Valentina Ruocco - Poesie

A mia madre 

 

Lo sai dove sono stata?

Nella terra del mare sono stata 

con chi è cieco per antonomasia 

veggente della figlitudine

sono stata dal potere maschio 

che mai amò il tuo ventre della tentazione 

zittita tra le gambe.

Non sono stata da te perché non esistevi.

Esistevi solo nell’ampolla innevata alle mie spalle 

ora, un solo gancio del tuo ultimo ventre,

dove prima, non c’era nessuna necessità dell’amore.


 

E’ sera

 

Il domani è ancora molto lontano 

Un pensiero confuso fa ombra al marrone degli occhi 

travolge tutto e passa deciso 

si chiede se andare o sostare pesante 

D’un tratto un altro pensiero, più crudo, più cupo 

più grave, sorpassa e si ferma si siede, si sdraia,

si espande come inchiostro adombra quel marrone degli occhi.

Fa somma con l’altro pensiero

Non è più sera, stasera, è già domani.


 

 

Con poca voce

 

Vorrei mangiarti con gli occhi e poi averti in bocca senza accorgermi

nutrirmi di te in proporzioni moderate

in mezzo al petto, sopra la vita, che decide gli ospiti

il loro tempo non lo decido io

Se scegli un giorno, poi ci incontriamo

scegli un giorno e ci ritorniamo ogni cinque dieci minuti

al fianco del respiro grezzo stemperato

tra buio e abbraccio.

Portami caramelle facili da succhiare con pregiudizio, musica alla gola

Fammi l’abitudine di essere amata, portami una manciata di affari per la pelle

combustione nel tempo perfetto della goccia, la mia e la tua

che unisce la base del mare, aggiusta il tiro lievitato.

Spezza la molecola prima che abbia compreso che al buio è tua, tutta.

Conchiglia nera con punta blu tentacolo.

La morte ci danza accanto, ma noi continuiamo a giocare con la vita, con poca voce.


 

La stanza delle lordure 

 

Mi colpiscono i tuoi denti imperfetti, ombrosi.

Sotto, volendo, ci si nascondono gli indiani,

i regali di natale, le raccomandate postali 

da ritirare il lunedì mattina.

Del bianco, non è rimasto nulla, spartito in buste claustrofobiche 

delle vincite domenicali.

Lo sporco e l’incuria, non si distinguono più 

macchie abusive e sapore acido sotto la lingua 

il nero è sbordato ovunque, anche fuori.

E tu, che stai sempre a labbra chiuse.


 

 

Amore e amore

 

Un pigiama di quarant’anni fa

aggrovigliato nel cestello della lavatrice

piccolo il giusto, per stracci

Bianco, al punto che l’eccesso era un difetto.

Ritagli del tempo oscurati dal dolore.

Sembianze umane che indicavo inadatte 

sebbene in taglia e misure.

Innamoramenti al cambio dell’ora.

Chiamavo amore, amore non mio 

e passeggiate umide di bimba in rosa, non mia.

Mi sembrava una stesura ben salda 

ma piangevo vittima di altra mercanzia.

Un pigiama di quarant’anni fa, piccolo il giusto 

per stracci da polvere, ora 

Continuo a chiamare amore 

in un silenzio lungo, largo, gigantesco

Lì sto io. Cercarmi altrove, non ha senso.



Quarantotto ore

 

Quarantotto è il tempo che a me serve

così che possa in me starci.

Che possa innestarci di bello e di piacere.

Quarantotto il tempo di chi voglio e ritagli 

di musica a mezz’aria.

Dammene quarantotto ogni quarantotto ore.

Quarantotto per poter cambiare giostra senza cadere 

per poter scriverci su, persino il più bel conto .

Dammene quarantotto veniamo a patti 

chè possa abbracciarmi imbrogliata nel sonno, 

rischiararmi, togliermi l’ingiusto di dosso.

Quello che pesa, che pesa, pesa.


 

Semplicemente tua 

 

Chiudo gli occhi e sento divaricarsi immensa,

sotto i miei piedi, la certezza al di la di ogni dubbio d’appartenerti.

Appartenerti e basta.

Sono tua, proprio tua, pure i miei punti neri, i mie peli superflui,

le mie rughe, i miei nei più nascosti, tuoi.

Tuo, il diritto di prelazione a vita.

Legittimo usufrutto eterno dei miei cocenti abissi,

delle mie rotondità, delle mie concavità, tutte.

Qualunque cosa riguarda il mio essere mi pare non sia che tua.

Quelli che capitano, che scelgo, che considero degni 

di transitare per le mie cosce, sono passatempi per ingannare la vita.



Donne 

 

Siamo come città convulse 

straordinariamente folli e rumorose

contemporaneamente buie e accese .

Viviamo portandoci addosso strade, bivi, persone,

porte chiuse, crolli, ombre, giardini e contagi. 

Palazzi giganteschi che luccicano nei pressi di una casa miserabile,

messa bene in mostra e che mostra bene e nasconde bene

la nostra fragilità, le scosse rapide violente o invisibili 

e lentissime, che spesso ci svegliano o addormentano i nostri desideri 

e i nostri obiettivi, per sempre.

O forse non lo so. O forse siamo come questo mare che guardo 

dal finestrino della mia auto.

Lo vedo che si addormenta piano sotto il sole di Agosto 



Un pezzo di tempo 

 

Poco distante ti sento e mi invento un sentimento diverso del tempo 

Attimi densi come lava incandescente , complice il silenzio dei nostri sguardi bui

incapaci di dire .

Ho mischiato tutto il tempo in un bicchiere trasparente 

mescolavo e tutto schiariva .

Il pezzo di tempo sbagliato collega lo stato con quello che è stato 

Quel tempo , quel pezzo di tempo è sepolto.

Il nuovo abbraccia , comprime le anche , soffia sugli occhi 

è fatto di gocce .

Lo senti il mio abbraccio ?

Viene fuori denso , intero ti stringe .

Il pezzo di tempo ritorna , lo senti ? 

Infondo , sul fondo , di gocce , di gocce 

di forse, attendo felice 



Si viene vecchi 

 

Si viene vecchi, aria che infila mani nel collo,

che mette lenti a gran sorpresa.

E gli accidenti che combinano guai.

Sull’asfalto, suoni di passi soffiati.

Si viene vecchi e un po si torna indietro.

Belli davanti ad uno specchio ingrandente.

Occhi di amore che aveva 

colore da associare al suo nome.

Riflessi impossibili da evitare.

Regalo di occhiaie coperte bene e pori dilatati.

Un pizzico di pelle soffre e via da quello specchio subito.

Lunga pezza che copre aria non buona.

Che infila mani nel collo.

Si può pensare di non prendere in faccia

il giorno che viene, oppure di prenderlo a braccia 

 e faccia aperti.

Lasciarsi andare un po ,ma senza ossa.