Silvana Guzzo - Poesie

Un fiore

 

Una piccola lingua di fuoco

emerge dal cemento.

Una gocciolina di rugiada,

un lamento, un canto

annunciano al sole di essere un fiorellino

che mala sorte il seme ha portato

in un posto desolato


 

Il pastorello

 

Dodici pecorelle, un agnellino,

un pastorello, un campanellino.

Camminar, camminar senza fretta:

ecco la vallata, la casa lo aspetta.

Una casa povera ma bella,

uno scintillar di stelle,

l’umiltà del povero focolare,

un’umiltà senza colore.

Una giornata è passata,

con essa la primavera è arrivata:

il pastorello è contento:

è finito il gran vento


 

Uomo

 

Le tue mani sono indefinite

legate al mio ricordo

che ora ritorna, ora svanisce.

Il tuo sorriso è dolce

nel mio ricordo

e amaro perché non lo vedrò più.

La nostalgia strugge

i miei pensieri e sempre di più

varco la soglia della tristezza.

Uomo,

tu che hai il potere

di farmi ridere, di farmi piangere,

hai portato un po’ di gioia

in questa mia vita vuota

sulle soglie del baratro della morte.

Questo baratro che mi accoglie

ora che tu non esisti più,

non mi tocchi più,

ed io devo inventare nella mia mente

qualcosa che possa prendere il tuo posto.

E ora sono qua

A guardarti mentre non ti vedo.

Ad ascoltarti mentre non ti sento,

A parlarti mentre

Mi accorgo di parlare solo con me stessa.


 

L’inverno

 

I vetri appannati dalla nebbia,

il fuoco che scoppietta,

il vento soffia forte

portando via una foglia morta.

Era stata giovane anch’essa,

era stata il bene di una pianta,

era giovane e rideva,

adesso canta.

Canta una canzone dolce e melanconica

tra il gelo ed il fischio del vento:

è la vita, è l’inverno.


 

Amare è

 

Amare è

battere il cuore quando sono con te.

Amare è

sentirsi stringere il cuore

quando un’altra è con te.

Sogno e risogno

e di te ho bisogno.

Amore dolce ricordo,

ricordo di te.

La vita scorre

e la strada maestra percorre

Per strada ho incontrato te

e non so dove vado e perchè.

Sogno e risogno

e di te ho bisogno

di una dolce parola di amore

che alla vita mia dà colore.

Colore rosso vermiglio

e davanti a te mi sento un giglio.

Sogno e risogno

e ho bisogno di te

che sei l’uomo più buono che c’è.

Rammento la tua voce persa nel vento

ricordo il tuo dolce viso

e il tuo eterno sorriso.

Sogno e risogno

e di te ho bisogno:

il mio amore ti faccio capire a gesti

sembra vero ma tu non esisti.


 

 

Parole alla rinfusa

 

Perle, pelle,

selle, belle

siete voi le gran donzelle.

Pirle, pille,

sille, bille

io con voi faccio scintille.

Porle, polle,

solle,bolle

i fiori senza di voi non han corolle.

Purle, pulle,

sulle, bulle,

le foglie del gelso sono brulle.

Parle, palle,

salle, balle,

questo è vero: ciò che ho scritto sono tutte balle.

Parole alla rinfusa per voi ho studiato:

questa poesia è priva di significato.


 

Immagini

 

Uno specchio di acqua stagnante

riflette il mio viso piangente

e con nostalgia ricordo te

che nello specchio d’acqua non sei più con me.

Nell’acqua butto una pietra

per annullare la mia immagine tetra

e penso a te lontano

che un’altra, ora, tieni per mano.


 

Ho bisogno di te

 

Ho bisogno di te come il pane:

senza di te cosa rimane …

ma tu di me non hai bisogno

ed è qui che svanisce il mio sogno.

Per tanti giorni mi sono illusa

ed ora sono qui amareggiata e delusa.

Mai gli occhi miei vedrai di pianto:

di me ti rimarrà solo il rimpianto di una ragazza che hai perduta

senza averla mai avuta.


 

Cara mamma

 

Cara mamma,

non è molto che sono partita e già sento nostalgia di te e di quei luoghi che mi furono cari durante la mia infanzia. La prossima volta che mi scrivi raccontami di Maria, di Gina, di come stanno e se hanno cambiato casa. Dimmi se avete fatto riparare lo scaldabagno. E qualcuno dei miei amici mi ha cercata, è venuto a chiedere di me? Mi sono persa qualche festa?  Sai, mi ricordo di quando dovevo fare i lavori di casa e i scocciava e lasciavo che tu facessi tutto per te; ora devo arrangiarmi da sola, non ho nessuno con cui parlare e questa terra straniera mi sembra così lontana dal mio mondo che quasi quasi me ne ritornerei là in Calabria. Ma qui ora sto bene. Le strade, le case del mio paese le rammento tutte, forse i miei ricordi sono un po’ offuscati, ma pur sempre vivi nel mio cuore e nella mia mente, E papà come sta? La prossima volta che mi scrivi spero che avrà comprato gli occhiali. E raccontami dei miei fiori, raccontami se le foglie degli alberi sono verdi o ingiallite Solo ora mi ricordo che per la fretta di partire ho lasciato il letto sfatto, chissà se lo hai rifatto … E i  miei libri saranno tutti pieni di polvere. Non li bruciare!!! Lasciali là dove sono: forse ti aiuteranno a ricordarmi. E il tuo viso sarà tutto pieno di rughe; le tue mani sempre nell’acqua saranno vecchie e stanche. Ricordati di spegnere la luce quando ti corichi e di spegnere lo scaldabagno (se lo avete aggiustato) potrebbe scoppiare se non stai attenta. Ah! Un’altra cosa: cambia le lenzuola al letto degli ospiti. Potrebbe venire a dormire Donatella o Liliana; già, mi scordavo, se non ci sono io le mie amiche che ci vengono a fare a casa nostra? Quanti ricordi insieme a loro, quante bugie ti h detto per potermi incontrare non con loro ma con il mio ragazzo. Cerca di non piangere così io potrò essere più contenta. Ma chi se ne frega di questo posto, ma poi che ci sto a fare qua se il mio cuore è rimasto lì con te. Aspetta mamma, sto facendo le valigie, ci metto le mie poche cose e torno a casa.


 

Vita scolastica sotto i banchi

 

Fra trent’anni quando avrò raggiunto i miei obiettivi mi ricorderò senz’altro dei begli anni trascorsi dietro ai banchi. Mi vengono in mente i volti sbiaditi dal tempo dei miei compagni e dei professori, i momenti belli e i momenti brutti che hanno caratterizzato gli anni migliori della mia vita. Forse incontrerò un vecchietto  per la strada e non riconoscerò in lui il mio professore di tecnica microbiologica, oppure una vecchietta col bastone e non riconoscerò in lei la mia professoressa d’italiano. Quella professoressa d’italiano a cui ora facciamo tanti dispetti, la critichiamo se si trucca male e la odiamo se ci fa studiare Foscolo o Leopardi. E i compagni, poi: amici, rivali e complici di tante giornate passate seduti su di una sedia rotta in una classe in cui ci piove. La solidarietà e l’amicizia che ci lega è molto forte: quando non sappiamo fare il compito d’inglese o di matematica ci aiutiamo a vicenda, chi scopiazza da una parte chi dall’altra e anche i banchi diventano complici di questo complotto contro i professori. Quante volte, mentre i professori spiegano, tra compagni di banco giochiamo a battaglia navale. E cerchiamo tutte le scuse possibili per non fare lezione oppure per uscire dalla classe a combinare qualche guaio e a stuzzicare qualche bidello. Se un professore ha i capelli in disordine o se, per disgrazia, cade noi subito scoppiamo in una risata fragorosa senza preoccuparci minimamente di lui perché per una volta è stato lui a fare la figura ridicola. E poi c’è naturalmente il panino; mangiamo a tutte le ore. La professoressa di matematica spiega i radicali, pausa, tutti zitti, si sente solo il grido del povero panino che dice: “aiuto, mi stanno mangiando”. Dopo aver finito, naturalmente rimane la carta in cui era avvolto il povero panino e noi “paff” facciamo canestro nel cestino dei rifiuti, ma la nostra mira non è mai perfetta e quindi le cartacce vanno tutte a finire per terra. E chi le raccoglie? Il bidello …  Naturalmente in ogni classe che si rispetti c’è sempre il più bravo della classe e il più asino: tutti e due seduti all’ultimo banco: l’uno per passare la copia, l’altro per copiare. Il povero professore che sta al di là della cattedra quante ne deve sopportare. I nostri sbalzi d’umore, i nostri litigi con i fidanzati e la nostra eterna voglia di non fare nulla. Loro ce la mettono tutta ma, poveretti, cosa possono fare contro venti belzebù come noi? C’è sempre il professore che dice: “dopo che sono uscito, mi raccomando, ragazzi, non fate il minimo rumore”. E noi ci comportiamo da angioletti: sedie che cadono, foglietti di carta a mo’ di aeroplani che svolazzano sulle nostre teste ed il cancellino della lavagna che va a finire nella spazzatura. Ma non appena si sentono i passi del professore tutto ritorna alla normalità e lui pensa che siamo i migliori alunni del mondo. Mah! Valli a capire i professori! Arriva così il giorno del’interrogazione: visi tesi e seri di persone che sanno il fatto loro e il cuore che batte a cento all’ora, il professore chiama l’interrogato (che non è più vivo ma nel frattempo ha avuto un collasso) e con le gambe tremanti si avvicina alla cattedra, recita la canzoncina e il professore gli dice: bravo, stavolta ti metto sei, se la prossima volta vai meglio ti metto quattro”. Non vi dico la nostra gioia quando uno dei professori è assente: ci mettiamo a ballare sui banchi la danza della pioggia e a giocare a carte. Si a carte!!! Come fanno i vecchietti che non hanno niente da fare e si fanno la partitina al bar, ma noi non giochiamo a soldi, i sodi ci servono per comprare gli adesivi dei puffi per “impacchiarceli” sul diario. Ah! Dimenticavo la cosa più importante: la nostra passeggiata al bagno. Questa cosa coincide solitamente con la parola “interrogazione”. Vecchio trucco in cui professori cadono sempre. Oh!!! Come siamo furbi … e come siamo furbi quando dobbiamo giustificarci per non aver fatto i compiti: “scusate, professore, ma il mio gatto si è sentito male, sapete aveva inghiottito il mio quaderno di chimica e non ho potuto studiare, ma la prossima volta se mi ricordo lo farò”.

La cosa più buffa è che in qualsiasi momento della mattinata continuiamo a masticare chewing-gum che dopo appiccichiamo sotto il banco: facciamo la collezione! E per finire, ricordo naturalmente il professore disegnato sul banco con la lingua di fuori e il naso a patata non molto somigliante, eh!!! perché altrimenti sarebbero guai. Suona la campanella: un continuo rovesciare di sedie, gli alunni che vogliono uscire dalla porta tutti in una volta ed il professore che viene coinvolto in una spinta generale fra le gomitate, poco ci manca che non ci rompiamo l’osso del collo cadendo dalle scale. E finalmente fuori dal carcere, lontano dai banchi e dalla lavagna, rischiando di finire sotto le macchine e subito correre a prendere l’autobus. Addio scuola, ciao, ciao a domani.