Padre

Teresa sentì giungere un urlo dalla stanza accanto. Balzò in piedi nel buio della sua camera: era notte fonda, il cuore le palpitava nel petto. Veloce accese la luce; il tempo di infilare la vestaglia e corse nella stanza di suo figlio Marco. Entrò in fretta e raggiunse il letto del ragazzo, lo strinse forte fra le sue braccia, il buio li avvolgeva.

-Mamma- disse Marco.

-Sono qui, tesoro mio. Cosa ti succede? – rispose la madre preoccupata.

-Niente mamma, solo un brutto sogno. –

-Che sogno, mio caro? –

-Nulla, mamma, non ti preoccupare. Ora mi rimetto a dormire- rispose il ragazzo, che non voleva turbare la sua mamma.

-Va bene, figliolo. Io resto qui, se hai bisogno. –

-Grazie, mamma. Ma stai tranquilla, ora va tutto bene. Torna pure a dormire; buon riposo. –

-D’accordo, amore. Dormi bene e fai sogni d’oro. – Teresa accarezzò il suo amato e gli posò un bacio sulla fronte. Si diresse verso la sua stanza, si levò la veste da camera e si coricò a letto pensando a quale potesse essere stato l’incubo che aveva turbato il sonno di suo figlio.

Passarono poche ore e dalle fessure delle persiane entrò la tenue luce che presentava un nuovo giorno. Nel silenzio di quell’appartamento irruppe il suono di una sveglia: erano ormai le 7 e Teresa, che era in piedi già da un po’ per preparare la colazione, si arrestò un momento per ascoltare quanto sarebbe durato quel trillo e capire se Marco si sarebbe alzato. Lo squillo non durò a lungo, ma la certezza che il figlio sarebbe rimasto a poltrire ancora un po’ era per lei diventata abitudine. Infatti, ciò che stava accadendo in quella stanza era per lei consuetudine, tanto che tra sé cominciò a descrivere di cosa stesse capitando. “Ora Marco, come al solito, sta allungando la mano verso la sveglia per premere l’interruttore e farla smettere di suonare. Ora si sta rigirando nel letto e il sonno prenderà nuovamente il sopravvento.”

Attese poco meno di 5 minuti prima di spronare Marco: -Dai, alzati, altrimenti farai tardi! Forza, che devi andare a scuola! – Dopo qualche secondo la risposta: -Va bene, mamma, ora ci provo…-

-Come “ci provo?” Alzati! –

Marco si alzò, trascinandosi come uno zombie fino al bagno. Non si rendeva quasi conto di dove si trovasse, per quanto era assonnato. Giunse a fatica davanti al lavandino, fece uscire dal rubinetto l’acqua fredda che raccolse con le mani per portarla al viso e così sentire un brivido rapire il corpo e far svanire d’improvviso quel sonno che lo aveva accompagnato lungo il tragitto.

Svegliatosi del tutto grazie al provvidenziale aiuto dell’acqua gelata, tornò in camera per vestirsi: cominciò a pensare a quali commenti gli avrebbe riservato quel giorno il solito gruppo di coetanei insolenti che trovavano così divertente deriderlo per ciò che indossava. Abiti poi non così diversi dai loro: semplicemente, i suoi non erano firmati! A questa riflessione si avvilì, ma tutto a un tratto ripensò alle parole che gli aveva detto il padre, che adesso non c’era più. Se l’era portato via un incidente avvenuto 2 anni e mezzo prima: accadde una sera mentre ritornava dal lavoro. Era ottobre e dal cielo scendeva forte la pioggia. L’uomo alla guida della sua auto era felice per la fine di una dura giornata di lavoro e non vedeva l’ora di assaporare al rientro a casa l’armonia che solo la sua dolce famiglia sapeva regalargli. Mentre pensava ai suoi cari, arrivò alla dannata curva che sarebbe stata testimone dell’orribile tragedia L’auto scivolò su una grande pozza d’acqua sporca di olio e si imbarcò tanto da sbandare senza resa fuori strada finendo con lo schiantarsi contro quel grosso platano ai piedi del quale da allora giacciono ricordi fatti di fori e fotografie

“Caro papà” Marco disse tra sé “tu che da lassù mi accompagni lungo il mio cammino, nel mio tempo, sei sempre nei miei pensieri e continui ad aiutarmi con tutto ciò che mi hai insegnato, dammi per favore la forza di affrontare il mio disagio ed essere forte com’eri tu.” Nel cuore il ragazzo ad un tratto sentì una grande emozione che gli donò tranquillità e coraggio; nella sua testa si rinsaldò il ricordo delle parole forti e giuste che aveva pronunciato suo padre, quel padre che parlava di verità ricche di esperienza: “ricordati sempre, figlio mio, che una persona non va valutata dal suo aspetto, da come si veste o da come vuole apparire mostrando oggetti di valore che compra per sfoggiarli credendo di essere per questo qualcuno di importante. Invece, figlio mio, credi a ciò che ti dice tuo padre: non è così che si può essere felici se in fondo dentro di sé non ci si sa riconoscere; perché, mio caro, quando si sa chi si è si ha solo il bene nel cuore. Perché il cuore vede ciò che gli occhi senza anima non colgono. Ricordati sempre ciò che ti voglio insegnare, figliolo.”

Marco sospirò profondamente e, guardando verso l’alto, ringraziò con amore il padre e lo salutò affettuosamente.

-Marco! –

-Arrivo, mamma. –

Corse in cucina: era carico, ora, grazie alla presenza che avvertiva dentro sé del padre.

-Buongiorno, mamma- e le stampò sulla guancia un bacio pieno dell’infinito amore che provava per lei. Lei ricambiò quel gesto affettuoso: -Come stai, tesoro mio? -.

-Bene, mamma- e le regalò un largo e luminoso sorriso.

-Ora fai colazione, o arriverai tardi. Ti va di parlarmi del brutto sogno che hai fatto questa notte? –

-Ora no, mamma, altrimenti arriverò tardi. Ne parleremo quando sarò tornato da scuola. – La madre gli sorrise e annuì. Marco finì in fretta la colazione e si diresse in bagno a lavarsi i denti. Mentre finiva di prepararsi si guardò allo specchio: il pensiero di dover affrontare la giornata assieme a quei gradassi che adoravano schernirlo non lo turbava più dato che, grazie al ricordo di suo padre, si sentiva pronto ad affrontare tutte quelle insidie che fino ad allora lo avevano amareggiato. Sarà stato per il suo essere timido e insicuro che dentro sé, fino a quel momento, non si era mai sentito troppo a proprio agio con gli altri. Ma quel giorno sentiva che qualcosa sarebbe cambiato.

Pronto per uscire, si avvicinò alla madre: -Ciao mamma, allora io vado! –

-Ciao tesoro, fai il bravo e sii prudente. –

Si scambiarono un bacio e Marco prese la via che lo conduceva verso la scuola: frequentava la terza media e a scuola andava piuttosto bene.

Nel frattempo la mamma, affacciata alla finestra, restò ad osservare il figlio pensando a come potesse sentirsi quel dolce ragazzo che dentro sé portava il peso della perdita del padre che amava così tanto e che tanto tempo riusciva a trascorrere insieme a lui. Pensava a quanta stima Marco avesse nei confronti di quell’uomo, al grande rapporto di dialogo che i due avevano, al modo in cui il ragazzo era spinto a voler capire gli insegnamenti del padre. Una lacrima accarezzò il viso della donna che nel cuore sentiva la forza di voler riuscire a dare al proprio figlio tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno.

Arrivato a scuola Marco incontrò quei compagni che, se avesse potuto, avrebbe ben voluto evitare. Ma quei quattro erano suoi compagni di scuola. In sé stesso sentì forte il coraggio e si recò dritto verso loro, sentiva dentro l’autostima e la tranquillità stava prendendo il sopravvento. I ragazzi in gruppo si sentivano insuperabili e iniziarono a prendersi gioco di lui: -Guardate amici, è arrivato il coniglio. – Iniziò il primo, poi il secondo: -Dove vai così vestito? Guarda noi, vedi i nostri abiti, sono firmati e sono più belli. – Il terzo prese la parola mentre nel volto di Marco si stava aprendo un sorriso. Sorriso un po’ amaro a dire il vero, ma quell’amarezza era contenuta. Restò lì a guardarli mentre li sentiva dire ancora: -Noi siamo eleganti e belli, mentre tu sembri uno straccione. –

A quel punto Marco prese la parola e ridendo disse loro qualcosa che non si sarebbero mai aspettati: -Ma chi credete di essere voi se in fondo non sapete chi siete e nel cuore non avete armonia e felicità? Pensate di essere qualcuno solo per gli abiti che portate? Per il vostro materialismo credete di essere superiori, ma la superiorità, non esiste, è un’illusione. Il senso dell’esistenza è l’uguaglianza, che voi non conoscete. –

I quattro si guardarono stupiti e furono sorpresi da quelle parole, dato che forse qualcosa in loro da quel momento sarebbe cambiato o, almeno, sarebbe cambiato nei confronti di Marco che, a quel punto, con immensa felicità, li salutò e si diresse in classe. Pensò a suo padre e lo ringraziò, sentendo da quel momento in sé la purezza della giustizia conquistata senza arrivare a guerra aperta. Sentiva forte la felicità per ciò che era accaduto è per lo stupore di come in lui era nata l’autostima.

Venne il momento della ricreazione e, giunti in cortile, Marco vide i quattro ragazzi che lo guardavano; uno di loro si allontanò dal gruppo per raggiungerlo; Marco si domandava che cosa sarebbe successo a quel punto, ma ben presto avrebbe avuto modo di saperlo.

Carlo – così si chiamava il ragazzo che gli si era avvicinato – chiese: – Posso parlarti? –

– Certo! – rispose Marco.

– Grazie. – ribatté Carlo, e continuò – Ti volevo chiedere scusa a nome mio e degli altri per la nostra ignoranza e presunzione; grazie alle tue parole abbiamo capito la nostra stupidità, il peso delle nostre cattiverie, e ce ne vergogniamo. Ti va se diventiamo amici? –

– Grazie per questa richiesta e per aver capito ciò che io per primo ho imparato da mio padre. Diventare vostro amico sarà per me un piacere. –

Carlo a quel punto chiamò a sé il resto del gruppo: – Luca, Gianni, Sandro venite! -. I ragazzi corsero verso di loro con il sorriso in volto e da quell’istante nacque una grande e bella amicizia basata sul rispetto e ricca d’amore.

Le ore passavano e Marco sentiva in sé crescere il desiderio di tornare a casa per raccontare tutto alla madre.

Arrivò il suono della campanella: anche per quel giorno la scuola era finita e Marco, dopo aver salutato i suoi nuovi amici, prese a correre per giungere a casa e raccontare tutto alla madre. Mentre correva sentiva vicina la presenza del padre e nel cuore la bellezza dell’abbraccio forte di tutto l’amore che gli aveva sempre dato. Sul volto il sorriso, regalo di tanta felicità per aver capito e messo in pratica ciò che suo padre teneva a insegnargli.

Arrivato a casa Marco chiamò la madre gridando: – Mamma, ti devo raccontare cosa mi è successo oggi! – Il suo entusiasmo era incontenibile.

– D’accordo, Marco. Ma prima lavati le mani e siediti a tavola, che il pranzo è pronto. –

– No, mamma, prima voglio raccontarti tutto! –

– E va bene, ma poi mangiamo.

– Allora, mamma: come ogni giorno, al mio arrivo a scuola…-. La madre lo interruppe – I soliti ragazzi, immagino. Perché non vuoi che parli col preside? –

– Aspetta, mamma: ti stavo per dire che quei ragazzi ora sono miei amici e ora ti racconto come è accaduto. –

La mamma stupita lo guardava e a quelle parole sentì nascere dentro sé la felicità.

– Stamattina, quando sono arrivato a scuola, come sempre hanno iniziato a prendermi in giro. Questa volta, però, non sono scappato ma mi sono arrestato davanti a loro e, mentre si divertivano a schernirmi, ho sentito crescere ed espandersi dentro di me il coraggio. Ho sentito la forza delle mie convinzioni e ho cominciato a chiedere loro chi si credessero di essere, dato che nel profondo non sapevano veramente chi fossero e nel cuore non avevano armonia né felicità. E dopo ho aggiunto che pensavano di essere qualcuno solo perché potevano avere cose materiali e grazie ad esse credevano di essere superiori. Poi ho detto loro che il proprio essere è uguaglianza, cosa che loro non conoscevano. –

La madre lo stava ad ascoltare fiera.

– Dopodiché li ho salutati e sono andato in classe. Mentre andavo in aula ho sentito nel cuore il papà e l’ho ringraziato. –

Dagli occhi della madre si vide spuntare il luccichio di una lacrima che cominciò a scendere lungo la guancia; allo stesso tempo dalla bocca la visione dei denti mostrati da un largo sorriso.

– Non piangere, mamma – le disse Marco, vedendola turbata.

– Piango di felicità, piccolo mio. –

Marco continuò con l’entusiasmo di un vincitore bramoso di proseguire il racconto della sua esperienza: – A ricreazione Carlo, uno dei ragazzi, è venuto da me; quando l’ho visto avvicinarsi ho cominciato a chiedermi cosa sarebbe successo. Lui si è scusato a nome di tutti, ha detto che avevano compreso di essere stati degli ignoranti e mi ha chiesto se saremmo potuti diventare amici. Ora, mamma, quelli che detestavo sono miei amici: Carlo, Luca, Gianni e Sandro. Mamma, sono felice e tutto grazie a papà che veglia su di me e mi parla al cuore. –

La mamma, piena di entusiasmo, disse a Marco: – Vedi, piccolo, anche se non vediamo più il papà, dobbiamo continuare ad essere felici perché lui è sempre con noi e se ci vede felici anche lui è felice perché ci ama come noi amiamo lui. –

– Hai ragione, mamma; e quello che è stato un brutto sogno, questa notte, a ripensarci non lo era. Ho

sognato il papà che mi parlava e ora so che lui è con noi. –

– Bravo Marco, è proprio così. Che ne dici di invitare i tuoi nuovi amici a giocare da noi? –

– Sì, mamma! Bella idea! Ti voglio bene. –

– Te ne voglio tanto anch’io, amore. –

Da quel momento Marco sentì che si deve sempre affrontare tutto con coraggio e senso di giustizia e tenere vivo in sé chi si ama anche se non più tra noi; s si dà vita all’amore i nostri cari vivono non solo nei ricordi ma anche nei nostri cuori.