A mia madre
Lo sai dove sono stata?
Nella terra del mare sono stata
con chi è cieco per antonomasia
veggente della figlitudine
sono stata dal potere maschio
che mai amò il tuo ventre della tentazione
zittita tra le gambe.
Non sono stata da te perché non esistevi.
Esistevi solo nell’ampolla innevata alle mie spalle
ora, un solo gancio del tuo ultimo ventre,
dove prima, non c’era nessuna necessità dell’amore.
E’ sera
Il domani è ancora molto lontano
Un pensiero confuso fa ombra al marrone degli occhi
travolge tutto e passa deciso
si chiede se andare o sostare pesante
D’un tratto un altro pensiero, più crudo, più cupo
più grave, sorpassa e si ferma si siede, si sdraia,
si espande come inchiostro adombra quel marrone degli occhi.
Fa somma con l’altro pensiero
Non è più sera, stasera, è già domani.
Con poca voce
Vorrei mangiarti con gli occhi e poi averti in bocca senza accorgermi
nutrirmi di te in proporzioni moderate
in mezzo al petto, sopra la vita, che decide gli ospiti
il loro tempo non lo decido io
Se scegli un giorno, poi ci incontriamo
scegli un giorno e ci ritorniamo ogni cinque dieci minuti
al fianco del respiro grezzo stemperato
tra buio e abbraccio.
Portami caramelle facili da succhiare con pregiudizio, musica alla gola
Fammi l’abitudine di essere amata, portami una manciata di affari per la pelle
combustione nel tempo perfetto della goccia, la mia e la tua
che unisce la base del mare, aggiusta il tiro lievitato.
Spezza la molecola prima che abbia compreso che al buio è tua, tutta.
Conchiglia nera con punta blu tentacolo.
La morte ci danza accanto, ma noi continuiamo a giocare con la vita, con poca voce.
La stanza delle lordure
Mi colpiscono i tuoi denti imperfetti, ombrosi.
Sotto, volendo, ci si nascondono gli indiani,
i regali di natale, le raccomandate postali
da ritirare il lunedì mattina.
Del bianco, non è rimasto nulla, spartito in buste claustrofobiche
delle vincite domenicali.
Lo sporco e l’incuria, non si distinguono più
macchie abusive e sapore acido sotto la lingua
il nero è sbordato ovunque, anche fuori.
E tu, che stai sempre a labbra chiuse.
Amore e amore
Un pigiama di quarant’anni fa
aggrovigliato nel cestello della lavatrice
piccolo il giusto, per stracci
Bianco, al punto che l’eccesso era un difetto.
Ritagli del tempo oscurati dal dolore.
Sembianze umane che indicavo inadatte
sebbene in taglia e misure.
Innamoramenti al cambio dell’ora.
Chiamavo amore, amore non mio
e passeggiate umide di bimba in rosa, non mia.
Mi sembrava una stesura ben salda
ma piangevo vittima di altra mercanzia.
Un pigiama di quarant’anni fa, piccolo il giusto
per stracci da polvere, ora
Continuo a chiamare amore
in un silenzio lungo, largo, gigantesco
Lì sto io. Cercarmi altrove, non ha senso.
Quarantotto ore
Quarantotto è il tempo che a me serve
così che possa in me starci.
Che possa innestarci di bello e di piacere.
Quarantotto il tempo di chi voglio e ritagli
di musica a mezz’aria.
Dammene quarantotto ogni quarantotto ore.
Quarantotto per poter cambiare giostra senza cadere
per poter scriverci su, persino il più bel conto .
Dammene quarantotto veniamo a patti
chè possa abbracciarmi imbrogliata nel sonno,
rischiararmi, togliermi l’ingiusto di dosso.
Quello che pesa, che pesa, pesa.
Semplicemente tua
Chiudo gli occhi e sento divaricarsi immensa,
sotto i miei piedi, la certezza al di la di ogni dubbio d’appartenerti.
Appartenerti e basta.
Sono tua, proprio tua, pure i miei punti neri, i mie peli superflui,
le mie rughe, i miei nei più nascosti, tuoi.
Tuo, il diritto di prelazione a vita.
Legittimo usufrutto eterno dei miei cocenti abissi,
delle mie rotondità, delle mie concavità, tutte.
Qualunque cosa riguarda il mio essere mi pare non sia che tua.
Quelli che capitano, che scelgo, che considero degni
di transitare per le mie cosce, sono passatempi per ingannare la vita.
Donne
Siamo come città convulse
straordinariamente folli e rumorose
contemporaneamente buie e accese .
Viviamo portandoci addosso strade, bivi, persone,
porte chiuse, crolli, ombre, giardini e contagi.
Palazzi giganteschi che luccicano nei pressi di una casa miserabile,
messa bene in mostra e che mostra bene e nasconde bene
la nostra fragilità, le scosse rapide violente o invisibili
e lentissime, che spesso ci svegliano o addormentano i nostri desideri
e i nostri obiettivi, per sempre.
O forse non lo so. O forse siamo come questo mare che guardo
dal finestrino della mia auto.
Lo vedo che si addormenta piano sotto il sole di Agosto
Un pezzo di tempo
Poco distante ti sento e mi invento un sentimento diverso del tempo
Attimi densi come lava incandescente , complice il silenzio dei nostri sguardi bui
incapaci di dire .
Ho mischiato tutto il tempo in un bicchiere trasparente
mescolavo e tutto schiariva .
Il pezzo di tempo sbagliato collega lo stato con quello che è stato
Quel tempo , quel pezzo di tempo è sepolto.
Il nuovo abbraccia , comprime le anche , soffia sugli occhi
è fatto di gocce .
Lo senti il mio abbraccio ?
Viene fuori denso , intero ti stringe .
Il pezzo di tempo ritorna , lo senti ?
Infondo , sul fondo , di gocce , di gocce
di forse, attendo felice
Si viene vecchi
Si viene vecchi, aria che infila mani nel collo,
che mette lenti a gran sorpresa.
E gli accidenti che combinano guai.
Sull’asfalto, suoni di passi soffiati.
Si viene vecchi e un po si torna indietro.
Belli davanti ad uno specchio ingrandente.
Occhi di amore che aveva
colore da associare al suo nome.
Riflessi impossibili da evitare.
Regalo di occhiaie coperte bene e pori dilatati.
Un pizzico di pelle soffre e via da quello specchio subito.
Lunga pezza che copre aria non buona.
Che infila mani nel collo.
Si può pensare di non prendere in faccia
il giorno che viene, oppure di prenderlo a braccia
e faccia aperti.
Lasciarsi andare un po ,ma senza ossa.