A mia madre Maria
Dolce angelo dai capelli corvini
lattea e vellutata come petali di rosa
venisti alla luce alla fine di Aprile
e il primo giorno di primavera
chiudesti per sempre gli occhi alla vita.
I tuoi gorgheggi argentini
risuonano nelle umide e fredde stanze
di una casa che ancora profuma
dei tuoi dolci e succulenti piatti,
delle tue sagge e severe parole,
dei tuoi baci d’amore,
dei tuoi canti e delle tue preghiere.
Maria, angelo buono, angelo bello,
metafora di gioia e di luce,
di musica e poesia.
Fosti la prima a cui rivolsi lo sguardo,
che mi portò in grembo con amore,
che mi cullo’ nelle notti buie e tempestose,
che mi asciugò le prime lacrime.
Mi fosti amica, sorella, maestra.
I tuoi neri occhi guidarono i miei giorni,
il tuo cuore grande m’insegno’ l’amore.
Fosti tu il mio primo balbettare incerto,
la gonna dietro cui nascondermi,
la mano forte per guidarmi e proteggermi,
la dolce ninna nanna, il sorriso più vero, mamma.
A mio padre Inisro
Non avesti mai tante parole
ma nel tuo cuore solo amore.
Il giorno in cui nacque Gesù
fosti come novello Bambino, tra la paglia e il fieno.
Timido e forte, retto e leale.
Impavido e sprezzante dei mali, del dolore,
della Seconda Guerra,
dalla quale uscisti con tre medaglie al valore,
umile eroe di “vinti”, senza domani.
Marinaretto a forza nove, tra pericoli e morte.
Sfidasti il mare, sfidasti la nera signora,
e tornasti alla tua verde pianura
col cuore ferito e le illusioni distrutte,
dai ricordi e dal duro e quotidiano lavoro.
Ti guadagnasti il pane nella nebbia e nel gelo,
nei quotidiani sforzi per poter sopravvivere,
nel silenzio e nella dignità dei tuoi valori
e delle tue preghiere.
M’insegnasti tanto, m’indicasti la retta via.
Forse non ti resi ciò che meritavi,
tanti sacrifici affrontasti per me,
per me che rischiai varie volte di morire.
Ce la feci per te, per il tuo disperato amore.
Con fedeltà amasti la mamma, sino agli ultimi giorni.
Amasti me, senza sapermelo dire.
Poi te ne andasti su quel nero mare.
Sparisti in fretta oltre l’orizzonte.
A mio marito Luciano (08/08/’39-03/05/’18)
Dio mi libero dalle catene delle illusioni svanite,
dalle paure, mi promise amore.
Ti fece arrivare alla mia porta
e tu, stupito, trovasti uno scricciolo fragile
che non voleva più vivere i suoi giorni.
Avevo distrutto ogni mia speranza,
non riuscivo più a credere all’amore.
Ma tu, malato da sempre, m’insegnasti ad amare.
Mi facesti rivedere la luce, nel tunnel buio dei giorni.
Insieme ricominciamo a vivere,
pur se per poco, anche se poi, presto ti ammalasti.
Delicato e fragile lo fosti da sempre.
Ti curai, ti amai, vivemmo insieme per quasi trent’anni.
Poi te ne andasti, sempre col sorriso.
Capisti che piangevo, che mi avresti lasciata sola.
Sola, come sempre fui, prima di te.
Non volesti mi strizzasti un occhio, mi indicasti un nuovo amore.
Furono per noi giorni ricchi di gioie, progetti, sogni, emozioni.
Sempre inseparabili, sempre insieme.
Insieme e con amore creammo miracoli,
nel nostro piccolo “Rio Bo”. Miracoli creativi e d’amore.
Immortalasti col tuo magico flash
anche i miei verdi occhi.
Fui tua Musa ispiratrice, tua segreta modella.
Grazie,Luciano, fonte di gioia e d’amore grande.
Grazie per la tua fedeltà.
Amami sempre e proteggimi, anche da lassù.
Ad Arthur (un mondo nuovo, un amore nuovo)
Venisti quaggiù a cercare i miei verdi occhi
che ti colpirono come i miei colori.
Fosti un angelo che Dio mi mando’
da un mondo tanto diverso,
lontano, più severo, più forte,
tu, pinnacolo di roccia dolomitica,
marmoreo, chiuso, silenzioso,
fosti preso da passione per me
pazzerella artista emiliana, creativa, fantasiosa.
Le nostre enormi polarità opposte,
di carattere, d’ambiente, di vita
ci unirono nel profondo.
Tra liti e pianti, tra grande amore e abbracci.
Molto lontani, ma vicini dentro.
Io, sola di nuovo, quante lacrime piansi,
dopo troppi lutti ed abbandoni.
Tu mi salvasti, mi rapisti alla mia Pianura
e mi facesti volare sulle alte cime,
tra neve e ghiacciai, tra rocce di fossili ricordi,
tra freschi boschi e manieri antichi,
tra gorgogliare di limpide e fresche acque,
lungo nuovi sentieri misteriosi,
ove si aggirarono Sissi e re Laurino.
Trovai porte chiuse al mio arrivo,
ma si aprirono le serrande di un amore nuovo
che spezzò in due il mio cuore.
Sarai speranza e futuro tu, per me, mein lieber Schatz Arthur?
A Silvia (a me stessa)
Il mio nome è poesia,
è fiore, è pianeta,
è abitatrice delle selve
selvagge, misteriose, di buio e luce.
Il mio grande cuore,
i miei enormi occhi,
parlano senza nulla dire
e percorro labirinti del tempo,
su umide zolle di verde pianura,
tra le brume dei fiumi fatati,
sulla bianca galaverna del mio inverno.
L’alba è passata e il giorno fugge,
ora, quasi al tramonto mi ritrovo,
tramortita e sola, con angeli che volano
senza più ali, su distrutti e svaniti sogni,
che tu cerchi in me.
Tu mi sei dentro come l’ultimo
o il primo respiro, come la nebbia
che stempera i ricordi.
Io, vate sconfitta e sempre sola,
mi aggiro in ampie stanze di ricordi,
dove ancora echeggiano voci
lontane e perdute. Nenie già udite
che fanno eco nel mio cuore.
Alla mia terra
Da qui partirono i miei passi,
orme dopo orme,
tra pianti e sorrisi,
tra dolori e fugaci gioie. Qui mi fondo col tutto e mi confondo.
Odo lontani sospiri,
forse dei morti,
vivi nei cimiteri dei ricordi,
Vivi dentro al mio cuore.
Da qui sono partita quando ormai tutto pareva spento,
tutto finito, perduto.
Ma un angelo mi prese,
mi mise le ali per volare lontano,
nel paese fatato delle fiabe,
delle streghe, degli orchi e dei castelli,
delle principesse infelici, dei ricordi di Sissi,
dei cori di montagna,
tra miti e leggende delle Dolomiti,
dove Laurino è re e Sissi regina.
Il mio cuore si spacco’ in due,
ieri e oggi. Forse domani ancora?
Dal Po all’Adige,
dalla Bassa alle vette d’aquila,
da Luciano ad Arthur,
dall’italica voce al teutonico accento.
Mie terre entrambe, miei amori.
A voi
A tutti voi, amici veri. A chi vive, a chi muore
ed emigra in una vita parallela.
Ad Awa, ad Alessandra, a Rani,
a tutti voi, vivi o morti lontani, o a me vicini,
Fabio, Isabella, tanti, troppi, nello spazio e nel tempo.
Come Dante nella “selva oscura “, m’aggiro.
Non ho Virgilio o Beatrice come celesti guide.
Voci che non odo, volti che non vedo
mi circondano di eterno e d’infinito.
A voi, vivi, ma già morti dentro,
che sui social incontro.
La tristezza mi sfiora, nel captare i vostri tormenti.
Dite di amarmi, ma forse nel profondo
siete esseri soli, che cercano di sconfiggere il muto silenzio
le illusioni deluse, la stanchezza dei giorni
che scorrono nel tedio e nelle paure ataviche, sempre uguali,
con la stessa noia di vivere, di sconfiggere il Fato.
Per tutti difficile la vita e la solitudine
A voi, immagini speculari dei miei stessi tormenti dico grazie,
nel desiderio di chiamarci fratelli,
nel naufragio impietoso del tempo
che scorre e ci fagocita tutti.
A voi tutti grazie,
nel virtuale sogno di novelli Eden,
di ritorni paradisiaci a felicità fuggite o mai avute.
Nel tentativo di non sentirci inermi, tristi e soli.
Pianura
Langue uno strano silenzio
nel bosco panchito dei giorni.
Le pioppe ondeggiano
come criniere di cavalle fulve,
mentre la corsa accarezza
il loro corpo scolpito.
Polle di sorgenti gorgogliano fra i sassi
levigati e bianchi al riflesso di luna.
I salici bisbigliano, argentati di vento,
e nel sommesso fruscio
cantano nenie antiche.
Il rovo nasconde crocifissi di passeri gelati
e tra le spine impigliati al loro fato.
L’airone, impettito, scruta
con il “modilianesco” collo cenerino
l’infinita distesa del silenzio.
Così è la mia pianura,
così la mia foresta vergine
di vergini ricordi,
così il mio “Grande Fiume”
amico e traditore,
i languidi e gialli canali
distesi su argini di erba e fiori.
Così il mio cielo azzurro o bigio o nero,
tra nuvole pettegole e meretrici
in grembo all’immenso e all’infinito.
La rondine e l’ape
L’ala di rondine
sui tuoi capelli scuri,
il bacio dell’ape d’oro
sui miei.
Calpestiamo gocciole di rugiada
e fili verdi d’erba,
zolle ferite dall’aratro,
dal sudore, dal vento.
Sotto questo cielo,
fatto d’azzurro e d’aria,
di sole e di luna,
di stella a milioni,
ci teniamo per mano
così, semplicemente.
Galoppiamo su cavalli rosa d’amore
e sfogliamo petali di margherite
e botton d’oro.
Lo so che il tarassaco geme al nostro piede
e che la viola si nasconde silente,
sulla riva del fosso melmoso.
Ma, di notte, lampioncini di lucciole
giocano a rimpiattino tra il fieno
e noi du siamo un solo respiro,
sull’ala della rondine che garrisce,
sul bacio dell’ape che ronza tra i fiori.
I capelli si scompigliano con dolcezza,
le labbra si toccano adagio, con amore.
E noi due siamo uno.
Nevica
Lo vedi? Nevica.
Oh, come nevica!
Continuano a cadere le falde
leggere, lievi come piume al vento.
Ti bagnano dolcemente
e si confondono tra loro.
Nevica. Vedi, tutto è bianco.
Fumosi i bar, appannati i vetri.
Luccicori lontano sfocati dal gelo.
E tu lasci un’impronta, un’altra
sulla neve e poi nevica, nevica
e tutto si nasconde, di nuovo si confonde.
Il cielo è bigio, quasi color piombo,
forte contrasto col candore albo.
Lo vedi? Nevica.
Oh, come nevica!
Servea a lavare l’anima,
e tutto torna puro.