Viviana Finessi - Poesie

L’ALIENA

 

-Vengo da lontano, non puoi capire quanto.

Mi disse tristemente, con occhi che hanno pianto.

-Per te sarò punita, non ti dovevo amare.

Correndo ad una luce: -…Non mi dimenticare!

 

Di lei mai scorderò quel dolce turbamento,

che cresce dentro me più forte ogni momento, 

ricordo era di notte, c’era un’immensa Luna,

e bella quanto lei, ho visto più nessuna.

 

Aveva grandi occhi, lucentissimi e belli,

sulle spalle come un manto, tanti candidi capelli,

-Io sono Aliena! Mi sussurrò esitante,

sconvolto io la strinsi e la baciai tremante. 

 

Ricordo era di notte, c’era un’immensa Luna,

e bella quanto lei, ho visto più nessuna,

di rivederla ancora, ho la speranza accesa,

e torno sempre là, fremente nell’attesa.


LA MIA TERRA

 

Tutta la notte in treno e all’alba eccomi alla stazione,

un’auto a nolo e via, guardando ogni cosa con tanta emozione, 

sento crescermi dentro la gioia d’esser tornato,

ma piango quasi nel riconoscere la casa in cui sono nato.

 

Mi fermo e resto muto a guardare,

i palazzi, la strada, la piazza che un giorno ho dovuto lasciare,

più moderna è la gente che passa e mi fa molto piacere,

niente più lunghe frange, né mantelle nere,

ma dai gesti, il dialetto che sento, ed il modo di fare,

trovo cose anche mie che mai potranno cambiare.

 

Dal forno vicino m’arriva l’odore del pane fragrante,

con un groppo alla gola ritrovo il passato all’istante,

ripenso a mia madre che s’alzava pian piano di notte,

e impastava per noi, con amore, meravigliose pagnotte.

 

Ora voglio veder se c’è ancora quella tal latteria,

“mozzarelle da Gianni”, l’insegna diceva, là in fondo alla via,

rammentando il sapore ed il gusto sublime del latte,

quando varco la soglia sorrido, ed ho il cuore che batte.

 

Ma i ricordi che ho non son tutti belli,

sono triste pensando a chi sta oltre questi cancelli,

alle foto sbiadite dal tempo un saluto commosso,

trattenere le lacrime a lungo davvero non posso. 

Mi sorride mio padre: l’ho negli occhi che torna ch’è tardi e ch’è scuro,

la sua bici ha una piccola luce, il mio porto sicuro,

da lontano chiamava che andassi, fischiando,

io correvo e salendo con lui l’abbracciavo tornando.

 

Sono anni oramai che vivo tanto lontano,

avevo vent’anni, ero solo, nessuno a darmi una mano,

ricordo ogni cosa: tutta la notte in treno e all’alba approdavo là,

straniero esitante in quella grande e sconosciuta città. 

Però avevo speranze, cercavo un migliore futuro,

lasciavo radici, famiglia, ed un vivere sempre più duro. 

Ho imparato ad amare la terra che un giorno mi accolse,

che mi diede una casa, un lavoro, l’amore, dagli stenti mi tolse,

però se qualcuno, proprio ora, chiedesse: -Tu, di dove sei? 

-Son di questo paese! Spontaneamente risponderei.

 

Ma ora basta pensare, ora avverto nel cuore anche un altro richiamo,  

laggiù c’è il mio mare, me lo sogno da tanto e lo amo,

passa in mezzo agli ulivi la strada che porta laggiù,

e fra poco i miei occhi appagati e felici, saran colmi di blu.


GELOSIA

 

Lui ti guardò e io ti vidi troppo bella,

sorridesti cortese, senza sottinteso alcuno,

ugualmente un’ombra sul cuore mio calò.

Avrei voluto esserti barriera,

per impedirti di veder chi non son io.

Maledetto me che non conosco i mezzi,

per proteggerti dai lampi degli sguardi,

che potrebbero crearti sensazioni,

e germogliarti dentro dei segreti.

Mai vorrei che un giorno sospettassi

che qualcosa di migliore esiste al mondo,

si scoprirebbe in me la belva oscura

che a malapena riesco a camuffare.

Ripetimi che m’ami, dimmelo sempre,

mai mi sazia, e mai mi tranquillizza.


DODICI

 

Un letto col numero, la flebo nel braccio,

la febbre nel grafico, minestrina e purea.

I compagni di stanza ogni giorno più amici,

i parenti a trovarmi, solo io col pigiama.

“Hai mangiato? E che cosa? E che dice iI dottore?

Le domande di sempre, di chi è in ansia per me.

Dalle facce mi è chiaro chi mi ama di più.

Com’è lunga la notte, ogni ora che scorre,

intervalli di sonno, eppoi sveglio a pensare.

Nelle stanze è silenzio, sono fioche le luci,

sento un pianto di bimbo dal reparto vicino,

e lamenti e rumori e parole lontane,

l’ambulanza che arriva, ed un’altra che và.

Le infermiere di turno, me le scopro vicino,

silenziose mi scrutano, poi osservano gli altri,

molte volte che corrono a una luce che chiama.

Ecco arriva il dottore, le sue mani a toccarmi,

faccio mille domande, ma ho paura che dica.

Finalmente sorride: -si, domani va a casa!

E di colpo ho le lacrime, anche se son felice.

Ed ecco l’armadio, i vestiti “da sano”,

la camicia la infilo e mi sta ancora bene,

ma i calzoni son larghi e mi viene da ridere.

Ai piedi rimetto le mie scarpe marroni,

le ciabatte consunte le sbatto in valigia.

Sono pronto, ho la giacca e mi sento rinato,

piano piano mi torna il contegno “di prima”.

Sono forse un po’ pallido, sto tremando un pochino,

non lo dico a nessuno e m’impongo coraggio.

Saluto chi resta e che continua a lottare,

qualche faccia incontrata che mai più scorderò.

Ho parole affettuose, stringo forte le mani,

poi le scale di dentro, eppoi L’ARIA FRIZZANTE DI FUORI.

Un istante mi volto a guardare all’indietro,

lassù in alto ero io, quella lì la mia stanza…

L’auto viaggia nel traffico, che ritrovo caotico,

ma nemmeno mi sfiora, son su un altro pianeta.

Finalmente si ferma, son davanti alla porta,

sono un po’ frastornato, nella testa ho la nebbia,

e di nuovo ho le lacrime, anche se son contento.

Prima sera in giardino, senza fretta a scrutare,

-Vieni dentro, fa freddo! La sua voce mi dice,

annuisco in silenzio, ma rimango a guardare

la siepe, la luna, la casa, la strada,

i fiori sbocciati anche senza di me.

Sento il cuore che scoppia, sono gonfio d’affetto,

sono saggio, più vecchio e mi sento un bambino,

alle cose importanti non ci voglio pensare.

Ogni cosa è al suo posto, la mia vita riprende,

si era solo interrotta, ma soltanto per me.


ANZIANO

 

Oggi nel parco i bimbi son pochi,

fa freddo, c’è vento, scarsa voglia di giochi,

mi fan compagnia e neppure lo sanno

e da mamme tirati fra un po’ se ne andranno.

Sono qui con Giovanni, sulla nostra panchina,

ch’è più vecchio di me, ma più lesto cammina.

Ha nipoti già adulti, e piccini che adora,

qualche figlio già nonno, e la moglie l’ha ancora.

Io ho solo Giuseppe che mi dà un po’ d’affetto,

l’ho chiamato così, ma è un grazioso micetto.

Di mio figlio è quel nome, dice che mi vuol bene,

ma è sempre impegnato, e a trovarmi non viene.

Saluto Giovanni, sta scendendo la sera,

ho una bella cenetta: caffelatte e una pera.

Mi accendo la tele, accarezzo il mio gatto,

sparecchio la tavola e poi lavo il mio piatto.

E che mangio domani? …Mi farò una minestra,

sorrido alla Luna lassù mentre chiudo la finestra.


UNA DONNA

 

Riposi le braccia tra i gerani fioriti,

hai lo sguardo inclinato che fissa lontano.

Che vedi o donna, tutto quanto,

o i tuoi occhi non captano nulla?

A che pensi?Che si cela nell’anima tua?

E’ una smorfia leggera o un tenue sorriso,

quel disegno enigmatico che porti sul viso?

Sembrerebbe mestizia, o rassegnazione,

dalla posa che hai tu m’induci a pensarlo…

Sei da sola e sei triste, o vorresti esser sola?

Donna al balcone, certamente mi sbaglio,

forse tu sei serena ed aspetti qualcuno,

e che quando verrà splenderà nei tuoi occhi,

il tuo strano sorriso si farà colorato,

nel tuo cuore la gioia chiarirà ciò che pensi.

Donna al balcone, chi sei?

Sei soltanto un momento,

un qualcosa che ha colto il mio sguardo,

che vagando, per caso, s’è posato su te.

Sconosciuta mi sei e così resterai.

Una donna, un mistero. Ogni donna sei tu.


ALPINISTA

 

Fatica nelle gambe

e nebbia nei polmoni,

ancora qualche sforzo

e la vetta si vedrà.

 

Silenzio,

 

e solitudine,

 

siamo soltanto in tre,

io,

la montagna

e Dio.


PORTAMI A CASA

 

 

Portami a casa, ti prego, è ciò che più desidero,

fra le care cose mie, voglio sentirmi ancora,

sbarrerò la porta, e lascerò là fuori le iene sofferenze,

dell’incubo che qui m’aleggia attorno, non vorrò sentir parlare. 

 

Portami a casa, ti prego, è ciò che più desidero,

non posso sopportare oltre, l’odore di qui dentro,

troppi i giorni chiusi, le devastanti cure, 

che di ciò che un giorno ero, ben poco m’han lasciato.

 

Portami a casa, ti prego, è ciò che più desidero,

nascondi però le foto, di quand’ero sorridente,

felice, forte e sana, e con ancora tutti i miei capelli,

ricresceranno, dicono, ed io ci voglio credere.

 

Portami a casa, ti prego, è ciò che più desidero,

è come un sogno bello, miraggio che m’attira,

là sarò serena e riscoprirò la Vita,

sulle labbra mie di nuovo, il sorriso troppo assente.

 

Portami a casa, ti prego, è ciò che più desidero.


 

 COLPO DI FULMINE

 

-Oh, il dottore è andato in vacanza? Esclamò la ragazza con voce sorpresa e delusa. -Come? Un  sostituto?…Ah,  si,  si, và bene, certo… Aggiunse  riflettendo. -Quando? Giovedì?  Aspetterò fino a giovedì, allora…Se non è possibile prima… Arrivederci! Grazie!  

 

Forse fu la morbida tonalità della sua voce ad attirare l’attenzione del giovane dentista nell’altra stanza, o chissà, forse fu il destino a suggerirgli di sollevare gli occhi proprio in quel momento. Fatto sta che la vide, dunque, attraverso l’uscio socchiuso, ed appoggiò lo sguardo su di lei.  

La vide allontanarsi ed avviarsi verso l’uscita, afferrare la maniglia e chiudersi la porta alle spalle, e su quella porta chiusa rimasero a sostare gli occhi suoi.

-Aspetti! Gridò, ancora non sapendo bene cosa dirle.

Abbandonò ogni cosa, a grandi passi attraversò la stanza e scese di corsa la breve scaletta che dava sul giardino. 

-Signorina! Chiamò.

Lei si volse, leggermente stupita e per entrambi il mondo si riempì di colore.

-…Le andrebbe bene, invece, per domani alle dieci? Lui riuscì appena a sussurrare.

Disse queste parole con la voce, con le labbra, ma i suoi occhi, l’espressione sua le gridarono invece: -Dio, come sei bella, mi piaci, si, tanto!

Lei comprese all’istante queste sue mute parole e sbatté le ciglia, subito turbata. Un sorriso lusingato e leggermente malizioso le si disegnò sul viso e un’ondata di calore corse ad imporporarle deliziosamente le gote.

-Certo…certo, dottore. Molte…molte grazie. Rispose. Arretrò di un passo, sentendosi oramai totalmente fusa e imbarazzata. -Allora…arrivederci a domani. Aggiunse, riuscendo a fatica a distaccarsi con lo sguardo. E conservando quel sorriso sulle labbra gli volse le spalle e varcò il basso cancelletto.

I luminosi occhi di lui la seguirono quasi tangibili, mentre lei, sentendosi sospesa su una nuvola raggiunse la sua auto, l’avviò e sparì quasi subito inghiottita dal traffico. 

Ma non fu lei a partire, non fu lei a viaggiare per la via, tra la gente, fra gli alberi che sfrecciavano veloci.

Non fu lei! Fu l’ologramma di lei: la sua immagine riflessa.

Lei era rimasta là, ai piedi della breve scaletta di quel minuscolo giardino, ancora totalmente immersa nell’atmosfera di quel momento. Negli occhi conservava intatto il volto ilare e garbato del giovane dentista; ne rammentava l’intonazione della voce, la gesticolazione e la postura. Rivedeva ancora la mascherina azzurra dondolargli per inerzia sulla spalla sinistra; quel suo camice bianco e immacolato che durante quella breve corsa gli si era completamente spalancato, rivelandole in quel modo un corpo sano e vigoroso.

Un fremito dolce le attraversò il cuore ed improvvisamente si sentì felice. Una nebbia argentata l’avvolgeva, l’abbracciava, la stordiva, eppure allo stesso modo tutto quanto le sembrava più luminoso.

                                   *

Lui risalì la breve scaletta, si aggiustò sul viso la mascherina azzurra e rientrò nello studio.

-Dottore, sentirò male? Lo accolse una voce timorosa da dietro la grande sedia.

-Stia tranquilla, signora: non se ne accorgerà neppure! Si udì rispondere.

Ma non fu lui a parlare, a proseguire nel lavoro. Non fu lui!

Lui era ancora là, nel minuscolo giardino, con dentro agli occhi quelli luminosi di lei. La rivedeva nell’atto d’allontanarsi mentre sulle spalle le danzavano i capelli. Ricordava perfettamente ogni dettaglio, ogni particolare del gesto sexi che ella fece, quando, per entrare dentro l’auto sollevò unite le sue splendide gambe. La rammentava mentre partiva e quando era già lontana. Poi ritornava a sognare i suoi occhi, i suoi capelli, le sue gambe…Tutto di lei. E quel sogno si allargava perchè vi aggiungeva continuamente dettagli nuovi, e s’immaginava ad occhi aperti quel che gli sarebbe piaciuto che accadesse.  

Finché non incominciò ad aspettare con ansia che fosse già domani.

                             *

Ancora una volta era avvenuto il miracolo: il filo invisibile e misterioso dell’amore aveva attraversato e legato saldamente insieme due anime, che senza saperlo si stavano cercando e che appena incontrate si erano subito riconosciute.


L’AUTUNNO e IO

 

Spalanco la finestra e m’accoglie la bellezza, 

nel panorama che conosco scopro qua e là nuove macchie gialle e arancione,

sorrido ai bei colori che ritornano e che mi trattengono a pensare.

Tanti autunni ho già visto in questo mio piccolo paese di montagna: piovosi, nevosi o stranamente troppo assolati,

ma molte cose restano ugualmente simili in questa bella stagione.

Sposto gli occhi e guardo: 

nel prato non più verde scorgo qua e là qualche fiore superstite. L’aria s’è fatta più fresca, ma io ho riparato di già i bei vasi nel tepor della mia casa.

Sono giorni oramai che non guizzan più a nascondersi le lucenti lucertole,

e gl’insetti qui attorno son pochi e ancor meno le delicate farfalle.

Ora il cielo è celeste e deserto, perché gli uccelli più freddolosi sono già volati via,

solo i passeri son rimasti a saltellar nel mio cortile,

alcuni sono là affaccendati dentro e fuori i cespugli, altri invece lassù allineati per bene sui fili, l’uno accanto all’altro,

ma accorreranno in tanti, fra poco, allegri e ciarlieri a beccar le mie briciole.

So che torneranno antichi sapori e profumi, ma saran come sempre graditi e come nuovi, 

penso all’uva succosa, alle castagne liberate con cautela dai ricci pungenti e lessate poi, o arrostite nella brace del camino. E le noci e le nocciole, spellate con cura ad una ad una e mangiate col pane.

Ora le verdure nell’orto scarseggiano, ma molte sono le piante che ancora danno frutti,

come l’albero di caki, che oggi nel prato vicino è l’indiscusso protagonista,

e che pur se vecchio, nodoso e contorto e totalmente privo di foglie,

sembra esibire orgoglioso agli occhi di chi lo guarda e alla Natura tutta i suoi tantissimi piccoli e meravigliosi soli arancione.

Per me è bellissimo! Mi par di sentirlo cantare!

L’autunno è già qui e cambierà il ritmo dei nostri giorni futuri.

A volte avremo luci accese anche a mezzogiorno,

e pioggia, tanta, necessaria, insistente e sottile, con ombrelli gocciolanti messi ad asciugare e zerbini sempre sporchi e strapazzati.

Non so perché, ma questo mi piace, mi rilassa e mi dà pace.

Ci saranno albe e notti velate da leggera foschia, che avvolgerà le cose e le case come in una garza bianca, leggera e trasparente,

e giorni interi di nebbia fittissima, ma non nemica, che impedirà allo sguardo d’andare oltre il cortile. Il sole coi suoi tiepidi raggi riuscirà a tratti a bucare quella cortina, alternando la fresca penombra alla luce che illumina e risveglia tutto quanto.  

L’autunno è come me, potremmo sembrare tristi, ma non lo siamo affatto,

malinconici, forse, ma soltanto per brevi momenti.

L’estate era ieri, l’inverno non è ancora,

l’afa è un ricordo, il gelo una promessa.

Torno a guardar innanzi a me gli alberi divenuti in breve tempo gialli e arancione,

so già che perderanno ad una ad una le loro belle foglie colorate,

le più fragili cadranno al suolo al primo refolo di vento, alcune svolazzeranno per brevi o lunghi tratti e si poseranno sparse qua e là,   

altre invece, forse perché più forti e tenaci resteranno aggrappate ai loro rami resistendo incredibilmente anche a folate improvvise e impetuose.

E penso che come per le foglie e per tutti gli esseri viventi a questo mondo è il vento del Destino a decidere quando e come staccarci dall’albero della Vita. A volte purtroppo giunge troppo presto e inaspettato, tanto da sgomentare e sconvolgere chi rimane, ed altre invece, suscitando sconcertanti interrogativi sembra dimenticarsi d’arrivare. 

Ma in fondo, il tempo giusto qual è? 

L’autunno mite, calmo e sonnolento, 

prepara la Natura al meritato riposo,

che deposta la coltre di freddo e gelo che presto giungerà a coprirla,

tornerà a ridestarsi come sempre, rigogliosa e sfolgorante di bellezza.