Silvia De Filippi - Poesie e Racconti

LA PRIVACY NEGATA

 

L’avvento della tecnologia, in tutti i campi.

Grandi scoperte, grandi cambiamenti, grandi conquiste.

Alcune hanno migliorato la nostra vita, 

regalato speranze e conoscenze in più. 

Altre l’hanno distrutta, credo.

È l’era di quella tecnologia che ha perfino spazzato via valori e dignità,

che ha messo alla mercé di tutti anche i segreti più intimi di ognuno.

I sentimenti più profondi.

È l’era della velocità, del tutto e subito.

Istantaneo.

È morta l’attesa, quella che fa battere il cuore,

come l’emozione di una lettera nella cassetta della posta.

Con un click è tutto a portata di mano,

e non sempre modernità è sinonimo di evoluzione.

Talvolta nel progresso c’è involuzione.

È l’era dei social,

degli smartphone sempre tra le mani.

Occhi bassi sugli schermi e menti dissociate dal mondo, quello reale.

Telefono a portata di mano anche quando si sta in compagnia,

strumento che alimenta distanze e crea silenzi.

Se ne fa un uso spasmodico e patologico,

per noia, per esaltazione, 

perché è più facile nascondersi dietro una tastiera che mostrarsi per quel che si è.

Abbiamo a disposizione un’infinità di raffinate e tecnologiche applicazioni,

per non parlare poi delle emoticon, fiumi di faccine a portata di un click,

a cui ognuno dà un senso, un’interpretazione.

Ci tocca anche ragionare sul loro significato.

e quanti fraintendimenti, equivoci, 

senza una voce, un suono che scandisca e chiarisca i concetti.

Nel nostro cellulare abbiamo messo tutto:

segreti, sogni, speranze.

Ne abbiamo più sul cellulare che nel cuore.

Siamo tutti esasperati, 

controllati e controllori di ultimi accessi, 

di “Letto” ma “Non risponde”.

E poi la mode dei social, 

le consuete abitudini di massa.

Amanti e amici che per un nonnulla “si bloccano”, così si dice in gergo.

Oggi sono con te, domani non ti parlo più.

Cala il silenzio su quel profilo bannato.

Litigi, incomprensioni, su amici, foto, stati e orari,

telefoni che squillano troppo, o in modalità silenziosa.

Non abbiamo più un minuto di privacy.

Sanno sempre tutti dove siamo e cosa facciamo,

e se non rispondiamo dobbiamo anche delle spiegazioni.

Folli, tutti folli.

Abbiamo distrutto il nostro privato,

e non ce ne accorgiamo, perché questa è la normalità.

Ci si accoda al gregge, sempre.

Ho assistito a scene raggelanti,

che bel cliché chiedere il numero di telefono a una persona che ti piace.

No, oggi no.

Oggi ti chiedono il contatto su Facebook o quello su Instagram.

Rimasi sempre lontana dai social,

non mi interessavano,

mi facevano tanta tristezza,

e peraltro credevo di non avere tempo da dedicargli.

Poi sono stata convinta all’iscrizione,

ma con la sola necessità di promuovere le mie creazioni artigianali.

Sono in incognito, senza il mio cognome, perché non voglio essere disturbata, se non per mia scelta.

Ne vedo tante, troppe, e mi capita di provare rabbia e indignazione, oltre che amarezza,

la rabbia di constatare quanta intimità è messa alla mercé di tutti.

Di tutti chi, poi?

Chi sono quei duemila contatti che hai sul profilo?

Com’è possibile parlare d’amore, di morte, di figli su una piattaforma così vasta, dispersiva e sconosciuta?

E dei tuoi duemila contatti, quante persone conosci? 

E a chi interessa dei progressi che ogni giorno fa tuo figlio?

E perché ti interessa condividerli?

La condivisione è una cosa seria e importante, non roba da social.

Come è stato possibile ridurci così?

Impegnati a informare, non si sa chi, dei nostri più intimi pensieri e delle nostre più preziose esperienze.

I sentimenti sono una cosa seria. 

La vita, come la morte, lo è.

Sembra che tanti se ne siano dimenticati.

E poi foto, mille foto, le più disparate.

Rimango senza parole.

Sono la persona meno social del mondo,

non so neanche cosa sia una storia su Instagram,

ma in questo spazio volevo condividere con voi questo mio pensiero.

Spero che un giorno si sveglino un po’ di coscienze e ritornino di moda la discrezione, la riservatezza e la decenza.

Il rispetto per noi stessi e per ciò che siamo e facciamo.

Spero che ai sentimenti sia dato un valore così importante da tenerli stretti nel cuore,

e che le esperienze intime di ognuno rimangano nel suo cuore e nel cuore di quelle poche persone degne di custodire parti di lui.

Spero che un giorno sopravvenga una battuta d’arresto e che si inizi a fare un uso intelligente di questa modernità che tanto ci ha dato, 

ma molto altro ci ha tolto.

A volte la vita mi appare come un grande palcoscenico dove tutti si sentono in dovere di dare spettacolo.

Spero ci sia un ritorno alla semplicità e all’autenticità, 

un ritorno alla vita, quel dono prezioso che si chiama vita.

Quella dove si deve avere il coraggio di essere e non di apparire.

E spero che la nostra privacy sia rispettata, onorata, 

e non più calpestata e negata.


 

 

IL CORPO TEMPIO DELL’ANIMA

Viviamo in occidente.

Siamo circondati da un milione di specialisti che curano all’occorrenza ogni pezzettino del nostro corpo, frammentandolo e concentrando l’attenzione sul particolare e mai sul tutto.

Siamo cresciuti con una cultura che non ci ha insegnato che è importante anche quel che non si vede,

l’energia, le emozioni, le connessioni tra anima, mente e corpo.

La salute, quando c’è, la diamo per scontata,

e diamo per scontati processi, movimenti e funzioni,

ma finché tutto funziona, non gli prestiamo mai attenzione.

La salute è un dato acquisito e il corpo sembra altro da noi.

Il nostro organismo è una macchina complessa, che funziona silenziosamente finché qualcosa non va e ci manda un segnale.

A quel punto la malattia ci costringe a dare un significato ai segnali che il corpo ci invia.

Una malattia o un dolore ci obbligano a fermarci e a comprendere,

il copro grida quello che la bocca tace,

per questo è necessario prestare attenzione a sintomi e disagi.

È un complesso groviglio di significati, reazioni chimiche, biologiche ed emozionali.

Quando insorge una malattia corriamo ai ripari per curarla.

Non sempre facili le diagnosi,

non sempre adatte le terapie.

Punti di vista diversi propongono piani di cura diversi, talvolta senza risultati.

Credo che sia molto importante la relazione di fiducia che instauriamo col medico e credo sia altrettanto importante che le cure che ci consigliano ci piacciano.

Ho grande rispetto e riconoscenza per la medicina tradizionale, ma credo che in occidente si abbia una visione un po’ troppo restrittiva del concetto di salute.

Credo che ci sia una propensione esasperata a soffocare la causa, curando il sintomo.

Credo fermamente che il corpo abbia tutte le risorse per innescare processi di autoguarigione,

e credo anche che questi abbiano bisogno di essere accompagnati e sostenuti da cure, farmaci, tecniche e soluzioni di diversa natura.

La mente comunica attraverso parole, immagini, pensieri,

il corpo ha un solo modo di comunicarci che qualcosa in noi non va, 

e lo fa attraverso il dolore o altri sintomi.

 La mente e il corpo si influenzano reciprocamente.

Ciò che va male nel corpo si riflette sulla mente e ciò che va male nella mente si riflette anche sul corpo.

È un concetto complesso e un percorso tortuoso ma vale la pena affrontarlo e contattare parti profonde di noi stessi.
Per decifrare il messaggio dei sintomi, dobbiamo porci due domande: «Qual è la sua origine?» e «Qual è il suo scopo?» 

Voglio dire, senza rischiare di cadere in una incomprensibile cultura new age, che il nostro corpo è sacro e troppo spesso ce ne dimentichiamo.

Voglio dire che spesso non gli prestiamo la giusta attenzione né tanto meno lo rispettiamo,

dando per scontato che debba soddisfare ogni nostra esigenza,

dimenticando i suoi limiti e suoi bisogni.

Credo che spesso ci spingiamo oltre le nostre possibilità in un tumulto di affanni e impegni che mettono a dura prova il nostro meraviglioso corpo,

per poi stupirci se questa meravigliosa macchina inizia a cedere.

Credo che ognuno debba trovare la propria strada per cercare di stare bene, per superare difficoltà e sofferenze facendo i conti con la sua storia, le sue caratteristiche e le sua realtà.

Esorto le persone a chiedere aiuto e a riflettere su quella indomita volontà di comprendere e cambiare pensieri e abitudini,

prendendosi cura di sé stessi,

perché talvolta è più facile rimanere nel dolore che assumersi la responsabilità di stare bene.

Si dice: «Quando c’è la salute c’è tutto.»

Giammai ho intenzione di sminuire difficoltà di altra natura, ma per esperienza personale posso di certo confermare che con la salute si affronta meglio tutto,

senz’altro con una minor dose di fatica.

Posso dire che vivere con continue difficoltà del corpo rende tutto estremamente più pesante e sfiancante,

e i meccanismi che si insinuano nella mente, paure comprese, sono molto dolorosi.

Impari che sfidare il corpo continuamente è come lanciare con forza un boomerang, che prima o poi ti torna indietro, travolgendoti completamente.

Impari che rallentare e rispettarlo è l’unica soluzione che hai a disposizione.

Non è facile accettare limiti e difficoltà, perché vorresti vivere con tanta più leggerezza e meno zavorre,

ma poi comprendi che ognuno ha le sue prove da superare su questa terra,

e tu hai anche questa.

Ribalti la prospettiva e provi ad accettare la realtà. Imparando così ciò che questa sofferenza vuole insegnarti.

Sei sempre un po’, arrabbiato ma riponi fiducia in te stesso e nelle tue capacità. 

Dal dolore abbiamo sempre da imparare,

e, nonostante la grande sofferenza, ci sono due cose da fare: chiedere scusa al proprio corpo per averlo spinto fino allo stremo nonostante le sue numerose difficoltà e ringraziarlo per aver ceduto in alcuni momenti e averci dato la possibilità di inciampare, fermarci, comprendere e rinascere.

Rispetta il tuo corpo e trattalo con cura,

è l’unico che hai.

Il corpo è il tempio dell’anima.


 

 

AL FIGLIO CHE VORREI

Ti sei affacciato, per poche ore,

poi sei tornato nel mondo lassù insieme alle altre anime.

Mi avevi scelto come la tua mamma e questo mi ha immensamente emozionata, e onorata.

 Già, perché scegliamo i genitori con i quali vivere la nostra vita terrena.

Sconosciute le cause del tuo andar via, mediche o spirituali, non so.

Forse un giorno, vicino o lontano, tornerai da me.

Credo nelle infinite possibilità del corpo, tempio sacro dell’anima.

Non farò alcuna forzatura, nessun accanimento, solo i passi giusti, essenziali.

Null’altro, per scelta.

Quando penso a te immagino a come potresti essere,

quale meraviglioso essere umano sarai,

che cuore avrai.

Quali sentimenti e quali sogni,

quali attitudini, vocazioni e quali speranze,

quali paure e quanto coraggio,

quali gioie e quali delusioni,

quali e quante conquiste,

e come potrebbe essere sulla terra il tuo cammino.

Penso che servano delle radici profonde e salde 

e un amore incondizionato per crescere sereni.

Credo che occorra una buona dose di autorevolezza e una buona manciata di regole da rispettare, punti importanti di riferimento per te.

Penso, quindi, alla madre che potrei e vorrei essere.

Credo che non ci sia un manuale da studiare per essere un bravo genitore, però credo che in nulla ci si improvvisi.

Questo per dire che si può insegnare, trasmettere e amare per come già si è,

per ciò che già abbiamo in noi.

Non ci si improvvisa in qualcuno che non siamo.

Credo che con un figlio, che è un altro essere umano, sia facile sbagliare, forse anche facile rimediare, chissà.

Senz’altro serve la capacità di mettersi in discussione e anche quella di indossare i panni dell’altro. Il coraggio di approfondire e la pazienza di veder germogliare i frutti.

Quando penso a te, nella testa girano altri mille pensieri,

errori che mi riprometto di non commettere e idee giuste da mettere in atto.

Spero di riuscirci.

Credo sia essenziale insegnare una buona educazione e buone maniere e credo che il modo migliore per farlo sia l’esempio. 

I bambini apprendono in fretta,

sono degli acuti osservatori.

Credo nella forza delle parole che possono ferire o lenire il cuore e i pensieri.

Contano sempre i fatti, nella vita, ma la forza che porta con sé la parola non bisogna mai dimenticarla.

Per questo è necessario farne un buon uso.

In fondo diventiamo ciò che crediamo di essere.

Ecco, spero di riuscire a far sì che tu possa sempre credere in te stesso, nella gioia e nelle avversità della vita,

augurandomi di non dimenticare mai quanto sia importante incoraggiare un figlio.

Spero di essere una mamma che, anche nei tuoi momenti bui, riesca a farti scorgere un raggio di luce, per ricordarti che puoi farcela,

perché quando crediamo nelle nostre possibilità, affrontiamo tutto meglio, anche e soprattutto il dolore.

Spero di riuscire ogni giorno ad accarezzarti il cuore e a baciare teneramente la tua anima.

Spero di essere abbastanza brava per donarti radici per rimanere e ali forti per volare, perché arriverà il giorno in cui lascerai il nido e spiccherai il volo.

Ti terrò vicino a me in tutto quel che sono e faccio e ti farò conoscere le mie passioni, aspettando il giorno in cui mi farai conoscere e amare le tue.

Spero che avrai una vita piena di opportunità e che avrai salite da affrontare,

perché l’equilibrio e la serenità si raggiungono dopo aver conosciuto e fronteggiato difficoltà e squilibri. Dopo aver percorso strade impervie.

Ecco, ti auguro di avere la forza, la tenacia e la determinazione per attraversare anche le tempeste,

perché quando conquisterai il sereno, questo sarà granitico e autentico, senza orpelli.

Ti auguro di avere la sensibilità e la curiosità di interrogarti sul senso delle cose e della vita. 

Ti auguro di avere chiarezza di visione e la forza di scegliere ciò che è meglio per te,

 di avere una dose massiccia di coraggio e di umiltà. 

Di avere, un giorno, il coraggio di guardarti allo specchio, spogliato, per comprendere davvero chi sei, e magari fare pace con quelle parti di te con le quali sei in guerra.

Spero di riuscire ad amarti e a comprenderti tanto da non farti mai provare quel terribile senso di solitudine.

Mi auguro che capirai in fretta quanto sia pericolosa l’ignoranza e che tu abbia il desiderio di apprendere e di imparare, sempre.

Mi auguro che avrai amore per la lettura, affinché la tua mente sia sempre allenata e pronta a riflettere,

così che tu possa muovere passi in ogni contesto della vita in cui ti troverai.

A volte penso a quanto sia disonesto, meschino e iniquo il mondo che ti consegnerei,

poi sorrido e mi dico: Per ora sarei io il tuo mondo. E questo mi rasserena.

Credo che i figli meritino sempre la verità e per questo ti mostrerò la mia forza e la mia fragilità.

Ti parlerò di me, di chi ero, della strada in salita che ho percorso per conquistarmi un po’ di serenità e leggerezza, e per rinforzare cuore e pensieri.

Non basterebbero altre mille parole per descrivere ciò che mi passa per la mente pensando a te,

dubbi, paure, speranze e gioie.

Solo una cosa posso dirti: 

se un giorno vorrai, io sarò qui ad accoglierti con tutto l’amore che ho.


 

 

L’ABITO FA IL MONACO

Come disse saggiamente Oscar Wilde: «Non hai mai una seconda occasione per dare una prima buona impressione.»

Sono d’accordo.

In una società dove imperversano, spesso, abitudini malsane, valori fragili e priorità confuse.

Dove si è sotterrato il buon gusto assieme al buon senso.

Una terribile confusione tra la decenza e l’indecenza.

Una rivoluzione di mode e di modi. 

Una società liquida dove tutto cambia velocemente.

Viviamo in un’epoca dove le cose superflue sono diventate le uniche necessarie,

dove vince la noia per ogni cosa.

Gli entusiasmi hanno vita breve.

L’essere e il cuore vanno poco di moda.

Tutti terribilmente concentrati sull’avere e sull’apparire.

Sento persone dichiarare orgogliosamente di indossare scarpe pagate la metà del loro stipendio.

L’identificazione è con ciò che si ha,

non più con ciò che si è.

Sono divorati dal consumismo, l’immagine è diventata la nuova ossessione.

Credo che se le persone si impegnassero a difendere l’essenza con la stessa forza con la quale salvaguardano l’apparenza, sarebbe senza dubbio un mondo migliore.

Persone piene, strapiene di nulla.

Anche le rughe non vanno più di moda, 

quelle rughe che meravigliosamente tracciano i vissuti e che ci parlano di noi, segni del tempo che passa, che passa per tutti.

Nascoste con ricercatezza da ritocchi chirurgici e da filler di ogni genere,

a tutte le età.

Si inizia presto a guardarsi allo specchio e a credere che per essere felici sia necessario modificare lineamenti e caratteristiche.

Provo infinita tristezza.

Vedo tanti volti uguali, omologati,

invecchiati, più che ringiovaniti.

Donne mascherate, più che ben truccate.

E sono davvero più felici?

La felicità viene dal cuore, non da un filler, credo.

E poi, le giovani, giovanissime,

che vagano per il mondo travestite da piccole donne,

senza più alcun limite, ritegno 

e invece tanta volgarità.

Senza più regole da infrangere,

perché di regole non ne hanno.

Senza più rispetto per l’autorità, i genitori, gli insegnanti.

Si stanno estinguendo i valori 

un tempo, forse, troppo rigidi, 

ma che crearono esseri umani dignitosi. 

I giovani non conoscono più le gerarchie, il lei, 

il saluto, il rispetto.

Sembrano aver messo tutti sullo stesso piano,

cosa che fa rabbrividire.

Un triste degrado sociale e culturale.

Giovani con la stessa mania dell’apparire; e male, aggiungo.

Trasportati in un mondo di ideali fugaci,

fuori tempo, fuori luogo. 

 Così lontani dalla concretezza e dalla conoscenza.

Ossessionati da quel che sembra,

ma che realmente non è.

Vedo spesso giovani e adulti così sgarbati, maleducati, sguaiati, da raggelare.

A cui il valore della cultura e delle buone maniere è completamente sconosciuto.

Mi hanno insegnato che l’educazione è importante.

Sapersi comportare è importante, 

saper parlare e sapersi esprimere lo è.

Che la cultura conta,

e che le buone maniere fanno la differenza.

Che ciò che sei e come ti presenti al mondo, può aprire o chiudere delle porte.

È vero.

Ho imparato che l’umiltà è virtù essenziale per le nostre conquiste,

e vedo spesso, insieme a tanta bruttura, tanta insopportabile prepotenza.

Poi penso che il mondo lì fuori non aspetti nessuno, e che in qualche modo faccia selezione.

E non mi meraviglio di vedere porte chiuse e inaccessibili a costoro, 

credo sia giusto. 

Abbiamo bisogno di ripristinare una sana dose di meritocrazia, facendo morire questa maledetta cultura dell’indifferenziazione e del livellamento,

dei furbi, dei disonesti, degli incolti.

Nulla si ottiene senza sacrificio e senza coraggio,

e questa dovrebbe essere una regola universale dalla quale ognuno dovrebbe cogliere i frutti che merita,

a tutti i livelli.

Il mio augurio è che tra un selfie, un filler, una scarpa all’ultima moda, un bicchiere di vino di troppo e una storia su Instagram, un giorno, tante di queste persone possano svegliarsi e scoprire che la vita è anche molto, molto altro.

Ricordando che esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza.

Senza dubbio sotto una cravatta o un bel tailleur si può celare una brutta persona,

ma non è questo il senso di quanto ho scritto.

È importante presentarsi al mondo con decoro e nobili intenzioni,

e mi sento di dire, a tal proposito: viva gli anni Settanta.

Altre mode, altri stili, altre scoperte,

altre e vere emancipazioni.

Inno all’istruzione, alla cultura, all’intelligenza e alle buone maniere.

L’abito fa il monaco.


 

 

LA MIA CARA AMICA SOLITUDINE

Abbiamo tutti paura della solitudine,

perché forse di lei sappiamo davvero ben poco.

È una di quelle paure ancestrali che ci accompagnano da sempre,

così siamo continuamente in fuga per non incontrarla.

Ci rifugiamo in luoghi angusti pur di non rimanere da soli,

ci tuffiamo in folle disordinate, popolate da sconosciuti,

dove facciamo tanto rumore per nulla pur di fuggire da noi stessi,

fuggire da quel silenzio che tanto ci spaventa.

Ma per sapere chi siamo e di cosa abbiamo davvero bisogno dobbiamo restare da soli.

Perché scappare dalla solitudine significa scappare, in fondo, da se stessi.

Perché la paura di stare soli è la paura di essere e basta

senza orpelli.

Solitudine significa silenzio, coraggio, riflessione, 

verità e responsabilità,

e tanto dolore, aggiungo. Quello da cui fuggiamo.

Significa lasciare fuori tutto ciò che non ci appartiene 

e guardare il mondo dentro di noi,

quel mondo che spesso facciamo tacere e a cui abbiamo messo un’infinità di maschere,

in una ricerca continua e, spesso, inconscia di scuse.

Quel mondo interiore soffocato tutti i giorni dalla routine, dal rumore assordante,

dai passaggi abituali, dai pensieri ordinari, 

dai comportamenti istintivi,

dai copioni scritti molto tempo prima,

dalle bugie che ci raccontiamo, che raccontiamo a terzi, 

che ci facciamo raccontare.

Ma abbiamo bisogno di contattare quel nostro essere che porta con sé ogni verità, ogni paura, 

ogni disagio e ogni sentimento a cui dobbiamo dar voce.

Solo quando siamo soli possiamo rallentare, frenare e fermarci;

possiamo placare la nostra mente, che troppo spesso mente,

e far parlare il cuore.

Lui, se lasciato libero di esprimersi, sa indicarci le vie da percorrere.

Con il suo aiuto possiamo scoprire chi siamo e accettarci,

trasformare la debolezza in forza,

l’insofferenza in pazienza,

l’orgoglio in comprensione,

la presunzione in umiltà,

i dubbi in certezze,

la paura in coraggio,

la confusione in chiarezza

la rabbia in accettazione,

la costrizione in libertà.

Così da dare un senso alla nostra sofferenza, che non è mai fine a se stessa.

Possiamo trovare molte risposte lasciate in silenzio per troppo tempo,

dare significato ai tanti perché dei nostri comportamenti e delle nostre scelte.

La nostra missione è quella di comprendere e mettere in atto il cambiamento,

il nostro cambiamento.

Il silenzio è sacro, 

accoglie, nutre e chiarisce pensieri e contraddizioni.

Il silenzio rigenera mente e corpo.

Ama il silenzio, è il tuo più accogliente rifugio.

Scoprirai che star da solo non è una punizione ma un meraviglioso dono, una irrinunciabile opportunità d’amore.

Respira e fatti coraggio,

Non temere, non sei solo, ma con la migliore delle compagnie. Te stesso.

Ora puoi andare in luoghi solitari colmi di energia e di pace  

e rinunciare ad accontentarti di ciò che non ti appartiene.

Ieri ho parlato con la mia cara amica solitudine e mi ha detto: 

«Sono una tua amica da sempre,

ma per troppo tempo mi hai considerata una nemica.

Sono venuta più volte a cercarti ma tu mi hai respinta.

Sapevo che un giorno saresti tornata e ti ho aspettata,

perché soltanto insieme a me hai potuto scoprire le verità del tuo cuore.

Insieme a me hai abbracciato i tuoi dolori, li hai compresi e alleggerirti.

Hai accettato le tue fragilità, le hai accolte e hai imparato a rispettarle.

Hai pianto liberamente e con disperazione senza sentirti giudicata.

Hai capito che è stata la paura a generare quella rabbia distruttiva,

la stessa paura che ti teneva imprigionata in corde stonate, continuamente in tensione. 

Hai perduto la speranza e le forze, scendendo nell’abisso.

Poi però hai riconosciuto e contattato la tua energia interiore,

e sei risalita.

Ti sussurravo spesso: «Quando diventerà più difficile soffrire che cambiare, allora cambierai»,

perché se non cambi niente, niente può cambiare,

e questo è ciò che hai fatto. Hai scelto il cambiamento.

Insieme a me sei diventata una persona migliore.

Conosco la sofferenza profonda di questo percorso tortuoso,

ma ricorda che le grandi conquiste passano attraverso le grandi sofferenze.

Oggi, mia cara amica, quando mi chiami corro al tuo fianco,

perché insieme sappiamo prenderci cura di te.

E ti prego, ricorda alle persone che incontrerai sul tuo cammino

che sentirsi soli quando si è in compagnia di qualcuno è la peggiore delle solitudini. 

Questa falsa compagnia non nutre alcun cuore e logora, 

ma pochi lo sanno.

La tua cara amica solitudine.


 

 

TUTTO E SUBITO

Ognuno ha la sua storia, il suo bagaglio di esperienze,

un suo mondo interiore ed emozionale,

un modo di relazionarsi a se stesso e alla vita.

Idee, progetti, priorità e ambizioni;

percezioni della realtà e sentimenti.

Credo che ognuno scenda sulla terra con un potenziale, con delle caratteristiche, con un progetto da compiere e da portare a termine.

Qui ci confrontiamo con il libero arbitrio, con le nostre libere scelte,

e davanti a un bivio non abbiamo mai la segnaletica che ci indica 

quale strada prendere.

La scegliamo noi, e questo cambia, 

cambia ogni cosa.

Perché ogni scelta implica delle conseguenze.

Ogni pensiero ne ha, ogni azione ne ha.

Quante volte abbiamo rimuginato con i se e con i ma

eppure a la storia si scrive mentre si vive.

A posteriori possiamo soltanto fermarci a comprendere i significati e scegliendo, se necessario, altre direzioni.

Nuovi sentieri da percorrere.

È certo che strade vecchie non aprano porte nuove,

come è certo che stessi approcci e stesse modalità non producano alcuna trasformazione.

Se vuoi attuare un cambiamento devi essere disposto a fare qualcosa che non hai mai fatto,

sia esso un pensiero, un modo di porsi o un comportamento da mettere in atto.

In questo scenario complesso e mai banale, fa la differenza il tuo modo di essere,

il modo in cui affronti la vita, le sfide, i cambiamenti, i progressi. Le conquiste,

e soprattutto te stesso, il rapporto che hai con te.

Sto imparando che non è mai bianco o nero.

Sto imparando che non c’è un tutto e subito, come la mia frenesia mi suggerisce,

propensione nella quale la mia personalità si tuffa con facilità, impattando spesso contro un muro di frustrazione,

perdendo di vista la bellezza del viaggio, i dettagli, 

la costruzione, l’attesa della conquista, 

e soprattutto la fiducia che le cose arrivino al momento opportuno. 

Non quando vogliamo, ma quando siamo pronti a ottenerle.

La vita mi ha insegnato spesso quanto sia bello e

entusiasmante assaporare le tappe con tenacia e coraggio per poi godere dei risultati.

E tante volte l’ho ringraziata per questo,

ma il tutto e subito è un’attitudine della mente, di quella smania interiore che, per essere alleggerita, ha bisogno che se ne comprendano le cause.

Quando non cogliamo le sfumature, in qualche modo ci intrappoliamo in un luogo angusto e troppo rigido, in apnea. 

Tesi come corde di violino, 

impazienti davanti alle aspettative.

Abbandonando la necessità di voler tutto e subito possiamo sentirci più leggeri, più umani e concederci del tempo,

quel tempo sacro che, nelle sue nobili intenzioni, è sempre dalla nostra parte.

Perché tutto ciò che è importante e complesso richiede impegno e tempo, il tempo della maturazione, come per il frutto dell’albero.

Non possiamo forzare i processi naturali, l’evoluzione delle cose,

perlopiù forzando di aprire con fatica porte che non si aprono,

capendo che, se quella porta non si apre, allora forse non è la porta giusta per noi.

Dobbiamo lasciare che le cose facciano il loro corso,

e questo vale per tutto.

Si tratta di sperimentare altri metodi e approcci diversi, e cercare nuove soluzioni,

richiamandoci alla dote che si chiama pazienza.

La pazienza di saper aspettare, ma non passivamente. Quella è pigrizia,

e talvolta rinuncia.

La pazienza di andare avanti quando il cammino è lento e difficile. 

Ed è proprio nel dolore che la pazienza ci mette a dura prova. 

Il più delle volte l’impazienza rovina i grandi progetti e ci rende confusamente inadeguati davanti alle nostre reali possibilità,

inducendoci ad abbandonare il campo ancor prima di aver sperimentato di essere in grado di raggiungere quel risultato,

sia esso della mente o del cuore.

Perdere la pazienza significa perdere la battaglia.

Vorremmo tutti una bacchetta magica per accorciare i tempi, per non soffrire, per non sentire dolore e per non dover affrontare tormenti,

ma questo non è possibile. 

Non siamo qui per questo.

Tutto è cambiamento, movimento, trasformazione.

Niente è statico,

non lo sono né il dolore né la gioia.

Quando avremo imparato che la pazienza è una virtù da coltivare con coraggio, sarà tutto più leggero.

Abbiate coraggio e pazienza,

le cose migliori vengono da lontano e talvolta tardano a palesarsi,

ma quando lo fanno portano con sé una forza enorme.

Ciò che si conquista con pazienza e tenacia non si perde 

e non si disperde più. 

Voglio che questa riflessione termini con le immense parole di Tommaso Moro: 

«Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere.»


 

 

LA FORZA DI ESSERE SENSIBILI

La sensibilità è una dote, una meravigliosa qualità,

ma ci si impiega molto tempo per scoprirlo.

La persona dotata di profonda sensibilità possiede una ricchezza in più che, se non ben compresa, la espone a grandi sofferenze.

Si interroga sul senso delle cose, non lasciando nulla al caso, cercando significati.

Fa dell’esperienza un maestro da cui imparare,

e degli errori commessi un punto da cui ripartire e proseguire più consapevole.

Si sofferma dove altri sorvolano,

gioisce e soffre davanti a ciò che gli altri spesso ignorano.

Alimenta continuamente la sua anima e i suoi buoni propositi,

rafforzando la sua umanità e la sua spiritualità.

La persona sensibile è spesso incompresa e per questo soffre.

Gli esseri umani sensibili si riconoscono tra loro,

sempre.

È una modernità liquida, questa, come direbbe Bauman, dove tutto sembra avere fragili radici e troppi rami al vento.

Tante esperienze lasciate al caso, incompiute e senza attribuzione di significato,

in cui sembra sempre più arduo riflettere, comprendere e scegliere.

La persona sensibile cerca di affrontare al meglio le avversità e le nuove sfide che la vita mette sul suo cammino,

e non è mai così facile, anche se possiede più strumenti,

anzi, spesso è molto complesso.

Perché quando inciampa e soffre,

vede in maniera fin troppo chiara tutti gli ostacoli che sorgono sul suo sentiero e, al tempo stesso, la grande difficoltà di oltrepassarli.

Ed è proprio in quei momenti che la sensibilità si confonde con la fragilità. 

Perché in realtà è così che ci si sente: fragili e sofferenti.

Ti senti inadeguato,

ti ci senti quando non riesci a prendere la vita con leggerezza e filosofia perché la vita per te è intensa e profonda, e la leggerezza riesci a sentirla solo quando è davvero lieve.

Ti senti diverso,

 perché fai continuamente i conti con te stesso e non sempre tornano.

Allora ci sono momenti in cui maledici questa sensibilità perché quando soffri lo fai con tutte le tue forze.

Ti ritrovi in sentieri bui e hai molta paura, ti mancano le forze.

È allora che vorresti essere più indifferente, più superficiale. Più sordo per non sentire così tanto dolore,

ma non c’è verso, perché la tua natura e i tuoi sentimenti non possono certo scomparire a comando.

Allora torni sui tuoi passi familiarizzi e abbracci la tua incantevole sensibilità, la comprendi e l’accogli con tutte quelle benedette sfaccettature di fragilità, che semplicemente esistono. 

Ci sono e fanno parte di te.

Sono certa che le persone sensibili siano più esposte al dolore e alla sofferenza, ma sono anche certa che abbiano tutti gli strumenti necessari per portare a termine la loro missione su questa terra.

Sono certa che le persone sensibili sappiano apprezzare e conquistarsi una serenità più granitica, quella scolpita nel cuore.

Sono certa che le persone sensibili soffrano molto nelle salite della vita, ma che gioiscano di più nelle sue discese. Perché sono esseri consapevoli,

e perché comprendono che al di là di ogni cosa, quando sorge un problema è necessario guardarsi allo specchio: proprio lì si troveranno sia le cause che le soluzioni.

Comprendi che per conquistare l’equilibrio devi avere molto rispetto per lo squilibrio che tanto spaventa, ed è per quella faticosa via di mezzo che è necessario passare, al fine di ricreare un nuovo equilibrio.

Comprendi e sperimenti che chi semina raccoglie, anche se ci sono momenti in cui senti che i frutti tardano ad arrivare,

e questo sconforta.

Poi ritrovi la fiducia quando senti che invece il tuo raccolto è già pronto. Devi solo avere pazienza.

Tutto questo ha un caro prezzo, ma ne vale la pena.

Parola di una guerriera dal cuore fragile. 


 

LA PACE CON SE STESSI

Sei solo.
In fondo siamo tutti soli,

perché le parti più intime e profonde di noi sono sconosciute al mondo.
Ti sforzi affannosamente per trovare conferme, accettazione.
Ti illudi che la felicità sia proprio lì fuori,
e la cerchi lì.
Altrove.
Fai compromessi inaccettabili, tradendo il tuo cuore, il tuo vero essere.
Fingi che le cose vadano bene, ma dentro di te un uragano si agita senza sosta.
Ti racconti un mare di bugie.

Senti nel cuore tormento e inquietudine.
Senti che ti mancano le risorse per proseguire ed essere felice,
eppure continui a percorrere sentieri conosciuti, e in fondo rassicuranti.
Perché l’ostacolo più grande al cambiamento è proprio l’abitudine.
Ci si abitua a tutto.
A fingere, a soffrire, alla critica, a essere il nostro più malvagio censore.
È ormai un meccanismo automatico, l’unico che conosci e riconosci.
Ti trascini nel corpo e nell’anima in un frastuono di eventi, decisioni, impegni, idee e progetti.
Cerchi una via di fuga,
ma qualsiasi essa sia, non ti allontana da quell’ingannevole palcoscenico.
La recita continua in un incessante susseguirsi di sipari che si aprono e si chiudono.
Hai l’illusione che, sperimentando cose nuove, diverse, possa cambiare tutto.
Invece, il tuo cuore sa bene che non cambia nulla,
perché tu sei sempre lo stesso.
Inquieto, insoddisfatto. Imprigionato in schemi che non ti appartengono, 

ma che hai fatto tuoi,
in guerra continua con te e il mondo.
Anche nei successi e nella gioia avverti sempre un silente e martellante magone.
C’è sempre un ma, sempre un però,
ma non comprendi. Lo senti e basta.
La mente continua a tradirti, a riproporti lo stesso copione,
in un rimpallo estenuante di vecchie abitudini.
Ancora prigioniero di convinzioni nefaste,
disperdi le tue energie correndo e fuggendo.

Cercando riparo sotto grotte di sabbia nei giorni di pioggia.
Nascondi il dolore con la rabbia,
e la confusione ti inghiotte.
Senza prender fiato, mangi la vita,
ti sperimenti in infinite esperienze attendendo il riscatto.

Ma non basta mai.
E cosi disperdi tanta della tua preziosa energia.
Il tempo scorre senza aspettarti.
Il treno passa anche quando tu non sei in stazione,
il sole sorge anche quando stai ancora dormendo.
Ignori chi sei, 

perché non sei abituato a prestare attenzione a te stesso.
Così corri, corri, inseguendo chissà cosa.
Ti ingegni e ottieni dei risultati,
stima e riconoscimento. Sempre.
Ma ancora non basta, perché nel profondo non risuona in te. 

Non lo riconosci e non ti riconosci.
Ti ostini a combattere numerose battaglie dimenticando che non tutte le battaglie sono degne della nostra attenzione.
Quando ti volti indietro sorridi della strada che hai percorso.
Quante salite, 

che stentano a trasformarsi nelle attese discese.
Ti dici «bravo», cominci a ricrederti sul tuo conto,
ma non è abbastanza, non ancora.
Perché lo fai con la mente, che troppo spesso mente

ma non ancora con il cuore e con tutta la tua convinzione.
Sei deciso ad arrivare fino in fondo.
Fai dietro front, e cambi direzione.

Ti perdoni per il tuo non essere in pace,

e inizi a tagliare il cordone che ti lega a tanti falsi, negativi e pesanti pensieri.

Cominci a pensare in modo diverso, perché in fondo sai che il pensiero crea la materia.
Prendi la rincorsa e ti lanci più veloce che puoi verso quel meraviglioso e più importante traguardo: te stesso.
Il sipario si chiude, lo spettacolo è finito.
Ti perdi finalmente in quell’abbraccio rassicurante con te stesso.

Piangi per la tanta sofferenza che ti sei arrecato.
E scopri la fiducia. La fiducia in te.
Diventi il tuo migliore amico,
pena il lasciare indietro tanti nemici, 

sì, in fondo nemici della tua anima.
Hai imparato a essere selettivo anche nelle tue battaglie,
perché spesso è meglio stare in pace che avere ragione.
Questo, forse, non ti farà sempre essere felice,
ma ti donerà la leggerezza nel cuore.
Conquista che hai pagato a caro prezzo,
ma che prezzo non ha.
Perché finalmente sei in pace con te stesso.


 

 

LA TRISTEZZA CHE TI ATTRAVERSA

I pensieri affollano la mente,

il cuore si contrae

e le lacrime scendono pesanti sul volto.

Sei triste. Lo sconforto ti ha fatto prigioniero.

La tristezza è un sentimento più sfumato della rabbia e del dolore.

In silenzio ti attraversa, lasciandoti senza energia, senza forza.

Non ti induce a delle reazioni precise come l’attacco o la fuga.

La tristezza invade tutto il tuo essere e vince.

In quel momento cancelli le motivazioni,

neutralizzi la razionalità,

arresti i pensieri.

Non cerchi i colpevoli, né gli innocenti,

non cerchi i vincitori, né i vinti.

Da certe esperienze tutti escono sconfitti,

per ragioni diverse, ma tutti perdenti.

Quando la tristezza ti raggiunge piangi solamente.

Inerme. Null’altro.

Sei trascinato dallo strazio dei cuori frantumati,

 in punta di piedi muovi passi incerti sui mille pezzi del tuo amore consumato e finito,

dall’addio tanto crudelmente gridato.

Piangi per te,

ma piangi anche per coloro che, nonostante l’uscita di scena deplorevole,

forse soffrono.

Perché in quel momento non esiste soltanto il tuo dolore.

Tu respiri tutto il dolore rimasto nell’aria.

Vedi la solitudine dei cuori che si muovono disorientati e impauriti,

che scappano dal tormento ma che sempre lo rincontrano.

Guardi quelle menti tanto stanche, confuse e offuscate,

intrappolate da pensieri di menzogne e di odio.

Sei tanto addolorato,

perché è così facile per noi esseri umani confondere i sentimenti e distruggere le opportunità,

così facile ragionare con menti rabbiose e non con il cuore.

È così facile punire gli altri, dimenticando che in fondo stiamo facendo del male soprattutto a noi stessi.

È così triste constatare che il tempo passa

e che la resa dei conti non depone a tuo favore.

È così doloroso vedere quanto gli esseri umani cerchino l’amore, ma non sappiano affatto come raggiungerlo.

Persone che affogano nei loro stessi pensieri, nelle loro stesse modalità che si ripetono.

Persone che lasciano che le cose vadano così, chissà in quale direzione.

Che in fondo non vivono, perché non sanno scegliere, 

ma che si fanno vivere dalla vita.

La tristezza allora non è solo la tua, perché prendi coscienza che non puoi cambiare nulla,

puoi solo fare la tua parte.

Ma spesso questo non basta, perché bisogna essere in due a desiderare la stessa cosa.

Si deve avere lo stesso coraggio, la stessa lucidità e la stessa spinta a proseguire,

perché in fondo le vibrazioni dell’anima debbono somigliarsi per prendersi.

Non insisti, sarebbe una lotta al massacro.

Prendi coraggio e lasci andare,

con la nostalgia di quel che sarebbe potuto essere.

Poi un giorno comprenderai che è stata la scelta migliore, 

perché non poteva essere nient’altro, altrimenti lo sarebbe stato.

E così quella profonda tristezza ha lasciato il posto a tanta serenità.


 

IN AMORE PERDE CHI FUGGE

Ci hanno insegnato che in amore vince chi fugge.

Lo diamo così per scontato che chi fugge ha sempre un fascino particolare.

Chi fugge conosce quella modalità, e la mette in atto.

Chi insegue fa lo stesso, affannandosi in rincorse senza tregua.

In questo gioco di ruoli netti e prestabiliti tutto si confonde.

Diventa quasi una gara al massacro

e via via sbiadiscono le motivazioni.

Chi insegui? E perché?

Tu, invece? Perché fuggi? E da cosa?

Domande a cui è difficile rispondere,

perché richiede il grande sforzo di comprendere e abbandonare vecchi schemi, 

quelli che non ci appartengono più, forse,

e di scegliere di percorrere altre strade,

quelle che non ci siamo mai permessi di sperimentare.

Così, in assenza di questa comprensione, il teatro si ripete a oltranza.

I ruoli sono diventati immutabili, incontestabili.

Come può esserci equilibrio tra due amanti che ogni mattina indossano sempre la stessa maschera?

Quella maschera scelta forse tanto tempo prima del loro incontro. 

Quella maschera che uccide uno degli ingredienti dell’amore a cui non possiamo rinunciare: l’autenticità.

E così coloro che dicevano di amarsi si sono trasformati in due prigionieri:

un carnefice, martire di sé stesso,

e una vittima, martire di sé stessa e dell’altro.

Chi insegue si affanna continuamente,

corre e ancora corre, con l’illusione, talvolta, di accorciare le distanze.

Uno è stremato, 

l’altro, forse, si sente più forte, ma ignora il suo disagio.

In fuga da se stesso, e dall’amore.

Si intrecciano momenti intensi che trascinano con sé grande frustrazione, paura e insicurezza. 

Si fugge da tutto: ascolto, comprensione, confronto, condivisione, costruzione.

Si azzerano le risorse di cui un rapporto ha vitale bisogno.

Chi ferma il gioco?

La ruota gira, i pensieri si affollano, i fatti confondono.

L’infelicità si espande.

Nessuna certezza, nessuna verità.

Quando impariamo a recitare dei ruoli, sappiamo farlo talmente bene che ci dimentichiamo della realtà, della nostra vera essenza.

Allora occorre che qualcuno trovi il coraggio di far calare il sipario, ripristinare il tutto per far tornare i conti.

A te che insegui, il consiglio migliore che posso darti è di fare un passo indietro.

Non si tratta di tattica amorosa, ma di dignità. La tua.

Si dice che accettiamo l’amore che pensiamo di meritare.

Pensi davvero di meritare chi non trovi mai al tuo fianco?

Chi fa franare sempre il terreno sul quale cammini?

Chi, quando è seduto accanto a te, fa solo finta di esserci e sta già pensando a alla prossima fuga?

A te dico: spogliati dei panni di quell’antico personaggio e trova la forza di essere. Essere ciò che davvero sei,

con il coraggio di guardarti allo specchio e riconoscerti quel valore che ti neghi da sempre.

Così smetterai di rincorrere e imparare col cuore a muoverti al fianco di chi ami e di chi ti ama.

Perché l’amore c’è, l’amore è.

A te che fuggi, invece, suggerisco di riflettere su chi e cosa fuggi.

Forse fuggi da te stesso, dalle paure che l’altro ti rispecchia,

dalle tue responsabilità, dall’amore stesso.

Paura e rabbia ci allontanano dai veri sentimenti e dalla possibilità di vivere l’amore.

Dobbiamo sapere che è sempre molto faticoso lasciare le vecchie strade per cercarne di nuove.

Ma è l’unica possibilità.

Allora che il gioco finisca e inizi l’amore!

Trova il coraggio di fare la tua rivoluzione,

quella con te stesso.

Perché la felicità in questi giochi brutali non si sfiora neanche da lontano.

In amore vince chi è umile, chi è coraggioso.

Vince chi comprende, chi soffre, chi ride, 

chi piange, chi aspetta,

chi cerca soluzioni, chi sbaglia, 

chi perdona e chi sa chiedere scusa,

chi comunica, chi ascolta, chi dice la verità,

chi è coerente, chi protegge.

In amore vince chi ama.

In amore vincono tutti. 

Perde solo chi fugge.