Wanda Dastoli - Poesie

Passi


Se penso che una lacrima in fondo è solo una goccia
ed io goccia dopo goccia ho già bevuto qualche boccia
di distacchi, di rancori, di rimorsi e di rimpianti,
mi passavano soltanto ad ascoltare te che canti
a voce intermittente molto bassa quasi muta,
a sentire la tua mano che da lontano un po’ mi aiuta
a rimanere a galla tra onde grosse e mareggiate,
tutte le cose che mi hai detto in fondo non l’ho mai scordate.
Ma tu piangi a stare sola e spesso pure in compagnia,
ti asciugherei le guance seppur guardando che vai via.


 

 

Casa mia


Ho una casa piccolina,
un paio di camere e cucina,
una finestra sopra al letto,
un gatto che sta sul tetto.
Con le chiavi solo mie
né di mamma né di zie.
Cose buone da mangiare
sembra quasi di star al mare.
Che la stufa soffia forte
senza chiavi sulle porte,
con mia figlia che scorrazza
in questa vita tutta pazza.
Ma io oggi son contenta,
Non sto più nella tormenta,
sono fiera di me allo specchio
e vuol dire già parecchio.


 

La matta


Mi chiedo quanto costi ancora un sogno esagerato,
troppi contratti a tanti zeri che poi non ho mai firmato.
Quante volte che ho pensato che non era l‘ora esatta,
perché se giochiamo a carte io sarò sempre la matta
che scombinava ogni partita solo per il gusto d’imbrogliare,
che pur avendoci le chiavi io resto sempre sulle scale,
che mi piace di guardare facce nuove e visi vecchi,
al posto dei quadri a casa ho messo solo tanti specchi
che mi aiutano a capire un po’ tra il sogno e la realtà
perché poi a notte fonda io mi ritrovi ancora qua.


 

La vecchietta che sogna

 

Lasciata su una sedia buttata lì come una cosa
c’è una vecchiettina intorcinata che riposa.
Sulla testa un cigno bianco fiero come uno sparviero,
nella memoria da vent‘anni solamente un buco nero.
E pensar che da bambina si sognava presidente,
regina indiscussa di un regno splendente.
Poi è stata sorella, poi madre, poi moglie
in una vita amara ripiena di doglie.
Poi c’è stata la guerra e c’è stata la fame,
la ricerca infinita di un pezzo di pane,
i figli cresciuti e un marito sepolto,
ciò che restava per lei non era mai molto.
Ma ora in queste stanze che chiamano ospizio
non le resta più niente se non altro sfizio
di disegnare alle finestre e sopra i termosifoni
gli gnomi, le fate, le gazzelle ed i leoni.


 

Figlia mia


Chissà cosa ricorderai un giorno di me allo specchio,
un sorriso un po’ più storto che sta bene solo a un vecchio,
la mia faccia altalenante tra una smorfia e un pianto muto,
le braccia scarne stanche solo di quello che non ho tenuto,
la mia voce spesso alta che si spezza in un sospiro,
il mio russare a pancia all’aria da far fuggire pure un ghiro,
le risate a bocca aperta mentre cerco di prender fiato,
gli occhi rossi e i lacrimoni per un biglietto che mi hai dato.
Ma di dote figlia mia tra pazzie e isterismi vari
avrai sicuramente una cosa senza eguali:
la testa dura di inseguire a testa alta i tuoi obiettivi,
mi troverai già lì in partenza e di sicuro quando arrivi.


 

A casa di nonna


Ci sono stanze ormai distrutte ma che restano reali
come quando a casa di nonna eravamo tutti uguali
dal nipote più carino al figlio più distrutto,
sempre tutti insieme per la gioia e per il lutto.
Le tende erano sporche gli armadi sgangherati,
vestiti scuciti e orgogli strappati,
si mangiava poco ma ci si abbracciava parecchio
davanti ad un muro scrostato che puzzava di vecchio.
E ho imparato che se affoghi puoi sempre riaffiorare,
ma c’è una grande differenza tra voler bene ed amare,
che si sta bene con tanti ma con qualcuno è più speciale,
come quando dopo un tuffo sulla pelle resta il sale.


 

Nel 2000


C’è un mondo perfetto a guardarlo da fuori
di luci abbaglianti dai mille colori,
di strenne di giochi e di mille balocchi,
campane a festa per tutti i rintocchi.
Poi guardo la gente e ha gli occhi da triglia,
borse grandi sotto gli occhi per chi ha perso una famiglia,
spalle curve di pensieri che piegano le ginocchia,
a battere il petto di domenica chiusi dentro una parrocchia.
E se mi guardo allo specchio non ci sono più fantasmi
barattati troppo spesso per flaccidi orgasmi.
La luce è un più chiara per capire chi poi vale,
chi va portato a casa e chi lasciato sulle scale.


Consapevolezze e speranze


Per l‘anno che arriva non vojo ricchezze,
me auguro d’avecce rispetto e carezze
di poter mantenere la mia casa e mia figlia,
avere le persone intorno che considero famiglia,
di svegliarmi la mattina senza tante paranoie,
di tenermi dentro e fuori le certezze e le gioie.
Capire un po’ di più e incazzamme un po’ de meno,
avere ancora chi amo addormentato sul mio seno
non solo per il sesso ma soprattutto per amore,
di non avere più freddo dentro ma sentire il calore,
di un bacio al risveglio o di una buonanotte,
di cambiare con il miele il dolore delle botte.
Ritrovarmi ad esser capace di dire no quando tentenno,
di  sparire da tutto se serve, solo con un cenno
da tutte quelle situazioni che la vita mette a segno,
oggi mentre respiro l aria fredda fa un disegno
ed io dentro ci vedo un futuro migliore:
crescerò ancora come lo stelo di un fiore.



Auschwitz

 

Son passati settant’ anni da quando ci hanno liberato,

hanno chiuso i cancelli ed hanno detto che è peccato.

Dice ce n’ erano parecchi tutti belli inceneriti,

buttati lì a mucchietti che non si erano spartiti,

come panni come stracci,

tutti morti sti poracci.

Per averci avuto colpa d’aver sbagliato razza,

di non esser alti bianchi e tutti della stessa stazza.

E adesso come niente mi viene sto pensiero,

per metter paura ai ragazzini non usate l‘uomo nero.



Tra sogni e realtà

 

Te direi che non pijavo sonno e sono uscita a sera tardi,

che ho visto la luce accesa e son salita a pijà dù sguardi,

che passavo da ste parti pure se non abito vicino,

che c’è ancora troppa luce e troppo poco vino.

Hai un viso stropicciato non de sonno ma de vita,

‘na vestaglia bianca e nera lungo ai bordi scolorita.

Scocca la mezzanotte e crolla già il sipario,

è rimasta come sempre un’altra pagina di un diario.