Vincenzo Logoteta - Poesie e Racconti

A mia moglie Francesca, partita per una nuova vita, che da poco non c’è più. Alla sua sofferenza, al suo coraggio, al suo sorriso.

 

Donne di Kabul

 
C’è un’infelicità strana nei tuoi occhi 
un tempo che ti corre dietro
un luogo quasi sconosciuto
un desiderio mai veramente nato 
un sogno oramai dimenticato
una lacrima che non spegne il cuore.
C’è un’infelicità strana nei tuoi occhi…

 


 

Essenza

 
Sei un epitaffio che interpreta la notte 
il cuore stralunato di un viandante
lo slancio senza senso di un’idea
una storia che non sa più tornare indietro.
 
Il riflesso di una goccia d’acqua
la sua curvatura necessaria
un principio di fisica dimostrato 
la legge di gravitazione universale
 
il profumo intenso di un giardino 
che dal nascere
fino al suo morire
non ha mai conosciuto Isaac Newton.
 
Sei il colore caldo di una luna d’estate 
il suo riflesso argenteo nell’ inverno
la corrente lieve del mare che conduce verso riva
o quella tenace di un fiume, da cui nasce una cascata.
 
Un silenzio che sembra immacolato 
un fiore da poco sbocciato
un bambino non ancora nato
una musica e il suo divenire.
 
Un dipinto di Leonardo
uno scritto di Herman Hesse o Dostoevskij
la tristezza, la gioia, il coraggio, la paura.
Il mio dolore.
 
Sei la confusione di un istante
la chiarezza tra le pieghe di un sentire,
intriso e complice
di un impulso anche animale.
 
Il desiderio o anche la sconfitta
di chi voleva molto
e spesso poco ottiene 
a volte ottiene nulla.
 
Una verità che
per quanti sforzi faccia non ti trova
ed orfana di Te e della sua ombra
vaga…
 
Sei un luogo diverso da quello che volevi
dove gli uomini non sanno più guardare
la memoria non riesce più a vedere
l’antico gesto creativo del creare.
 
Un pensiero complicato
visitato per anni
o scritto e buttato lì…di getto
semplice e vorace.
 
Intenso…
come quello che appare in una notte insonne
che anela un’ alba che senza i suoi colori
sembra aver paura d’arrivare.
Tutto sei…”vita”
ed anche altro ancora.
Tutto sei…complessa ed immensa
precaria e sconosciuta.
 
Si è vero, 
questo sei.
Ma non piangere
o meglio non temere.
 
Io ti consolerò di notte, al buio
ed anche al chiaroscuro di una sera 
asciugherò tutte le tue lacrime
se solo lo vorrai.
 
Ti proteggerò da ogni paura
come una madre con il suo bambino
come un bambino fa con la sua mamma
…un poeta con la sua poesia
ed io con il mio timore.
 
E lo farò per sempre
anche se non ci sarò,
se non ci sarai
se non ci saremo.
 
Finanche quando
emesso l’ultimo respiro
verremo inghiottiti lì…dal buio
o forse liberati e poi librati in volo
nella luce e nell’eternità.

 


 

Tropico del Capricorno

 
Notte…silenziosa come quiete dopo il temporale
La pioggia sta cadendo goccia a goccia
E Tu notte…
attraversi il mondo questa notte
e mi proietti
al di là dell’esistente…
al di là dei miei piccoli pensieri.
 
Nel pianeta Terra
che intanto sta ruotando intorno al Sole.
Oltre l’equatore
nell’emisfero australe 
dove ancora è estate.
Dentro una casetta piena di misteri 
carica di luce e senza tempo
Lì…mi porti
 
Vorrei rompere le mura 
e poi fuggire
Sentire il mare dei ricordi 
e viverli di più
E finalmente vivere e rivivere 
la mia sola ed unica vita…
le mie tante vite.
 
Sfidare l’equatore
guardarlo dal Tropico del Sud
Restando lì… immobile e stupito 
come un pinguino
insieme alla sua ombra.
Al riparo del tempo
al riparo dalla luce
al riparo dall’oceano
al riparo anche da Te
 
Ma non c’è tempo
senza un altro tempo
Non c’è luce
senza un’altra luce
Non c’è  oceano 
senza un altro oceano 
E non c’è notte
senza un’altra notte
 
Il silenzio caldo e calmo
dopo il temporale
La quiete che copre 
lieve l’inquietudine
L’alba fresca che tra un poco
s’avvicina
 
L’infinita gioia
la profonda tristezza
del furtivo viaggio…
 
E poi tu che svanisci…notte 
come non fossi mai esistita 
Così…
lasci il tuo caro ricordo 
insieme al tuo profumo…
Il tuo dolce silenzio 
la memoria di Te
la tua presenza
la luce che mancava 
le tue carezze
il tempo dedicato 
il tuo saluto
e perfino il tuo sorriso 
prima di andar via
 
La pioggia intanto cade 
goccia a goccia
e ancora cade dietro la finestra.

 


 

Chiarore d’autunno

Il profumo di una pioggia d’autunno
mi riporta in giorni lontani,
i quaderni, i colori, le matite, i libri.
Quella strana ansia del primo giorno di scuola.
 
Quanta vita…
tutta da scoprire
la colla bianca, che sapeva di mandorle
e di neve.
 
C’erano tutti…mio padre, mia madre
le voci, i nonni, i bambini,
i rumori provenienti dai cortili.
Racchiusi in un diamante dai riflessi blu,
pieno di speranza.
 
Non c’era modo di restare soli
non c’era tempo per sentirsi soli.
 
La vita?…
Una scommessa, 
che poggiava sulle gambe di giganti.
Tutta davanti alle mie piccole mani.
Un dipinto di Renoir
 
Adesso mi giro indietro…
e che fatica arrivare fin qui
Quanta fatica…
Mi resta il chiarore di una notte d’autunno
che illumina i ricordi.
Immagini adagiate sulla retina degli occhi
e se li chiudo le rivedo ancora.

 


 

Alba

Lunga notte che mi togli il sonno
tu che hai ricordi, nostalgie, speranze,
conducimi nel mare della vita
che attraversando il buio, avanza verso il giorno.
 
Intanto il sigaro consuma la sua mano
ed insieme ad essa, i suoi minuti eterni,
lasciando nella cenere del tempo,
il ricordo di una vita
di cui non riesco a disegnare il canto.
 
Portami lontano…
ed allontana lo zoppicante riflesso
dell’incanto, del “dire senza dire.”
 
Qui non c’è parola, neanche inganno,
ma un silenzio che parla e tace…
si prende gioco di me, di te, di noi,
del mio futuro e del sole di domani.
Si domani…
Quando il lento brulicare della vita,
invita e fa impazzire quegli umani,
che nell’agire sembrano formiche.
E seguono un percorso senza senso,
facendo quel rumore litigioso,
che più di senso, sa di controsenso.
 
Strana la vita…
una leggera brezza,
sa di mare,
a tratti ti accarezza.
 
A volte è come un vento,
che prende e poi ti da,
a suo piacimento…
E tutto ciò che ruba al giorno
lo consegna a Te senza pudore.
 
Col tuo silenzio, notte,
sai custodire l’esistenza
la mia esistenza
la vita che mi vive
 
Dammi la direzione
indica il verso
scrivine il testo
e donalo ad uno sconosciuto.
Lo sconosciuto che incontrerò
alla luce del giorno.
Quando confusa all’alba morirai
e nascerò formica pure io.

 


 

Anima

Come un fiore ti schiudi lentamente,
intreccio di speranze silenziose
 
Ho voglia di godermi il tuo profumo,
il tuo caldo riflesso, il tuo calore.
 
Sei un’ombra che con il tempo,
mostra la sua faccia
e mi invita insieme ad essere e creare
 
Se poi ti va…parlami
perché non reggo più il vuoto del rumore
 
Se ancora puoi…guidami
perché della parola, ciò che mi spaventa
è il suo ingannevole crescendo.
 
Regalami l’incantevole riflesso
di una luce solare
senza senso.
 
E senza chieder senso
accogli ciò che sono 
con dentro le paure.
 
Stravolgi, se ritieni,
l’intimo mio tratto
e fai di me quello che non sono.
 
Ricorda di raccogliere i frutti
della vita,
con la dolcezza tenera
di una madre premurosa
 
E non dimenticarmi
e non dimenticare…
il canto della gioia
lo stato primordiale 
intriso di speranze
il senso profondo della vita
 
Concedimi… 
di essere vivendo
e nell’essere vivendo,
insegnami a sperare

 


 

Amarezza

Non pensavo…non pensavo
che donarsi fosse un peccato
che la giostra della vita potesse alterare il colore dell’acqua
non pensavo all’affanno del finire
 
Ricordo…si ricordo
Quando correvo piccolo e felice nelle notti d’estate
il mondo era immenso
la vita quasi eterna
 
E correndo seguivo il perimetro di un cerchio
il suo π (pi greco)
 
Ogni rumore raccontava una storia
ogni storia rivelava un profumo
chi andava…chi tornava
 
Non pensavo che l’indifferenza
avrebbe svuotato ogni sorriso
ogni intenzione, ogni lacrima
 
Ma così è…così sembra
 
Mi resti tu solitudine.
Tu e la mia coscienza… unico rifugio,
dove ancora mi specchio con fatica.
Mi resta la consapevolezza 
di essere me stesso.
Ora che non ho più tempo
per i giochi di parole
e scrivo i miei pensieri sulle pietre
 
Ora…
Mi resta, la libertà di essere,
le diverse sfumature dell’esistere,
l’ansia di creare
il mio respiro
 
Perché nella vita, come in una fiaba
tanto ci vuole a vivere
e tanto poco per morire

 


 

Lettera di una figlia al padre

E’ sera
e non sei più con me.
Ricordi quando mi coccolavi
e il mio sorriso era il tuo sorriso?
 
E adesso sono qui,
sola in questa stanza fredda
ad aspettare un’altra notte insonne.
 
Perché mi intristisci?
Sei una lama di ghiaccio che mi trafigge l’anima,
che nessuno può comprendere.
Una nube fredda e grigia che mi avvolge
 
Adesso sono sola
sono in trappola.
Non sentirò più la dolcezza di un tempo
non incontrerò mai più il tuo sguardo,
ora che non ci sei più.
 
Ti ho cercato dentro gli altri volti
in ogni parola
dietro ogni sorriso.
Ho cercato le tue mani, tra le altre mani,
ma non le ho più trovate
 
Ti ho cercato…di sera 
quando impaurita ti sentivo lontano
 
E tu sera, non hai più la dolcezza di quando ero bambina.
Non hai più neanche l’odore, il colore, il calore di un tempo…
Del mio tempo strappato
 
Tu mi hai tradito
E nulla è più come prima….Nulla
La vita 
la mia vita
le stagioni
il tempo
e soprattutto Tu
e soprattutto io
 
Diventeremo amiche tu ed io?
Forse un giorno lo diventeremo
Forse di te non avrò paura
Forse chissà…altrove ti potrò incontrare,
e saremo tu ed io insieme
Forse domani saremo all’imbrunire
Forse domani…

 



Quiete

Troverò un posto per
vivere in pace, e fare riposare il mio cuore.
Troverò un posto, al riparo dalle ingiustizie,
con una “luce che chiede”
come lo sguardo di un bambino.
Troverò un posto, 
che mi riempia di tenerezza
che lasci la belva umana, al suo destino.
Ci sarà un posto…
E se non lo troverò, pazienza…
Lo cercherò nel mare.

 


 

Salsedine

Bagnami mare…
anche quando non ci sarò
Accarezzami
Coprimi di sale.
Perdonami…perché non ho saputo amare.

 


 

Tempo

Il tempo amico mio…
in fondo non sappiamo cosa sia.
Ma sappiamo, che esso è colorato
di nostalgia, aspettative, paure…
speranze.
E non siamo certi neanche,
che queste esistano veramente.
Attimi…Pura illusione…Si. Forse.
In fondo vedi, alla fine tutto si risolve
in una lacrima.
Per questo, sorridere alla vita,
è il più bel regalo, che tu possa farti.

 


 

Dialogo sulla parola

Io: “…Tuttavia non m’è ancora chiaro come si possa trasformare la conoscenza in vita. Qui mi devi ammaestrare.”
Anima: “Su questo non c’è molto da dire. Non è cosa cosi razionale come sei portato a pensare.
La via è simbolica.”
C. G. Jung

Figlio. Papà, cosa sono le parole?
Padre. Le parole sono suoni articolati, che esprimono significati.
F. Quindi sono segni?
P. Esattamente. Sono segni…
F. E da dove traggono origine?
P. Esse, forse, hanno origine nel “logos”, il principio primo da cui deriva il pensiero dell’uomo e l’ordine razionale del mondo.
F. Hai detto “l’ordine razionale del mondo”?
Ma il logos, è legato alla fisica?
P. Diciamo che essendo invisibile, è un principio metafisico.
F. E cos’è la metafisica?
P. La metafisica è quella parte della filosofia che si occupa dei principi primi della realtà e che va oltre la conoscenza sensibile. Si chiama così perchè chi riordinò l’opera di Aristotele, un certo Andronico di Rodi, collocò i libri della metafisica subito dopo i trattati di fisica.
F. Quindi metafisica significa “dopo la fisica”?
P. Esatto… Esatto… Letteralmente.
F. Vediamo se ho capito bene… Le parole non sarebbero altro che segni, originanti nel logos che a sua volta, è un principio metafisico.
P. Hai capito benissimo.
F. Ma le parole sono giuste?
P. Esse non sono ne giuste ne sbagliate in se… Ma lo diventano in relazione a ciò che significano, nel contesto di una frase.
F. Vuoi dire in relazione al loro significato?
P. Si, esattamente… Comunque esse indicano sempre qualcosa.
Se dico ‘io”, indico un soggetto, se dico “tavolo”, indico un oggetto, se dico “dormo” o “cammino”, indico uno stato o un’azione, se dico “giustizia”, indico un oggetto astratto e quindi un concetto.
F. Ma… Stai facendo l’analisi logica, papà!
P. Si, l’analisi logica, ma se io insegnassi la grammatica non chiederei, che cos’è la parola “io” o la parola “tavolo” ma cosa esse indicano… Così sarebbe più semplice. La parola “io” non è il soggetto, ma ció che lo indica. La parola “tavolo” non è l’oggetto, ma ciò che lo indica.
F. E quindi i predicati che indicano stati o azioni presenti, passate o future, sono pensati in modo da essere coniugabili nel tempo, per questo motivo?
P. Esattamente Sono le parole che designano la realtà e non viceversa. Dobbiamo partire dalla realtà, ed utilizzare i termini come indicatori della medesima.
F. Si… Si… Interessante
F. Quindi, papà, le parole si relazionano in vario modo tra di loro come soggetti, oggetti e predicati, costituendo quella rete fantastica che è il linguaggio.
P. Si, è proprio così. Hai detto bene… Una rete fantastica. Esse sono collegate da una combinazione logica invisibile che gli dà senso, e le rendono comprensibili… Ad esempio, dire “Io sono la giustizia” oppure “Io sono la libertà” costituisce un paradosso, un non senso, perchè io non posso essere una astrazione, devo avere una soggettività.
F. Allora anche se dico: “Io sono un tavolo”?
P. Si, esattamente. Anche questo è paradosso, perchè io non posso essere un oggetto…Ma uno schizofrenico si, egli può essere sia un oggetto che un’astrazione.
F. Ha una percezione di sé ed una logica diversa?
P. Si, esattamente… la sua percezione e la natura del suo sistema metacomunicativo gli consente una diversa rappresentazione del mondo.
F. Allora la logica, la ricerca del senso, vengono prima della parola?
P. Forse, non sono sicuro.
F. Beh… Continuiamo… Possiamo separare la parola da chi la esprime?
P. Si… Si, certo. Ma perde delle caratteristiche. Quando la separiamo da chi la esprime, essa diventa fredda, impersonale, distinta dall’emozione. Ad esempio, quando un giudice legge una sentenza in Tribunale, lo fa nel modo più impersonale possibile… o quantomeno cerca di farlo, a volte suda pur di controllare l’emozione e rendere la parola incolore. In altre parole si spersonalizza. L’hai notato?
F. Si, l’ho notato… Ma hai detto incolore, perchè le parole hanno colore?
P. Certo, siamo noi che le coloriamo accompagnandole con l’espressione, il tono, il timbro della nostra voce.
F. Troppo complicato…Meglio gli animali che non sanno parlare, e che non hanno niente da dire…Non pensi?
P. No… Io penso che gli animali avrebbero molte cose da dire… Ma forse non parlano perchè non hanno bisogno di parlare.
F. Così sono anche più liberi… Vero?
P. In un certo senso si. Sono più liberi, perchè non conoscendo l’ambivalenza del linguaggio, non conoscono neanche l’ambiguità dell’anima. Comunque… Credo siano più liberi.
F. Vuoi dire che gli animali sono più liberi pur non avendo un’anima?
P. No… No. Voglio dire che non sono imprigionati dalla parola e che non hanno un’anima complessa ed ambigua. Ma, certamente, hanno un’anima, questo mi sembra evidente, altrimenti sarebbero pietre. Per quanto riguarda poi l’essere liberi, invece, penso che per l’uomo ciò consista nel vivere secondo la sua natura, e poter sentire, pensare, agire con meno vincoli possibili, nel profondo rispetto dei suoi simili. Mentre per gli animali non lo so… Comunque, un’aquila in volo mi sembra libera, o quanto meno a me ricorda la libertà, e, a dirti la verità, anche un mustang che corre nella prateria mi sembra libero.
F. E’ vero, è vero, la libertà…Bella cosa la libertà. Come se avessimo segreta memoria di un tempo e di un luogo in cui ci sentivamo liberi. Ma torniamo alla parola… Cosa altro mi puoi dire?
P. Vedi le parole esprimendo dei significati, oltre che descrivere la realtà, sono in grado di tradurre un’essenza, e di estrarre immagini dalla soggettività. Esse attingono oltre che al mondo sensibile, anche al mondo delle idee.
F. Quelle di cui parlava Platone?
P. Si. Quelle… quelle… Le immagini della mente…le idee. Quelle che si contrapponevano al kaos, il mondo della materia informe.
F. Quindi le parole attingono dalla vita e sono vitali?
P. Si… Si. Lo sono eccome. Non c’è parola senza vita… Anche se ci può essere vita senza parola. Tant’è, che solo gli esseri umani, tra i viventi, sembrano dotati di parola. E su di essa hanno costruito la loro storia, il loro sapere, e quindi la loro civiltà…
Ah… dimenticavo, anche sulla guerra, l’hanno costruita la civiltà.
F. Sulla guerra?
P. Si, sulla guerra. Ma questo sarebbe un altro discorso… E comunque, la facevano precedere quasi sempre da una dichiarazione fatta di parole.
F. Da quello che dici, comincio a pensare che le parole sono veramente importanti.
P. Certo che lo sono, esse sono un epifenomeno dell’anima… Il modo rumoroso con cui essa si manifesta, anche se non l’unico. Hanno un grande valore perché, ci consentono di descrivere la realtà, di raccontare la nostra storia, di esprimere ciò che sentiamo, pensiamo, vogliamo, di comunicare il nostro vissuto, insomma… In questo momento mi consentono di giocare con questo metalogo… Ah… Scusa… Di rispondere, alle tue domande.
F. Metalogo… e cos’è un metalogo?
P. Quello che stiamo facendo io e te. Una conversazione problematica. Non costringermi a citare Gregory Bateson, ed il suo libro “Verso un’ecologia della mente”.
Ma non interrompermi, ti prego, altrimenti perdo il filo del discorso. Volevo completare dicendo, che attraverso le parole, l’anima non manifesta solo la sua ombra, la sua ambiguità, ma anche la sua identità, la sua solarità, la sua legittima aspirazione alla libertà.
F. Parli di una parola forte e ragionevole?
P. Vedi, la parola può essere forte, espressiva ed anche vitale, ma deve avere dietro un pensiero ugualmente forte e vitale. Essa non è, in se, ne ragionevole, ne irragionevole… E’ il suo derivato che lo è.
F. Quale derivato papà? Che fai, usi termini economico-finanziari?
P. Non confondermi… Non ne capisco di finanza, come non ne capisco di matematica. Io mi riferivo al discorso, al discorso…. Vedi, questo tu dovresti saperlo, è molto semplice.
Le parole non sono altro che mattoni, che assemblati formano una frase.
F. E le frasi nel loro insieme diventano un discorso.
P. Giusto, giusto.
F. Lo sai che mi sto appassionando a questa discussione?
P. Si… Si… E’ così. Quando afferriamo i concetti ed avviene la comprensione dei significati ci appassioniamo. Ora stavo dicendo… E’ il discorso che può essere ragionevole o irragionevole, anche se a volte, discorsi che sembrano ragionevoli sono folli, ed altri apparentemente folli sono ragionevoli o addirittura geniali.
F. Uhm… E questa apparente contraddizione da cosa dipende? Vediamo se riesco a trovare la risposta io. Secondo me dipende dalle premesse, dall’ambivalenza delle parole stesse, dall’assenza vitale e dalle caratteristiche di chi li esprime.
P. Più o meno. Se per premesse intendiamo le intenzioni, gli obiettivi, i pensieri, le azioni.
F. Vitale… Ragionevole… Da come ne parli, sembra quasi che la parola abbia una sua sacralità.
P. Ceto, la parola ha una sua sacralità,“ soprattutto, quando ha a che fare con il divino. Essa, dissolvendosi nel simbolo, sa rivolgersi a quell’estensione della psiche che chiamiamo spirito o spiritualità, raggiungendola ed attraversandola. ’
F. Vediamo se ho capito bene… Tu vuoi dire che la parola in quanto segno, che per sua natura rimanda ad un conosciuto, tende a relazionarsi con il simbolo, che inviando ad uno sconosciuto, la colma di una forza espressiva, persuasiva e misteriosa tale, da acquisire una sacralità trascendente, che la congiunge al divino.
P. Bravo… Bravo… Da come l’hai formulata, sembra una proporzione matematica, come dire: la parola stà al simbolo, come il sacro sta al divino. Mi hai stupito… Continua.
F. Beh… Allora essendo così potente, la parola può essere molto rischiosa?
P. Certo che lo è. Tutto dipende dall’uso che ne facciamo. Essendo traduzione ambivalente e complessa di un’essenza, è in grado di ridurre la realtà annientandola e trasformandola, e può accadere che, parole apparentemente vive possono nascondere realtà terribili, devastanti e viceversa.
F. E’ vero. Nel cancello di ingresso del campo di concentramento di Auschwitz, c’era scritto: “il lavoro rende liberi”… Una frase totalmente scissa dalla realtà.
P. lnfatti… La parola può essere scissa dalla realtà, e quando ciò avviene in un individuo si manifesta una psicosi, mentre quando avviene nella società, si può manifestare una guerra.
F. “Airbeit macht frei”… “Airbeit macht frei”. Questa frase mi sta risuonando in testa come un eco, papà. Mi sono intristito improvvisamente… perché tanto orrore?
P. Non lo so, me lo chiedo anch’io… Perchè tanto orrore.
F. Allontaniamoci da questo discorso, per favore, è troppo penoso.
P. Si, allontaniamoci, allontaniamoci.
F. Piuttosto volevo chiederti… Come riusciamo a parlare? Io, ad esempio, so che esistono le corde vocali nella laringe che vibrano e parliamo attraverso esse.
P. Si, questo è noto. Ma per un fatto meramente meccanico. In realtà è il nostro cervello, che possedendo un’area deputata alla parola, ci consente di parlare. E quando essa viene colpita diventiamo afasici, e non siamo più in grado di esprimere le nostre parole, ne tantomeno a capire quelle degli altri. Insomma, non riusciamo più a decodificarle, collegarle tra di loro, darle un significato. In un sol colpo perdiamo la funzione semantica, sintattica e pragmatica del linguaggio.
F. Mamma mia, che parole difficili. Ti diverte confordermi le idee… Non farmi capire.
P. Sembrano concetti difficili, ma in realtà non lo sono. E poi quando gli argomenti si spiegano bene, diventano abbastanza semplici…Scusa la modestia.
F. E si, perché spiegare consiste proprio nella capacità e nell’abilità di trasmettere qualcosa di complesso rendendolo comprensibile.
P. Si…E’ proprio così. Vediamo se riesco a semplificare…Vediamo…La semantica riguarda il rapporto dei segni con ciò che designano, la sintassi il rapporto dei segni tra di loro, la pragmatica la relazione tra i segni e coloro che li usano.
F. Allora la proporzione tra – parola, simbolo, sacro, divino- citata prima, non è una proporzione matematica?
P. Certo che non lo è…Come fa ad esserlo? Se fosse una proporzione matematica dove il termine “sacro” rappresenta l’incognita, cioè la X, essa dovrebbe essere il risultato del prodotto parola per divino che sono gli estremi, diviso simbolo.
F. Eh già…Le parole però non sono numeri, cioè astrazioni in grado di determinare le grandezze…sono segni che non si possono ne modificare ne dividere.
P. Ma neanche sommare o sottrarre.
F. Già, neanche sommare o sottrarre.
P. Ma ora consentimi di tornare al discorso precedente…Volevo dirti che quando viene colpito il centro del linguaggio, l’uomo perde questa funzione, ma percepisce tutto il resto: la paura, l’emozione, un sorriso, il calore di un abbraccio, una presenza confortante. Egli spesso, se cosciente, mantiene la sensibilità per cogliere una carezza, una lacrima, una gioia, un addio.
F. Vuoi dire che il suo cuore e il suo intelletto restano intatti nonostante tutto?
P. Si, anche se non proprio intatti, continuano a percepire…Siamo macchine complesse.
F. Macchine hai detto? Ho sentito bene?
P. E’ solo un modo di dire…E’ un’eredità, un paradigma che ci ha lasciato Cartesio. E’ l’essenza della filosofia meccanicistica, laddove il corpo veniva pensato come una macchina.
F. Io non credo sia una macchina.
P. Vedo che stai facendo dei progressi…Infatti non lo è. Ti volevo provocare. L’organismo umano nel suo complesso è più della somma delle singole parti. E poi anch’esso è dotato di una rete invisibile che lo tiene in vita.
F. Come le parole?
P. Si, come le parole. Si tratta, però, di una rete biologica e fisiologica complessa anziché logica, che si intreccia anche con la psiche.
F. Beh, quante cose si potrebbero apprendere ed imparare, non si finirebbe mai. Ah, prima che dimentichi, scusa se ritorno sul tema, mi è venuto un dubbio.
Tu hai detto che le parole sono segni, o sogni?
P. Segni, figlio mio, segni, non sogni. Magari fossero sogni. Adesso sei tu che giochi con le parole, e non solo, ma anche con me. Dici la verità.
F. Si, è vero papà. Ho provato a giocare con le parole. Volevo condurre io il gioco. Per arrivare gradualmente ad un senso più profondo.
P. Come la cipolla, che si sbuccia strato dopo strato.
F. Si, come la cipolla, strato dopo strato.
P. L’avevo capito, comunque ti seguo. Vedi, noi esseri umani, quando veniamo al mondo nasciamo senza parola, e quando moriamo anch’essa muore con noi. Quando arriva la madre di tutte le ingiustizie, non voglio neanche nominarla, essa spazza via tutto, ma tu non devi averne paura, perché un’alba non nasce senza un tramonto che muore. E noi probabilmente siamo espressione dello stesso essere, della stessa vita, della stessa intelligenza e, forse, dello stesso immenso uomo…
E se ti capiterà un giorno, quando io non ci sarò più perché prima o poi partirò, di osservare la magia di un tramonto, l’incanto di un fiume che scorre, fallo in silenzio, pensami senza parlare. Impara ad ascoltare l’anima e lì mi troverai.
F. Mi stai facendo commuovere papà, ma avevi detto segno o sogno?
P. Vedo che continui a giocare.
F. Mi distraggo per difendermi dall’emozione. Avevamo cominciato una discussione sulla parola e stiamo finendo con delle riflessioni sull’uomo e la sua storia.
P. C’è sempre l’uomo di mezzo, vedi?
F. Si è vero, sempre l’uomo di mezzo e la sua storia.
P. Ma adesso vorrei dirti un’ultima cosa, circostanziandola ad una realtà precisa, anche se passata.
Coloro, ed erano tanti, che nel campo di concentramento di Auschwitz torturavano ed uccidevano senza pietà decine di migliaia di uomini, donne e bambini, mentre il cancello di ingresso mentiva con quella scritta “Airbeit Macht Frei”…Quegli uomini, quella banda di criminali che mise a ferro e fuoco l’Europa e che furono i protagonisti della più grande tragedia della storia dell’umanità, sai perché erano così?
E questo è un segreto che ti voglio rivelare. Essi prima persero la capacità di sognare, e poi uccisero la parola. Che è anche l’estrema difesa dell’uomo contro la morte. Ora vedi figlio mio, le parole sono segni non sogni, ma tu finchè vivrai cerca sempre di sognare quando puoi, non dimenticarlo!
F. Ora ho capito perchè tanto orrore, ti voglio bene papà.
“Tracciata è la linea di confine
Sottile ed impalpabile essa appare
Confuso nel groviglio dell’arbitrio io seguo la parola che si perde e disegno ciò che prima non vedevo
Stanco e sereno depongo gli occhiali e chiudo in me il silenzio
Nel chiaro scuro intenso della notte
Cerco leggero il riflesso della luna e scorgo nel segreto la mia anima”