I poeti

I poeti non amano stare con i poeti.
Amano emergere dal fango come il più rigoglioso dei fiori.
Plasmarsi come l’argilla con la luce vivida del sole per poi morire e lasciarsi andare.
I poeti sono come gatti randagi nascosti nei vicoli, rifuggono dalle voci mondane.
Chiedono al viandante un racconto per poterlo serbare dal tempo e dalle stagioni.
I poeti non si riconoscono, sono anime mutevoli, rincorrono il tempo da soli, forgiati dal vento, dalle intemperie, dai sipari strappati del cielo.
I poeti sono tra di noi come il male minore, il retaggio di una scomoda vita.


Le mani che nascondo

Le mani che nascondo,
si riappropriano del tempo, dell’evanescente.
Sentirsi altro, diverso da quello che sei sempre stato.
E’ come un campo mutevole e fiorito, con l’erba piegata dal vento.
E’ fatica.
Sentirsi altro, come se una mano amica ti salvasse dalla polvere… ed una pioggia battente la lavasse via.
Adesso che mi amo o forse mi accetto, adesso che la vita mi scorre tra le mani come rugiada.
Adesso che la luna si nasconde da me in mille volti.
Non ti riconosco né ti bramo, sei altro da me, sei ruggine.
Sei la poesia mai scritta, il racconto amaro della storia e poi la luce vivida del giorno.
Sei l’indefinito, l’animo nobile dell’eroe e quella mano che cerco di afferrare.


La città

La mia città è la bramosia dell’apolide di chi si trova nudo e spogliato di tutto.
Della vita, della dignità, del tempo.
E’ una città atona di grida, una donna spietata dal grigio bagliore.
Le corse immemori ed i colloqui mancati, l’agognata attesa di un arrivederci.
E’ la mia città, il tempo perso ad attendere la prossima corsa sotto l’ombrello ricurvo di pioggia e follia.
Follia della folla che t’inghiotte, che ti trasporta lontano tra mille volti tutti uguali e mutevoli: onde anonime di sconosciuti.
E’ la mia città su uno sfondo da ultima cena, nel cenacolo del pane spezzato e del peggior tradimento.
E’ una città di nuovi grattacieli, di antichi sapori d’osteria.
Vorrei godermi la prospettiva di quest’incanto di un nuovo giorno e di un rinnovato splendore.


La vita

C’è un presagio irrinunciabile come una mano tesa:
la metamorfosi della vita.
Un passo sincopato in una breve parentesi.
E’ l’attesa di un amore come il più ancestrale dei desideri.
La sconfitta e l’ascesa, quell’ inarrestabile spasimo di vita
che albeggia il torrente e scava le ossa.
La frontiera dell’umano oltre il dolore: la resa e l’abbandono.
Non ci sono altri desideri, altre immagini, altri suoni.
Ora che la vita sgorga dalla sorgente e si ricongiunge con la terra.


Un uomo

Si! ero già felice
nel grembo di mia madre.
Poi sono nato ed ho pianto tutte le lacrime del mondo.
Si è schiuso il bozzolo e sono diventato farfalla,
in quel cantuccio sono morto e rinato tutti i giorni della mia vita.
Leggendo le tue pagine sono diventato tutti gli uomini
del mondo, ma tra le braccia di mia madre ero solo un uomo.


Abitudine

Abbranco lo scoglio
le alghe mi cingono i piedi,
non sono alghe, ma capelli
attorti alle mie caviglie.
I lacci fluenti e lucenti.
Quando sono nel ventre molle per rannicchiarmi, il maestrale nella sua brezza
diventa un lamento di gabbiano.
Quando sono con te nell’arido deserto tremo dal freddo e danzo di pioggia,
ma non so cadere.