Vincenzo Abatiello - Poesie

CONFESSIONE

 

HO UNO STRAPPO NEL CUORE

UN VUOTO NEL PETTO

SENZA VOLERLO HO FERITO UN AFFETTO

SIAMO ORA LONTANI NEI NOSTRI CUORI

RABBIA E DOLORE TORTURANO IL MIO

PAROLE NON DETTE O DETTE DI TROPPO

ORA NON SERVE PENSARCI PIU’ SOPRA

SOLO RESTA IL PESO DI UN LEGAME INTERROTTO

CHE MI PREME ADDOSSO, MI AGITA NEL SONNO.

PER QUANTO MI PENTA, PER QUANTO MI RAMMARICHI

NON POSSO FAR NULLA PER CAMBIARE IL PASSATO.

SPERO NEL TEMPO, CHE IN QUESTO E’ DOTTORE

CHE GUARISCA VELOCE QUESTA FERITA.

LA SPERANZA CE L’HO, AD ESSA MI AGGRAPPO

E’ L’UNICA AMICA CHE ORA MI CONFORTA.


FILASTROCCA DI CENERENTOLA

 

Scarpa scarpetta, né troppo larga, né tropo stretta

correndo t’ho perduta andando di tutta fretta.

Verso casa son diretta pria che sveglia sia Civetta,

con fermezza ha sentenziato quella Fata con bacchetta:-

- Corri via a mezzanotte e non oltre più aspetta,

  appen che l’ora scocca rintoccando la torretta!” -

Or chi sa in che mani il fato ormai ti getta,

vorrei tanto fosse quella sì gentil così perfetta

del giovin cavaliere che già pel core mi tiene stretta.

Fra dame e principesse, che financo più si metta,

sol me ha voluto fossi l’unica sua valletta

per goder di danza quell’intimità più stretta.

Amor ci colse di sorpresa, giungendo qual saetta

fiamma di passione al petto come spada alfin diretta

mai prima conoscemmo sensazione così diletta.

Ma giunta l’or fatale ch’all’obbedienza m’ha costretta

son fuggita da quel Prince con una morsa alla gola stretta

senza cenno di commiato, né un bacio ch’Ei ancora aspetta.

Ed or son qui di nuovo, tutta sola e ancor negletta

reclusa in mia dimora, tristemente così reietta

piangendo con gravità la rapida disdetta

che all’amor mio in fiore ho dato, ma che speme ancor proietta

ed il cor tuttor diletta.



IL BRIGANTE

 

Son Brigante, son furfante, me ne dicon tante tante

che son bruto, che son rozzo, un Orco, un ignorante

che son ladro e assassino, mascalzone e lestofante

son Brigante, son furfante, me ne contan tante tante.

M’hanno illuso con parole di Libertà ed Uguaglianza,

di Giustizia e Fratellanza, di Riscatto e di Speranza.

E’ stato solo un bell’inganno, via un Padrone per un Tiranno

“ORA SEI UN ITALIANO!” in molti obietteranno.

Me n’han fatte tante tante che raccontarlo sarà scottante

per questo son Brigante ogni giorno latitante.

Hanno invaso il mio Villaggio: un soldato per abitante

la caccia è cominciata, non si cura di chi è poppante!

Combatto come un lupo questo Potere tracotante

vuole presto una vittoria e che sia la più schiacciante!

Sta vuotando ogni Borgo con l’Artiglieria pesante

terra bruciata tutt’attorno e fumo nero soffocante.

Ma tuttora son Brigante, se volete gran Furfante

colpito a morte agonizzante, messo al muro da un Arrogante.

Ma le mie Gesta saran cantate ed è questo l’importante!


 

IL LUPETTO INNAMORATO

 

Lupo Lupetto

Errabondo t’affanni

Con la smania nel petto

Nel bosco a cercar.

Ansioso tu sei

Trovarti al cospetto

Di quella fanciulla

Graziosa d’aspetto.

Rosea la guancia

Con il cielo negli occhi

Rosso sul capo

Un bel cappuccetto.

Sì tanto l’aneli

Da che la vedesti

Con intrepido passo

Nella scura foresta.

Ma non d’aver pago

il goloso palato

Che ti struggi nell’anima

e non trovi più pace.

Trafitto piuttosto

da cupideo strale

Al suo pensier

il tuo cuore sta male.

La natura ti sfugge

Di siffatto dolore

Giacché il tuo fato

Il suo ironico autore

Brucia tremanti

Le tue membra fervore

E sapere non puoi

Trattarsi d’amore.


IL MONUMENT0 MEGALITICO

 

Oh! Muto Tempio,

Arcano Monumento,

Da pietre antiche

Di antica terra eretto;

Dall’alto del Monte

Fin sulle valli in basso,

Fin dove lo sguardo

Non coglie più visione

Su tutto domini e contempli.

Di Tua novella m’è giunta eco

Mi ha preso il corpo e l’anima

I miei passi ha mosso

Per condurmi al Tuo cospetto

Senza che potessi oppormi

Smaniavo, anzi, di partire

La Ragione ormai spenta

Attratto alla mia meta

Come falena alla luce

Che ignara del suo agire

E’ obbligata al suo destino.

A Te son venuto, quindi,

Assecondando il mio;

Ho scalato ripidi sentieri

Attraverso il fitto bosco,

Senza temerne le oscure tenebre;

Ho squarciato le spire di mille rovi

Che invano si son poste

Ad intralciare il mio cammino

Avvolgendosi come tentacoli

Ai polsi e alle caviglie.

A Te son giunto, infine

Con le vesti lacere

E graffi sulle membra,

Madide di sudore.

Dinanzi alle tue vestigia

In ginocchio son caduto,

Il capo reclino, il mento sfiora il petto:

Potente su di me

Incuti soggezione,

Come peso opprimente

Mi sovrasta la Tua mole

Svelando la Tua saggezza enorme

E l’incalcolabile sequenza d’esperienze

maturate in millenni d’esistenza

E sedimentate tra le pieghe della Tua materia,

Giacchè Testimone sei di Storia

E di storie umane custode,

Di noi insignificanti mortali

Che al tuo paragone

Duriamo il tempo d’un respiro.

E all’improvviso mi si stringe il cuore

Mi sento così piccolo, indifeso,

Come un granello di sabbia in balia del vento.

Quante cose vorrei chiederti,

Se solo Tu parlassi!

Ma Tu parli, invece, con le Tue silenziose pietre!

Ed io, stolto, non so comprendere il Tuo linguaggio.

Ma ora so che sei testimonianza di un tempo che fu,

Che non tornerà,

Di un tempo ancora bambino, non ancora corrotto.

Ora so che sei eredità di antichissimi Avi, di remote Genti

Avviluppate in un alone di mistero,

Non più selvagge ma ancora acerbe,

Mosse però dall’Armonia dei cicli vitali,

Dal religioso rispetto di Madre Natura,

Ma ormai estinte e sconosciute per sempre.

Ora so di tutto questo

E non posso che avvilirmi

Ripensando a quel che ormai

Da tempo m’ è già noto:

Che di Te, purtroppo, non c’è più memoria

Di quel che fosti e che sarai per sempre.

Perduto è il tuo ricordo

Alla maggioranza di noi posteri

Di noi distratta progenie,

Di diverso spirito, di diversa fede

A cui non parli più, né più servi.

Perso è Il vero senso del tuo esistere

Che a stento sopravvive

Quale flebile traccia di un antico sapere

Nei miti e nelle leggende

E nei racconti popolari;

Ormai financo le tue origini

Sono attribuite al caso,

Capricci di natura

Erroneamente ritenute,

Non ravvisando in Te

Ingegno umano alcuno.

Solo pochi illuminati

Ti sanno riconoscere

Osservandoti nel profondo

Oltre la nuda roccia.

Ed ora, qui davanti a Te,

Sono ancora prono.

Mi concedi di toccarti

Con i palmi delle mani,

Le braccia levate in alto,

Protese su di Te

E di poggiar la fronte

Sulla Tua superficie litica

Levigata dal tempo

E dalla furia degli elementi.

E così mì immagino, in cotal postura,

Come antico pagano ai piedi di un’ara

Invocando grazia ad arcaiche divinità.

Ed infatti il prodigio si compie

Percepisco La Tua energia interiore

Con tenue vibrazione si manifesta

Solleticandomi la cute

Laddove Ti lambisce;

E d’un tratto si riversa in me,

Per un attimo son frastornato

Mentre un fremito mi attraversa

Ed i sensi son confusi.

Poi tutto finisce in un batter di ciglia

Così com’era cominciato.

Mi rialzo in piedi, ancora sbigottito,

Ma è solo per un momento,

Quanto basta per riavermi

E di colpo mi sovvengo,

Proprio in questo istante,

Che di nuovo son tornato

Padrone di me stesso.

Finalmente libero

Con Te non ho più vincoli.

Ma sento ora in me

Una conspevolezza tutta nuova:

Questo, dunque, è quel che per me avevi in serbo!?

Di farmi riscoprire

Chi veramente sono

Attraverso la conoscenza

Di tutto il mio passato

Di chi mi ha preceduto e delle sue azioni,

Quelle buone e quelle cattive.

Perchè altro altro non sono

Che la summa dei vissuti

Di miriadi di persone

Susseguitesi nel tempo

sin dagli albori.

Sono il prodotto finale

Di mille storie millenarie

Di tutti i miei avi

Son l’erede universale.

Ognuno di Loro ha contribuito

A far di me quel che oggi sono.

Ognuno di Loro vive in me

E vivrà ancora per mezzo dei miei figli

Ed i figli dei miei figli,

Finchè Tempo e Fato lo vorranno.

Solo ora posso tracciare

Un percorso sicuro

Lungo il quale vivere il presente

Con animo più sereno

E gettare uno sguardo al futuro

Con rosea speranza.

Per l’Uomo non c’è progresso

Quando nega il suo passato

Dimenticando chi era il padre

Ed il padre di suo padre.

Avanzando nel suo percorso

Dovrà pur voltarsi indietro

A riguardare i passati eventi,

Come a voler rivedere

Un vecchio lungometraggio;

Tanti insegnamenti ne può trarre

Onde evitare il ripetersi degli errori

Mentra procede la scrittura

Del libro di sua storia.

Questa, inoltre, la lezione

Che Tu, preistorico Tempio,

Hai voluto tramandarci.

Per me è grande onore

Esserne l’indegno latore.

Immensamente Ti ringrazio

per il prezioso dono,

Riverente mi inchino

Volgendo il mio saluto.

Ti lascio alla Tua pace

E prendo infin commiato.

Un ultimo sguardo Ti rivolgo

Appressandomi al ritorno.

Quindi m’accingo all’arduo compito

Conscio del suo peso.

 

Vincenzo Abatiello

Cagliari, 15-05-2018.   Dedicata alla “Preta ru Mulacchio”, alla “Preta ra Peshcula” e a tutti

                                           i siti megalitici, noti e sconosciuti, del Cilento.


TEMPORALE D’AGOSTO

 

IMPROVVISE GIUNGON LE NUBI

CON ROMBI DI TUONO E BREZZE DI FRESCO

L’ACCECANTE SERENO D’AGOSTO

ORA E’ GRIGIORE CHE CELA IL GRAN SOLE.

VIA L’AFA, VIA LA CALURA

IN UN ATTIMO E’ PIOGGIA BATTENTE.

LE ONDE INCRESPANO IL MARE

NON PIU’ AZZURRO MA LIVIDO E NERO,

SPIAGGE E LIDI SON CUPI PAESAGGI

DI OMBRELLONI RICHIUSI SFERZATI DAL VENTO.

GORGOGLIA DI NUOVO IL TORRENTE

RIGONFIO DI ACQUE TUMULTUOSE E VIVACI,

SI DISSETA IL BOSCO, SI DISSETA LA MACCHIA

GIA’ ALLO STREMO DELL’ARIDA ESTATE.

MA PRESTO TUTTO FINISCE

PASSANO LE NUBI, PASSA LA FRESCURA

ED IL SOLE ANCORA RAGGIANTE

PICCHIERA’ FORTE FINO A SETTEMBRE.


 

U PAZZIARIELLO

 

Arri arri ciucciariello

Trotta trotta com’a nu pacciariello

Curri curri p’u vicariello

Am’angappà u pazziariello.

M’accattai a Santu Nazzario

A bancarella re Peppeniello,

Ancora ancora m’u ricordo

Sempe ‘ncapo nu cappiello

Fino fino lu cerviello

C’u pappatorio re nu vitiello.

Ma curri e trotta, trotta e curri,

Ciucciariello pacciariello,

Am’arrivà au pazziariello

‘Nfunno  ‘nfunno au vicariello

Prima ca su piglia u Munaciello,

Chiro piezzo re fetentiello,

Tanto nge tengo a stu cusariello

Ca si u perdo è nu turmiento

Chiu nienti me trattene

e me fazzo Riauliello

 

 

IL GIOCATTOLINO

Hop hop somarello

Trotta trotta come un pazzerello

Corri corri per il vicoletto

Che dobbiamo prendere il giocattolino.

Me lo comprai il giorno della festa di S. Nazario

Alla bancarella di Peppiniello,

Ancora ancora me lo ricordo

Sempre in testa un cappello

Fine fine il cervello

Con l’appetito di un vitello.

Ma Corri e trotta, trotta e corri

Somarello pazzerello

Dobbiamo arrivare al giocattolino

In fondo in fondo al vicoletto

Prima che se lo prende il Monacello,

Quel pezzo di fetentello,

Tanto ci tengo a sto cosettino

Che se lo perdo è un tormento

Più niente mi trattiene

E mi faccio Diavoletto.

 

Vincenzo Abatiello



UNO STRANO CAVALIERE

 

 

Uno strano cavaliere s’aggira pei borghi e per le calli

Velocemente corre pei colli e per le valli

Di metallo il suo destriere che non vuole sella ma sellino

Né staffe, né redini a guidarlo sul cammino.

Come fulmine giù si lancia per il declivio periglioso

Che già subito a risalir caparbio si mena immantinente.

Appressandosi alla scalata dell’alto mente impervio,

A guisa d’un nemico lo sfida alla battaglia;

Forzando il particolar corsiero, arditamente ve lo scaglia

E l’erto sentier ne doma, tortuoso e serpeggiante.

Giunto sulla vetta, infin vi trova meta, sì tanto agognata e vinta,

Ma già ad altra il pensier rivolge.

Sempre sulla strada, timor non ha di Eolo

Nonostante gli soffi in faccia e con la chioma si diverta

Né pioggia, né calore ed il freddo ancor di meno potranno mai fiaccarlo,

Anzi più ne attinge sprone a perseguir l’amato agone.

La gente lo porta in cuore ed il suo nome ha bene in vista,

Al suo passaggio in borgo voci amiche per Lui si levano:-

-“FATE LARGO, FATE LARGO! OR PASSA IL CICLISTA” -



L’ITALIA ALLO SPECCHIO (Ovvero un ipotetico scenario)

 

 

A Madonna di Campiglio s’è impiccato il Bianconiglio

or adombra il suo cipiglio l’occhio spento che fu vermiglio;

Di valle in valle e in ogni ciglio la notizia vola per più d’un miglio

ovunque spande lo scompiglio l’oscuro caso di fu Coniglio

Da ogni dove e nascondiglio e senza tema d’alcun periglio

più non tratto da nessen appiglio accorre il Volgo in un parapiglio

In Municipio con gran puntiglio vuol presenziare al Gran Consiglio

con il Sindaco e il suo “codiglio” ed il prete con suo figlio.

All’ordine del giorno v’è cupo il gran quesito

su che portò il Defunto ad essersi così perito!

Ma dopo tanto vociare e a lungo disquisito

di trovar risposta nessuno v’è riuscito.

Ma, d’un tratto, un bimbo, mento levato e portamento ardito

declinando il nome appellandosi “BENITO”

spavaldo si fa avanti, oltre il pubblico rammollito

e torvo si presenta a quell’Ordine Costituito;

Su quell’Autorità pertanto leva minaccioso un dito

è tanto inetta e vile che tutto n’è orridito

“Sono io - poi dichiara – la risposta ad ogni quesito!”

voce alta cristallina acchè ciascuno l’abbia udito.

Indi si volta intorno, viso scuro e indurito,

scrutando con occhio bieco quell’accolito già smarrito,

in ogni volto ormai vi coglie l’animo teso e pur contrito,

sulla bocca ha una smorfia tra il perfido ed il divertito.