STORIA PATETICA DI UN FARO ESISTENZIALISTA

Finalmente fu costruito. Venne su con delle belle strisce orizzontali,come quelle delle cattedrali nelle antiche città. Si paragonò ad esse,pensò di essere importante…e lo era in realtà, ma per chi sul mare si doveva muovere senza farci caso,non per chi come lui il mare lo stava a guardare.
Aspettò di essere abitato, ma non erano così che andavano le cose; l’uomo che di tanto in tanto andava a controllare il suo stato di salute aveva una casa per conto proprio, con dentro una famiglia, un cane scodinzolante e i biscotti per la colazione nel cassetto. Era solo il suo lavoro. Nient’altro lo legava a quella costruzione.
Il faro viveva di notte,vedeva le navi avvicinarsi;sentiva di attirarle con la sua campana di luce,proprio come il campanile di una grande cattedrale. Ma le grandi cattedrali si riempivano di gente in adorazione almeno una volta a settimana. Aveva sentito dire da voci lontane che le onde portavano, che un uomo le abitava, completamente dedito ad esse, un uomo che aveva rinunciato per questo ad avere una casa con dentro una famiglia. Ma quelle appartenevano ad un grande padrone che si diceva fosse il creatore di tutto, ma che nessuno aveva mai visto . Si chiedeva se questo grande padrone sapesse della sua di esistenza e non il contrario. Il suo compito era quello di essere evitato niente di più; aveva delle righe bellissime di due colori…com’era possibile?
L’esistenza andava da un’altra parte, non per colpa sua, proprio grazie a lui.
Capì. Era quella la sua importanza. Non restava che guardare. Quelle navi piene di esistenza non sarebbero potute andare da nessuna parte senza il suo aiuto ma nessuno andava da lui. Si sentì patetico come una specie di poesia adolescenziale. Immaginò le dita dei passeggeri indicarlo all’apparire, ma col tempo non ne fu più orgoglioso.
Ne passò molto di tempo, forse secoli e tante navi piene di esistenza,; non riusciva più sopportare quelle stupide onde intorno a lui, che si infrangevano violente ma troppo deboli per spostarlo o muoverlo anche di poco da quello scoglio che lo costringeva immobile in mezzo al mare. Erano inutili,come un vociare fastidioso,lo stavano prendendo in giro; forse anche complici della sua disgrazia.
Fu la rabbia. Odiò il mare. Sarebbe stato meglio nascere albero sulle montagne,lontano dall’oceano; almeno gli uccelli vivevano sugli alberi. Quei maledetti gabbiani invece gli giravano attorno come bambini che si divertono a prendere in giro i vecchi. Lo evitavano anche loro. Era patetico e non c’era nessuna poesia in tutto questo, ma non aveva mai dimenticato una cosa: sapeva di essere importante… forse indispensabile.
Così una notte disse:”fanculo”. Vide arrivare la grande nave , prima minuscola e poi sempre più grande tra la luce vaporosa della luna, puntava dritta con il suo carico d’esistenza, finché alla fine non avrebbe virato, come faceva sempre, verso una luce più grande,più sicura quella del giorno, che lo faceva sentire inutile.
Lui invece era un finto sole, così decise di spegnersi. Click! E aspettò.
Gli sembrò di avere un respiro affannoso ma era soltanto un’impressione. Forse era solo il vociare delle solite onde pettegole ai suoi piedi. Finché il rumore non si fece più forte e il mare non incominciò a muoversi. La nave carica d’esistenza non era mai stata così vicina, ci fu un rombo,la schiuma esplose come vetri di zucchero, questa volta le onde lo mossero, sentì l’urto tremendo…
Barcollò. Non sentì più nulla e rimase nel buio chissà per quanto; si riaccese solo un attimo prima dell’alba per vedere i cadaveri di tutta quella esistenza tra gli scogli. Un’esistenza morta che non significava più nulla.
Si chiese se essere una tomba fosse sempre meglio che essere disabitati. Forse…
Spense la luce, perché una cosa l’aveva capita; sapeva che ormai non era più importante. Neanche per loro. Non più importante di una storia banale e patetica come questa. Sentì il vento penetrare tra le sue crepe, la voglia di non rimanere più lì. Barcollò ancora e le belle righe colorate cedettero. Diventarono anche loro tanti cadaveri sprofondati nel mare. Cadaveri di mattoni che non erano mai stati esistenza vera e questo si…l’aveva sempre saputo.


Magnis

Se ti troveranno ti renderanno felice
Ti faranno questo…
Ti pianteranno degli aghi tra i denti
appena cederai in un sorriso
Parleranno bene di te al tuo vicino
e altre cattiverie
E ti fisseranno sul muro
come il quadro di tua madre sopra il camino

Ti faranno crescere
Si preoccuperanno per te
e altre cose insopportabili
Troverai qualcosa di pronto
E i calzini dello stesso colore
E non potrai fallire…
Arriverai sempre puntuale!

“La morte ci imita, ma non riesce a finire una vita
come gli esseri umani finiscono le cose”

Non ti ammalerai mai!
In adorazione sempre
e altre crudeltà impronunciabili
Ti inchioderanno come
una poesia con le rime perfette
Senza via d’uscita
Ti salveranno la vita
e altre cose orribili!
E quello che poteva essere
si spegnerà in un altro posto…

Saranno felici per te
e non crederai a tanta malvagità
Il terrore che tutto possa andare bene!
Ti faranno questo…

Ascolterai un futuro meraviglioso
e rime baciate.

“Odio le rime baciate
…e penso che ogni cosa dovrebbe stare da sola,
da un’altra parte… per i fatti propri!”


Corde

T’impiccherò sull’albero più alto
E assolderò due avvoltoi…
Glielo pagherò io il viaggio dal deserto!

Il deserto…
ti piaceva…
ti somigliava…

…E ci somigliava il deserto!
Era come noi; più arido ma meno contagioso.

Ti guarderò da lontano,
mi allontanerò finché non sarai una sagoma nera
ritagliata dal sole!
Finché non sembrerai chiunque altro!
E allora non ti guarderò più…

T’impiccherò sul ramo più robusto
e credo che gli avvoltoi non si faranno pagare,
perché persino loro avranno un cuore per una volta…
Ma non tu! Tu somigli al deserto…
Un deserto un po’ più arido e contagioso

T’impiccherò lassù … in alto
Come fosse l’albero maestro
E credo che nessuna creatura piangerà…
Tranne me.