Valerio Ravera - Poesie

Orme

 

Orme sul sentiero di neve accanto al torrente si dipanano davanti a me.

Scritture fossili umane e animali, 

testimoni di passaggi precedenti. 

Non sapendo quanto potrà durare questo tappeto bianco calcato da forme,

mi accingo infine a percorrerlo coi miei passi.

Ricalco fedelmente la via unica e lineare solcata da impronte dei miei simili, provando un senso di sicurezza

e al contempo di comunione con chi mi ha preceduto; 

mentre al di fuori di essa solo segni leggeri d’agili zampe

penetrano il bianco immacolato. 

Nel procedere però, la suola talvolta trova cattivo appoggio 

su un percorso ormai troppo battuto, 

divenuto duro e scivoloso col passare del tempo. 

Perciò, spinto da instabilità e disagio, decido di uscirne 

per intaccare il registro bianco vergine con una nuova testimonianza, la mia.

Il passaggio non è semplice, 

soprattutto per l’inquietudine di trovare una superficie più impervia, 

dove la gamba possa cedere d’improvviso alla fragilità dell’innevato suolo, rendendo stupido e vano quell’ardire. 

Ciò m’impone un momento di riflessione 

e un conseguente arresto del cammino. 

Ma l’invito che mi offre quel manto candido 

è più forte dei miei tentennamenti. 

Inoltre mi è di conforto l’assicurazione d’avere al mio fianco

un passaggio già tracciato in cui ritornare se necessario. 

La decisione si fa più facile, pensando a quel qualcuno 

che di fronte a una lunga striscia bianca, 

quasi intatta 

se non per piccoli segni lasciatele da esseri abituati ad attraversarla, 

trovò la forza di avanzare, 

non nella gloria di lasciare la tangibile presenza del suo passaggio, 

o nella generosità verso coloro che sarebbero venuti dopo di lui, 

ma catturato solo dal desiderio d’esplorare l’ignoto. 

Mi spingo così ad aprire una nuova via

e lascio che la scarpa sprofondi fino a scomparire, 

senza la paura di venir risucchiato inesorabilmente, 

bensì pervaso dal dolce rumore della neve che si frantuma. 

Certo il mio procedere non è senz’affanno, 

tuttavia la gamba tiene un passo cadenzato; 

e ondeggiando in questo mare bianco io avanzo sicuro. 

Proseguendo scorgo piacevolmente solchi lasciati d’altri uomini

divergenti dalla traccia maestra, 

tale che dopo poco la sua scia sfuma tra le ormai innumerevoli altre. Evidentemente non ero il solo

ad aver trovato difficoltà nel seguire ciecamente la via. 

Nello sforzo concentrato sul ritmo dell’andatura, 

il rumore dei piccoli cristalli che s’infrangono 

segna lo scorrere del tempo. 

Attorno a me una vegetazione apparentemente immota 

osserva il mio incedere solitario. 

Solo la voce del fiume rimuove il torpore, 

il resto è muta presenza. 

La fine del sentiero giunge inaspettata ai miei occhi, 

rallento fino a fermarmi rimanendo fisso in piedi a contemplare la visione. 

Dinanzi a me sta l’Inverno, con il suo gelido abbraccio, 

che lascia il paesaggio dormiente. 

Solo ora, giunto finalmente al termine, 

m’accorgo d’aver seguito quel fruscio d’acqua

affianco a me fin dall’inizio, 

compagno discreto lungo il tragitto. 

Nella continuità del suo scorrere c’è la fugacità d’ogni passaggio. 

Sento che madre natura raccoglie in se la traccia di ogni suo essere,

mentre guardo le orme sulla neve 

e bevo alla sorgente del torrente, 

alla fine del mio viaggio.   


Camera d’albergo

 

Mentre sono disteso su questo letto ti osservo

e provo ad immaginare

tutte quelle persone che sono state qui,

parole che risuonano ancora, pensieri rimasti intrappolati, 

scorrere di respiri diversi, 

vestiti riposti nell’armadio o sulla sedia, 

volti che si guardano minuziosamente allo specchio, 

corpi distesi sul letto a riposare come sono io adesso. 

Quante persone sono passate prima di me

e quante ne passeranno, 

racchiudi dentro te la traccia della nostra presenza,

un breve istante della nostra esistenza. 


Interno vuoto

 

Due orologi fermi scandiscono il silenzio. 

Luci artificiali mostrano la ragione fittizia di forme banali. 

Rumori premono su vetri 

in tutta la loro disprezzante asprezza, 

per dilaniare ancora una volta il suadente oblio. 

Ombre cingono il chiarore nelle feritoie di stanze oscure. 

Le giostre del tempo si fermano finalmente

in un’immobile apparenza. 

Il sonno s’impasta con l’aria nel pallore dell’eterno raffermo.


Cirri

 

Quaggiù quasi buio, 

mentre lassù gli ultimi sbuffi di luce

s’amalgamano a leggeri fumi velati, 

sgocciolando il loro residuo chiarore 

nelle forme lievi di un vapore 

arruffato nell’azzurro

oltre le rigide ombre di montagne appuntite. 

Solo là dentro la nitidezza dei contrasti 

si sfuma in ibridi colori sfocanti.


Il filo 

 

Sfatto e malfatto, va rifatto! 

Disfa, sfila e rinfila quel filo.

Mi sfugge, 

si storce e s’affloscia, 

si sfibra e si sforma. 

Finchè c’è ancor da ricominciar 

quel che mi danna e affligge fino a sfinimento.


La resa

 

Svanita anche l’ultima forma apparente d’orgoglio, 

s’arrende il volto alla commozione e all’asprezza del pianto,

quasi certo di essere avvolto dall’oscurità 

che cela ogni supplicante creatura. 

Sciolta la resistenza,

lo smarrito si getta tutto dentro l’attanagliante sfogo,

che infine lo soverchia. 

Un impetuoso flusso si sprigiona 

e ogni ferita sotterranea sanguina dagli occhi, 

ormai non più freddi ma sgocciolanti salato liquido caldo. 

Trafitto da laceranti spine, non c’è remora alcuna a pregare

e implorare la benevolenza celeste per un po’ di cordoglio 

dinnanzi ai fremiti della carne che non vogliono arrestarsi.


Ancora devoto a te

 

Vedo nette separazioni tra noi 

e la ragione non vuole dubbi, 

anche quando la visione non è limpida 

cerca comunque di decretare verdetti definitivi.

Io allora penso che non c’è niente da fare con te.

Sotto molti aspetti entrambi crediamo

che si potrebbe anche puntare a qualcosa di meglio. 

E’ chiaro che le nostre vite si dipanano su binari separati e contrari 

su cui è impossibile tracciare un percorso esistenziale 

che allacci due persone in un unico destino.  

Sí, sono definitivamente convinto di questo 

e non vedo perchè non accettarlo. 

In fondo esistono innumerevoli combinazioni 

che darebbero responsi piu’ aperti a possibilità di sviluppo, 

come dici tu la vita va avanti comunque, 

devo solo gettarmi alle spalle dannosi stupidi rimpianti 

e un altra prenderà naturalmente il tuo posto.

Ecco però che quando vado a cercare altre vie da aprire, 

qualcosa sbarra la strada, 

un ostacolo inaspettato si frappone tra me e la mia ricerca. 

Non sono piu’ cosi’ convinto nell’avanzare. 

Ero sicuro di poterti dimenticare facilmente, 

invece sorge inesorabile in me la parvenza di un dubbio, 

a contrastare ogni piu’ fervida decisione e impuntamento.

Istintivamente generato, 

sfugge al controllo della mente. 

E’ una strana riluttanza che salendo forse dallo stomaco, 

irrigidisce il volto 

e mi conduce progressivamente a strappare ogni voglia di raggiungimento dell’obiettivo preposto. 

Allora perdo il contatto con il presente 

e dai miei occhi sfuma la realtà. 

Ossessivamente scavo dentro le mie emozioni 

fino a far sorgere dall’oblio della memoria un disincantato viso, 

che s’espande rapidamente dentro me, 

divenendo la nitida traccia del tuo profilo 

raccolto in un’espressione estatica. 

Non serve spronamento o rimprovero, 

non serve dirsi quanto inutile sia crogiuolarsi in un momento svanito nel tempo

e creato solo per distogliersi dallo sforzo di costruire adesso la propria vita. 

Non m’importa piu’ di niente, 

non c’è volontà che possa distogliermi dal catturare 

quel tuo sguardo gettato nel vuoto

e ormai intimamente fissato nei reconditi meandri del mio animo. 

Provo un’insensata gioia 

nel sentir quel disperato desiderio d’agrapparmi all’amor perduto; 

nell’illusione del tuo volto, 

dopo tanto vagare, 

trovo finalmente casa.


La vicinanza

 

E si ritrovano seduti uno di fronte all’altro, entrambi aspettano lo stesso autobus. 

Lei indossa prontamente gli occhiali scuri e prova a nascondersi dientro di essi, forse non vuole un contatto visivo paritario, desidera scrutare senza esser vista farlo, oppure vuol semplicemente coprire il suo imbarazzo.

Lui si ritrova intrappolato in una gabbia d’ansia cadutagli addosso appena quella figura di ragazza e’ riconosciuta. Non puo’ sfuggire ad un destino cosi’ serrante, goffamente tenta di mostrarsi serafico e superiore alla vicenda, porta lo sguardo altrove. Ma il respiro sale d’intensita’, quasi a fargli sentire inevitabile la necessita’ d’agire. E’ quella presenza cosi’ vicina che gli impedisce d’esser sereno, lo turba ed in egual maniera lo attrae, si sente spinto dentro quell’arena dove trovar gloria o disfatta. Allora ruota gli occhi rapido verso di lei, poi li riconduce verso l’opposta direzione, avvinto dal disagio. Ha visto quanto basta per intuire che la vitrea velatura da lei indossata, non consente altre escursioni senza sentirsi osservato da quello sguardo protetto. C’é da chiedersi se e’ coinvolta quanto lui o indifferente a cio’ che sta accadendo; il trovarla li’ seduta e’ volontarieta’ o semplice casualita’.

L’arrivo del bus scioglie lo stallo e lei repentinamente sale su.

Lui aspetta un poco, sorpreso da tale celerita’, poi si spinge dentro e prima che lo prenda l’incertezza sul da farsi nota affianco a lei un posto libero, si avvicina e infine chiede con una certa irrequietezza di poterle sedere accanto.

Lei accetta la richiesta con garbo e gli favorisce il posto togliendo alcune sue cose dal sedile per far spazio.

Una volta vicini, i due sembrano ancora aspettare qualcosa che deve passare, forse il momento di separarsi per sentirsi liberi da quella pressione che li mette entrambi a disagio. Eppure nel contempo, desiderano stabilire davvero un contatto che riempa quegli attimi di un qualunque significato, anche il piu’ banale basterebbe a farli sentire vicini, non solo di posto. 


 

L’appartenenza

 

Cosa lega un uomo al suo passato se non una volontà di sentirlo riemergere dentro di se. 

Questo desiderio è una pianta che affonda le radici sempre più in profondità 

per cercare nutrimento da ciò che prima stava in superficie. 

Dalla terra che calpestiamo ogni giorno sentiamo sprigionarsi cicliche essenze. 

Avvertiamo il sentore di presenze passate in ombre sfuggenti risveglianti esistenze dimenticate. 

Ci guardiamo attorno per ritrovare antichi dilemmi e affanni, lasciati irrisolti nel respiro della natura. 

Cercando nel tempo, la memoria ritrova l’appartenenza ad un unico insieme d’esistenza che sé abbandonato dentro la sua terra per diventare ricordo depositato di vita in vita. 

Così le vite nascenti avranno sempre una terra pronta a nutrirle.


Cumuli

 

Cumuli d’oggetti, 

cumuli d’ore, 

cumuli d’atti, 

cumuli di parole, 

si riversano senza fine nella discarica del passato. 

Laddove ombre d’uomini s’azzuffano 

nella speranza di trovarci qualcosa di prezioso. 

Qualcuno però risale fin sulle sponde della voragine, 

poi guardando quelle baruffe divertito

getta via il suo ultimo atto d’orgoglio e se ne và.