Gli Alberi
Protetti dalla voce potente
del silenzio, gli alberi
son slanciate statue
di legno viventi,
con le braccia protese verso l’alto
quasi a voler accarezzar
con le loro esili e nodose dita,
il cielo senza tempo.
Paion verdi pilastri
muti e solitari,
custodi sereni di antiche credenze,
ma quando nel fresco bosco
adagio m’addentro,
tra strati di muschio stellato
e tappeti di terra bagnata,
salmodiar beati alfabeti li sento:
quelle voci polifoniche
son musiche liriche,
prolungati gorgheggi e trilli
di fonte canterina degli uccelli,
inni solenni al Creatore
tessuti ad arte dal cotone
dell ‘eterno vento,
in polvere sonora
che inneggian l’assoluto
ed esaltan il fiat d’amore;
difatti gli spiriti arborei
del tradire dell’odiare o
tantomeno del giudicare, son nudi
e il loro benefico riparo
a tutti donano indistintamente
e come fedeli adoranti
in preghiera, irradiano
solo grato calore e stando
vicino ad essi, sovente,
un’energia straordinaria, rovente,
correr lungo la corteccia, avverto:
è vibrante corrente positiva
che dissoda le mie zolle,
come un’oasi rigenerante
nell’assolato deserto.
VIVERE NELLA PACE
C’è una piccola parola
che si pronuncia con facilità
e colma gl’immensi spazi vuoti
presenti nella vita della più
stretta comunità: è pace in verità.
La pace è la legge
dell’esistenza umana,
ma vivere nella pace, talvolta,
è un’impresa quasi sovrumana,
poiché l’orgoglio, il più grande scoglio
e suo bastian contrario, rinserrandoti
nelle sue volute spire di fumo,
ti costringe a considerare l’altro
sempre con cipiglio, stendendo
un grigio velo che t’annuvola
gli occhi, impedendoti di scorgere
la parte divina che dimora in te…
Ecco perchè la pace presuppone
atti di coraggio: il primo è la
riconciliazione che deve avvenire
prima di tutto con te stesso
per liberare il cuore dal giogo
della sofferenza e poter
sperimentare la rinnovatrice
potenza del perdono. Già…
il perdono, questo vocabolo
che ci risulta ostico alle orecchie
lasciando spesso, il sapore amaro
dell’assenzio in bocca, perchè
siamo troppo abituati ad accusare
piuttosto che a scusare,a rimanere
fissi nel solco dei nostri sicuri passi,
piuttosto che uscire dal seminato
per fare nei confronti dell’altro
il primo passo. E’ più comodo
e facile vivere nella paura,
tra le barriere e il buio che
la viltà ci procura, che
perdonare… questo “dono per”
che non riusciamo ad offrire
e ricevere, perchè ci manca
l’ardire… il coraggio, quella forza
che viene dal cuore, per
calpestare l’unica strada che
porta all’amore.
E i bambini, in questa materia
che è la vita, ci danno grande
esempio di bravura, poiché
anche dopo il litigio più scuro,
non si fan remore per far
tornare tra loro il sereno, perchè
sanno che la gioia dello stare insieme,
è la cosa più importante
che a loro appartiene, pertanto
non deve essere disturbata
o impedita da ciò che non conviene.
Essi perseguono soltanto il benessere
e la felicità e giammai si fanno scrupoli
delle cosiddette diversità… semmai
siamo noi ad applicare continue
etichette per sentirci protetti
da una gabbia mentale che è
piena di fittizia normalità.
Ciascuno di noi è chiamato,
per le sue possibilità, ad essere
un costruttore di pace, cosciente
il primo passo concreto,
per non invocarla solamente.
L’ELOQUENZA DEL SILENZIO
La vita è un lieto e pensoso
fluido divenire:
appena tra le palme delle mani
lo provo a trattenere,
mi sgocciola fra le dita
fino a terra stillare;
solo una cosa, se la cerco,
mai mi potrà sfuggire:
è la voce del silenzio,
l’unica realtà che mi può appartenere.
Quando satura dei rumori e
sterni dalla presa mordace
che m’opprime il petto,
mi isolo in un luogo
ovattato, prediletto,
lascio che la mente
allenti i suoi tenzoni
e al lento ritmo del mio respiro,
scivolo nel silenzio
ed entro in un profondo
stato di quiete interiore,
in quello spazio sacro
che è fonte vitale,
unica risorsa per ritrovare
l’autoctona ricarica benefica.
Ed è in questo segreto
ed intimo momento che,
zittendo le voci su me stessa,
il silenzio manifesta
la sua potente eloquenza:
il suo dialogo muto
schiaccia il clamore delle falsità
che mi circondano
e senza interferenza
alcuna, esprime e vuole solo verità,
facendomi capire in maniera
chiara, ciò che va al di là
di mille parole. Tacere di
se stessi diventa cosi un cammino
intrinseco di conoscenza.
E’ aprirsi all’Eterno soffio
dello spirito dall’intenso odore
di nulla che vibra nel corpo
in una marea da fremito.
E ricevendo il silenzio,
comprendo che custodire me
è il suo intento.
Il dono di mio padre dall’altra vita:
alla “Fiera dei Morti”
ho trovato l’albero della vita.
Da tempo cercavo
di Klimt la riproduzione
dell’ “Albero della vita”
d’apporre sulla testata del letto…
Ma niente finora
mi aveva soddisfatto…
Quando a novembre,
mentre a Perugia percorrevo
le vie asfaltate della cosiddetta
“Fiera dei Morti”
immersa in un’atmosfera lieta
e di calore animata,
che strideva col pensiero
in petto di mestizia velato
che andava a mio padre
passato di vita,
ecco che d’un tratto,
quell’albero che lì mi aspettava
da un venditore ambulante,
agli occhi m’è balzato:
era un quadro assai bello
e luminoso, tutto in pelle
di chiara nocciola,
finemente dipinto ad olio
ed i rami dorati
che si estendevan in orizzontale
in un motivo sinuoso a spirale,
eran impreziositi da ialini cristalli
e i riccioli decorati dallo
scintillio del glitter permeavan
il caldo calore del sole.
Subito si son accesi nel mio viso
un lieve rossore e una facella
di gioia e nel corpo una specie
di latte tiepido mi scendeva,
sentendomi felice come una fanciulla
appagata dell’anelato regalo.
In quattro e quattr’otto
l’ho acquistato e mentre
a casa facevo ritorno,
intimamente ho riflettuto
sul significato di ciò che
mi era accaduto:
è stato come se avessi
instaurato con mio padre
un dialogo muto,
solo dal cuore udito
in cui le parole, non più
necessarie, segnalassero
non la fine, ma l’inizio
della comprensione;
e dalla particolare coincidenza
il senso trascendente
ne ho evinto:
credo che “L’Albero della vita”
trovato alla fiera dei morti,
sia il dono di mio padre
dall’altra vita,
quasi a volermi rassicurare
che il respiro dell’essere
non si estingua con
la dipartita, ma muti
solo nell’aspetto,
come l’albero che si rinnova
nei diversi cicli stagionali.
Ed ora quel mio quadro prediletto
E di grande effetto,
sta lì sulla testata de letto
e ogni volta che l’osservo
è un invito a celebrare
il miracolo, la bellezza
e della vita, l’infinitezza.
La magia del bosco
Un posto vitale
brulicante di vita
dall’aspetto quasi fatato
è il bosco:
la piacevole frescura
m’invoglia a camminare
lentamente
pei sentieri appena tracciati
tra le grosse radici
nel silenzio rumoroso
su uno stuolo di aghi,
parate di secchi rametti
e foglie brune scricchiolanti,
accompagnata solamente
dal cinguettio di qualche
passero solitario e dal
bruire del vento che fa
stormire la fitta ramura
in un anelito ardente.
Le alte piante
dalle fronde superbe
creano una verde volta,
una capigliatura folta
che ruba il regno all’aria
e gioca a nascondere
la luce del sole;
e nella penombra
del sottobosco è bello
osservare i sottili raggi
filtrare tra i rami
come lunghi capelli d’oro,
respirando l’odore
di violette nane,
ciclamini,
pece untuosa sulla
corteccia dei pini,
misto a un amaro
sentore di terra bagnata
che impregna l’aria.
Questo profumo
richiama la primordiale
libertà, grido che nasce
dalla nostra essenza
d’uomini e l’amore
per tutto ciò che vive:
insieme tesson una rete
sonora alla speranza.
Il bosco ha un’anima,
un cuore palpitante
dove vita e morte
si rincorrono sulle note
di una dolce ninna nanna
conciliante
che ha per voce,
il batter cadenzato
del cuore caldo
della nostra madre
terra, ogni giro
di giornata.
NOVEMBRE
Nell’aria infreddolita
di novembre,
leggere brume mattutine
si diradan diafane
al gelido splendor
del pallido sol
per poi ricalar,
in coltri malinconiche,
la sera all’imbrunir.
Netti contrasti lo caratterizzan
e intenso è il suo manifestar
i grigi umori,
la sua indolenza,
la sua estrema sofferenza,
dei morti il memorabile onor
e della sua silenziosa agonia, i color
conservando sempre
un’amabile dolcezza.
Una vertigine di triste meraviglia
mista a timida gioia
il cuore mi accarezza:
colgo questi ultimi lampi
di grazia e bellezza
per raccogliermi ancor.
RICORDI D’INFANZIA
La dimora modesta
a ridosso del Nestore,
sassoso e umido fosso;
il cibo che non desideravo
al desco di formica rossa;
le storie raccontate
dalla nonna con l’invito
a spalancar la bocca;
le croccanti caramelle
“Rossane” dal cuore tenero,
incartate con leggere
cartine fruscianti,
che gustavo ogni tanto;
il gracidar in coro di rane
nel verdastro pantano,
nelle serate afose d’estate;
il barbagliar intermittente
delle lucciole sui campi
che sfioravan luminose
le mature messi;
l’ acchiappar in volo esse
aspettando l’indomani,
sul fondo del rovesciato
bicchiere, i soldini;
gli adorati doni
di Gesù Bambino
che sapevo passar
col suo carrettino
e la torta di compleanno
farcita ci cioccolato,
con le colorate candeline.
IL TEMPO
Nulla
è così sfuggente,
così ineffabile,
così indefinibile
del tempo:
è intima dimensione
ma al contempo
misteriosa dell’anima.
E’ sensazione, percezione
dei movimenti, cambiamenti
mutamenti dei pensieri…è
l’atmosfera della mente…
E’ l’eternità del momento
che si manifesta
nell’estasi dell’istante
ed in quanto
indiviso e immoto,
inganna tutti gli orologi
della terra che lo vogliono
ben ripartito e inquadrato
in un rigido quadrante
che scandisce ore
e stagioni del corso
della vita.
Ma il tempo
che trascende se stesso
un solo tempo conosce:
l’ora e il qui… il presente.
CONQUIDE LA NEBBIA
Conquide la nebbia
pervicace e caparbia
quando lentamente s’abbassa
e se è spessa,
la sua mano di bambagia
lattiginosa, sul paesaggio adagia
ed ingloba nelle sue palme
fatte di nulla, tutto
restituendo nella luce bigia
ombre dai contorni indefiniti,
falotici ambienti sfocati
e fumide campagne sbiadite.
Un amaro sentore
di foglie e terra stagna
e un’aria pregna
di umidità intorno avverto
e il mio respiro
sul lieve rossore
del viso, lascia una scia di vapore
e nell’informità dilagante
che strania l’orientamento,
procedo a piedi infagottata
nel pesante cappotto, copricapo e guanti
portando un fardello
di malinconia dentro.
PRINCIPE DELLA LUCE
Principe della luce
e potenza della forza creatrice,
il sole ha l’ardore nel cuore
e semi aurei nel pensiero:
cavalca battente,
l’azzurro d’ogni tempo
e dal suo volto d’oro,
un diadema di raggi
abbaglianti si diparte:
son mani protese verso la terra
che porgon la chiave della vita
agli umani e a tutto il creato,
strumento ultimo di contatto,
col divino beato.
L’ALLEGREZZA DI ME BAMBINA
L’allegrezza
di me bambina
vestita a festa,
un’estiva e tersa
domenica mattina,
ricordo ancora la vivezza;
e mio padre davanti
allo specchio a far toeletta
intento nel rito
dell’impomatar il diradato
riporto di profumata
brillantina “Linetti”,
e qualche macchietta
sul mio visetto
che con un po’di saliva
sulle dita mi nettava;
e la mitica Fiat 128
bianca e lucente
pronta in fondo alle scale
per la scarrozzata
a messa, in paese, con
la nonna col fazzoletto
in testa e la sorellina
ascoltando alla radio
la cassetta registrata
del tango “ La Cumparsita”
di cui il babbo andava matto;
e i complimenti eloquenti
degli amici e conoscenti
rivolti alla bellezza
di noi piccoline;
e la torta gelato
assai desiderata,
che al bar il babbo
ci comprava a funzione
religiosa terminata;
e l’acqua da lui stesso
ribattezzata “frizzina”
che ogni domenica a pranzo
tutti insieme si beveva, frizzante,
preparata nell’apposita bottiglia
col tappo di metallo, a macchinetta,
versando la bustina dell’Idrolitina.
TRENT’ANNI DI NOI
Trent’anni
di noi
con verdi
parole ancor
in questo foglio
voglio suggellar.
E mano nella mano
a fronte lieta,
quali giovani ragazzi
ch’eravamo,
abbiamo insieme
oltrepassato
con passi solerti
e spesso faticosi,
lande deserte,
tempi procellosi,
stanchi riposi…
E se le mie gambe talvolta
vacillavano durante
il viaggio, c’era pronto
a sostenermi allato
il tuo sicuro braccio.
E pur nell’ore perplesse
di sconforto o delusione,
ci siam comunque
presi a cuore
la nostra unione,
affinchè diventasse
un odoroso giardino
con sforzo, impegno
e sacrificio comune,
perorando il progetto
di vita, al quale
non son mancati
momenti lieti
e immense soddisfazioni.
E sebbene sulle nostre
mature membra,
s’avviluppin diverse primavere,
confido ancora
nel nostro fedele amore
e che sia benedetto,
come Benedetto è
il tuo nome.
NONNO BERNARDO
Ho un bel ricordo
del nonno materno Bernardo:
un vecchietto mattacchione,
curvo e nodoso
come ‘l suo bastone,
ogni dì vestito
con panni da contadino
dall’odore di bestia
vaccina impregnati.
Simpatico e canuto,
stava pronto alla battuta,
ma siccome era sdentato,
dalla sua bocca uscivan
farfugli e fiato,
che solo mia madre ne
afferrava il significato.
Era solito, di tanto in tanto,
accostarsi alla porta
di casa sgangherata
col saliscendi serrata,
e dare dei bussi
sonori con quel bastone
uniti al contempo
da un urlo inconsulto,
per procurar ai familiari
un po’ di spavento
e far accorrer qualcuno,
per celia, al suo fianco.
Ed io ben rammento
Il batticuore che mi procurava
quell’estemporaneo momento
ma ero anche contenta
d’aver come nonno
un simil portento!
CON GLI OGGETTI DI TECNOLOGIA
Con gli oggetti
di tecnologia
non sono in
perfetta sintonia
e quando tali strumenti
mi capitano tra le mani,
pare ch’essi quasi avvertan
la mia limitata empatia
e lo schermo touch
così veloce e immediato,
costellato d’icone colorate,
concorre a creare
l’effetto magia:
mentre digito
messaggi sul cellulare
col dito incerto
e dispendio d’energia
mi rendo capace
di cambiare lingua
o inserire il vivavoce,
senza capirne la strategia
e sul registro elettronico
talvolta sposto
involontariamente la data
non potendo così firmare
l’attività della giornata.
E se poi non c’è la rete
Il computer mi complica
di più la vita!
E tali movimenti
ripetitivi della dita
sulla tastiera,
rimandan tanto
ai gesti attitudinali
dei primati, o a vuoti
automi, solo programmati.
Molto meglio scriver
con la penna in mano,
sulla carta patinata!
L’ASSORDANTE RIMBOMBO
L’assordante
rimbombo
della nostra casa
vissuta per trent’anni,
ormai spoglia
di mobilia e ricordi,
mi ferisce nel profondo:
a questa dimora
snaturata dal trasloco
sono intimamente legata
in quanto queste
“sudate pareti”,
a costo di grandi
sacrifici acquistate,
sono state la pietra miliare,
le fondamenta
della mia vita, a cui
il mio cuore
sarà debitamente grato,
poiché hanno accolto,
accudito e protetto
come un caldo e
amorevole nido
di vivaci uccellini,
la vita festosa
dei nostri figli,
quand’eran piccini
e visto crescere
seguendo con occhi
discreti, tutta
la famiglia.
E’ STATA UNA
GRADITA SORPRESA
E’ stata una gradita
sorpresa, riveder
dopo trent’anni
di maritato,
il mio abito da sposa:
ripiegato in uno
scatolone di cartone,
assicurato da strisce
di nastro adesivo marrone,
era stato sistemato
nell’angusto ripostiglio
del sottoscala, sepolto
da una pila di altre scatole
che inviolavan il suo
nascondiglio.
E quando mio marito
ha rinvenuto alla luce
il prezioso scatolone,
i miei occhi han sfavillato
di gioia per l’emozione…
Esso preservava intatto
un caro ricordo,
un frammento
della mia vita e
non volevo dissolver
la magia del momento…
Poscia però ‘l desio
d’aprir l’incartamento
ha preso il sopravvento…
e mentre osservavo
il suo biancore immacolato,
ho di nuovo accarezzato
la leggerezza di quell’impalpabile
organza, passandola
delicatamente tra le dita,
ripensando compiaciuta
al giorno in cui in chiesa
l’ho indossato,
per ricevere il sacramento
del matrimonio che
per sempre ci ha uniti.
D’ESTATE
ALLA NATIA CASA
D’estate
alla natia casa,
mi corico di nuovo
per la notte
nella primeva
camera da letto,
al canto strepitoso
dei grilli e mi risveglio
al suon de’campanacci
e al lamentoso
belar del gregge
ch’è solito menar pei
viciniori campestri paraggi
del fiume Nestore,
il pastor Cardaccia.
HAI ONORATO IL GIORNO
DELLA MIA NASCITA (07/07/ 2017)
Hai onorato il giorno
della mia nascita
con un fascio di sette
odorose rose,
di cui una bianca,
abbracciata da altre
sei, screziate di rosa.