CONFESSIONE
HO UNO STRAPPO NEL CUORE
UN VUOTO NEL PETTO
SENZA VOLERLO HO FERITO UN AFFETTO
SIAMO ORA LONTANI NEI NOSTRI CUORI
RABBIA E DOLORE TORTURANO IL MIO
PAROLE NON DETTE O DETTE DI TROPPO
ORA NON SERVE PENSARCI PIU’ SOPRA
SOLO RESTA IL PESO DI UN LEGAME INTERROTTO
CHE MI PREME ADDOSSO, MI AGITA NEL SONNO.
PER QUANTO MI PENTA, PER QUANTO MI RAMMARICHI
NON POSSO FAR NULLA PER CAMBIARE IL PASSATO.
SPERO NEL TEMPO, CHE IN QUESTO E’ DOTTORE
CHE GUARISCA VELOCE QUESTA FERITA.
LA SPERANZA CE L’HO, AD ESSA MI AGGRAPPO
E’ L’UNICA AMICA CHE ORA MI CONFORTA.
FILASTROCCA DI CENERENTOLA
Scarpa scarpetta, né troppo larga, né tropo stretta
correndo t’ho perduta andando di tutta fretta.
Verso casa son diretta pria che sveglia sia Civetta,
con fermezza ha sentenziato quella Fata con bacchetta:-
- “Corri via a mezzanotte e non oltre più aspetta,
appen che l’ora scocca rintoccando la torretta!” -
Or chi sa in che mani il fato ormai ti getta,
vorrei tanto fosse quella sì gentil così perfetta
del giovin cavaliere che già pel core mi tiene stretta.
Fra dame e principesse, che financo più si metta,
sol me ha voluto fossi l’unica sua valletta
per goder di danza quell’intimità più stretta.
Amor ci colse di sorpresa, giungendo qual saetta
fiamma di passione al petto come spada alfin diretta
mai prima conoscemmo sensazione così diletta.
Ma giunta l’or fatale ch’all’obbedienza m’ha costretta
son fuggita da quel Prince con una morsa alla gola stretta
senza cenno di commiato, né un bacio ch’Ei ancora aspetta.
Ed or son qui di nuovo, tutta sola e ancor negletta
reclusa in mia dimora, tristemente così reietta
piangendo con gravità la rapida disdetta
che all’amor mio in fiore ho dato, ma che speme ancor proietta
ed il cor tuttor diletta.
IL BRIGANTE
Son Brigante, son furfante, me ne dicon tante tante
che son bruto, che son rozzo, un Orco, un ignorante
che son ladro e assassino, mascalzone e lestofante
son Brigante, son furfante, me ne contan tante tante.
M’hanno illuso con parole di Libertà ed Uguaglianza,
di Giustizia e Fratellanza, di Riscatto e di Speranza.
E’ stato solo un bell’inganno, via un Padrone per un Tiranno
“ORA SEI UN ITALIANO!” in molti obietteranno.
Me n’han fatte tante tante che raccontarlo sarà scottante
per questo son Brigante ogni giorno latitante.
Hanno invaso il mio Villaggio: un soldato per abitante
la caccia è cominciata, non si cura di chi è poppante!
Combatto come un lupo questo Potere tracotante
vuole presto una vittoria e che sia la più schiacciante!
Sta vuotando ogni Borgo con l’Artiglieria pesante
terra bruciata tutt’attorno e fumo nero soffocante.
Ma tuttora son Brigante, se volete gran Furfante
colpito a morte agonizzante, messo al muro da un Arrogante.
Ma le mie Gesta saran cantate ed è questo l’importante!
IL LUPETTO INNAMORATO
Lupo Lupetto
Errabondo t’affanni
Con la smania nel petto
Nel bosco a cercar.
Ansioso tu sei
Trovarti al cospetto
Di quella fanciulla
Graziosa d’aspetto.
Rosea la guancia
Con il cielo negli occhi
Rosso sul capo
Un bel cappuccetto.
Sì tanto l’aneli
Da che la vedesti
Con intrepido passo
Nella scura foresta.
Ma non d’aver pago
il goloso palato
Che ti struggi nell’anima
e non trovi più pace.
Trafitto piuttosto
da cupideo strale
Al suo pensier
il tuo cuore sta male.
La natura ti sfugge
Di siffatto dolore
Giacché il tuo fato
Il suo ironico autore
Brucia tremanti
Le tue membra fervore
E sapere non puoi
Trattarsi d’amore.
IL MONUMENT0 MEGALITICO
Oh! Muto Tempio,
Arcano Monumento,
Da pietre antiche
Di antica terra eretto;
Dall’alto del Monte
Fin sulle valli in basso,
Fin dove lo sguardo
Non coglie più visione
Su tutto domini e contempli.
Di Tua novella m’è giunta eco
Mi ha preso il corpo e l’anima
I miei passi ha mosso
Per condurmi al Tuo cospetto
Senza che potessi oppormi
Smaniavo, anzi, di partire
La Ragione ormai spenta
Attratto alla mia meta
Come falena alla luce
Che ignara del suo agire
E’ obbligata al suo destino.
A Te son venuto, quindi,
Assecondando il mio;
Ho scalato ripidi sentieri
Attraverso il fitto bosco,
Senza temerne le oscure tenebre;
Ho squarciato le spire di mille rovi
Che invano si son poste
Ad intralciare il mio cammino
Avvolgendosi come tentacoli
Ai polsi e alle caviglie.
A Te son giunto, infine
Con le vesti lacere
E graffi sulle membra,
Madide di sudore.
Dinanzi alle tue vestigia
In ginocchio son caduto,
Il capo reclino, il mento sfiora il petto:
Potente su di me
Incuti soggezione,
Come peso opprimente
Mi sovrasta la Tua mole
Svelando la Tua saggezza enorme
E l’incalcolabile sequenza d’esperienze
maturate in millenni d’esistenza
E sedimentate tra le pieghe della Tua materia,
Giacchè Testimone sei di Storia
E di storie umane custode,
Di noi insignificanti mortali
Che al tuo paragone
Duriamo il tempo d’un respiro.
E all’improvviso mi si stringe il cuore
Mi sento così piccolo, indifeso,
Come un granello di sabbia in balia del vento.
Quante cose vorrei chiederti,
Se solo Tu parlassi!
Ma Tu parli, invece, con le Tue silenziose pietre!
Ed io, stolto, non so comprendere il Tuo linguaggio.
Ma ora so che sei testimonianza di un tempo che fu,
Che non tornerà,
Di un tempo ancora bambino, non ancora corrotto.
Ora so che sei eredità di antichissimi Avi, di remote Genti
Avviluppate in un alone di mistero,
Non più selvagge ma ancora acerbe,
Mosse però dall’Armonia dei cicli vitali,
Dal religioso rispetto di Madre Natura,
Ma ormai estinte e sconosciute per sempre.
Ora so di tutto questo
E non posso che avvilirmi
Ripensando a quel che ormai
Da tempo m’ è già noto:
Che di Te, purtroppo, non c’è più memoria
Di quel che fosti e che sarai per sempre.
Perduto è il tuo ricordo
Alla maggioranza di noi posteri
Di noi distratta progenie,
Di diverso spirito, di diversa fede
A cui non parli più, né più servi.
Perso è Il vero senso del tuo esistere
Che a stento sopravvive
Quale flebile traccia di un antico sapere
Nei miti e nelle leggende
E nei racconti popolari;
Ormai financo le tue origini
Sono attribuite al caso,
Capricci di natura
Erroneamente ritenute,
Non ravvisando in Te
Ingegno umano alcuno.
Solo pochi illuminati
Ti sanno riconoscere
Osservandoti nel profondo
Oltre la nuda roccia.
Ed ora, qui davanti a Te,
Sono ancora prono.
Mi concedi di toccarti
Con i palmi delle mani,
Le braccia levate in alto,
Protese su di Te
E di poggiar la fronte
Sulla Tua superficie litica
Levigata dal tempo
E dalla furia degli elementi.
E così mì immagino, in cotal postura,
Come antico pagano ai piedi di un’ara
Invocando grazia ad arcaiche divinità.
Ed infatti il prodigio si compie
Percepisco La Tua energia interiore
Con tenue vibrazione si manifesta
Solleticandomi la cute
Laddove Ti lambisce;
E d’un tratto si riversa in me,
Per un attimo son frastornato
Mentre un fremito mi attraversa
Ed i sensi son confusi.
Poi tutto finisce in un batter di ciglia
Così com’era cominciato.
Mi rialzo in piedi, ancora sbigottito,
Ma è solo per un momento,
Quanto basta per riavermi
E di colpo mi sovvengo,
Proprio in questo istante,
Che di nuovo son tornato
Padrone di me stesso.
Finalmente libero
Con Te non ho più vincoli.
Ma sento ora in me
Una conspevolezza tutta nuova:
Questo, dunque, è quel che per me avevi in serbo!?
Di farmi riscoprire
Chi veramente sono
Attraverso la conoscenza
Di tutto il mio passato
Di chi mi ha preceduto e delle sue azioni,
Quelle buone e quelle cattive.
Perchè altro altro non sono
Che la summa dei vissuti
Di miriadi di persone
Susseguitesi nel tempo
sin dagli albori.
Sono il prodotto finale
Di mille storie millenarie
Di tutti i miei avi
Son l’erede universale.
Ognuno di Loro ha contribuito
A far di me quel che oggi sono.
Ognuno di Loro vive in me
E vivrà ancora per mezzo dei miei figli
Ed i figli dei miei figli,
Finchè Tempo e Fato lo vorranno.
Solo ora posso tracciare
Un percorso sicuro
Lungo il quale vivere il presente
Con animo più sereno
E gettare uno sguardo al futuro
Con rosea speranza.
Per l’Uomo non c’è progresso
Quando nega il suo passato
Dimenticando chi era il padre
Ed il padre di suo padre.
Avanzando nel suo percorso
Dovrà pur voltarsi indietro
A riguardare i passati eventi,
Come a voler rivedere
Un vecchio lungometraggio;
Tanti insegnamenti ne può trarre
Onde evitare il ripetersi degli errori
Mentra procede la scrittura
Del libro di sua storia.
Questa, inoltre, la lezione
Che Tu, preistorico Tempio,
Hai voluto tramandarci.
Per me è grande onore
Esserne l’indegno latore.
Immensamente Ti ringrazio
per il prezioso dono,
Riverente mi inchino
Volgendo il mio saluto.
Ti lascio alla Tua pace
E prendo infin commiato.
Un ultimo sguardo Ti rivolgo
Appressandomi al ritorno.
Quindi m’accingo all’arduo compito
Conscio del suo peso.
Vincenzo Abatiello
Cagliari, 15-05-2018. Dedicata alla “Preta ru Mulacchio”, alla “Preta ra Peshcula” e a tutti
i siti megalitici, noti e sconosciuti, del Cilento.
TEMPORALE D’AGOSTO
IMPROVVISE GIUNGON LE NUBI
CON ROMBI DI TUONO E BREZZE DI FRESCO
L’ACCECANTE SERENO D’AGOSTO
ORA E’ GRIGIORE CHE CELA IL GRAN SOLE.
VIA L’AFA, VIA LA CALURA
IN UN ATTIMO E’ PIOGGIA BATTENTE.
LE ONDE INCRESPANO IL MARE
NON PIU’ AZZURRO MA LIVIDO E NERO,
SPIAGGE E LIDI SON CUPI PAESAGGI
DI OMBRELLONI RICHIUSI SFERZATI DAL VENTO.
GORGOGLIA DI NUOVO IL TORRENTE
RIGONFIO DI ACQUE TUMULTUOSE E VIVACI,
SI DISSETA IL BOSCO, SI DISSETA LA MACCHIA
GIA’ ALLO STREMO DELL’ARIDA ESTATE.
MA PRESTO TUTTO FINISCE
PASSANO LE NUBI, PASSA LA FRESCURA
ED IL SOLE ANCORA RAGGIANTE
PICCHIERA’ FORTE FINO A SETTEMBRE.
U PAZZIARIELLO
Arri arri ciucciariello
Trotta trotta com’a nu pacciariello
Curri curri p’u vicariello
Am’angappà u pazziariello.
M’accattai a Santu Nazzario
A bancarella re Peppeniello,
Ancora ancora m’u ricordo
Sempe ‘ncapo nu cappiello
Fino fino lu cerviello
C’u pappatorio re nu vitiello.
Ma curri e trotta, trotta e curri,
Ciucciariello pacciariello,
Am’arrivà au pazziariello
‘Nfunno ‘nfunno au vicariello
Prima ca su piglia u Munaciello,
Chiro piezzo re fetentiello,
Tanto nge tengo a stu cusariello
Ca si u perdo è nu turmiento
Chiu nienti me trattene
e me fazzo Riauliello
IL GIOCATTOLINO
Hop hop somarello
Trotta trotta come un pazzerello
Corri corri per il vicoletto
Che dobbiamo prendere il giocattolino.
Me lo comprai il giorno della festa di S. Nazario
Alla bancarella di Peppiniello,
Ancora ancora me lo ricordo
Sempre in testa un cappello
Fine fine il cervello
Con l’appetito di un vitello.
Ma Corri e trotta, trotta e corri
Somarello pazzerello
Dobbiamo arrivare al giocattolino
In fondo in fondo al vicoletto
Prima che se lo prende il Monacello,
Quel pezzo di fetentello,
Tanto ci tengo a sto cosettino
Che se lo perdo è un tormento
Più niente mi trattiene
E mi faccio Diavoletto.
Vincenzo Abatiello
UNO STRANO CAVALIERE
Uno strano cavaliere s’aggira pei borghi e per le calli
Velocemente corre pei colli e per le valli
Di metallo il suo destriere che non vuole sella ma sellino
Né staffe, né redini a guidarlo sul cammino.
Come fulmine giù si lancia per il declivio periglioso
Che già subito a risalir caparbio si mena immantinente.
Appressandosi alla scalata dell’alto mente impervio,
A guisa d’un nemico lo sfida alla battaglia;
Forzando il particolar corsiero, arditamente ve lo scaglia
E l’erto sentier ne doma, tortuoso e serpeggiante.
Giunto sulla vetta, infin vi trova meta, sì tanto agognata e vinta,
Ma già ad altra il pensier rivolge.
Sempre sulla strada, timor non ha di Eolo
Nonostante gli soffi in faccia e con la chioma si diverta
Né pioggia, né calore ed il freddo ancor di meno potranno mai fiaccarlo,
Anzi più ne attinge sprone a perseguir l’amato agone.
La gente lo porta in cuore ed il suo nome ha bene in vista,
Al suo passaggio in borgo voci amiche per Lui si levano:-
-“FATE LARGO, FATE LARGO! OR PASSA IL CICLISTA” -
L’ITALIA ALLO SPECCHIO (Ovvero un ipotetico scenario)
A Madonna di Campiglio s’è impiccato il Bianconiglio
or adombra il suo cipiglio l’occhio spento che fu vermiglio;
Di valle in valle e in ogni ciglio la notizia vola per più d’un miglio
ovunque spande lo scompiglio l’oscuro caso di fu Coniglio
Da ogni dove e nascondiglio e senza tema d’alcun periglio
più non tratto da nessen appiglio accorre il Volgo in un parapiglio
In Municipio con gran puntiglio vuol presenziare al Gran Consiglio
con il Sindaco e il suo “codiglio” ed il prete con suo figlio.
All’ordine del giorno v’è cupo il gran quesito
su che portò il Defunto ad essersi così perito!
Ma dopo tanto vociare e a lungo disquisito
di trovar risposta nessuno v’è riuscito.
Ma, d’un tratto, un bimbo, mento levato e portamento ardito
declinando il nome appellandosi “BENITO”
spavaldo si fa avanti, oltre il pubblico rammollito
e torvo si presenta a quell’Ordine Costituito;
Su quell’Autorità pertanto leva minaccioso un dito
è tanto inetta e vile che tutto n’è orridito
“Sono io - poi dichiara – la risposta ad ogni quesito!”
voce alta cristallina acchè ciascuno l’abbia udito.
Indi si volta intorno, viso scuro e indurito,
scrutando con occhio bieco quell’accolito già smarrito,
in ogni volto ormai vi coglie l’animo teso e pur contrito,
sulla bocca ha una smorfia tra il perfido ed il divertito.