Simona Cavalli

Poesie e Racconti


Lo specchio

Con il viso stanco
Mi guardo allo specchio
E rifletto.
Ogni ruga sul mio viso
È un segno indelebile
Del mio cammino.
I miei occhi stanchi
Ancora brillano
Di luce propria.
La mia bocca troppe
Volte serrata può
Ancora sorridere
Alla vita.
Il mio corpo non più fresco
Può essere ancora desiderabile.
Orgogliosa di essere
La donna che sono,
guardo avanti
al mio destino.

 


 

Ho fatto molti errori ma ho imparato le distanze

Si sa la vita è imprevedibile, quando nasciamo abbiamo il cervello completamente vuoto e appena nostra madre ci avvicina al suo seno basta un attimo e capiamo cosa dobbiamo fare; si chiama istinto. E perché lo stesso istinto non manda messaggi per non commettere errori? Quelli, gli errori, si imparano strada facendo mentre cerchiamo di fronteggiare situazioni o persone che in quel momento sembravano a noi favorevoli. L’errore più grande il volermi sposare a tutti i costi; volevo scappare da quella casa d’origine che mi stava stretta ma che per il periodo o per mancanza di fiducia in me stessa non sono riuscita a impormi e andarmene a viver da sola. Maledetta me, che grandissimo errore. Ora sarei una donna libera da qualsiasi costrizione come andare a fare la spesa, che per altro odio con tutta me stessa, o come girare per casa nuda o vestita poco di più ballando al ritmo di musica senza che qualcuno mi dica “Ma che stai combinando?” Tutto è scandito da rituali monotoni, ripetitivi, sempre uguali che a pensarci bene ti mandano il cervello in pappa. Per non parlare delle persone che ho incontrato nell’arco della mia vita: quelle false, quelle stronze, quelle arroganti, quelle cattive, quelle che ti plasmavano a loro piacimento, quelle che appena alzi il tono della voce sono subito pronte a dire “Ehi, sta calma!” Certo, prima ero calma ora BASTA, non devo imporre la mia presenza a nessuno, sono io che decido con chi stare, cosa fare della mia vita, e se serve anche a mandare a quel paese chi non la pensa come me, d’altronde c’è libertà di espressione. Sono cambiata, forse sì lo sono e ci sto benissimo in questi panni di donna stronza, qualcuno lo dice, ma a me piace e pure parecchio. Ho finalmente assaporato la mia libertà che, a pensarci bene, doveva essere da subito. Le distanze sono ben definite da tutto ciò che mi irrita perché non c’è cosa migliore di poter essere me stessa.

 


 

L’uomo nel buio

Era la Vigilia di Natale, la neve scendeva copiosa in quella cittadina di montagna in cui tanti turisti erano accorsi per festeggiare le vacanze sulle piste da sci. Tutti erano intenti a fare gli ultimi acquisti per i regali e per i cibi che di lì a poco sarebbero stati cucinati e gustati intorno a una tavola imbandita. Giovanni stava caricando il bagagliaio della macchina per tornare a casa dalla sua famiglia dopo la solita settimana di lavoro in quella cittadina. Era dirigente in una fabbrica di legnami dal lunedì al venerdì e nel fine settimana rientrava a casa. Faceva molto freddo e il vento misto alla neve era più pungente che mai. Nel momento in cui accese l’auto, questa non diede segno di vita. Provò e riprovò fino ad arrendersi all’evidenza che la sua auto avesse dato forfait: poteva dipendere dalla batteria oppure da un problema meccanico. In ogni caso la soluzione non era a portata di mano vista l’ora tarda. Deluso di non poter raggiungere la famiglia, si precipitò di corsa nel piccolo albergo che lo ospitava durante la settimana lavorativa. Chiamò al cellulare la moglie che, preoccupata alla notizia del maltempo e dell’inconveniente dell’auto, seppur dispiaciuta, accettò l’idea di non trascorrere insieme per la prima volta la Vigilia di Natale. Rassegnato rientrò in quella camera che di solito lo ospitava frugalmente solo per dormire. Quel piccolo albergo si affacciava sul corso della cittadina: le mura esterne di legno, tipiche del posto, erano addobbate da decorazioni luccicanti intermittenti con accanto un grande albero nei pressi dell’entrata principale. La sua camera era esposta proprio sul corso. I titolari dell’albergo rimasero molto dispiaciuti dell’accaduto e, per non farlo sentire troppo solo, lo invitarono a cenare con loro in un tavolo allestito per l’occasione nel salone insieme agli altri ospiti.
Li ringraziò con l’intento di rivedersi più tardi. Giovanni era un uomo di indole molto buona e generosa con tutti; aveva sempre una parola di conforto, specialmente per i colleghi molto più giovani di lui, ancora inesperti nel lavoro. Li incoraggiava e veniva considerato come un padre. Desiderava tanto festeggiare la Vigilia di Natale nel calore della sua casa con i figli che lo riempivano di chiacchiere assolutamente da ascoltare. Lo adoravano questo padre che stava lontano tutta la settimana. Quest’anno non sarà così. Forse si era dilungato troppo al lavoro per partire così tardi, ma Giovanni non lasciava le cose a metà e se doveva finire un lavoro poteva rimanere anche oltre l’orario. Parlò con i figli che non presero bene la sua assenza temporanea e li consolò con la promessa che il giorno dopo avrebbero festeggiato anche per la sera prima. Dispiaciuti ma convinti si salutarono. Per la cena aveva scelto un abbigliamento casual e attese un po’ prima di scendere. Si affacciò alla finestra e, nonostante il brutto tempo, vide che c’era ancora vita per strada: famiglie imbacuccate che ridevano mentre i loro figli tiravano palle di neve ad altri bambini i cui genitori uscivano dai negozi con buste piene. La malinconia lo assalì; poi si rese conto che di fatto sarebbe stata solo una sera senza i suoi affetti anche se era la Vigilia di Natale. Aspettò che le ultime luci dei negozi si spegnessero e poi decise di scendere. D’un tratto, guardando attraverso i vetri, qualcosa catturò la sua attenzione: laggiù in fondo, proprio sotto un albero vicino a una panchina, vide un uomo. Non riusciva a scorgerlo bene per colpa della bufera di neve anche se sentiva una certa attrazione verso questo individuo. Gli sembrava di sentire nella testa il richiamo di una voce che somigliava al vento, talmente forte da sembrare vera. In principio non diede retta a quel suono ma continuò a osservare: l’uomo era sempre in piedi vicino a quella panchina e Giovanni si chiese perché non si sedesse. Tutto intorno la neve aveva coperto gli alberi tanto che i rami si erano piegati verso il basso per il peso, quasi a staccarsi: in questo caso l’atmosfera natalizia aveva rispettato i suoi canoni ma per Giovanni quella situazione era comunque inquietante. Nella testa sentiva ancora la voce: «Giovanni, ti sto aspettando» ma lui turbato distolse il pensiero. Eppure, tutto questo non cessava. I passanti sfioravano l’uomo misterioso quasi a toccarlo ma sembrava invisibile ai loro occhi. Se ne stava lì a guardare nella direzione della sua finestra. Giovanni era curioso di sapere chi fosse ma al contempo agitato e impaurito. Si distrasse cercando il portafoglio che aveva precedentemente poggiato sul comodino insieme alle chiavi dell’auto: chissà se l’indomani sarebbe partita. Di nuovo quella voce: «Giovanni, vieni ti prego». Ora la sentiva perfettamente, non era il vento. Indossò il giaccone pesante, sciarpa, guanti e cappello di lana e si diresse, come calamitato, verso quell’uomo che lo stava aspettando. Trovatisi faccia a faccia, non riconobbe subito l’uomo, che in effetti continuava a sembrare trasparente al resto del mondo. Aveva la barba lunga e incolta, indossava un abbigliamento sbrindellato, un cappello che nascondeva probabilmente la calvizie e guanti bucati. Gli scarponi sembravano non appartenergli di numero. Quello che più colpì Giovanni fu il viso aggrinzito ma con gli occhi pieni di luce amorevole e il cane che, obbediente, se ne stava sdraiato ai suoi piedi in attesa di un comando. Prese coraggio e gli chiese:
Chi sei? Non ti conosco.
L’uomo sorrise dicendo:
Io sì; so che sei un uomo buono non solo con i tuoi figli ma anche con i tuoi colleghi giovani che ti affiancano.
Sei venuto a dirmi questo? Con il freddo che fa e con l’aria pungente perché non stai con la tua famiglia?
Prima che l’uomo rispondesse a queste domande, apparentemente insensate, Giovanni percepì una certa familiarità, ma non ne riusciva a capire il significato. L’uomo continuò:
Sei stato abbandonato da tuo padre all’età di undici anni dalla mattina alla sera senza una spiegazione plausibile e questo ha creato in te un forte vuoto, tanto da sentirti responsabile della sua fuga. Con questo senso di colpa immotivato sei cresciuto, hai formato una famiglia e da quel giorno non hai mai abbandonato i tuoi figli. La tua presenza è un riscatto per quello che ti è stato tolto.
Giovanni cominciava a capire cosa volessero dire quelle parole e soprattutto chi fosse questa presenza misteriosa. Stette ancora a sentire l’uomo.
Oggi per te è come se ripercorressi tutto il dolore dei tuoi undici anni. Ma non è così: loro sanno che domani sarai a casa, ti aspettano a braccia aperte e tu li accoglierai con il tuo calore.
Il mio senso di colpa è sempre vivo. Non ho più avuto notizia di mio padre, che adoravo, non sono stato di aiuto ai miei fratelli. Mia madre ha sempre dichiarato che io non avessi alcuna colpa della sua fuga ma, ciononostante, mi sono sempre sentito inadeguato.
Giovanni ora sembrava un bambino, fragile, con le lacrime agli occhi a cui mancavano molto il padre e i propri figli; si sentiva ancora pieno di rimorso e non riusciva a calmarsi.
Sai Giovanni, è arrivato il momento di accettare che non sei tu la causa e questa serata di separazione con i tuoi figli si rivelerà provvidenziale.
Si asciugò gli occhi dalle lacrime che si stavano gelando e disse all’uomo:
Non ho ancora capito chi sei o forse sì…
Ti sono stato sempre vicino in tutti questi anni anche se tu non mi vedevi. Tra i tuoi fratelli tu eri quello più sensibile e attaccato a me. Gli altri se la sono cavata anche da soli, ma tu no. Ormai è passato tanto tempo e non sono più importanti i motivi per cui me ne sono andato ma sappi che nel mio cuore vi ho sempre amato. Ti ho seguito anche qui in montagna nonostante l’età, il freddo e i pochi soldi che riesco a racimolare con la carità che mi fanno. Questo per me è il Natale più bello che abbia passato da quando sono sparito.
Giovanni rimase sbalordito dalla rivelazione dell’uomo e comprese perfettamente il messaggio che gli aveva appena trasmesso.
Ora va a festeggiare la Vigilia di Natale con i tuoi ospiti sapendo che domani abbraccerai nuovamente la tua famiglia con il cuore più leggero.
Aspetta, ora che ti ho ritrovato non voglio lasciarti andare. Devo recuperare gli anni perduti con te e forse questa serata è stata provvidenziale. Domani ti porto con me a casa dalla mia famiglia e non te ne andrai più fino a che Dio vorrà.
Ritornarono insieme in quel piccolo albergo ma questa volta con lacrime di gioia. Giovanni abbracciò il padre ritrovato seguito dal cane fedele. Lo accompagnò nella sua camera, gli diede dei vestiti puliti. L’uomo svelato uscì dal bagno tutto pulito e profumato e finalmente Giovanni riconobbe il volto di allora di suo padre.
Il giorno dopo il sole tiepido, dopo la bufera, scaldò il suo cuore; accese l’automobile che miracolosamente si avviò verso casa dove il calore della sua famiglia lo stava aspettando ignara della sorpresa che la attendeva.