Stefano Carbone - Poesie

Ora, adesso.

 

Vado camminando

nel bianco e nero paesaggio

delle emozioni colorate.

 

Spruzzi di gioia dorata

nel genuino momento che sfugge.

 

L’attimo di un fungo

mentre diviene farfalla.

 

La fiaba fresca di un battito di ali

nel sogno di un istante.

 

Il salto dell’essere

effimero e saporito secondo di tramonto.

 

Chi sei?

Sono il presente.


La sua casa è il suo giardino

 

Occhi profondi

Pelle oscurata dal sole

Occhi che penetrano

Pelle che ricopre braccia grassocce

Siediti e mangia le mele

I miei alberi ne sono pieni

Ed io sono sola

 

Mani che colgono frutta

Labbra che invitano a rinfrescarsi

Mani che hanno lavorato tanto

Labbra piccole di chi dice l’essenziale

Fa una pausa pellegrino

Riposa e prendi tutte le mele che vuoi

Poi riprenderai il tuo cammino

 

Rughe vere ed autentiche

Capelli bianchi e fini

Rughe che increspano il viso

Capelli sistemati da un frontino

Un sorriso genuino

Odori dalla cucina invitanti

La sua casa è il suo giardino

 

Grazie signora


Il giorno della notte

 

A breve,

il sole calerà al di là delle sponde dell’orizzonte

al di là delle onde del vento e dei pendii marini

ma sorgerà di nuovo,

solo quando un nuovo giorno sarà pronto a risplendere.

 

Nel frattempo,

le stelle si mescoleranno con la musica del mondo

per creare la magia di una romantica notte

e, quando le emozioni congeleranno,

sarò pronto ad accendere il mio fuoco.

 

Poi

guarderò profondamente le fiamme che incendiano i ceppi

e, come al solito,

mi incanterò

dinanzi all’ardore che danza.


Il messaggio di un nome.

 

Croste di un nome perso nel tempo,

origini che sbordano i confini della propria conoscenza di sé

e riconducono fino alle vesti di un antico re.

La connessione tra epica e storia presente, ripercorrersi.

 

Un intenso vissuto presente da lasciare andare,

la primavera che, latente, inizia a sbocciare.

Un travolgente stato emozionale

che rinasce da un femminile potere, viversi.

 

Chi sono? Chi sono stata?

Un barbuto re reincarnato in una giovane artista.

La voce profonda, forte e inarrestabile

di un canto dolce, inconfutabile.


Il fiore e la foglia

 

Profumi e sospiri, soffice come un petalo di una rosa.

Sguardi e carezze, calda come il solstizio d’estate.

Sfiorarsi e pensarsi.

Essere lì nell’attimo sublime.

Sentire l’emozione in un fiato.

Ascoltare l’inflessione dell’emotività.

Labbra rosse e dolci, sono cera

che incendia la notte.


Nuova vita

 

Non smetterò d’essere

 

Mi troverai nella pioggia di un pianto

Che nutre la tua pace interiore

 

Mi troverai nel mare di uno sguardo

Che guarda oltre le cose

 

Mi troverai nel monte di un pregiudizio

Che sfaterai nel tuo vissuto

 

Mi troverai tra gli alberi dei ricordi

Che hanno radici profonde

 

Mi troverai nella terra dei piedi

Che macinano chilometri

 

Mi troverai nel vento della solitudine

Che spoglierà l’autunno della tua coscienza

 

Mi troverai nel fuoco dell’adrenalina

Che sosterrà i tuoi cambiamenti

 

Ma mi troverai.


Pino marittimo

 

Sfioro le tua squame

autentiche

colorate di rame.

La calma che mi infondi è pura.

Te ne stai lì,

dipinto nell’aria

con radicata identità.

Vanitoso ti slanci

e con fermezza ti bilanci.

Sei increspata corteccia

alla Terra connessa.


Foschia nasconde il mattino

 

Alle mie spalle

una valle fantasma.

Ogni foglia attende un evento,

l’avvento del sole.

Il tempo si ferma

perché non può, continuare.

L’alba prende a sbracciare,

a scostare il velo di foschia.

Un sole rosso a strisce

nasce e si solleva

nel fresco, bianco, azzurro, cielo mattutino.


Mesetas

 

Sterminati campi di girasole si inchinano secchi e rispettosi

al cospetto del loro capo luminoso.

Il sole spinge la mia ombra verso ovest

e l’orizzonte mi comunica che non conosce fine.

Tac tac, tac tac.

I bastoncini da escursionismo battono il suolo

e il cammino diviene stato di trance.

Nessun aiuto, solo le mie forze e la determinazione del presente.

Il passo è zoppo e il dolore è lì.

A destra e sinistra il deserto è arido.

Le scarpe strusciano sul terreno pietroso.

Soppeso l’acqua e procedo, non più sicuro delle distanze.

Sole allo zenit, ma soprattutto vento,

come a ricordarmi che sono a mille metri.

Scanso le pietre più grosse, mi copro il viso più volte,

affido agli arti più in forma il mio incedere,

ma so che sono l’unico che può condurmi a destinazione.

Sono completamente solo,

mentre sfido tutto, dolori e paure.

Nessuna casa in vista, nonostante le promesse delle mappe.

Stringo i denti e tiro avanti.

Ma dove sono?

Poi, d’improvviso, il miracolo si compie.

La piatta distesa arida si apre su una valle abitata.

Vedo un campanile e una fontana,

e festeggio fino a gioire delle stelle.


Alla fine l’Oceano


Chiudo gli occhi e sono lì,

indimenticabile.

Allo stremo di novecento chilometri,

l’Oceano.

Spruzzi d’acqua salata

conquistano la mia pelle,

mentre alzo le braccia al cielo

colmo e commosso.

Un grido felice.

Una vittoria personale

sancita da un alternarsi insensato

di gioia che vola

e lacrime che cadono come sassi nella cresta dell’onda.

Il lancio di una pietra pesata dal dolore,

la pagina di uno scoglio su cui il mare scrive le sue note,

lo svolazzo libero e armonico di uno stormo

che segue la musica del vento,

mentre l’epico raggio di sole ultimo

disegna profili di ombre fantastiche

riunite nella sintonia di un’emozione.