Abisso

Stanca mi distendo
desiderosa di riposo
in attesa del sonno ristoratore

Immagini sfumate deformate
affiorano dal profondo nebuloso,
evocando luci e ombre

Tediate e accorate
chiedono conforto e ricordo
dai cari lasciati con dolore

Sussurri strani lamentosi
si mescolano indistinti
Attendono invano echi fiduciosi

Deluse e amareggiate
affondano impietrite
nel magma tenebroso

Inquietudini angosce devastanti
attanagliano i pellegrini della vita
distratti e affaticati nel tortuoso cammino

Un suono improvviso mi ridesta
Un’amara sensazione perdura in me,
memore dell’incubo abissale


Armonia fuggente

Acque nitide specchiate
da caldi raggi percorse
attendono pacate
nell’arsura agostana
le stanche mie membra
per fresco ristoro donare

Nell’aria immobile
agili volteggiano le rondini,
sul vecchio pino odoroso
da poco tempo allocate,
disegnando coreografiche
mobili danze

Improvvise a turno si sciolgono
sfiorando in picchiata
la chiara morbida coltre
Svolazzano rumorose le ali

Bagnate e rinfrancate
si librano in volo
per riprendere in coro
il passo interrotto

Gli alberi intorno faticano
nell’afa diffusa affogati,
ma offrono generosi
l’ombrosa frescura vitale

Il silenzio scandisce magici tocchi….

Armonia fuggente
Farmaco fugace
per anima e corpo
di fresca serenità assetati


La forza della fragilità

Come siamo fragili!

Un dolore ci coglie di sorpresa
Un amico non saluta
Un imprevisto scompagina la giornata
Un progetto programmato fallisce

L’angoscia opprimente invade
Il sorriso abituale scompare
La delusione devastante fiacca

Il tempo scorre lento e tedioso
Tutto appare avvolto
da nebbia fosca impenetrabile

Ma un raggio di luce
penetra sottile e sicuro
squarcia la barriera di noia

Un guizzo di vita ripullula
dal fondo del cuore,
stillando gocce di linfa d’azione

Dalla fragilità sgorga la forza
per riprendere fiduciosi
il labirintico cammino

Nihil sufficit ad dolendum atque resurgendum
Basta un niente per angosciarsi e per risollevarsi.


I nuovi Martiri

La giovane kenyota, ancora impaurita,
per miracolo sfuggita alla somala ferocia shabaabista,
racconta le tragiche lunghe ore di paura,
al riparo del piccolo rifugio di fortuna.

La mancata risposta musulmana,
prova inconfutabile della colpa originale,
sentenzia il verdetto della esecuzione fatale, fredda e fulminea,
fonte della cruenta fiumana della strage cristiana.

Ripullulano le sanguinose persecuzioni,
lontane, ma sempre latenti e in tempi foschi
crudelmente esplodenti.

Vivere la fede in libertà e senza angoscia
è possibile a tutti i cristiani nel mondo,
desiderosi di pace e serenità?

E noi ascoltiamo, ci indigniamo,
condividiamo l’accorato grido di aiuto,
sprigionato dal cuore straziato della cristianità,
sfiduciati e impotenti nell’ignavia e nel silenzio dilaganti.

I nuovi Martiri innocenti reclamano
compassione e ferreo sostegno per la protezione
dei fratelli cristiani fedeli commilitoni
dalle orde diaboliche dello spietato Terrore.


Il sorriso dell’onestà

Un sorriso pacato:
specchio del sollievo dopo qualche notte insonne
Restituisco?…….Trattengo?
Gioia………Angoscia….
Dilemma angosciante…..Altalena oscillante della coscienza
Che cosa?
Una somma cospicua, casualmente trovata
Non poca cosa per un operaio pensionato
Un aiuto insperato, ma inquieto
nella quotidiana austera ristrettezza

La scelta giusta è fatta
e il gesto generoso ricompensato
La serenità, figlia prediletta dell’onestà,
torna appagata,
trionfante nel caos anarcoide dei valori
della nostra smarrita società….


Bianco funereo

Acque bianche spumeggianti
lambiscono dolenti la riva:
cornice funerea di immobili corpi
da bianche lenzuola coperti.

Bianco: non purezza, ma cruda violenza
di trafficanti senza scrupoli
di uomini in pena, con sferze
nelle onde travolgenti gettati.

Disperati annaspano, invocano aiuto
Animi sensibili percepiscono l’eco dolorosa,
salvando a caso naufraghi fortunati.
Molti in fuga si disperdono in cerca di rifugio clandestino

Il vuoto barcone, sul fianco adagiato,
silente con le sparse cianfrusaglie,
testimonia l’infernale viaggio.

La luce della speranza per molti è naufragata:
non il varco della terrena salvezza,
ma la soglia dell’eterno baratro hanno varcato.

Un fremito di rabbioso dolore mi gela impotente
Ha valore per l’umanità la vita
di poveri fuggiaschi in cerca di pace e di libertà?


Torna il vocio

Un suono insolito mi desta…

Curiosa, ancora dormiente,

oltre le tende osservo:

una pioggia di pesanti granelli,

rumorosa e picchiettante,

scende biancheggiante.

 

Un cupo tenebroso manto

avvolge mare cielo e terra…

Le montagne in lontananza

innevate, squarciate dalla luce

improvvisa di lampi fragorosi,

si annullano nell’oscurità,

accerchiate in un abbraccio funereo.

 

Un luccichio flebile lontano

sul mare in tempesta

attira il mio sguardo stupito…

Il pensiero vola leggero,

fendendo il buio denso,

verso i poveri naufraghi,

in fuga dalle fiamme di guerra,

tra il freddo impietoso delle onde ostili,

nell’ignavia della gente comune.

 

Gocciola fittamente il balcone

e ai primi timidi raggi si sciolgono

lenti i cumuli bianchi.

Si allontana l’aerea coltre opprimente…..

Emergono nitidi i colli imbiancati

e nelle case torna vivo il vocio

al candido inusuale risveglio.


Piccoli passi

Gli occhi scuri profondi

scintillano nel tondo dolce visino

della serena piccola Zoe.

 

Ci accoglie in braccio a papà,

ci guarda, ci osserva

e nella muta loquacità

rivela una genuina curiosità.

 

Si stacca dall’abbraccio protettivo:

a terra si libra e abile equilibrista

ondeggiante si muove e rincorre

i lievi colorati sparsi palloncini,

segno visibile del clima di festa.

 

Nel suo vivace vestitino di diavoletto,

con due minute corna sulla testolina

oscillanti, gira e rigira, imitando la sorellina,

amabilmente impegnata nel ruolo

di carnevalesca streghetta.

 

Stanca sul pavimento si adagia

e agile gattona, velocemente

in cerca di un celato rifugio.

 

Si agita per la perdita del ciuccio-compagno

inseparabile e, ritrovato, ristoro le dona

nella primigenia fatica della crescita

pruriginosa dei primi dentini.

 

Mi guarda , aiuto silente mi chiede

e, in braccio sollevata, mite invoca coccole calde.

La osservo con amorevole cuore

all’alba di un lungo cammino

nell’opaco e tortuoso labirinto della vita.


Coro vespertino

Aria mite nel dolce tepore

di un tardo pomeriggio primaverile…

 

Stasi nell’impegno usuale:

uno sguardo fugace intorno al giardino…

 

Piante trascurate richiamano l’attenzione:

foglie ingiallite da tagliare

radici inaridite da estirpare

per dar vita a linfa nuova.

 

Lenta e paziente procede

la chirurgica operazione

 

Cloe paziente, madre premurosa,dolcemente

allatta i micini vivaci e spensierati

 

Un grido di bimbo improvviso,

in lontananza sempre più intenso,

in angosciante ansioso crescendo,

infrange il georgico magico silenzio.

 

Incalzante ansimante irrefrenabile..

Rimprovero caduta, causa del dolore disperato?

 

Il singulto sommesso dei rami recisi

flebile affiora nel muto dolore

in attesa del nuovo virgulto,

testimone di gioioso rinnovato vigore.

 

Il corale cinguettio festoso,

il canto tardivo del gallo vicino,

il lamento del bimbo afflitto,

l’arboreo vagito sofferto:

note all’unisono del raro coro vespertino.


Mutilati nell’anima

Partono giovani, poco più che adolescenti

per la Grande Guerra lontana,

ai confini freddi del Bel Paese.

Il Sud, fonte viva di forze vigorose

alla terra strappate,

alimenta e disseta col suo sangue

il famelico mostro bellicoso.

I più lasciano a malincuore gli affetti,

per costrizione  e senza militare formazione;

pochi si avventurano infiammati

dal patrio consapevole amore.

 

Combattono con la paura nel cuore,

sostano chiusi nelle trincee

al gelo, esposti agli orrori degli assalti.

I ricordi, le foto dei cari, le immagini

dei santini proteggono dalla disperazione,

rafforzano le risorse sempre più languenti.

Vivono convivono  si scontrano con la morte;

scoprono la fragilità dell’essere

sotto la clava della casualità.

 

Molti restano sul campo insanguinato,

i superstiti fortunati tornano,

tanti nel corpo visibilmente segnati,

ma tutti nell’anima mutilati,

da insanabili piaghe lacerata,

grondante di angoscia silente,

in preda a incubi ricorrenti,

nel profondo saldamente radicati,

difficili da estirpare,

compagni invisibili di una vita

solo apparentemente normale.

 

(In memoria dei Caduti della Grande Guerra del 1915-18)


Martiri al sole

Curvi al sole cocente

in campagne assolate

o in serre afose,

uomini e donne di colore

e meridionali senza distinzione,

faticano duramente

da mattino a sera.

 

Sveglia nel cuore della notte

Viaggio lungo e angoscioso

Arrivo all’alba nei luoghi di fatica

Lavoro senza tregua

per ore prolungate

sotto l’occhio scrutatore

di caporali disumani.

 

Mani e piedi si muovono veloci,

ma il caldo opprimente sfibra

e il colpo di calore o un malore improvviso

annientano corpi stanchi e sfruttati.

Rinunce, stenti, angosce, rancore

compagni inseparabili di vite precarie.

 

Sono vittime semplici e silenziose,

martiri- eroi, immolati in campi

non di umano lavoro,

ma di brutali battaglie

nella terrena spietata giungla sociale.

 

Tra bisogno stringente

e sfruttamento spietato

oscilla il pendolo della raccolta faticosa.


Soletto se ne stava

Soletto se ne stava nella gabbietta dorata,

l’acqua fresca e pura assetato sorseggiava

e del fresco e biondo miglio si cibava;

lieto saltellava e soave cinguettava

sotto l’occhio vigile e appagato

del padrone- custode, ammiratore

del piumaggio variopinto e della musica virtù.

 

Scorrono lenti  i giorni e i mesi

in monotona agiata armonia:

a poco a poco il saltellio rallenta

e il canto si rattrista.

 

L’incauta mano lascia aperta

la noiosa e comoda prigione:

timido e pauroso il cardellino

varca la soglia a lungo sigillata,

nell’aria si libra e curioso spicca il volo;

si aggira tra i verdi cespugli, di ramo in ramo

saltellando e dolcemente assaporando

l’insperata libertà, sereno tra insidiose

difficoltà, dimentico delle familiari comodità.

 

Ilare alberga la gioia nel giovane cuore

in libertà, farmaco salvifico del vivere tedioso.


Caro pane

Farina acqua sale lievito,

in dosi equilibrate,

vengono vigorosamente impastati

 

A riposo in forme varie

attendono il miracolo:

gonfiano… si allargano.

 

Pronte dal caldo forno accolte

si imbiondano,

una dolce fragranza

diffondendo nell’aria.

 

L’olfatto appagano

Stimolano il gusto

Inevitabile è l’assaggio

 

Allietano le tavole,

non sempre del tutto consumate.

 

Resti piccoli e grandi dimenticati,

da muffa coperti,

acri odori effondono intorno…

 

Una mano cruda

un cuore freddo

una mente cieca

compiono il gesto infame

 

La pattumiera incredula

li accoglie,

conscia dell’orrore

 

L’atomo alimentare

è disgregato,

denunciando l’uomo reo

 

Dal miracolo al misfatto!


Furto di scena

Imprevista e furtiva

scivola la sortita

lungo il gradino

ai piedi del leggio

nel giardino custodito

sotto lo sguardo incredulo

del più potente dei potenti.

 

Il gigante della terra

si scuote alla vista

del nanetto indifeso roditore,

dagli occhietti incuriositi

da tanta autorità.

 

Tra stupore imbarazzo

e sorrisetti,

di malumore,

in cerca di un cantuccio

riservato,

torna indietro frettoloso

l’ospite,

formalmente non invitato.

 

Inconsapevole ladro della scena,

fugace signore dell’attenzione,

supera la ferrea barriera

dell’incerta sicurezza:

spodesta disarmato

il sovrano delle armi,

dell’atomica il custode.

 

Curiosità appagata

Gloria fulminea

Attimo

di presidenziale visibilità

 

E il conto da pagare?

Caccia spietata,

trappola mortale

per il martire

dell’incauta curiosa

libertà.


Il muro della paura

Costruiamo muri barriere

sulle fragili fondamenta della paura,

muri di chiusura, di protezione, di difesa

Da chi?

Dalla fiumana del diverso-nemico

Diverso per colore, lingua, religione,

costumi e social condizione.

 

Sono esseri umani, naufraghi,

profughi disperati in fuga da terre,

da guerre e povertà martoriate,

in preda alle fiamme dell’odio.

Sfidano la morte, affrontano

fatali pericoli per terra e per mare.

 

Dalle acque salvati, bivaccano in luoghi

di fortuna, vivono con aiuti provvisori.

Fiaccati nel corpo e nella dignità,

fiduciosi lottano, resistono.

E col pensiero volano sulle ali della speranza,

superano la soglia vietata dell’utopico paradiso,

sognando la normalità.

 

Con l’usura del tempo e degli assalti iterati

si sbriciolano i muri, crollano le barriere:

i popoli si mescolano, si rinnovano,

una nuova alba multicolore

freme inquieta all’orizzonte.

 

Sol occidit, sed resurgit

Pavor necat

Il sole-popolo tramonta, ma risorge

La paura uccide.


 

Cogita et labora

Cogita et labora:
mens et manus aequales
et aequae sunt.
Studium et labor fundamenta
et capita vitae sunt.
Prosperitas civis et civitatis
nascitur ab aestimatione,
a coniuctione utriusque.

Non altera superior,
non altera ancilla,
sed sorores eiusdem virtutis.
Ipse sit etiam idem,
id est uterque:
vir cogitans et laborans,
vir studens et agens,
philosophus et operaius.

Quisque cogitet et laboret,
studeat et agat
eadem dignitate.
Cogitatio sine actione est
insania divina, sed humana ruina.


Pensa e lavora

Pensa e lavora:
mente e mano sono uguali
per natura e pregio.
Studio e lavoro sono fondamenta
e pilastri della vita.
Il benessere del cittadino
e della comunità scaturisce
dalla stima dal legame di entrambi.

Non una delle due superiore,
non una delle due ancella,
ma sorelle della medesima qualità.
Egli stesso sia anche il medesimo,
cioè l’uno e l’altro:
uomo che pensa e che lavora,
uomo che studia e che opera,
filosofo e operaio.

Ciascuno pensi e lavori,
studi ed operi
con la medesima dignità.
Il pensare senza l’operare è
follia divina, ma umana rovina.


Il muro d’ombra

Il muro d’ombra repentino è crollato
e tu veloce l’hai varcato in solitudine
silenziosa.
Procedi triste lontana dai tuoi cari
o lieta desiderosa del nuovo?
Ti muovi leggera nella luce infinita
o gravosa nelle tenebre immense,
dal nihil disgregante travolta?

Noi viandanti smarriti procediamo
nel tortuoso caotico cammino,
fagocitati dalle incombenze
quotidiane della vita, difficili
da affrontare dopo la tua inattesa
e precoce dipartita.

Misteriosa è la forza che guida
il faticoso viaggio, privato di una gradita
e sincera compagna del terreno
pellegrinaggio verso l’ineluttabile
santuario della morte, spartiacque
o ponte dell’oltre.


 

Angulus  amoenus

 

Il mio giardino con la verdeggiante

luminosità ci accoglie gioioso

all’ombra del vetusto e sempre

fruttuoso ulivo.

 

Quanta fatica! Quanta amorevole cura!

Le erbacce in disordine crescente

sono state sradicate,

il fogliame a lungo accumulato,

è stato spazzato.

 

Il melograno rigoglioso ostenta

i suoi frutti tondeggianti,

la citronella in fiore caccia

la pungente zanzara,

la sterlizia, stanca della ricca

colorata fioritura,

riposa in tutta la sua regalità;

le cycas si arricchiscono

di tremule foglie,

il rosmarino e la lavanda,

vicini in armonia,

diffondono una fragrante

piacevole miscela,

le lantane dai vivaci colori

impreziosiscono il piccolo eden.

 

Angulus amoenus!

Appaga l’olfatto,

ammalia lo sguardo,

rifranca le membra affaticate.

Rifugio salvifico nella sicula

infuocata calura!



Dies natalis

 

Si aggrega ancora un anello

alla più o meno lunga catena della vita.

E’ noto e puntuale quello iniziale-nascita,

ignoto e misterioso quello finale-morte.

Inizio-fine congiungono, saldano il ciclo

del dono gioioso-gravoso dell’essere

nel mondo e in famiglia, per sé e per gli altri,

nella giungla-eden fervida di gioie e dolori,

di illusioni e delusioni, di vittorie e di sconfitte.

 

Una sosta nel caotico e vertiginoso fluire

Pausa dagli impegni, ma fonte viva di riflessione

Sentirsi soli con se stessi, paghi o scontenti

del vissuto, delusi o appagati negli affetti,

stanchi o pronti a progettare e a sognare “cose nuove”.

Un groviglio di nodi sottili, difficili da sbrogliare

e trovare l’enigmatico filo conduttore.

 

Trascorre altalenante il dies natalis :

al mattino luminoso vivace e progettuale,

al crepuscolo declinante, ma pacato e fiducioso

in una nuova alba ancora vitale  e fattiva,

procrastinando nel profondo il fosco anello terminale.



Torna il vigore

 

Ascolto silenziosa…

Un brontolio in lontananza

si disperde nell’aria

Si ripete…si avvicina veloce

Fulmini squarciano il cielo abbuiato,

da fragorosi tuoni stordito

Segni della pioggia imminente

Uno scroscio picchia sulle tegole arse

Danza e musica in simbiosi incalzano

con ritmo accelerato

Si diffonde l’auspicato concerto pluviale

 

Gocce ristoratrici cadono

sui dormienti ulivi rinsecchiti,

rigenerando la linfa del risveglio.

Cadono sull’erbetta senza forze,

da lotta estrema prostrata.

Cadono sulla terra indurita,

arido ammasso compatto,

faticoso da scalfire,

dalla calura prosciugata.

Cadono sui corpi stanchi

per la lunga arsura senza fine.

 

Torna il vigore, rifiorisce la speranza

e l’animo triste, fragile preda

di oscuri presagi, fortunosamente

in libertà, si abbandona sereno

all’ascolto, dispensiero di fugace

piacevole sollievo nell’inquieto

marasma giornaliero.