Tom Dacre - Poesie e Racconti

HORROR VACUI

 UOMO ALLA DERIVA

MONACO DI VACUITÁ

 

Non ero più samurai, non più avevo il mio onore, dopo tante battaglie e vittorie, dopo aver seguito in tutto e per tutto il Bushido, avevo disertato; proprio alla fine, ormai vecchio e non più in forze, lo Shōgun la cui famiglia per decenni avevo servito mi ordinò il seppuku perché ormai vecchio e inutile.
No, mi rifiuto, ho dato tutto e ora mi riprendo la mia vita, perché è mia e per troppo tempo è stata loro; ora riprendo Me Stesso, toltomi da anni di disciplina.
Uomo alla deriva mi chiamano, Ronin, uomo alla ricerca meglio;
un koan recita «se incontri il Buddha per la strada uccidilo», diffida dai maestri e dai portatori di verità, dei messia e dei profeti, cerca Te Stesso la tua verità.
Se un detto dice «Rinzai per gli Shōgun, Sōtō per i contadini» ad un Ronin non rimaneva altra via Zen se non la Fuke; comunque qualsiasi fosse la via sempre quella era la base per il percorso verso il Risveglio: le Quattro Nobili Verità e l’Ottuplice Sentiero.
E così divenni Komusō, monaco di vacuità; itinerante con il mio cappello di canne e il mio flauto di bambù, praticavo quella particolare meditazione detta Suizen, e portando di villaggio in villaggio racconti di uomini e donne alla deriva, o meglio, alla ricerca.
Ma io alla fine non ero, ma facevo il Komusō, come faccio il Ronin, come facevo il samurai…
Io sono. Ogni altra definizione è limitazione al mio essere; avete voi così paura di quel vuoto che è libertà, avete così horror vacui da riempirlo con limitazioni e definizioni; imparate ad essere, siate, senza alcuna limitazione.


 

BLASFEMIA

 

Pallido e scosso sedeva sul suo scranno, guardandomi agghiacciato, dopo il mio rifiuto

I presenti ammutoliti, tutti girati verso di me,

anche il vento tra le fronde fuori dalla finestra si era fermato, e sembrava che anche gli uccelli avessero smesso di volare,

il tempo sembrava fermo, bloccato, 

una strana sensazione correva nelle schiene dei testimoni, di spavento, o di stranimento

nella mia correva una sensazione di orgoglio, un guizzo demoniaco danzava nei miei occhi ribelli;

sacrilegio,
blasfemia, 

cosa che nessuno mai si sarebbe aspettato,

un rifiuto così netto ad una tale autorità;

mi aveva chiesto l’insegnante:”leggi da pagina 6 a pagina 7”

avevo risposto:

“NO!”



ANTINOO

 

Guardami, nelle vesti di Dioniso, Bacco, il Dio dell’ebrezza, quanto sono bello?
O meglio ancora, ammirami, nelle mie vesti preferite, quelle del Dio Oser, il Dio che morì e risorse millenni prima del vostro Cristo;
guarda il mio corpo perfetto, il mio viso divino nella sua giovanile freschezza, e non negare la voglia di inchinarti e baciare i miei dolci piedi di stampo greco, con l’illice più lungo dell’alluce, per poi rizzarti in ginocchio, adorando la possenza delle mie gambe, e consegnarti a me, come volontario strumento del mio piacere, come sacrificio umano alla mia passione, donando il tuo corpo all’uso e consumo delle mie brame sessuali.
Io sono Antinoo,
io sono l’amato da Adriano il Grande, sovrano dell’impero romano, padrone di un terzo delle terre conosciute, sotto il quale vive e muore un terzo della popolazione mondiale;

e tutto questo potere egli lo ha posto ai miei piedi con devota sottomissione;
egli è il Pontefice Massimo, egli è colui che collega il mondo umano e quello divino, davanti a lui tutto l’impero si inchina, ma lui si inchina a me,
io sono l’unico suo signore e padrone;
il Grande Cesare, conquistatore delle Gallie, era il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti, ma Adriano il Grande no, egli è solo mio, pur avendo avuto come amanti le donne più belle e gli uomini più aitanti egli ha scelto me, prostrandosi alla mia divina bellezza;

e ora qui, a vent’anni, io mi rendo divino, rendendo eterne la mia gioventù e la mia bellezza;
sii generoso Nilo, accoglimi tra le tue fluviali braccia che ogni anno sfamano l’impero e i suoi eserciti con le loro esondazioni;
donami Sacro Fiume l’immortalità, come un novello Oser;
e voi, stupidi cortigiani, senatori puritani, consiglieri moralisti, che avete sempre avversato l’amore dell’imperatore per me, ora brindate e festeggiate pure la mia morte, ma sappiate anche che, come un nuovo Oser, risorgerò, e sarò eterno, e quando i vostri nomi e i vostri volti saranno cancellati dalle sabbie del tempo, la mia bellezza marmorea sedurrà uomini e donne di migliaia di generazioni future.


 

 

DAIBUTSU

 

Tempio Kōtoku-in,città di Kamakura nella prefettura di Kanagawa,6° anno del periodo Mejō (1498 dell’era volgare)

“Sono quasi duecento anni che la mia placida enorme mole si trova al buio di questo ligneo tempio.
Vedo immense folle di monaci e monache, ma anche di contadini, di nobili, di mercanti, di gheishe, di shogun, samurai e ninja appellarsi alla mia mole cercando il Risveglio; 

eppure in più di due secoli ho sentito leggere quanto detto dal Saggio che la mia mole ritrae, ed Egli diceva che dentro di Sé va’ cercato il Risveglio, e non in forme vacue e mondane, e per quanto io rappresenti quel Saggio Rievegliato sono un’enorme forma vacua e mondana.
In due secoli qui chiuso invece io chiedo di vedere forme vacue: voglio vedere gli uccelli i cui cinguettii sento da qui dentro, e i grilli e le cicale di cui odo il canto; voglio sentire i raggi del sole della Dèa Amaterasu, che fiochi penetrano questo tempio ligneo che mi circonda, scaldare la mia pelle di bronzo, e sentire le brezze mattutine rinfrescarla, la luce lunare del Dio Tsukuyomi illuminarla la notte, e la dolce pioggia della Dèa Kuraokami bagnarla e massaggiarla.
Voglio vedere i cibi di cui sento gli odori, vedere gli Yakitori i cui profumi dalle griglie giungono alle mie bronzee narici, voglio vedere come vivono le persone al di fuori di questo tempio: come vivono, ridono, nascono, muoiono, piangono, combattono e fanno l’amore.
Oh Dio dei venti Fūjin, oh Dio delle saette e dei fulmini e delle saette Raijin, oh Dio delle tempeste Susanowo: scatenatevi su questo tempio ligneo ormai dimora di topi e roditori, abbattetelo, liberatemi da esso e lasciate che la mia pelle di bronzo risplenda libera alla luce del sole e possa respirare al il fresco vento che soffia impetuoso!!”

Il 6° anno dell’epoca Mejō a seguito del terremoto di Nankai uno tsunami distrusse il tempio di legno che a Kamakura, nella prefettura di Kanagawa, conteneva l’enorme statua bronzea del Buddha Amida, che ora è possibile vedere ancora all’aperto mentre risplende alla luce del sole e viene accarezzata dalle brezze e dai venti.



IL SUCCHIASTRONZI 

 

L’ultimo tiro di sigaretta gli rimise nei polmoni un insieme di catrame, nicotina e tabacco che però gli risultò piacevole, gettò il mozzicone nella pozzanghera prima di ricominciare il suo lavoro, svuotare i camper dalla merda; togliere quel contenitore della acque luride che si trovava sotto il cesso dei camper e svuotarlo; lavoro che il suo amico Luigi aveva definito il “succhia stronzi”; la faceva facile Luigi, un diploma di merda al cinetv preso alla bell’emmeglio (voglia de studiare un cazzo), e poi lavoro nell’azienda del padre, per carità, bassa manovalanza, ma stipendio sicuro, e tutti i soldi da spendere in palestra e steroidi, fighe, disco, e quant’altro, tanto per la casa gli aveva dato a gratis il papi uno dei tanti monolocali che  aveva in zona; invece a lui, dopo anni e anni di studio, una laurea e una specialistica, non aveva altro lavoro se non quello, e precario, i soldi che prendeva dovevano bastargli per affitto, cibo, bollette e motorino, a Viola era già tanto se riusciva a offrire una pizza ogni tanto, meno male non aveva mai preteso questo da lui, convinta com’era che la storiella dell’uomo che offre e la donna che deve essere corteggiata sia solo una stronzata della società; bellissima lei, anche nei suoi capelli corti e vestita senza cura, era nella situazione di lui, l’aveva conosciuta tra un caffè alle macchinette e una sigaretta sul pianerottolo delle scale antincendio all’università, laureata e specializzata era confinata a far la cameriera, ogni sabato sera lui aspettava che lei finisse il turno, ma la gente cazzo il sabato sera s’acchittasse qualche cassa di peroni e andasse a bere in qualche piazza e fanculo le pizzerie, almeno Viola, e tutti i poveri camerieri, avrebbe potuto uscire cazzo.

Finito il primo camper si apprestò al secondo, un boato di persone attorno, che volevano sti stronzi, e poi si ricordò, quello era il camper di Brad Pitt, e sti qua guardarono curiosi mentre lui puliva il camper dello stronzo, guardando incuriositi la merda dell’attore; ma cazzo, è merda, che differenza c’è tra la merda di Brad Pitt e quella di un qualunque povero stronzo??
Che differenza c’è tra Brad Pitt e un qualunque comune mortale??
Nessuna, nessuna, entrambi magnano, bevono, pisciano e cagano, sulle funzioni fisiologiche non c’era differenza; alla fine, gira che ti rigira, tra le cose che un essere umano produce, qualunque essere umano, ci sono merda e piscio, merda e piscio; ecco cosa accomuna gli umani, i bisogni fisiologici, sia che tu sia maschio o femmina, negro o bianco, etero o ricchione, in sostanza l’unica cosa che produci è la merda.

Potevano far mille discorsi, dire le solite tremila cazzate, ma il motore della civiltà (e sai poi che civiltà?? Una semplice patinata di decoro sullo schifo informe della bestialità, tipo una smaltata di oro su un mucchio di fango) è la merda, è essa che concima il cibo degli umani che poi, digerito, diventa merda.
E quegli stronzi tutti lì a guardare la merda di Brad Pitt, quando quella era merda quanto lo era la loro, e che era Brad Pitt, se non un cagante quanto loro??
Sti coglioni, ci sarebbe voluto lì qualcuno a prendere i nomi di questi e togliere loro il voto, non sopportava che gente così avesse diritto al voto quanto lui,
ok, come lui erano caganti, ma almeno lui sapeva di esserlo, loro no, e non solo, ma ponevano sé stessi come trono per innalzare un altro cagante; e cos’era di speciale questo cagante?? Aveva enormi quantità di soldi, ok, presi facendo l’attore in qualche film hollywoodiano del cazzo, manco recitando chissà come, molti altri attori potevano dargli quattro spanne?? Cosa aveva?? Era bianco, maschio, bello, etero, ricco e probabilmente cristiano, almeno di famiglia, come quasi tutti gli attori hollywoodiani, o almeno i personaggi da loro interpretati, si ricordò della trilogia di Indiana Jones, l’intrepido archeologo che faceva un culo tanto ai nazisti, era bianco, maschio, etero, cristiano e ricco, o almeno con un’ottima posizione sociale, senza contare che le donne con cui scopava nelle sue avventure erano tutte bianche, perfino nell’avventura ambientata in Cina e India nel secondo film della serie, scopava con una bianca, e quello sarebbe stato un antinazista?? Era tutto in tutto e per tutto il nazista perfetto, l’ss modello: maschio, bianco, bello, etero, fisicamente senza handicap ecc … c’era da chiedersi se il nazismo, sebbene fosse stato sconfitto a livello militare, non avesse vinto a livello culturale, la cultura era fatta da uomini, maschi, bianchi, etero, cristiani, senza handicap ecc … , nelle stesse produzioni filmiche i protagonisti avevano queste caratteristiche, sia mai che il protagonista sia un negro, un ciccione, una donna, un handicappato, un nano, un frocio, ecc … queste categorie potevano accontentarsi di far da macchiette, e qualunque merito o ruolo avesse ottenuto un cagante di tali categorie sarebbe stato sempre affibbiato all’aggettivo della categoria di cui era parte: il calciatore di colore, il presidente donna, l’atleta omosessuale ecc … , con quei termini borghesi quasi da compatimento, come se le suddette categorie non fossero che bestie, subumani da compatire, e non dei caganti tanto quanto gli altri, a pieno titolo.

Si accorse tra la folla che aveva guardato la merda di Brad Pitt una ragazza con la maglietta di Abercrombie and Fitch, mentre cercava lavoro aveva portato un curriculum anche ad un negozio di questi, non li conosceva bene, non andava d’accordo con la moda, e si era trovato davanti ad una tipa schifata che gli aveva detto che li prendevano come commessi e come commesse ragazzi e ragazze che rispettassero certi canoni estetici, solo caganti di una certa qualità estetica potevano entrare lì …
e non era quella l’idea nazista?? La selezione della razza?? Solo i superfighi e il resto RAUS??
Se le persone avessero guardato, dopo aver cagato, i frutti dei loro culi, avrebbero scoperto che essi son circa gli stessi per tutti, e forse è proprio quello il discrimine tra i caganti, tra coloro che si rendono conto che bianco o negro, uomo o donna,trans o cis, miliardario o disperato ecc … siamo tutti caganti, e quelli invece che non guardano mai la propria merda e non si rendono conto di ciò e continuano ad attaccarsi a differenze del cazzo, quasi si vergognassero ad essere caganti quanto gli altri, come se in fin dei conti avesse importanza morale quanti soldi hai, con chi scopi, che pelle hai, che altezza hai, se hai la figa o il cazzo ecc …
finito il lavoro mise il casco, avviò il motorino e si diresse verso casa mandando tutti a cagare, tanto, tutti come lui, cagare è una cosa che già fanno


 

LA GRANDE PIRAMIDE

Longwood, Isola di Sant’Elena, 4 maggio 1821

 

Francesco- Maestà, oggi si sente bene??

Napoleone- Non mi chiami maestà, ormai quel titolo appartiene al passato, ora sono solo Napoleone, sono tornato l’italiano, il corso, il nano e tutti gli epiteti che mi davano ancora all’accademia militare, e ora le stirpi reazionarie si sono reinsaldate sui troni, la mia idea di Europa dei Lumi è andata a farsi fottere, ora sono già nei Campi Elisi, non in questa terra

Francesco- Ma no, nonostante la loro fatica nel riportare l’Europa all’ancien règime, i popoli rivogliono il suo Codice di leggi, lei ha portato la rivoluzione fuori dalla Francia, sebbene sulla punta delle baionette, lei ha ridato ai popoli un posto nella storia, tant’è che lo stesso sovrano prussiano per chiamare il popolo alla lotta contro di lei a Waterloo è stato costretto a fare un appello al popolo, riconoscendolo come protagonista della storia.

Napoleone- lei dimentica che semmai io ho fermato la rivoluzione, dimentica che ho preso potere essendo un generale, dato che la borghesia diede potere all’esercito per fermare i giacobini, che ho reso illegali, che stavano portando anche nel concreto i principi rivoluzionari di libertà, uguaglianza e fratellanza; cosa che la ricca borghesia temeva avendo preso il posto della nobiltà; come vede la rivoluzione americana non avendo giacobini e sanculotti non fu fermata, e mentre io sono rintanato in questo scoglio invece che poter raggiungere la Louisiana per darmi alla scienza come avevo chiesto da sconfitto, Benjiamin Franklin, ormai passato a miglior vita, è celebrato sia come rivoluzionario che come scienziato; non ho portato ovunque la rivoluzione, l’ho solo fermata e ne ho esportato il modello edulcorato, borghese, puritano, diciamolo pure: rispettabilmente inglese; maledetti britannici, mi hanno sconfitto perché già io per primo ne avevo aderito al modello, non mi ero in fondo incoronato dopo che in una rivoluzione il popolo aveva lottato per non aver più un re?? Così da portare a Parigi il modello di Londra, e Giuseppina (piange) la mia amata Giuseppina, ripudiata per seguire vetuste regole dinastiche (piange)

Francesco- voi sarete ricordato per aver creato il XIX secolo, la storia, lei ha dato a tutte Europa pari misure, ha costruito i policlinici quasi in ogni città mentre prima l’istruzione era solo in collegi gesuitici, la spedizione in Egitto che ha portato alla traduzione degli scritti di quell’antichissimo popolo

Napoleone- ah, la piramide (impallidisce)

Francesco- non ha mai detto a nessuno ciò che vide nella piramide

Napoleone- non ci crederebbe, mi prenderebbe per stupido

Francesco- le prometto estremo riserbo, e di non giudicare quanto mi dirà

Napoleone- era il 1798, avevo ventotto anni, ero un giovane generale dell’armata francese: basso, corso, ma meno male versato nel’arte strategica;

davanti a me usciva dalle sabbie la testa dell’antica sfinge, forse più antica dei primi sovrani del Nilo,

dietro di lei le tre piramidi, secondo alcuni esperti portai con me erano tombe di antichi faraoni, e ricalcavano sulla terra tre stelle della costellazione del cigno, ricordai la frase sentita da piccolo in chiesa “così in cielo come in terra”;

un uomo islamico mi fece addentrare in uno stretto cunicolo dentro la più grande di quegli enormi triangoli di pietra;

arrivammo in una stanza enorme, sontuosa e spoglia, permeata da una strana energia, all’interno di essa un sarcofago in pietra, più grande del cunicolo, messo lì probabilmente durante la costruzione di questo mastodontico edificio, le sue misure non erano diverse da quelle dall’Antica Arca di Mosè nell’Esodo;

chiesi alla guida di lasciarmi solo, stava calando la notte, accesi una piccola candela e mi stesi su una lastra di granito, vedevo antichi spettri vagare e sparire nella notte; poi sentii di lasciare il mio corpo, ma ero legato ad esso da un argenteo filo all’ombelico; vidi l’antico faraone che fece costruire la piramide, con in testa la sua corona, e un gruppo di uomini vestiti in strane fogge, forse antichi sacerdoti degli Dèi con le teste di falco e di sciacallo;

mi portarono in una stanza segreta, la sala di studio, oltre la vita e la morte;

gli antichi sacerdoti mi parlarono della piramide, costruita durante la IV dinastia di sovrani, più di duemila anni prima dell’era volgare, e delle sue stanze segrete, e del fatto che gli Dèi avrebbero fatto di me un loro strumento;

“e la mia capacità strategica e politica?” chiesi, “al servizio dei loro scopi, loro vogliono dissetare la sete di libertà dei popoli, il tempo della notte deve finire e il sole del Dio Ra deve sorgere, e tu sarai tra coloro che gli Dèi useranno per combattere le tenebre; hai grande ambizione, e loro la vogliono usare”

“Chi è questo Dio Ra, qual è il suo nome?”

Mi resi conto di essere ancora vivo,

non ricordo la risposta che mi diedero i sacerdoti all’ultima domanda

il sole era sorto, uscii dall’edificio e trovai i miei soldati, pallido e scosso li seguii,

e ora gli Dèi con me hanno fatto il loro dovere, possano accogliermi nei Campi Elisi, la mia ambizione l’hanno nutrita abbastanza mentre la usavano



  PURIFICAZIONE

    Secondo anno dalla 115^ Olimpiade, Egitto, regno di Ptolemaios I

 

Tebe, la città dalle cento porte, ormai decaduta da più di tre secoli, da quando dalle feroci truppe di Assurbanipal era stata messa a ferro e fuoco;
ma che ci facevo io, uomo della corte del faraone, residente nella nuova capitale Alessandria, in quel luogo dimenticato dagli Déi?
Quello era il mio luogo di nascita, lì più di vent’anni fa nacqui, e circa quindici anni fa’ mio padre mi fece togliere la mia virilità per vendermi ai padroni persiani.

Lo schiavista che mi castrò mi portò fino in Persia, in una delle capitali dell’impero: Susa;

lì mi prese un cortigiano del re dei re e mi destinò al suo harem, ancora troppo piccolo per soddisfare, come quasi soprammobile; ma dieci anni dopo le mie membra non femminili ma comunque delicate per l’eliminazione della mia virilità suscitarono i desideri del sovrano Dario III che non si fece problemi ad usarmi per i suoi piaceri trascinandomi nelle sue regge di Susa, Persepolis ed Ecbatana.
Mi trattava alla stregua di un oggetto, non gli importava nulla di come mi sentissi o se volessi, arrivava e sfogava la sua violenza su di me, sottomettendomi sotto quel corpo possente e sudato.
Stufo di ciò riuscii a captare una congiura del satrapo Nazarbane con i suoi complici Besso e Barsente; si erano accorti del tramonto dell’impero persiano per l’arrivo delle truppe elleniche, più equipaggiate e meglio preparate che avevano sconfitto le truppe imperiali in più battaglie.
Mi unii ai congiurati per vendicarmi dei soprusi del sovrano.
Mi proposi di convincere io il sovrano a ritirarsi da Ecbatana verso la remota regione della Battriana e lasciare le redini dell’impero a Besso, ma Nazarbane non si fidava di me, volle convincere lui il sovrano; stolto, non conosceva il potere delle mie natiche.
Appena Nazarbane fece la proposta Dario fece per estrarre la spada, ma le guardie corrotte dai cospiratori lo bloccarono e io per primo, presa una spada, gliela piantai in petto, con tutto l’odio e la rabbia dei suoi ripetuti soprusi sul mio povero martoriato corpo.
Nazarbane si rifugiò in Ircania e mi portò con lui, ma incalzato dai Greci inviò una lettera al loro sovrano in cui chiedeva clemenza; assicuratagli questa si consegnò ai Greci con molti doni per il loro sovrano, tra cui il sottoscritto.
Il loro sovrano, più minuto e sbarbato rispetto a Dario, si chiamava Alexandros, e mi accettò di buon grado come dono; il suo comportamento e i suoi soprusi verso di me non erano tanto diversi da quelli di Dario, anzi, quando si sfogava su di me invece che sul suo harem di donne, portava con sé anche il suo amante Efastion, l’essere più manchevole di personalità e spina dorsale mai visto, praticamente una protesi del sovrano.
Usai il fascino che avevo su di lui per vendicarmi di Nazarbane, e lo feci uccidere convincendo il re che stesse preparando una congiura contro di lui.
Peggio di Dario, Alexandros era anche ingordo di conquiste e di sangue, dopo aver conquistato l’ultimo territorio dell’impero, la Battriana, e sposata Roxane, figlia del satrapo della Battriana, volle spingersi oltre l’Indo, constringendo le sue truppe, i suoi generali e tutti i servitori, tra cui me, ad un estenuante e malsano viaggio, finché fu costretto a ripiegare date le lamentele delle truppe, e virare verso Babilonia che aveva posto a capitale del suo impero.
Lì il crudele sovrano continuava a martoriare il mio corpo, oltre che con il sesso malmenandomi assieme ad Efastion per il loro piacere; «chi è che comanda eh? Chi è che comanda? Noi Greci! Chi ha le palle eh? Chi ha le palle piccolo eunuco?», e giù schiaffi, sputi, costrizione a stimolare i loro sessi oralmente, a baciare le loro mani e i loro piedi.
Nel frattempo il parassita preparava altre campagne, ma mi accorsi che i suoi generali non erano molto propensi nello spingere i loro uomini in altri conflitti, non volevano più sporcare le loro mani di sangue.
Mi accorsi che uno di loro, il forzuto e possente Ptolemaios, avesse come compagna Tais, schiava prostituta molto saggia e acculturata, ma purtroppo essendo donna non degna presso gli uomini, ma ascoltata solo dal suo compagno Ptolemaios.
Parlai con lei, la convinsi a parlare col compagno per rendergli noto di quanto l’avidità di Alexandros fosse ormai un problema, che andava fermato per il bene della pace e della convivenza tra i popoli, ormai uniti nel suo impero, che non aveva bisogno di fagocitare altre terre;
lei mi disse che i generali non potevano ora come ora accordarsi perché tra loro c’era Efastion che avrebbe fatto la spia al re, e che era necessario quindi prima eliminare lui.
Avvelenai il bicchiere di quel mollusco che si ammalò e morì.
Il crudele Alessandro condannò a morte il medico che non era riuscito a salvarlo, e impazzito, dopo aver innalzato agli onori come eroi l’amante morto si mise a preparare una folle impresa verso l’Arabia; fu lì che i generali furono certi della sua pazzia e che Tolomeo finalmente, grazie all’intercessione di Tais, parlò con me e mi concesse la sua protezione nel mio piano di avvelenare il re.
Avvelenai il sovrano, che morì senza che nessuno sospettasse di me, un gracile schiavo eunuco; i generali erano tutti d’accordo con la congiura, avevo avuto la mia vendetta.
L’impero fu diviso non senza guerre; Ptolemaios mi portò con sé, ma non come schiavo o trastullo sessuale, ma liberatomi mi fece un suo cortigiano e consigliere ad Alessandria, e fece di Tais sua moglie e regina.
Gli chiesi quindi di poter portare a termine la mia vendetta, e uccidere il carnefice che mancava ancora alla mia lista: uccisi Dario, Nazarbane, Efastion ed Alexandros mancava ancora da uccidere lo schiavista che recise la mia virilità per compiere la mia vendetta e raggiungere la purificazione.
Si, per me la vendetta era purificazione, e le macchie nere dalla mia anima candida andavano lavate col sangue dei tiranni che avevano abusato di me.
Per questo lì nell’antica Tebe, ormai una pallida ombra dei suoi antichi fasti andati distrutti, come era stata distrutta la mia virilità, attendevo nella notte lo schiavista.
Appena giunse alla porta della sua casa non si accorse della freccia che sibilando lo colpì da dietro, scagliata da me, appollaiato alla casa di fronte alla sua.
Raccolta una sua ciocca di capelli la unii a quelle di Dario, Nazarbane, Efastion ed Alessandro, e con esse partii per un lungo viaggio raggiungendo Pessinunte, in Frigia, dove ofrii le ciocche nel santuario della Dèa Kubele, la Grande Madre, protettrice degli eunuchi, e la pregai di restituirmi la mia virilità.
Mi sentii purificato dal sangue dei miei carnefici che avevo versato per vendetta.
I miei attributi ricrebbero all’istante, e ormai integro e purificato dalla mia vendetta tornai ad Alessandria, per vivere finalmente la mia vita di uomo e di libero.


 

SUA S(fr)ANTITÀ

 

(ogni riferimento a papi defunti o viventi è puramente casuale)

Dopo la morte di uno dei più popolari pontefici ero assurto al soglio pontificio; proprio io, che ero entrato nella bestia per distruggerla dall’interno;

il mio predecessore era riuscito ad espandere quei valori così vetusti ed odiosi in giro per il mondo, grazie alla sua capactà comunicativa, ai fiumi di soldi dall’alta finanza e al fatto che ogni barriera alla reazione rampante fosse stata abbattuta, letteralmente fatta a pezzi…

io all’epoca ero solo uno dei custodi della dottrina, consapevole che non sopravvive l’organismo più forte, ne il più debole, ma solo quello che meglio si adatta ai cambiamenti ambientali, entrai nella bestia con lo specifico proposito di distruggerla dall’interno opponendomi ad ogni cambiamento…

non era facile, gruppi di riformisti e libertari premevano per porre cambiamenti; teologi che imbracciavano le armi assieme a movimenti marxisti di liberazione, preti che davano rifugio alle prostitute transessuali senza tetto ecc… stavano portando alla bestia i mutamenti necessari alla sopravvivenza nel cambio delle ere, vanificando i miei propositi.

Perché volevo distruggere la bestia?? Perché, vissuto in una dittatura che condannava i miei gusti, avevo visto l’origine di questo odio nella bestia; avevo visto l’ombra della croce dietro la svastica.

E così entrato nella bestia, grazie alla mia intelligenza, scalai le vette del potere; evitai di condurre una doppia vita in esclusivi festini per ricchi sodomiti dove avrei potuto essere visto e ricattato, e scelsi come compagno un più giovane e fedele uomo della curia, che non avrebbe potuto far carriera senza di me e dunque legato a me da fedeltà.

Salito al potere un reazionario (grazie ai suoi offici verso l’impero a stelle e strisce), ma con una gran capacità interpretativa, divenni un suo stretto collaboratore in quanto feroce conservatore, nemico di ogni innovazione;

e alla sua morte eccomi ora al suo posto, con un nome vetusto, impegnato a non concedere alcuna modifica alla bestia, a farla morire coi tempi passati in un’epoca di cambiamenti;

ho fatto affidamento sulla mia freddezza teutonica, sulla mia capacità di assumere le espressioni più malefiche e nello scrivere e nel pronunciare le parole più intransigenti ed odiose, ho riempito la curia di biechi e viziosi intrallazzatori corrotti, ho incontrato le peggiori personalità, perfino quella fondamentalista che in Africa proponeva la pena di morte per i bisessuali e i gay, o quel cantante slavo che declamava le gesta dei nazionalisti ustascia, alleati dei nazifascisti…

ma niente, non è valso a nulla il mio pontificato, folle su folle riempivano la piazza adoranti; e così, stanco, mi sono dimesso; dopo secoli che un pontefice non lo faceva.

Al mio posto hanno eletto un rinnovatore, proveniente dalle lontane estremità meridionali delle Americhe, figlio del sole e della cultura latina, nato tra il colore e la carnalità;

ha portato riforme, detto parole di accoglienza, portato i cambiamenti che permettono alla bestia di sopravvivere, riempito la curia di uomini di buona volontà e cacciato i corrotti e i dogmatici intransigenti;

ho perso, ho fallito, la bestia ha vinto, ha raggiunto i sui scopi, si è adattata ai nuovi tempi