Valentina Minetti - Racconti

Il bambino ed il leone volante

Poco fuori da un villaggio di pescatori, in una casetta isolata, costruita in pietra e con il tetto di paglia viveva un bambino di nome Paolo, che andava sempre con il papà fuori in barca.
Un giorno Paolo, che era raffreddato, disse che preferiva restare a casa a letto, e mentre dormiva tranquillo, era rimasto da solo perché anche la mamma era uscita per andare a lavare i panni al fiume, fu’ svegliato da un gran frastuono che proveniva dal retro della casa , si vestì di corsa e uscì, quello che vide lo lasciò a bocca aperta: un enorme uovo, si trovava proprio nel mezzo del suo cortile e si stava schiudendo!!!!!
Paolo rimase un po’ li fermo a guardarlo, non sapendo cosa fare, poi piano piano si avvicinò per vedere cosa contenesse.
Una piccola creatura, un uccello con la testa di leone, con delle grandi ali ne uscì e iniziò a fargli le fusa come un gattino, allora Paolo prese coraggio e gli fece una piccola carezza sulla testa dal pelo morbidissimo.
Questo bastò perché tra i due nascesse una bella amicizia.
Alla sera, quando i genitori del bambino tornarono a casa trovarono i due piccoli intenti a giocare insieme, spaventati cercarono di far allontanare il figlio dalla creatura che iniziò subito a gridare con le zampe tese verso di lui quasi a chiamarlo, allora sentendo la sua disperazione si commossero , dissero al figlio di fare comunque attenzione e che il giorno dopo avrebbero deciso cosa fare, in quanto se un piccolo aveva le dimensioni di un uomo adulto c’era da preoccuparsi di quelle della madre, che oltretutto disperata per la scomparsa del suo cucciolo poteva essere incattivita e quindi pericolosa, tutto il villaggio a quel punto era in pericolo, conoscevano bene la furia dei leoni volanti, anni prima era stato distrutto completamente da una lotta tra due esemplari adulti che si contendevano l’amore di una leonessa e ne avevano pagato le spese per molto tempo dovendolo anche ricostruire completamente.
Quella notte il bambino ed il leone volante dormirono insieme nella stalla, paolo si era rifiutato di lasciarlo solo.
La mattina si svegliarono tutti alle cinque, dopo una bella colazione con pane e latte appena munto iniziarono a parlare di come riportare il piccolo alla sua mamma, decisero così che sarebbero partiti Paolo e suo padre a cercare la leonessa volante era meglio che il cucciolo restasse a casa, per evitare che qualcuno del villaggio lo vedesse e decidesse di ucciderlo.
Mentre si preparavano per uscire, sentirono un forte sbatter di ali ed un forte grido , la leonessa volante stava cercando il suo piccolo proprio al villaggio, tutti i pescatori e le loro famiglie iniziarono a gridare aiuto, così Paolo e suo padre corsero a distrarla e cercarono di portarla verso la loro abitazione .
Il piccolo, sentendo il richiamo della madre iniziò a sua volta a risponderle, così lei riconoscendolo si diresse verso la casa di Paolo, quando lo vide iniziò a planare e scendere nella sua direzione.
I pescatori del villaggio intanto erano già arrivati con pale e forconi con l’intenzione di uccidere il leoncino e, quando li vide la leonessa li attaccò in difesa del suo piccolo, così per risolvere la situazione Paolo e suo padre presero il piccolo e si allontanarono facendosi seguire dalla madre, arrivati dietro la collina lo lasciarono e si nascosero dietro ad un albero per far ricongiungere i due.
Appena scesa la leonessa, iniziò un grido di gioia e iniziò a baciare il suo piccolo, che nascose la testa sotto l’ala della madre felice , allora il leoncino si voltò e saltellò in direzione del suo piccolo amico, chinò la testa in cerca di una carezza e Paolo lo abbracciò piangendo perché non avrebbe più rivisto il suo tenero amico dopodiché gli disse di andare prima che i pescatori li raggiungessero, lui si voltò raggiunse la madre che nel frattempo li aveva ringraziati con lo sguardo ed insieme volarono via.
Paolo e suo padre tornarono a casa, felici di aver salvato il villaggio ed i pescatori fecero loro una grande festa che durò tutta la notte.
L’amore e l’amicizia insieme spostano le montagne.


Il bosco delle meraviglie

In un tempo lontano, in un posto lontano, una bambina di nome Gioia ed il suo amico Giuliano , un
cane buffo con le orecchie a punta , i denti sporgenti , i baffi lunghi e dritti come aghi pungenti ed il pelo così ispido e ricciuto da sembrare finto, andarono nel bosco in cerca di avventure.
Appena si furono addentrati , incontrarono una cerva dalle grandi corna ramificate che si avvicinò a
loro e chiese cosa facessero in quella parte del bosco così pericolosa , loro risposero in coro che erano lì a fare una passeggiata e si erano persi, allora la cerva iniziò a piangere a dirotto e disse loro che non riusciva più a trovare il suo piccolo cerbiatto, i due si offrirono di cercarlo per lei che li ringraziò ed andò dalla parte opposta.
Mentre Gioia e Giuliano si incamminarono in cerca del cucciolo di cervo , si imbatterono in una grande leonessa che con un grande ruggito chiese loro cosa facessero lì , allora tutti spaventati risposero che stavano aiutando la signora cerva a cercare il suo piccolo.
La leonessa con gli occhi lucidi ed il tremore nella voce chiese se potessero aiutare anche lei, che a sua volta non trovava più il suo leoncino, i due amici risposero che certo, avrebbero volentieri aiutato anche lei e si divisero per coprire una zona più ampia.
Quando furono soli, la piccola Gioia ed il suo amico a quattro zampe si guardarono, chiedendosi che
cosa stesse succedendo in quel bosco, non fecero in tempo a finire la frase che incontrarono una lupa
che urlava chiamando a gran voce i suoi cuccioli, allora si avvicinarono e chiesero subito se dovessero aiutarla come la cerva e la leonessa , lei li ringraziò della gentilezza e chiese subito perché non avessero paura, Gioia le rispose timidamente che stava succedendo qualcosa di strano e volevano solo essere di aiuto, allora la lupa con un cenno del capo li salutò e continuò a chiamare i cuccioli.
Gioia e Giuliano ripresero il cammino e dopo molti , molti alberi in una stradina piccola e scura
sentirono delle voci che chiedevano aiuto, corsero nella direzione delle urla e trovarono una grotta con l’ingresso chiuso da una grande ragnatela , dall’altro lato il cerbiatto, il leoncino ed i lupacchiotti piangevano impauriti chiamando ognuno a gran voce la propria mamma.
Mentre si stavano consultando per capire come liberare i piccoli e cercavano di calmarli, si sentirono osservati, alzando la testa videro un enorme ragno dalle otto zampe pelose e quattro grandi occhi neri che li osservavano, mentre le zanne appuntite ticchettavano pregustando già il sapore dei nuovi arrivati.
Gioia, cercò di studiare velocemente una soluzione per uscire da quella situazione pericolosa, iniziò a parlare con il ragno chiedendogli se anche lui avesse dei piccoli, lui rispose di no , che non gli
interessava i cuccioli erano il suo pranzo e adesso anche loro, dopodiché immobilizzò la bambina con la sua ragnatela ma Giuliano riuscì a fuggire prima che lo prendesse, incontrò per strada la cerva, la lupa e la leonessa che con il loro grande fiuto avevano seguito le loro orme e spiegò loro la situazione portandole alla grotta.
Una volta arrivati alla trappola, accerchiarono il ragno e lottando furiosamente tutti insieme riuscirono a ucciderlo e liberare tutti i cuccioli e Gioia.
Finalmente erano tutti riuniti, madri e figli ringraziarono con tutto il cuore Gioia e Giuliano e li
riaccompagnarono alla fine del bosco dicendo loro che gli sarebbero state debitrici per sempre .
I due amici tornarono a casa soddisfatti della propria avventura , ma si promisero di non tornare più nel bosco.
Quando c’è l’amore e si lotta per un bene comune non esistono differenze di nessun tipo , l’unione fa la forza.


La studentessa ed il clochard

Giulia, era una giovane donna alle prese con lo studio, le delusioni dei primi amori e tutto ciò che
comportava la sua età , con il sogno di aiutare le persone con disordini della personalità e disabilità psichiche così aveva scelto di fare psicologia all’università della sua città.
Un giorno , avendo un paio di ore di libertà dallo studio ed essendo saltato l’appuntamento con la sua amica del cuore Sara, decise di andare a fare un giro in centro.
Mentre era intenta a guardare le vetrine, con la coda dell’occhio scorse un signore con la barba lunga e bianca come la neve, con le vesti sporche e stracciate, seduto in terra con una vecchia coperta logora sulle gambe, per ripararsi dal freddo invernale.
Giulia si avvicinò all’uomo silenziosamente e con molta gentilezza, inconsueta in una ragazza della sua età, gli chiese se avesse bisogno di qualcosa, l’uomo aprì lentamente gli occhi stropicciandoseli e guardò con occhi meravigliati , quella giovanissima ragazza che stava in piedi di fronte a lui, i capelli biondi che le arrivano sotto le spalle, con dei boccoli che le incorniciavano un viso dolcissimo e due occhi grandi con delle ciglia lunghe, di un blu profondo, dopo pochi secondi si riprese dallo stupore e sentì il suo stomaco che brontolava, guardò di nuovo la ragazza come in attesa di una conferma e quando lei gli sorrise, rispose che aveva una fame da lupo.
Giulia porse la mano al vecchio, lo aiutò ad alzarsi e gli disse che conosceva una trattoria poco lontano dal centro, mentre lentamente si avviavano verso destinazione gli chiese il suo nome, l’uomo disse di chiamarsi Marcello ed era un imprenditore finito anni prima in rovina.
Quando i due furono all’ingresso di entrata del locale, vedendoli il proprietario uscì e disse a chiare lettere che il barbone non poteva entrare, allora la ragazza si infuriò dicendo che era suo ospite e che non si dovevano permettere di mancargli di rispetto, in quanto essere umano aveva diritto alla sua dignità, dopodiché si voltò e disse al suo ospite che conosceva un posto lì dietro dove non avrebbero fatto storie.
Girato l’angolo trovarono una bancarella dove vendevano panini farciti e bibite con tavoli e sedie
all’aperto, si sistemarono e nel frattempo arrivò una delle cameriere a prendere il loro ordine.
Mentre aspettavano il loro pranzo, Giulia chiese a Marcello se se la sentisse di raccontargli la sua storia e come era finito a vivere per la strada, se avesse una famiglia che lo aspettava da qualche parte.
Lui non era molto loquace, gli risultava difficile aprirsi con qualcuno, ma quella ragazza dagli blu come il mare aveva qualcosa che lo affascinava, iniziò raccontandole ciò che le aveva già detto, era un imprenditore di materiali edili, che con la crisi aveva iniziato prima a sentirne gli effetti con il calo delle vendite, poi il suo socio aveva fatto il resto scappando con gli incassi, era anche sposato ed aveva una bellissima bambina bionda, che purtroppo erano venute a mancare in un incidente stradale dopo pochi mesi dal fallimento dell’azienda, lui aveva iniziato a bere per il dolore di aver perso tutto, ovviamente l’alcool aveva fatto il resto, in fin dei conti, disse, una storia come tante la sua.
Giulia , dopo che ebbe ascoltato la sua storia iniziò a piangere, dispiaciuta che la vita fosse stata così crudele con il suo nuovo amico, allora lui commosso da tanta bontà per sdrammatizzare fece una
smorfia come a dire “pazienza” e le chiese di raccontargli qualcosa della sua vita, tanto per ricordare come fosse essere giovani e nel pieno della vita.
La ragazza gli raccontò dei suoi studi, la sua prima delusione amorosa e come lui l’avesse lasciata perché troppo seria, le poche uscite in quanto non amava perdere troppo tempo in futilità, la sua passione per l’arte in genere, la musica classica, l’opera.
Passarono circa tre ore da quando si erano seduti a pranzo, parlando un po’ di tutto , dalla politica, alle tematiche di disagio sociale, Giulia era una ragazza con tanti sogni ed idee innovative, tra cui spiccava il suo desiderio di aprire un centro sociale per ragazzi , con famiglie in difficoltà economiche, con disabilità psicofisiche medio gravi.
Alla fine di quel pomeriggio, i due si salutarono e Marcello ringraziò Giulia dei quei bellissimi momenti, era riuscita con il suo cuore e la sua generosità a farlo di nuovo vivere.
Giulia riprese la sua vita di ogni giorno tra studio, poche uscite e tanta serietà, riuscì a laurearsi prima del previsto con il massimo dei voti ed una lode per la tesi finale, senza volere l’incontro con quel vecchio clochard le aveva dato un’iniezione di fiducia ed anche se dall’incontro di quel giorno non seppe più nulla di lui, le rimase nel cuore per lungo tempo.
Un giorno, mentre stava riordinando casa sentì suonare alla porta, andò a vedere chi era , ma prima di aprire guardò dall’occhiello, vide un uomo sulla cinquantina in giacca e cravatta e con una valigetta in mano, pronta a dire che non aveva bisogno di niente, credendo fosse un venditore porta a porta, rimase di stucco quando quell’uomo si presentò come l’assistente di un notaio.
Giulia fece entrare l’uomo credendo in un errore, ma lui con la documentazione alla mano, le confermò
che era lei che stava cercando ripetendole due o tre volte il suo nome e cognome, le spiegò che era lì per conto di un suo cliente che l’aveva nominata come unica erede dei suoi beni, quando lei chiese chi potesse averle lasciato qualcosa, la risposta la fece quasi cadere dalla sedia, l’uomo in giacca e cravatta le disse che Marcello, il suo amico clochard, era in realtà un imprenditore di successo con tre case, di cui due erano ville ottocentesche ed una, era una villetta al mare, e tutti i suoi conti in banca ammontavano a circa dieci milioni di euro.
Quando Giulia si riebbe dallo choc, chiese perché mai tutto questo, il fingersi un senza tetto, le bugie, allora l’uomo le spiegò che Marcello era un anziano un po’ eccentrico che aveva perso tutta la sua famiglia, quando aveva scoperto di avere poco tempo di vita , decise di fingersi appunto la persona più povera ed ai margini della società, un clochard, per individuare un erede per la sua fortuna, lei era quell’erede, l’unica persona meritevole di tale privilegio, Marcello le si era affezionato davvero molto, in quell’unico pomeriggio insieme lei gli aveva dato la ragione per affrontare il periodo ultimo e più brutto della sua vita con dignità.
Dopo le formalità di rito, l’uomo lasciò a Giulia una busta con una lettera di Marcello, poche righe dove le spiegava i suoi motivi, le chiedeva scusa del sotterfugio e le augurava così di realizzare tutti i suoi sogni, certo che lei avrebbe saputo fare un buon uso dei suoi beni.
Di sicuro Giulia, quel vecchio signore distinto, con la lunga barba bianca come la neve, non se lo sarebbe mai dimenticato.


 

Lettera a mia madre

Cara madre, quante volte ho desiderato dirti ciò che adesso esprimerò in queste pagine.
Ti ricordi quando ero piccola? Tu mi amavi? io non lo so, tu non lo hai mai detto, forse
quando la notte scendeva, nell’oscurità ti accostavi a me e mi sussurravi parole d’amore,
mentre io tra le braccia di Morfeo, inconsapevole della tua presenza dormivo al tepore delle
mie coperte, sperando che un giorno tu avresti espresso ciò che avevi nel cuore.
Ti ricordi madre? Ti ricordi quel giorno, che piangendo ti chiesi di tenere il mostro lontano da me?
Il mostro che ci ha avvelenato la vita, col suo modo di fare dapprima dolce come il miele, insinuandosi
nelle pieghe delle nostre fragilità, ha creato dei crateri così grandi da finirci noi inghiottite.
Lo so che mi sei stata vicina in questi anni di dure lotte, non so se fosse una sorta di senso di colpa inconscio, di questo non finirò mai di ringraziarti, ma se quel giorno avessimo tenuto duro, se non avessimo permesso al mostro di divorarci l’anima?
Forse oggi sarebbe tutto diverso? Purtroppo non ci e’ dato saperlo, ma di certo adesso ti vedrei diversa, magari ripensando ai tuoi baci non dati, ai tuoi sussurri mancati, penserei che fa parte comunque del tuo carattere, non che non mi ami.
Ma adesso? Alla luce delle mie suppliche, delle mattine accoccolata sul camino in lacrime, delle fughe solitarie nei prati verdi sconfinati, come potrei pensare che il tuo modo di chiamarmi continuamente ad assistere la madre di mio padre, fosse amore? Ero solamente una bambina con il diritto di giocare, conoscere, sperimentare i primi amori.
Quando ti ho chiesto di allontanare la belva che bussava alla nostra perché non mi hai ascoltata?
creduta?
So che anche a te è mancato amore, so che hai sofferto, forse non sapevi come agire, voglio pensare
questo per provare a vivere, a riemergere dall’oscurità che mi porto dentro.
L’unica gioia che mi ha donato questa vita , è arrivata un giorno, in uno dei miei periodi bui, lo sai madre quanti ne ho avuti, conoscendo l’unica persona che mi ha dato un po’ di sollievo al cuore, amandomi come mai nessuno, lo so non conoscendo bene l’amore non so se riesco ad esprimergli sempre quanto sia importante per me, che vivo del suo respiro, purtroppo noi mia cara madre, lo sappiamo bene quanto ci hanno tolto, quanto ormai la nostra anima sia stata prosciugata e da molto tempo non vola più libera e leggera, ma forse cara io posso ancora sperare di riemergere dallo strapiombo, forse l’unico che può alleggerire il mio pesante fardello è proprio l’amore di questo essere di luce, per me meraviglioso, chissà madre, forse.
Sai madre mia, oggi sei vicina a me e coi tuoi capelli argento, le mani grinze, gli occhi spenti di chi sa il male fatto, consapevolmente o meno, non importa ormai se sono morta dentro, se mi trascino giorno dopo giorno in questa vita amara, lo sai non importa io ti starò comunque vicina fino alla fine dei tuoi giorni, fino al momento in cui attraverserai il ponte e ti riunirai ai tuoi cari, ti stringerò la mano nel tuo ultimo respiro , sussurrandoti che ti ho perdonato e tu con una lacrima d’amore mi dirai ciò che avrei voluto sentirmi dire da bambina al caldo delle mie coperte, con un dolce bacio della buonanotte.


Un regno d’amore

Molto lontano, in una realtà parallela alla nostra c’è un regno governato da una bellissima regina:
Amore.
Altruismo e Coraggio sono le sue guardie reali ed in tutto il reame vige una sola regola: la pace.
Chi trasgredisce e crea orgoglio, pessimismo, odio, distruzione viene severamente punito con
carcerazione a vita, senza possibilità di grazia.
Le celle sono molto particolari, in quanto all’aperto, composte da fiori colorati, grandi alberi verdi con le fronde che scendono e durante la notte ti accarezzano l’anima, come letto un’amaca appesa per le estremità ai due alberi, in riva al ruscello, con i pesci che felici nuotano sicuri perché sanno che nessuno farà loro del male.
Al mattino i prigionieri vengono svegliati da alcuni schizzi d’acqua da un Guppy, piccolo pesce dai colori sgargianti , che variano sfumando dal giallo paglierino al verde brillante, con una coda leggermente più grande del corpo, agitandola in segno di saluto , funge anche da richiamo per la colazione, servita sul lato opposto del ruscello, dove li attende frutta fresca appena colta dagli alberi, latte appena munto dalle mucche al pascolo verde e pane appena sfornato.
Per gli altri pasti principali invece , ognuno e’ autonomo ed ha un ettaro di terreno coltivabile a
disposizione, così può seminare cosa meglio crede per se, un pollaio con alcune galline per le uova
fresche ogni giorno, per il resto :pane, latte ed altri generi può decidere se collaborare con i guardiani e condividere, oppure scambiare i propri beni con chi ha a disposizione altre risorse.
Un giorno uno dei prigionieri , che era stato accusato di disordini in base all’odio , mentre stava
lavorando con il guardiano più anziano, gli chiese sprezzante perché mai un posto simile dovrebbe
essere una punizione, mettendo in dubbio la capacità di governare della propria sovrana, allora con
tutta la calma del mondo ed un sorriso aperto e sereno il guardiano rispose semplicemente: solo il
calore e l’amore possono sciogliere un cuore pieno di astio, solo facendo raggiungere la pace assoluta dell’anima si può far capire quanto dannosi siano i sentimenti scuri e negativi, così si può in realtà far comprendere cosa si stava distruggendo.
Vivere con il proprio rimorso per tutti i giorni a venire è la peggior prigione.