì alla finestra con le teste sollevate!

Quanti momenti a scrutare le speranze che brillavano!

Ora la mamma non era più accanto a lui. Era salita in quel cielo di stelle ad osservarle da vicino. Ora non aveva più nessuno accanto per una gara a chi ne contava di più.

Con il tempo aveva perfino perso l’abitudine di alzare la testa verso il cielo. La realtà di ogni giorno lo tratteneva con lo sguardo a terra …

 

Una sera, per caso, alzò la testa su un cielo buio pesto. 

Che strano! Era sereno, ma neppure una stella, seppur piccola, brillava lassù.

Perché? Che cosa era successo?

E mentre scrutava sempre più ansioso in alto alla ricerca di una qualsiasi piccola lucina, ripensava agli avvenimenti di quegli ultimi anni, a quello che gli era successo, a come stava andando il mondo … e capì!

La gente, lui stesso, aveva perso la speranza, non provava più desideri … i sogni erano svaniti.

E le stelle, a poco a poco, si erano spente.

Un’angoscia tremenda lo assalì.

Cosa fare?

Lo sguardo gli cadde su un mucchio di legna che stava in un angolo. Raccolse dei ramoscelli e qualche tronchetto che portò nel mezzo della piazza e lì, nel buio della notte, accese un fuoco.

Soffiava su di esso per alimentarlo e man mano che la brace diventava incandescente, la scuoteva con un bastone.

Le faville accese salivano in cielo come tante piccole stelle … ma poi pian piano si spegnevano.

“Occorre più legna!”, gridò.

Dalle case vicine ad alcune finestre si accesero le luci.

Qualcuno si affacciò e domandò cosa stesse succedendo.

“Faccio le stelle … quelle stelle che non splendono più perché noi uomini abbiamo indurito i nostri cuori ed abbiamo perso i sogni, i desideri, le speranze.”

“Ma che cosa credi di ottenere con quel fuoco?!”

“Non avete capito ancora che la speranza è come un fuoco che va continuamente alimentato?! E come un fuoco senza legna, si spegne e muore?! Aiutatemi … portate altra legna. Ognuno porti qualcosa di suo!”

Qualcuno cominciò ad avvicinarsi e ben presto la piazza fu piena di gente che aveva con sé qualcosa da bruciare: chi una sedia, chi un cassetto, chi della legna…

Ognuno gettava il proprio pezzo nel fuoco e soffiava, soffiava ed agitava la brace … le faville volavano sempre più alte nel cielo, sempre più luminose e numerose, e brillavano, brillavano.

La gente sorrideva e continuava ad alimentare quel gran fuoco.

Ognuno sceglieva una favilla, la seguiva con lo sguardo e sperava che restasse sempre accesa.

Pian piano il cielo ne fu pieno.

“Quante sono?”, chiese una donna.

Tutti allora cominciarono a contarle.

Ed erano MILLEMILLANTA!


RAGGIO DI SOLE

 

Entrò all’improvviso sul suo pulviscolo dorato.

Si fermò lì, proprio al centro della stanza.

Restò immobile mentre le particelle si muovevano calme e leggere.

Osservò a lungo, con distaccato interesse, l’ambiente che lo circondava.

Poi mi vide.

Si spostò lentamente sulla destra, colpì la vetrinetta del mobile … e si scatenò!

Il pulviscolo cominciò ad agitarsi e fremere tutto, divenne più vivido, la scia luminosa salì fin sopra la scrivania, dove stavo lavorando assorto nei miei pensieri ed intento alle esatte procedure da applicare, e si fermò sul foglio su cui stavo scrivendo.

L’osservai un attimo chinando un po’ il capo sulla sinistra, scossi leggermente la testa e spostai il foglio di carta.

La luce rimase impressa sul piano della scrivania, poi lentamente cominciò ad avanzare nella direzione dove avevo spostato il foglio e lo illuminò nuovamente.

Rimisi la carta nella posizione iniziale ma, con una risatina appena percettibile, il raggio di sole scelse il portacenere di cristallo che stava alla mia destra … e fu una girandola di luci, che mi colpirono sul viso giocando a fare riflessi sui miei occhiali ed illuminandomi la barba.

Mi appoggiai allo schienale della sedia, ma il turbinio d’oro fremette ancora di più e non trovando più l’ostacolo della mia faccia, dal portacenere andò a riflettersi sul vetro del quadro alle mie spalle.

In un gioco gioioso, con quel suo modo dorato di ridere, dal quadro colpì le parti in ottone del lampadario, rimbalzò sul soprammobile di acciaio posto sulla libreria, si tuffò nuovamente sul piano della scrivania illuminando i fogli di plastica trasparenti, che mi stavano aperti davanti, e si perse nello schermo del televisore spento, che all’istante sembrò accendersi come se qualcuno avesse azionato il telecomando.

“Adesso basta!”, dissi a voce alta alzandomi ed andando a socchiudere le imposte della finestra dello studio, da cui era entrato in maniera così impertinente.

Fu come un riflusso.

Sempre ridendo allegramente il raggio ripercorse il cammino inverso, lasciando solo qualche granello di pulviscolo ad aleggiare in ricordo del suo passaggio.

Spense lo schermo del televisore, lasciò quasi con rassegnazione i fogli di plastica carezzandoli a lungo nel suo ritorno, brillò ancora per un attimo sul soprammobile d’acciaio, balzò in alto sull’ottone del lampadario e di lì si lasciò subito ricadere sul quadro di cui illuminò per un attimo il paesaggio dipinto, che sembrò vivere reale sotto quell’effetto di luce. Si perse in mille rivoli sulle sfaccettature del portacenere gettando uno scompiglio di iride sulle pareti, riattraversò veloce la stanza, su fino alla fessura che io stavo chiudendo nel riaccostare le imposte.

“Oh, finalmente!”, dissi a me stesso senza più quel fastidioso balenio all’intorno.

Ma la risatina mi colpì nuovamente e, da una piccola fessura su un angolino della persiana, il raggio entrò ancora a illuminare il mio viso, diramandosi in mille raggi come una piccola stella.

Mi guardò per un istante, con quel suo sguardo morbido e dorato, e svanì salutandomi.

Andai alla finestra e mi affacciai.

Si allontanava zigzagando fra gli alberi correndo dietro ad una farfalla.

Lo seguii ancora con lo sguardo.

“Ciao!”, silenziosamente lo salutai.


L’ANNUNCIO

 

Seduto su una panchina ai giardini pubblici, l’uomo se ne stava a leggere tranquillamente il giornale.

Teneva le braccia aperte dinanzi a sé e scorreva i titoli dei diversi articoli, soffermandosi con particolare attenzione su quelli che destavano in lui più interesse o attiravano maggiormente la sua curiosità.

 

Il colpo di vento arrivò all’improvviso.

Si abbatté sul giornale con una violenza tale da strapparglielo dalle mani, lasciando nel pugno che lo stringeva solo un frammento di carta.

Il quotidiano si alzò in alto sparpagliandosi a destra e a sinistra, a seconda di come la raffica ne disperdeva le pagine.

Queste continuarono a salire spiegazzandosi tutte, finché un colpo di vento contrario non le riportò a terra spargendole all’intorno sull’erba.

Solo un foglio proseguì la sua ascesa verso il cielo.

Sospinto sempre più su, si allontanò sino a scomparire fra le nubi …

 

Il rumore strano lo fece girare di scatto e subito qualcosa aderì alla sua faccia, oscurando la luce che regnava lì intorno.

Dimenò le braccia cercando di liberarsi da quell’impaccio che gli impediva la vista, ci riuscì finalmente … e lo sguardo gli cadde su un trafiletto:

AAA Cercasi  … … … .

Seduto sulla sua nuvola preferita, Isidoro angelo rilesse con attenzione l’inserzione.

“E perché no?!”, si disse.

Di corsa, saltando da una nuvola all’altra, andò a trovare San Pietro.

 

“Pietro, Pietro! Che cosa ne pensi? Posso fare qualcosa?”, gli chiese sventolandogli la pagina di giornale davanti al viso.

“E sta’ un po’ fermo, che non vedo niente!”

Pietro lesse l’annuncio e gli rispose:

“Se vuoi, fai pure. Ma con discrezione!”

 

Tutto eccitato, Isidoro angelo lo salutò e si diresse nell’angolo del Paradiso dove i bimbi stavano aspettando di venire al mondo.

Ce n’erano una infinità che attendevano il momento in cui sarebbero stati concepiti.

Isidoro angelo si aggirò fra di essi, che lo guardavano tranquilli e sereni, e, catturata una manciata dei loro sorrisi, la gettò rapidamente in un tubetto che richiuse ermeticamente.

Vi appose poi un’etichetta su cui scrisse qualcosa.

Si tuffò quindi fra gli strati del cielo afferrandone ciuffi svolazzanti a diverse altezze.

Li riunì tutti e a viva forza li cacciò in un secondo tubetto cui applicò un’altra etichetta.

Volò immediatamente dopo ai confini dell’orizzonte, là dove il cielo ed il mare si incontravano e ne percorse la linea con un terzo tubetto aperto fino a che non fu completamente pieno.

Lo richiuse e seguì lo stesso procedimento.

Risalì di nuovo fra le nubi e di lassù scrutò il mondo.

Scoprì finalmente un punto in cui l’erba era più verde.

Si portò sulla sua verticale e si trovò nel luogo in cui aleggiavano sogni, desideri, speranze … e ripeté l’operazione riempiendone ancora un altro.

Si riposò un po’ su una nuvola, poi proseguì nella sua impresa.

Il sole era alto e diffondeva la sua luce e il suo calore tutt’intorno, illuminando e riscaldando il corpo ed il cuore degli uomini.

Un raggio, attraverso la finestra, entrava nella cucina di una casa in cui una mamma stava allattando il suo piccino.

Mentre gli sussurrava parole dolci, lo osservava sorridente rivolgendosi ogni tanto al marito che, seduto lì davanti, condivideva questo momento di tenerezza accarezzando i piedini di suo figlio e guardando ora lui ora la moglie.

Isidoro angelo catturò un po’ di quel raggio e volò in un altro punto della terra, finché non trovò ciò che andava cercando …

In una piccola valle alpina un gruppo di persone, uomini, donne, ragazzi e bambini, stava celebrando la messa all’aperto.

Al momento della comunione le loro voci si unirono in un canto accompagnato dal suono di una chitarra.

In quell’intensa spiritualità, sotto il sole cocente e con l’aria frizzante, tutti erano immersi in un’armonia di note, i visi sereni, le gote colorite.

Isidoro angelo lanciò su di loro un leggero alito di vento che accarezzandoli si soffermò a lungo sui loro volti prima di essere ripreso nella scia delle correnti d’aria a quella quota di alta montagna. Ma nel passaggio una parte di quell’alito di vento era finita in un altro tubetto.

Isidoro angelo si diresse poi verso un tramonto meraviglioso dove i sentimenti erano più profondi, i desideri più forti, gli affetti più sinceri e gli slanci più spontanei, maturi e naturali.

Il rosso del sole incendiava le nubi all’intorno ed un fiocco di una di esse finì in un tubetto.

L’oscurità che stava sopraggiungendo mutava le tonalità in un viola intenso.

L’aria fattasi più dolce si preparava alle ore notturne.

Si sentiva già il frinire dei grilli e le stelle cominciavano ad accendersi come mille candeline sulla grande torta del mondo.

Finalmente era notte.

Nei loro letti gli uomini stavano facendo il primo sonno in attesa del domani.

E tutto era tranquillo.

Questo stava succedendo in quell’angolo del mondo in cui aveva fatto una sosta Isidoro angelo.

Altrove le cose andavano in maniera ben diversa.

Ma nel tubetto finì proprio quel pezzo di notte.

 

Il giorno dopo, di buon mattino (se così si può dire parlando del Paradiso), Isidoro angelo si recò da San Giuseppe falegname e gli commissionò una scatola di legno con determinate caratteristiche.

Quando il lavoro fu eseguito, come al solito a regola d’arte, egli confezionò un bel pacco e, approfittando di un attimo di distrazione del mondo, lo andò a depositare sopra la cassetta delle lettere di un portone di periferia di una certa città.

Sul pacco era scritto un nome, un cognome ed un recapito.

 

L’uomo scese le scale di casa per recarsi al lavoro.

Passando per il portone vide un pacco che era indirizzato a lui e pensò:

“Che strano, così presto e già è passato il postino!”

Lo scartò.

Dentro c’era una scatola di legno.

La aprì e vide ben allineati tanti tubetti di colori a tempera.

Su ognuno, scritta in bella grafia, era apposta una etichetta che indicava il tipo di colore:

“Bianco candore, celeste serenità, verde speranza, azzurro armonia, giallo felicità, rosa spiritualità, rosso desiderio, nero tranquillità”.

 

L’uomo sorrise, mentre due lacrime di commozione gli rigavano le gote.

Aveva capito il messaggio racchiuso in quei colori.

Con un gesto istintivo alzò il viso al cielo ed esclamò:

“Grazie!”

 

Di lassù, Isidoro angelo aveva osservato tutto.

Soddisfatto estrasse, da sotto la tunica di luce che lo rivestiva, il foglio di giornale che aveva conservato accuratamente, lo spiegò e per l’ultima volta rilesse quell’annuncio che lo aveva tanto colpito:

“AAA Cercasi colori naturali per dipingere la tela della propria vita.”

 


 

Autonomia

Sembra ieri
eppur 150 anni
son passati
da quando d’Italia
l’unità s’è realizzata.
E dopo 150 anni
di un’Italia unita
pensavo
fosse venuto il tempo
che ogni Provincia autonoma
e Regione speciale
venisse abolita
e ogni cittadino
con orgoglio
si riconoscesse italiano
e come tale
ad ogni altro italiano uguale.
Invece,
a pensarci bene
è strano,
mentre sempre più
si parla
di Stato sovrano
contrapposto
a un’Europa unita,
un’Europa
che in concreto
è sempre più disunita
e dove soltanto l’egoismo
regna sovrano,
in Italia
vale ancora
quello che insegna
l’Inno nazionale
nella parte
che non vien cantata
e forse per questo
s’è dimenticata:
“Noi fummo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam popolo
perché siam divisi”.
E ancor oggi
anziché preoccuparci
dell’unità della Nazione
pretendiamo l’autonomia
di ogni singola Regione.

 


 

Bullismo

Non tu,
che sei la vittima,
ti devi vergognare,
ma quelli,
coi lor soprusi,
che ti stanno
a tormentare
e quelli che sanno,
ma a denunciar
non vanno.
Si credon
d’esser forti
perché quando sono in gruppo
stanno a prevaricare
e solo allora
hanno il coraggio
per commettere
i loro torti.
Son solo dei vigliacchi,
sottosviluppati culturalmente,
e come tali
non valgono proprio niente
e anziché da ammirare
son solo da disprezzare.
Tu, invece,
con dignità e fermezza,
alza la tua testa
denuncia i lor misfatti
e a tutti manifesta
che il bullismo
non va temuto,
ma come ogni altro male
va sempre combattuto.

 


 

Ci vuole così poco

Ci vuole così poco
a volere bene.
Un semplice sorriso,
una mano tesa,
un gesto amico,
uno sguardo d’intesa.
Una parola buona
detta al momento giusto.
Un silenzio che
possa saper dire
“Io ti sto vicino”.
A volte un regalino
per dire “T’ho pensato!”.
Un “Grazie” ed uno “Scusa”
a chi non se l’aspetta.
Ci vuole così poco
a volere bene.
Due braccia sempre aperte
ad accogliere chi le cerca.
Tentare di capire
senza la presunzione
di non poter sbagliare.
E quando questo accade
provare e riprovare
sperando di riuscire
nel tempo che ci è dato
e che nessuno sa.
Ci vuole così poco
a volere bene.
Guardare con gli occhi
ma vedere con il cuore.
E quando la tristezza
oscura un poco il cielo
bastano due parole
per ricordare che
oltre le nuvole
risplende sempre il sole.
Ci vuole così poco
a volere bene.

 


 

Cittadino del mondo

Oggi, che sempre più
si parla di globalizzazione.
Oggi, che l’economia di mercato
ha assunto dimensioni mondiali,
sospinta dalla rivoluzione
nelle tecniche della produzione,
della comunicazione e dell’informazione.
Oggi, che il mondo
tende irresistibilmente all’unità,
stranamente sempre più
si parla di autonomia e sovranità.
All’interno delle singole Nazioni
chiedono autonomia molte Regioni,
mentre la Nazione stessa
che dice di volersi
costituire in Comunità
fa di tutto per mantenere
la propria sovranità
e aderisce solo agli accordi
che gli conviene,
mentre per gli altri
tutt’al più si astiene.
Se poi uno straniero
in quel Paese vuole entrare
allora si fa del tutto
per poterlo allontanare
perché si dice
di altra razza
e di altra religione.
Di fronte a tutto questo
io non condivido
e non mi ci confondo
e di certo non calcolo
nemmen se mi conviene
perché la mia religione è agire bene
e il mio Paese è il Mondo.

 


 

Comunione

Ti rendo grazie, Signore,
perché entri in me
non solo fisicamente,
ma nel mio cuore
e nella mia mente
e così possa il mio corpo
diventare il Tuo tabernacolo
dove io Ti custodisco
cercando di esserne degno.
Ti ringrazio, Signore,
per ogni istante del Tuo Amore
che sempre mi accompagna
e mi sostiene
durante la giornata
e non dimentico
che sei Tu
che con la vita
me l’hai donata.
Aiutami a portarTi
in me con serena fiducia,
ad essere testimonianza
della Tua Pace,
sorgente di Misericordia,
e illumina il mio cammino
perché io possa essere conforto
a chi mi sta vicino.

 


 

Cultura

Ogni persona ha la propria
a livello individuale
ed anche ogni popolo
si differenzia a livello sociale.
Per fare un esempio
che potrebbe sembrare,
ma non lo è, un po’ banale
in alcuni Paesi c’è la cultura
del rispetto della coda
e allora si vede
una lunga fila che si snoda,
ma nessun che cerca di approfittare
e la precedenza su chi sta prima
prova a scavalcare.
Da noi in Italia purtroppo
della fila non c’è alcun rispetto
e manca soltanto che
per passare prima
ci si faccia sgambetto.
Forse sarà perché qui da noi
non solo della coda,
ma in generale
ormai manca proprio
la “cultura del rispetto”.

 

Nel vocabolario:

cultura [cul-tù-ra] s.f.

1 - Insieme di conoscenze che concorrono a formare la personalità e ad affinare le capacità ragionative di un individuo; nel linguaggio corrente, insieme di approfondite nozioni: una persona di grande c.

2 – Insieme delle conoscenze letterarie, scientifiche, artistiche e delle istituzioni sociali e politiche proprie di un intero popolo, o di una sua componente sociale, in un dato momento storico. Sinonimo = civiltà: c. greca; la c. borghese dell’Ottocento || c. orale, il sapere trasmesso a voce.

3 - antropologico. L’insieme delle credenze, tradizioni, norme sociali, conoscenze pratiche, prodotti, propri di un popolo in un determinato periodo storico: c. patriarcale; c. industriale || c. di massa, insieme di nozioni, valori e modelli di comportamento indotti dai mass media | c. materiale, gli oggetti, i manufatti, gli attrezzi di una data popolazione.

 


 

Diverso

Diverso il nome
che gli diamo,
diverso il giorno
che gli dedichiamo,
diverso il modo
di pregare,
diverso tutto…
eppure quando preghiamo
e tu ti preghi il tuo
e io mi prego il mio,
poiché è l’Unico,
preghiamo entrambi
lo stesso Dio.

 


 

Il mio battesimo

Ecco,
nella mia fragilità
io mi affido a Voi,
Padre, Figlio e Spirito Santo,
e mi faccio figlio Vostro,
come già lo sono
mamma e papà,
il padrino e la madrina.
Ora voi
aiutatemi a crescere
nella fede
e in un mondo migliore
dove Dio
guidi i miei passi
e il vostro esempio
possa mostrarmi
che è possibile vivere
nella Disponibilità,
nella Giustizia,
nella Misericordia,
nella Pace,
nel Perdono,
nella Speranza,
nell’Amore.

 


 

Il nome di Dio

Dio è unico
ed è l’unico che c’è.
Unico anche quando
decide di farsi
addirittura in tre
per non lasciarci soli
ed esserci sempre accanto:
Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ma allora
il nome di Dio qual è?
Chi lo chiama
Dio, Geova, Allah o Jahvè.
“Quello vero, il più grande,
è come lo chiamo io!”
Ma se è unico,
e su questo
dubbio non ce n’è,
cosa importa
come lo chiamo io
o come lo chiami te.
“Sì, ma per poterlo pregare
in luoghi sacri
ti devi trovare
e verso una certa direzione
ti devi orientare.”
Ma se Dio è ovunque,
in ogni luogo,
dovunque ti trovi
e in qualsiasi modo
tu sia rivolto
Egli ti parla
e ti da ascolto.
E allora
questo Dio unico
è di tutti
e perciò
è comunque nostro
qualunque sia
il nome che Gli diamo
e il modo
in cui Lo amiamo.
Ecco perché
dal profondo del mio cuore,
non un nome io cerco,
ma un Dio
di Giustizia, Carità,
Pace, Misericordia
e Amore.

 


 

Il prato verde

C’è un prato verde
sotto un cielo azzurro.
Un bimbo corre
con il suo aquilone
che variopinto
alto se ne va.
Il bimbo corre
incontro al suo futuro,
ma di questo certo
nozione non ne ha.
Si libra alto
anche il mio pensiero
che però
all’incontrario va
e torna a ricordare
quel passato
che è per tutti
frutto dell’età.
Or che m’avvicino
sempre più alla meta
rivivo dei momenti
che il ricordo
sembrava avesse spenti.
Volti di persone amate
con cui ho trascorso
splendide giornate,
immagini di tutta
la mia vita
nell’attesa
ch’essa sia finita.
C’è un prato verde
che s’allontana sempre più,
c’è un cielo azzurro
che m’attende lassù.