Amore

 

Parecchi mi chiedono se sto amando, con quale intensità, se continuerò ad amare, se ricomincerò ad amare. Sono domande sull’amore. Ma io non do risposte sull’amore. Semmai organizzo una poesia, parole, uno scritto che si comporta come l’amore. Atro non si può sapere, per esempio il prima e il dopo, i tempi. Ma i tempi fanno già parte dei numeri di una storia; quanti dove, quanti quando, quanti perché, quanti silenzi, quanto di bello, quanto di triste…Le complicazioni aritmetiche dell’amore, somme, sottrazioni, divisioni, rare moltiplicazioni belle, più frequenti quelle malinconiche. L’amore, al suo insorgere, è più semplice, non richiede un foglio a quadretti. Cade da solo sul foglio bianco come una macchia di fragola, di ciliegia, di crema. O come una piega, un’orecchia uno strappo…Cose semplici, cose ingenue. Perché l’amore, prima di complicarsi la vita con progetti, intenti, pianificazioni, è un sussulto, uno spasimo, un attimo, un soprassalto istupidito. E va trattato col rispetto della sua semplice franchezza: baci per dire baci e bene per dire il bene che si vuole. Io ho sempre rischiato di dire la verità, quella che una persona, intimamente, vuole dire all’altra. Per volergliela dire, non per ingannarla. Quelle parole il cui significato è sempre “voglio essere sincera”. Ho detto vita quando volevo dire vita. Ho detto ricordi quando volevo veramente dire ricordi. Notte per la notte e giorno per il giorno. Amore mio stava per amore mio. Parlo intimamente, da me a te. Parlo a te, ti ho visto, sai, sotto il sole, e dico sole. Ho visto te e ho sentito me che m’innamoravo. Ecco: questo attimo. Non voglio sapere, non voglio speculare su questo mio sentimento, non voglio progettare un futuro, non voglio mescolare il mio bellissimo amore col calcolo delle nostre probabilità e con la ricorrenza statistica delle scenate, grandi e piccole, o gelosie, o mutismi venturi, o pacificazioni stremate.

Quale è il tempo di un amore escluso quello musicale e la sua lunghezza contabile? Quanto dura, nel senso di un perdurare, di un insistere nell’animo? Che tempo è? Che tempo costruisce? Questo è il punto. Per il mio ho scelto l’inafferrabile trascorrere di un appassionamento, di una dedizione alla persona amata negli attimi di un improvviso rivelarsi di questa passione. E passione sta per passione, che è un impegno totale e, come tale, esclude ogni convenienza, ogni opportunismo. Quindi, per quello che mi riguarda, parlo d’amore, sono nell’amore fino al colle per non esserlo in altro. Mi impegno nella passione amorosa come se fosse, e lo è, passione civile. Non mi attira l’imbroglio, l’intesa equivoca, la manovra, il traffico, la truffa. E questo alla luce del sole. Ho bisogno di quella luce, di quella chiarezza. Perché Lui sia lampante per me, perché io lo sia per Lui e per me stessa, perché tutto sia chiaro non dubitabile. L’amore può non continuare ma certamente si ripete. Voglio dirlo, innamorata un’altra volta di un’altra ancora, voglio dirgli “voglio bene solo a te” e voglio anche dirgli d’averlo già detto con la stessa verità. L’amore è anche gli amori. E non posso ripudiarne nessuno. Tutti sono quell’amore che attualmente mi riporta nel girotondo di tutti gli amori i quali a loro volta mi hanno condotto a questo. Da un po’ di tempo il cuore è nominato più spesso. Da un po’ di tempo qualcuno riesce a dirsi sentimentale. Io lo faccio da anni con testardaggine e convinzione. L’ho detto, il mio proponimento era quello di riuscire a nominare il cuore. E a nominare la mia vita impegnata a riprodurre nella poesia e nell’amore l’incorruttibile franchezza dell’impegno passionale. Anche stavolta ho detto baci per dire baci e dolci per dire dolci, usando gli avverbi degli innamorati: sempre e mai. Perché è così, posso far finta di ignorarli, posso pensare di sostituirli con altri ma poi ne ho bisogno se voglio essere precisa, se voglio precisamente rendere quel rapporto che l’amore instaura con le parole. Certe cose vanno dette passando vicino, vicinissimo alle bocche che le dicono. Così come con la poesia ho cercato di creare quasi qualcosa di organico, perché nulla vada perduto, perché sia vissuto con testarda volontà ogni intervallo che mi separa da te, ma che crea immediati frammenti di memoria. Sai, l’attimo, come un battito del cuore, è la misura base d’essere al mondo.

Ho sempre cercato di seguire il percorso del sole, fin dalla sua nascita orientale. Ho immaginato un paese invisibile tutto per noi. Ho ricordato come un filo di fumo che spuntava all’orizzonte, riempiva il cuore di attesa. Ecco: questo attimo, questa espansione dell’animo che accoglie, senza discriminare, la felicità e le lacrime.

 

Monica Villalba Ceccarini


Viaggio nell’aldilà

 

Questo letto  è scomodo e stretto,  prima o poi cadrò a terra. Avevo sempre pensato di passarci poco tempo e  ora, per non essermi deciso prima , ci morirò sopra.

Ma che mi è successo? Si era tutti nel salone per festeggiare non ricordo più che cosa. Mi sono allontanato per un attimo, stanco della confusione, desideroso anche di pochi minuti di relax, dopo una cena non certamente frugale, data la circostanza. Ho preso come sempre il bicchiere di latte che ormai da qualche tempo mi accompagna prima di dormire. Ora le mie labbra si muovono ma non emettono alcun suono mentre un rumoreggiare cupo, mi rintrona nella testa.

Un torpore indefinibile, misto a un senso di vuoto, ora mi prende tutto. Avverto  un dolore lungo le gambe, e a poco a poco vien su, ho lo stomaco ingarbugliato, dei dolori lancinanti sembrano tagliarmi in due  e una stanchezza indicibile mi cattura. Mi sembra di morire ma non mi è possibile reagire in qualche modo. Qualcuno si avvicina ma non ho la forza di richiamare la sua attenzione, in qualche modo mi moglie si accorge che ho dei problemi. Mi chiede come sto ma io non riesco  a descrivere il mio male ,mia figlia intanto chiama sua sorella e mio genero, e in accordo decidono di portarmi in ospedale per un accertamento. Trascorro qualche giorno in pronto soccorso ma è impossibile tenermi ancora li su quel letto…Mi spostano in reparto , comincio a pensare che la cosa è seria. Ultimamente ho visto morire troppi amici, ma perché inizio  a parlare di morte? Non ci voglio pensare, non la voglio sentire menzionare, la temo come un annientamento, la fine dell’esistenza, il distacco dalle persone care e dalle cose lungamente accumulate e tesaurizzate. Non è che ho paura di morire. E’ che non vorrei essere lì quando questo succede. Quando una persona è affetta da una malattia mortale, i parenti in genere evitano di dirglielo e se essa se ne rende conto, fingono che guarirà e vivrà ancora a lungo. La mia paura è anche il non essere certo di quello che mi accade , le mie figlie questo stanno facendo, mi rassicurano illudendomi che vivrò a lungo . Giorno dopo giorno la mia consapevolezza trova certezza e il mio insano pensiero trova verità . Intanto continuo a giacere in questo letto stretto e scomodo,  mi fa proprio soffrire. La gioia dei giorni sono le cure e le attenzioni che le mie figlie mi riservano, i miei cari amici di sempre che mi vengono a trovare e mi raccontano storie, non mi lasciano mai da solo, ma vedo nei loro occhi tanta tristezza tanto rammarico per me per il mio dolore. Vedo i miei parenti, le mie sorelle i miei fratelli , i nipoti e questo mi conferma… la morte mi è venuta a prendere.. ma poi penso che sto ingrandendo le cose , forse sono venuti tutti per trovarmi e non per salutarmi un ultima volta. Intanto le forze mi abbandonano, non riesco più nemmeno a mangiare . In questo ospedale mi trovo male sono stanco, intorno a me solo morte che va e morte che viene, ogni giorno gli infermiere se ne portano via uno , penso che prima o poi lo faranno anche con me. Mi porteranno via gelido come il marmo , puzzolente e putrefatto. Ma non è meglio una fucilata anziché sto calvario ? Ho sempre detto che non ci si fa niente con un moribondo, con un  derelitto, meglio una schioppettata e via . In realtà ho paura . Ogni giorno che passa mi sento sempre più debole. Inizio a vomitare “zozzerie” di colore scuro dalla bocca che assume un odore sgradevole e un sapore che non voglio nemmeno raccontare. Mi vergogno!. Le mie figlie sono sempre li a soccorrermi , non riesco nemmeno ad andare in bagno da solo , mi infilano il pannolone come ad un bambino .Mi sento umiliato. Voglio tornare a casa mia , al mio orto , alle mie oche , alle mie galline , alle mie campagne verdi. “Portatemi via da qui! Qui ci lascio la pelle”. Supplico le mie figlie di portarmi via sperando che ascoltino ed esaudiscano il mio desiderio. “Ah se potessi sta in mezzo alla macchia! Magari a fa du funghetti?. No! Mo nun è periodo. Allora, a fa du sparicetti, che in mezzo a du fettuccine fatte in casa co l’ova de papera, ce stanno proprio bene!”” Magari potessi magnàlle! E’ che me viè er vomito solo a vedelle”.

Intanto è passato un altro giorno. Mi sento sempre più affaticato , non ce la faccio nemmeno a girarmi nel letto sti,… “lenzoli me pesano addosso, ho le gambe gonfie, me sà che so arrivato alla fine”…Tiziana e Monica hanno deciso di portarmi via… a casa finalmente. Mi spiegano che per farlo devo avere assistenza continua e per averla devo sostare qualche giorno a Nepi, so bene dov’è! Pur di andare via da qui, accetto. Forse mi salvo!.

Comincio a pensare che gli unici piaceri tra queste mura sono state le presenze continue di infermieri parenti, dottori amici ,le mie figlie che non mi hanno mai abbandonato e mi hanno sempre coccolato ed assistito anche nei momenti più rabbiosi del mio caratteraccio, le nuove amicizie che mi sono creato. Mi viene da ridere sembra strano che uno che sta per morire si fa nuove amicizie.

Bene si parte  per Nepi.

Qui è decisamente meglio  anche perché stanotte sono stato malissimo credevo di morire. Qui non ce più quella puzza che c’era in ospedale .Ho la tv ,anche se non mi importa niente , ho una finestra che mi fa vedere le campagne, sento pure il verso di un fagiano .”Avecce  er fucile , du botte e via”. Beh devo dire che sto meglio ,ho pure voglia di alzarmi”.

Nottataccia, mi sento di nuovo ko , respiro a fatica ho l’ossigeno sempre attaccato ,vedo Tiziana in difficoltà , sta aspettando Monica. Mi parla ma io non riesco a capire niente. Ricordo il dolore che ho provato quando è andata via,  al rammarico di non averla più vicino, ricordo il suo matrimonio, è stato difficile lasciarla andare, mi bacchetto da solo per non aver sfruttato meglio la distanza, avrei potuto essere più presente. Ma che succede vedo tutti agitati. Eccola , è arrivata Monica. Mi saluta come al solito  con un bacio sulla guancia molto affettuoso e prolungato. Mi riaffiorano alla mente i ricordi di quando era bambina , il suo carisma, quel carattere combattivo, quella voglia di lavorare sempre, quel non stancarsi mai, ”Mulo di casa” l’ho sempre chiamata. Ora si sta dando da fare per me, sempre in prima linea per farmi stare bene, ma io al contrario sto sempre più male. Credo che loro sappiano qualcosa che non vogliono dirmi. Intanto continuo a vomitare sempre più frequentemente, “ma che sarà sta zozzeria nera che esce? Puzza e fa schifo. Mi sa che qua dentro me sto a fracicà tutto”. Sono stanco!

Ecco il medico. Monica mi avvisa che il medico mi metterà una sonda nel naso e che mi farà male, ma è per farmi stare meglio dopo. Accetto, ma so già cosa aspettarmi hanno tentato già stamattina quando c’era Tiziana e non  ci sono riusciti , non so se ce la farò a resistere. Inizia , mi fa male, lo respingo, ma mi tengono tutti fermo con forza, guardo Monica. piange! Mi sussurra di resistere. Mi giro ,guardo Tiziana anche lei piange sono dispiaciute da morire , probabilmente non sopportano di vedermi cosi. Ora basta , finalmente è finita, sono riusciti ad infilarmi sto tubo nel naso. Non vomito più , faccio tutto dal naso ed è un po meglio . Ho fastidio , ma sempre meglio che dalla bocca……

Ho caldo, ed è un altro giorno. Qui tutti sono gentili , si prendono cura di me ,arriva pure il prete. Mi chiedo cosa voglia , forse mi deve dare l’estrema unzione. Non ce lo vojo ,li preti so n’à brutta razza. Comunque ci parlo e riesce pure a strapparmi un Ave Maria. Mi saluta e mi dice che ci vediamo domani. Ho voglia di mettermi seduto con i piedi fuori dal letto. Chiedo di aprirmi la finestra voglio sentire il vento, l’aria sulla faccia, voglio sentire  il canto del fagiano, invece sento quello delle tortorelle appollaiate sul davanzale , mi viene da sorridere . Mi riaffiorano alla mente tutte quelle belle camminate che mi facevo tra le macchie. In fin dei conti sono un salta fossi guasta macchia. Fucile in spalla , stivali e vestiti mimetici, cappelletto di lana e fazzoletto sulla bocca. E chi mi ammazzava!. Chissà se le farò ancora?.

Mi faccio rimettere a letto , mi sento infiacchito.

E’ mattina , non ho passato una bella notte , non so più nemmeno che giorno sia. Delle persone ci sono qui.

Ah ….si , è Lella, Monica e Bruno che mi ha fatto la nottata, ora sta per andare via lasciando mia moglie e mia figlia accanto a me.

Ho il rumore della confusione nel cervello. Ho preso a tremare tutto e non so spiegarmi se è il freddo  o altro. Lella mia e Monica parlano tra loro , poi con il medico .  Lui mi rassicura poi  mi inietta qualcosa nelle vene. Intanto,  suoni e voci mi giungono attutiti, molto attutiti. Intorno a me vedo solo ombre le quali si muovono come avvolte nella nebbia…Ho freddo .. Poi, d’improvviso, vista e udito ritornano integri. Ora ci vedo e ci sento benissimo. Tutto il malessere è passato. Straordinario! Mi sento etereo, fluttuante come un pappo di cardo. Basta un piccolo impulso e quasi tocco il soffitto. Mi vedo dall’alto, in quel dannato letto  in assoluto abbandono, con le gambe stirate in avanti.

Non mi ci vuol  molto per capire, strano che possa sembrare, che nello stesso istante in cui mi son tornati integri la vista e l’udito, proprio allora son passato… a miglior vita. Infatti, sospeso quassù, sono l’altro me stesso che è laggiù nel letto . E il bello è che non ne sono affatto disperato. Sono morto, tutto qui. Anzi , un fatto positivo  mi pare ci sia in tutto questo: avrei forse risolto l’angoscioso problema dell’immortalità dell’anima? Se è così ho tutte le ragioni di dire che la morte non deve far paura. Così come non fa paura ora a me che, tutto sommato, sono presente a me stesso. Ora ne ho la prova. Sono spirito puro. Il mio corpo è laggiù inerte. Io come spirito puro invece son qui, mi muovo, vedo, ragiono. Vorrei gridare a tutti questa meravigliosa scoperta. E la grido. Comincio a salutare tutti, i miei amici di sempre Poldo e Franco, Sergio, le mie sorelle e i loro figli, la mia famiglia ,insomma tutti i presenti, ma non succede assolutamente nulla. E’ come se fossero tutti sordi. Cerco di avvicinarmi a quelli che in questo momento stanno armeggiando intorno alle mie spoglie, ma qualcosa mi spinge in alto come se fossi un palloncino gonfiato con ossigeno. Che cos’è in fondo l’anima! Puro spirito? Un fiato, un alito ….ossigeno appunto. Cerco di mettermi in una posizione che mi consenta di guardarmi nel grande specchio nel quale vedo riflesse le luci del lampadario alla cui altezza veleggio. Mi spingo verso di esse ma non mi vedo riflesso nello specchio. Questa è la riprova: può un fiato, un alito, un puro spirito specchiarsi se è invisibile? Slitto sulle teste delle persone dando urtoni di qua e di là ma nessuno li avverte.

Intanto due donne, delle quali non riesco a vedere il volto, cercano di mettermi addosso un vestito scuro. Fanno sul mio corpo degli apprezzamenti. Un po’ ne sono lusingato, un pò mi vergogno. Poi, dato l’ultimo tocco al nodo della cravatta, mi compongono, perfettamente supino, con le braccia flesse e le mani sullo stomaco. Ma, appena le lasciano, le mani scivolano giù ai fianchi. Mi vien quasi da ridere. Ripetono l’operazione con identico risultato: ci penserà la corona del Rosario intrecciata intorno alle mani, a tenerle al loro posto. La mia bocca è ormai chiusa: di ciò certamente qualcuno ne sarà contento. Così conciato sono decisamente buffo, ma mi accorgo di non avere né mani né braccia né gambe. Sono una piccola palla o qualcosa del genere penso, trasparente, invisibile, che sguscia e rimbalza, con tendenza a salire in alto. Se le finestre fossero aperte volerei via nello spazio come una piccola particella che va a confondersi nel grande pneuma, che ha come cornice la luce che diventa sempre più viva, accecante addirittura.

Vengo irresistibilmente attratto verso di essa come la falena dalla fiamma della candela.

Ma arriva qualcuno. E’  di nuovo il prete e con lui lo scaccino il quale, con flemma professionale e serena indifferenza, sistema ai lati del letto due grossi candelabri e ne accende i ceri. Il prete si piazza ai piedi del letto e dà inizio a un monotono salmodiare. C’è in lui l’assenza completa di una delle peculiari doti del cristiano, la gioia. Lo conosco. E’ il tipo melanconico dell’operatore funerario. Ma, in fondo, è una brava persona per la quale, comunque, non ho avuto mai molta simpatia. Almeno fino a questo momento. Anzi mi pare che si stia stabilendo ora un certo feeling fra noi; una simpatia direi: cosa più che plausibile, fors’anche naturale. Che significa in fondo simpatia? Soffrire insieme. Ed e così. Soffriamo entrambi: io nella condizione di trapassato e lui in quella di mio mallevadore nei confronti di Dio…Mi avvicino alla finestra. La luce si è fatta più intensa e da essa viene un’armonia che è una cascata di suoni senza una linea melodica, come emessi dalle corde di un’arpa sollecitate dal vento. La stessa luce si è fatta ora armonia. La prima creatura di Dio fu la luce. L’armonia venne dopo, penso. Dio la creò per asciugare le lacrime a chi soffre. Picchio e ripicchio inutilmente contro i vetri per uscire, per essere assorbito nella beatitudine irresistibile di quella luce. Sento anche voci indistinte, che sfumano in aloni sonori… Di chi sono queste voci? Fin quando starò qui dentro, senza possibilità di immergermi nello spazio, non saprò mai nulla. E sentirò sempre il richiamo dell’altro me stesso, quello laggiù con le mani legate e il mento stretto nella buffa cornice disteso sul lettone: una vera e propria violenza, una deturpazione insopportabile della mia immagine, perpetrata senza che io possa in alcun modo difendermi. Tutto questo mi ricorda che, l’anima una volta separata dal corpo non se ne allontana ma gli resta vicina quasi con lo struggente desiderio di riunirsi ad esso. E’ quello che sto provando io stesso in questo momento.

Ma che mi succede ora? Sento che qualcosa mi spinge in basso verso il mio corpo inerte. Capisco! Ma come riprendere possesso del mio corpo?, come rientrarvi dentro se la sola via di accesso me l’ha chiusa quel dannato becchino! Urlo, mi schiaccio contro le pareti, picchio sulle teste di tutti, raggiungo di nuovo il soffitto, mi catapulto di nuovo… Tutta fatica sprecata. Nessuno si accorge di me e nessuno si ribella per me. Ma mia moglie dov’è. Lei conosce benissimo, per esempio, le mie idee circa la toletta mortuaria. Un sudario, un sudario bastava a coprire la miseria del mio corpo! Oh, ma eccola mia moglie! Sta entrando nella stanza. E’ pallida. La chiamo gridando come un forsennato. Ella si guarda tutt’ intorno con doloroso riserbo. Ma è evidente il suo disappunto. Assume l’aria che è proprio quella di quando sta per prendere qualche drastica decisione. Ma che cosa farà? Volge lo sguardo in alto verso il lampadario sul quale, avvilito e rassegnato, mi trovo ora appollaiato. Mio Dio, ma è proprio me che guarda! I nostri sguardi si incrociano, intensi. Non un segno da parte sua. In quanto a me non ci provo nemmeno: e poi, anche volendo, in che modo farmi notare?

Mia moglie si avvicina lentamente al letto. Con gesto deciso spegne le candele e ordina che siano portate via. Poi, con dolcezza ma decisa, dice: «E’ freddo gelato »

(e indica i miei resti mortali).

Mi lascio andare lungo il lampadario e mi pongo al suo fianco mentre lei si china e delicatamente mi sussurra qualcosa poi pone con dolcezza un ultimo bacio sulla fronte mia ormai gelida. La mia bocca si schiude appena in un riconoscente sorriso. Poi dice sottovoce qualche cosa alle mie figlie . Guardo l’altro me stesso che fra qualche istante sarà sottratto alla mia vista… Quel suo lieve sorriso, intanto, tra lo stupito e l’ironico, mi attrae fino allo spasimo. Ora sono a un palmo da lui col disperato desiderio di ristabilire il nostro meraviglioso sodalizio.

A un tratto mi sento come risucchiato. Improvvisamente intorno a me si fa buio pesto. Non so più dove mi trovo. Avverto solo un gran vuoto e il rumore cupo di una mareggiata… Poi ho l’impressione che qualcuno mi sfiori la fronte in una leggera carezza. Come dal fondo di un pozzo sento delle voci a me care: «Riposa in pace! E’ tutto finito…».

«Ciao papà ti vogliamo bene ».

 

Ore 02:30 di una domenica mattina del 19 maggio 2014 ci lascia un uomo straordinario….. il mio papà.

 

Monica


Ti Confido

 

Si. Senza mai distrarmi ad inseguire nient’altro d’importante: ho fatto della mia vita un’opera d’arte. Ho amato, bestemmiato, pianto e vinto, e nelle centomila volte che sono caduta, sono rimasta lì, a gustarmi fino in fondo anche questo grande privilegio. Dove ho sbagliato? Quasi ovunque, con soddisfazione, per scelta o per passione.

Dicono che sono una poetessa: tutte palle! Forse lo sono stata, ma per quelli a cui ho dato le chiavi del mio cuore, sono stata soprattutto altro e di più. Sono stati gli amici cani,  i parenti cani e pochi altri, i miei soli autentici paradisi, e la follia radicata come un’edera nel DNA è stata un lusso che ha permesso di salvarmi dai tentennamenti della mediocrità.

Ti confido che vagare tutta la notte alla ricerca di una stella che ti somigli, è ancora la più bella delle cose.

Monica Villaba Ceccarini